Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: alpha_omega    30/11/2014    1 recensioni
Era strano come ciò che aveva sempre giudicato giusto e inscindibile potesse apparirgli così intricato e pieno di contraddizioni.
Arthur si strinse nel cappotto, incassando la testa tra le spalle sottili. Come poteva continuare se non credeva nelle proprie azioni? se non credeva nel Sistema?
-Come possiamo continuare a fare tutto questo se non riusciamo più neanche a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. se non crediamo più che il Sistema sia la soluzione? - si prese la testa fra le mani -ormai non sono più sicuro nemmeno se sono io che sto pensando questo o se sono loro che mi dicono di pensarlo!-
Francis si accese una sigaretta -Penso che ogniuno di noi debba trovarsi la risposta da solo, cherie- inspirò una boccata di fumo -e che allora potremo considerarci liberi-.
In una società dove il sistema controlla ogni mossa si potra mai trovare la libertà?
Storia ispirata in parte all'universo di psyco pass. coppie: UsUk Fruk GerIta SpaMano RuChu. Accenni PruNada e forse AusHung.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, America/Alfred F. Jones, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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                                                                                                     Prayers written on fog
 
 
 
Alfred F Jones
Le luci della città notturna sfrecciavano come lucciole impazzite dal vetro del finestrino, illuminando, mano a mano che viaggiavano, un paesaggio sempre meno curato. Le insegne si fecero più rade, le stelle meno spente, e da qualche parte nell’erba scura si sarebbe potuto ancora sentire il profumo della rugiada.
Si fermarono in un sobborgo di periferia, a pochi chilometri dal Tamigi, tra case diroccate e vecchi capannoni, ormai usati come tana da qualche famiglia di roditori.
Dietro una vecchia saracinesca sbrindellata, addossato ad un grosso stabile di lamiera arrugginita c’era’ologramma che nascondeva l’ingresso alle gallerie: era tra i migliori nel mercato nero. Se lo si apriva, si sarebbe trovato solo un banalissimo capanno degli attrezzi in disuso. Il campo di forze era così perfetto che anche le pareti, se toccate, avrebbero mandato le stesse situazioni di pareti vere.
Alfred indossò gli occhiali. Gli venne quasi un colpo a vedere il grosso squarcio che si apriva nel terreno, proprio davanti a lui.
La sede degli anarchici si trovava in quella che un tempo era stata la metropolitana londinese, nel sottosuolo della Londra originale: la linea di trasporti era, ormai, abbandonata da decenni, sostituita dai nastri mobili in superficie.  Non era una bella vista: solo una apparentemente infinita serie di corridoi semi crollati, ai cui lati sopravviveva qualche piastrella cadente e sporadici murales, ormai corrosi dalla muffa. A volte spuntavano qua e la i vecchi treni, alcuni fermi e arrugginiti, altri gettati di lato, come carcasse abbandonate, tra fango e polvere.
Malgrado gli anarchici disprezzassero il sistema dal profondo dell’animo, non potevano fare a meno dei benefici della tecnologia moderna. Una delle ale distrutte era in realtà un ologramma di ottima fattura, se a qualcuno fosse passata per la testa, l’idea di andare a sbatterci contro, si sarebbe ritrovato in una serie di strettissimi e claustrofobici corridoi illuminati a giorno; sprofondavano nelle viscere di cemento, nella profondità del settimo livello sotterraneo, che, a detta delle autorità era completamente allagato. Gli anarchici, con un enorme dispendio di tempo, denaro ed energie, ne avevano fatto la loro sede.
Il dormitorio era stato ricavato da un ampio corridoio, con file e file di letti a castello numerati, un minuscolo armadietto laterale per tenere i vestiti e gli oggetti personali a testa e una decina di piccoli altoparlanti per gli annunci ai lati.
La postazione riservata a lui e a suo fratello più piccolo era una delle più lontane dall’entrata, si buttò nel letto di sopra, sfinito dalla lunga giornata. Ancora un altro chip da rubare, stavolta ad un semplice impiegato, sulla compravendita di un qualche tipo di vernice intelligente che si adattava ad ogni tipo di superficie e si illuminava a seconda del momento della giornata, avrebbe fatto risparmiare parecchio.
-Fratellone?- Il viso infantile del fratellino occupò gran parte del suo campo visivo. Era dimagrito molto dal loro viaggio in Europa, ma le guance piene non accennavano a sparire, e insieme a quegli occhi chiari come il cielo tradivano i suoi otto anni. Anche i capelli, in principio corti, gli erano cresciuti fin sotto le orecchie, le labbra piene e carnose aperte in un sorriso radioso. – Come è andato l’incarico?-.
Gli scompigliò scherzosamente i capelli con una carezza stanca – A posto, come al solito. –  Lo abbracciò, con i capelli del bambino a solleticargli il mento. – Ti sei fatto dei nuovi amici? –
L’altro annuì, con il viso affondato tra le pieghe della felpa lisa, stringendosi il più possibile a tutto ciò che restava della sua famiglia – Abbiamo trovato un pallone, c’era un ragazzo che ci ha spiegato le regole di un gioco nuovo. Dovevi colpire con la palla quelli dell’altra squadra, e se ci riuscivi allora li avevi fatto prigioniero.–
–Era bello? –
-Si, ma sono stato preso tante volte-. Si staccò da lui e si rannicchiò sotto le coperte – questa notte posso dormire con te, fratellone?
Annuì , cercando di spiegarsi come diamine ci sarebbero potuti entrare tutti e due in quel materassino minuscolo che fino a pochi secondi prima era il suo letto – Certo Matt, puoi dormire con me tutte le volte che vuoi. –
-Può dormire con noi anche Kimimaro? –
– Kimimaro? –
Senza dare risposta, il bambino scese come un fulmine, giù per la stretta scaletta di metallo, e ritornò con un orso bianco di pezza, che pareva aver vissuto tempi migliori: mancavano il braccio, e l’occhio sinistro, terminanti entrambi in una serie di fili strappati e penzolanti nel vuoto. Il sorriso che vi era ricamato sopra era tutto fuorché rassicurante e il pelo sintetico era strappato e liso in più punti, lasciando uscire l’imbottitura giallastra e maleodorante.
Deglutì, sperando che gli anarchici addetti alla pulizia lo scambiassero per un qualche rifiuto e lo gettassero nel riciclatore. Avrebbe dormito volentieri sul pavimento pur di non trovarsi quel coso davanti alla faccia al suo risveglio, ma se poteva fare felice suo fratello non avrebbe mai protestato per nessuna ragione al mondo.
Annuì con un sorriso tirato. Fece per mettersi seduto, ma dovette sdraiarsi a causa di un capogiro improvviso.
Si portò una mano tremante allo stomaco, sentendo un familiare brontolio. Eppure era stato alla mensa poche ore prima. Non si stupì, non era la prima volta che gli capitava qualcosa del genere: gli alimenti di sintesi a volte davano degli effetti collaterali ai Refrattari, essendo progettati anche per nutrire i chip impiantati nelle varie parti del corpo, ma che potevano farci, visto che era l’unico cibo disponibile sottobanco?
A volte ripensava alla sua vita a Nuova Washington, domandandosi se fosse successo davvero o se fosse stato solo l’ennesimo strano sogno, provocato da quella sbobba insapore che chiamavano cibo.
Gli mancava la sua vecchia vita: un semplice ragazzo alle prime prese con l’adolescenza, che non pensava ad altro che ad uscire con gli amici il sabato sera o a giocare nei locali di ologiochi fingendo di essere degli stupidi eroi in calzamaglia.
Era stato tutto un sogno. Una semplice Chimera a cui aveva sfiorato la coda avvelenata.
Il suo organismo aveva rigettato il Sistema.
Era stato come in un videogame: quando nel bel mezzo del Volo della vittoria, per festeggiare la vincita contro l’antagonista megalomane di turno, i segnali sensoriali falsi smettevano di funzionare, e doveva togliersi il casco, tornando alla solita saletta male illuminata e gremita di ragazzini.
Il camion blindato è venuto a prenderlo a scuola. Cammina, con il capo chino, tra i banchi e le occhiate di disgusto dei compagni. Non ha la minima idea di come sia potuto succedere: pochi minuti prima stava tranquillamente giocando a palla,  nel cortile con gli amici durante la ricreazione e ora è nel mirino di almeno una cinquantina di fucili di precisione, i ragazzi che considerava quasi come dei fratelli a guardarlo come se fosse un mostro.
Si è sentito male durante il rientro in classe. Non fa in tempo a sedersi che vomitava in ginocchio, con le mani premute convulsamente nello stomaco, ha l’impressione che qualcosa dentro di lui vada a fuoco. Non respira, si porta una mano alla gola, stretta in un nodo invisibile.  Si accascia a terra e chiede aiuto tra le lacrime,ogni parola sembra avere l’effetto dell’acido. La sensazione del pavimento freddo contro la guancia si fa sempre meno precisa. Quando gli sparano sente il suono del suo stesso urlo. Chiude gli occhi, e la sua visione del mondo lo saluta, con le espressioni schifate dei compagni a fare da sfondo.
Sa che sta per morire. Si stende sulla superficie liscia, che inizia a sembrargli sempre meno gelida …
Una mano poco gentile lo scosse con violenza. Cacciò un urlo, terrorizzato, e si tirò a sedere sopra il materasso, tremante di paura.
– … Fratellone? –.
Fu come se il mondo avesse ricominciato a girare. Era nell’infermeria dei Timkov. Un largo salone asettico e punteggiato di grossi letti con le apparecchiature a fianco e qualche armadietto per i medicinali. Sentiva la consistenza morbida della brandina dove era sdraiato e l’odore di disinfettante delle coperte pulite, sulla fronte sentiva la consistenza fresca di un qualche unguento.
-Sei svenuto, ti abbiamo portato qui noi-  la voce squillante di Yao Wang gli risparmiò la fatica di alzare lo sguardo: un ragazzo orientale di appena diciannove anni, il fisico minuto e androgino, unito con gli espressivi occhi a mandorla e i lunghi capelli neri stretti in un codino, che se non stato per l’atteggiamento sicuro e certe volte addirittura rude, gli avrebbero dato quasi un’aria femminea. Era il medico della Timkov: insieme a suo fratello Kiku, erano arrivati poco prima di lui e Matt; dal loro primo incontro non si erano scambiati che poche parole, ma gli dava l’impressione che fosse una delle poche persone simpatiche lì dentro, quando lo incrociava nella mensa gli rivolgeva sempre un breve sorriso.
Si portò una mano alla testa, dove avvertiva un doloroso pulsare. Sentì le dita sottili dell’orientale stringergli delicatamente il braccio, fermandolo. – Sei caduto di testa, ti ho dovuto applicare qualche punto –. Con gesti precisi e veloci gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Prese una garza pulita intinta in un liquido trasparente e la passò sulla ferita. Alfred trattenne un grido di dolore al contatto con il disinfettante.
– Si, lo so, brucia un po’, ma è meglio se per un po’ non ci metti sopra le mani –. Il suo tono di voce era straordinariamente pacato.
– Grazie –.
Scosse la testa – Di niente, come è successo? E’ qualcosa di cronico? –
– Più o meno: ce l’ho da quando … da quando non ero più un … – le parole gli morirono in gola, era stato così abituato a vivere sotto il Sistema che qualcosa dentro di lui, si rifiutava ancora di convincersi della sua situazione.
– Capisco, ma non preoccuparti, non sei il primo a cui capita, ecco, aspetta …  –. Corse verso l’armadietto dei medicinali, dall’altro lato della sala e gli portò un piccolo contenitore cilindrico – Sono ancora sperimentali, ma nessuno di quelli che le hanno prese ha mostrato segni di intolleranza, prendili ogni volta che ti senti male, ma se peggiora vieni a dirmelo subito, intesi? –.
– Grazie, dott –
Non gli diede il tempo di finire la frase – Chiamami Yao – disse con un sorriso. Gli porse una mano, il polso magro che quasi affogava nelle maniche troppo ampie della divisa candida – Alfred, giusto? –
La strinse – Si –. Si sorprese di quanto potesse essere forte. Ricambiò il sorriso.
Yao gettò un’occhiata al’orologio da polso – Temo di dover andare, passa pure la notte in infermeria, se vuole può stare con te anche tuo fratello–.
I grandi occhioni blu di Mattew brillarono – Davvero!? E può stare con noi anche Kimimaro? – Si strinse al petto quella cosa informe che un tempo era stata un orsacchiotto di pezza. – Vero? –.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di negarglielo.
 
 
 
 
 
 
Arthur Kirkland
Erano passate già due ore dall’inizio della perlustrazione. Ma di indizi neanche l’ombra, e il Refrattario che avrebbe dovuto fargli da semplice supporto scorta non la smetteva più di parlare del più e del meno.
– Sicuro che non ne vuoi una? – gli porse l’ennesima caramella al miele dal grosso pacchetto, che aveva avuto la sfacciataggine di comprare, da uno dei commercianti interrogati, per alleviare la perdita del furto e lenire il duro allenamento di due poveri atleti.
La loro copertura era quella di due ragazzi che si allenavano per le olimpiadi di Neo Atene, anche se avevano un aspetto tutt’altro che atletico, o almeno lui non ce l’aveva. L’altro, malgrado il fisico minuto presentava un aspetto allenato e quasi sano.
Per fare un po’ di scena dovettero fare una breve corsetta per un viale di alberi olografici, fu deprimente quando si rese conto di essere già zuppo di sudore dopo pochi minuti.
Si maledì per non aver portato una qualche pastiglia energetica, o tantomeno qualche pillola idratante. Uno di quei giorni avrebbe richiesto un trattamento muscolare intensivo all’ufficio, sempre se quella corsa non lo ammazzasse prima.
L’albino gli porse una bottiglia d’acqua – Tieni –.
Per poco non gli prese un colpo, erano anni che non beveva della vera e propria acqua; avrebbe rischiato di rovinare qualche chip che si trovava nello stomaco, era praticamente illegale anche solo trasportarne una dose minima.
Si sentì avvampare – Tu, in una posizione delicata come la tua ti permetti di … –.
Quello si trattenne a malapena dal ridere – Non ti scaldare, sembri quel mezzo soldatino di mio fratello; sono un Refrattario, ricordi? Ho un’idratazione diversa dalla tua –.
Vero. Come aveva fatto a non pensarci? C’erano poche persone nel parco, fortunatamente, e lui per poco non aveva rischiato di far saltare la copertura. Cercò di recuperare – In ogni caso non posso berla –.
– In dosi minime non ha mai fatto male a nessuno –. Gli rivolse una strizzatina d’occhio. – Dai, prendine un po’–.
– No –.
Fece spallucce – Come vuoi, che facciamo allora, capo?–
Sospirò – Continuiamo a chiedere in giro e a consultare i droni da perlustrazione, prima o poi ne ricaveremo qualcos–
Refrattario latente in fase di rigetto a ore due, quattrocento metri codice rosso, armi in arrivo.
Le olo tute scomparvero, sostituite dalle divise da poliziotti.  Individuate l’obbiettivo e non perdetelo di vista, non intervenite fino a che non ve ne sarà dato l’ordine. Attendete maggiori dettagli.
– Stammi dietro capo! – Il Refrattario scattò a sinistra, selezionando contemporaneamente delle opzioni sul bracciale a velocità vertiginosa. Gli indicò un piccolo drone volante che sfrecciava rasoterra verso di loro, le minuscole eliche che lo tenevano in aria erano quasi invisibili tanto andavano veloci, imprimendo piccoli solchi circolari nella sintoerba sotto di loro.
Sapeva cosa fare: non si erano contate le esercitazioni all’accademia. Corse verso il robot, che si fermò a mezz’aria con uno scatto. Un piccolo braccio meccanico gli porse una pistola con una minuscola lucina rossa sul mirino. Brutto segno, il soggetto sarebbe dovuto essere eliminato.
Raggiunsero insieme l’albino, inginocchiato a fianco di una giovane donna in lacrime, un piccolo capannello di curiosi increduli si andava formando attorno a loro.
Inviò l’immagine del proprio distintivo ai chip oculari di tutti – Polizia! –. Cercò di essere il più autoritario possibile – Non c’è niente da vedere qui, tornate alle vostre attività. Se assistevano a una eliminazione senza un minimo di allenamenti psicologici avrebbero rischiato grosso anche a livello di equilibrio interno. Non ci teneva proprio a scatenare un altro rigetto.
Qualcuno se ne andò subito, altri aspettarono qualche manciata di secondi per poi dileguarsi.
Puntò la pistola contro la ragazza – Si sposti e prenda l’arma fornitagli, Agente –.
Avrebbe giurato di vedere una punta d’odio, nel rosso delle iridi – Che diavolo stai facendo?!  Può ancora guarire. – ringhiò il ragazzo. – Guarda nello scompartimento sotto la custodia delle armi, pezzo di idiota –.
Senza staccare il mirino dai due si chinò per aprire il piccolo cassettino. C’era un contenitore tubolare pieno di un liquido azzurro pallido, un minuscolo ago spuntava da un’estremità, protetto da un cappuccio in plastica. Lo riconosceva: era un semplice integratore che gli agenti usavano nella caccia all’uomo, per recuperare energie quasi immediatamente, dopo una corsa.
– Lanciamelo –.
Era pazzo, irrimediabilmente pazzo. Probabilmente lui lo era ancora di più. Lo buttò a terra e glielo avvicinò con un calcio, senza smettere di puntare alla ragazza, che nel frattempo aveva smesso di tremare, e guardava il suolo con occhi vacui, accasciata contro Gilbert.
Quello la aiutò a sdraiarsi sull’erba, tenendole la testa sollevata dal suolo e le iniettò una dose minima del siero. – Non avere paura, questo ti aiuterà, cerca solo di non mollare proprio adesso. Con una bellezza come te sarebbe proprio un peccato se te ne dovessi andare – .
Dopo pochi minuti ricominciò a respirare normalmente. Arthur guardò dentro il mirino della pistola: il livello di rigetto si abbassava ulteriormente ogni secondo che passava. La lucina passò da rossa a gialla, e rimase stabile. La pistola si settò su “non letale” e lì rimase. Gilbert prese la propria arma e sparò una scarica minima contro la giovane donna, facendole perdere i sensi. Si alzò e lo squadrò con un sorriso sarcastico – Che io sapessi  il vostro lavoro era proteggere la gente, non ucciderla –.
Non sentì nemmeno la domanda tanto era incredulo – Come hai fatto, quello era soltanto un energizzante –.
L’albino sorrise, mentre chiamava un’ambulanza dall’ospedale più vicino – Il rigetto è puramente psicologico: se fai credere a una persona che le stai dando una cura, allora si fermerà, ovviamente deve essere appena iniziato, altrimenti non funziona –.
Rimasero lì, ad aspettare i rinforzi;  la ragazza fu caricata sopra una barella e portata con tutte le attenzioni dentro il veicolo d’emergenza.
Mentre la librauto sfrecciava verso la centrale, insieme agli altri agenti, per fare rapporto, Artur non poteva fare a meno di osservare il veicolo blindato poco dietro di loro, dove erano chiusi gli Agenti. Non aveva mai sentito parlare di qualcuno in grado di fermare un rigetto in piena esecuzione. Fece una veloce ricerca sull’albino, figurava solo il suo nome, mentre per il cognome si poteva leggere solo la lettera iniziale B. Per il resto delle informazioni occorreva un permesso speciale, che lui non aveva.
Ma chi è veramente questo ragazzo?
 
 
ANGOLO AUTRICE
Salveeeeeeee. Dopo una pausa lunga due settimane eccomi qui! Il terzo capitolo; che ne pensate?  =)  Nel prossimo capitolo ci saranno due nuovi personaggi che personalmente amo! Manca poco e inizierà la storia vera e propria.
Grazie per aver letto il capitolo, a presto.
Alpha_omega
  
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