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Autore: Beatrix Bonnie    03/12/2014    3 recensioni
Lupus gli gettò un'occhiata di sottecchi. Un mago che non trovava pericoloso un Basilisco o aveva difficoltà ad individuare le minacce, oppure aveva un senso sadico del divertimento. In entrambi i casi, Lupus non voleva certo beccarsi una punizione dal suddetto mago senza prima essersi assicurato del fatto che non l'avrebbe dato in pasto al demoniaco serpente. «E voi non gli ordinereste mai di attaccare uno studente, giusto?» chiese per precauzione.
Cosa c'entra un marmocchio cencioso con la Camera dei Segreti del grandioso Salazar Serpeverde? E perché il mago decide di nascondere nella scuola un pericoloso Basilisco?
La risposta a queste domande sta celata dentro il giovane Lupus, ladro provetto, astuto e ambizioso, con un passato misterioso e una dote straordinaria: sa parlare latino.
La storia si è classificata prima al contest "Noi amanti degli O.C. - Lunga vita al Personaggio Originale".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Godric, Nuovo, personaggio, Salazar, Serpeverde, Serpeverde
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Capitolo I





Locanda “Al folletto taccagno”,
pressi di Londra.
Anno Domini 980


Il vino speziato aveva un gusto acido, quella sera, ma forse era il suo pessimo umore a condizionare il sapore della bevanda. Aveva di nuovo litigato con Godric. Era un bestione impulsivo, quel mago. Non ci si poteva fare un ragionamento sensato, con calma, una discussione che non culminasse con urla e insulti. A volte pensava che sarebbe stato più semplice far imparare passi di danza a una chimera che non far ragionare quel caprone.
«Posso disturbarla, signore?»
Una voce infantile lo riscosse dai suoi pensieri. Volse il capo e si ritrovò di fronte un marmocchio cencioso, con il volto annerito dal fumo, i capelli incrostati di sporco e una mantellina logora.
«Non ho tempo, ragazzino» lo scacciò con disinteresse.
Il marmocchio non demordette. «Arguisco che vi piacciono i serpenti.» Il suo vocabolario era stranamente ricco per un ragazzino di strada, anche se l'accento aveva un qualcosa di strano.
L'uomo fu costretto a soppesare il suo interlocutore con una seconda occhiata più profonda. Forse non era poi così malaccio: sotto tutto quello stato di sporco, gli occhi scuri erano vispi e brillanti. «Come fai a dirlo?» gli chiese, mascherando il suo interesse.
Il ragazzino sorrise. Gli mancavano un paio di denti nell'arcata superiore e questo difetto rendeva il suo sorriso insieme infantile e stranamente furbo. «La S del vostro medaglione ha la testa di un serpente» spiegò.
L'uomo si prese tra le dita il medaglione e lo osservò, come se lo ammirasse per la prima volta. Conosceva a memoria la sua fattura, ma non si aspettava che qualcuno notasse un dettaglio così minuto come la testa di serpente. «Sei un ragazzino sveglio» commentò con un sorrisetto ammirato.
Quello accettò il complimento con un breve inchino. «Sono un ragazzino sveglio che fiuta gli affari, signore.»
Il sorriso scomparve dal volto del mago, veloce così come era apparso. «Non sono in vena di affari» tagliò corto.
Il ragazzino non demordette. «Ma io ho della merce molto preziosa che scommetto potrebbe interessarvi» sussurrò con sguardo speranzoso. Ma visto che l'altro non sembrava cedere alle moine, cambiò tattica. «Avanti, quest'affare potrebbe portarmi sulla via della grandezza e non voglio credere che voi tarpereste le ali ad un giovanotto ambizioso.»
La ricca scelta del vocabolario risvegliò l'interesse dell'uomo. Squadrò il marmocchio a fondo, come se volesse leggere i più intimi segreti della sua anima; infine domandò: «Quanti anni hai?»
Il bambino si strinse nelle spalle. «Dodici, o forse tredici, chi lo sa... non è che abbia proprio tenuto il conto» rispose tranquillo.
«Sei un mago, vero?» chiese ancora l'uomo, scrutandolo con i suoi penetranti occhi grigi. A quanto pareva, la questione era di vitale importanza.
«Non saprei, signore» rispose sinceramente il ragazzino. Ma, cercando di non farsi sfuggire l'occasione per un buon affare, precisò: «Però una volta ero inseguito da un lupo e mi sono ritrovato all'improvviso al sicuro sulla cima di un salice... – fece una pausa. – Come per magia.»
L'uomo, abbastanza soddisfatto della risposta, annuì. «Dovresti venire alla mia scuola.»
Un secondo sorriso sdentato. «Ci verrò, signore, se voi darete un'occhiata alla mia merce.» Il ragazzino estrasse da sotto la mantella lercia uno scrigno di legno che era troppo raffinato per appartenere a quel ladruncolo. Controllando con lo sguardo che nessuno li stesse osservando, aprì delicatamente il coperchio e mostrò il suo contenuto all'uomo: sul fondo di legno stava acciambellato un serpente lungo meno di una spanna, di un verde brillante e con una piuma scarlatta sulla testa.
Il mago sgranò gli occhi, allarmato. «Sei matto, ragazzino? Dove l'hai preso?»
«Se state insinuando che l'abbia rubato...» cominciò a dire quello, ma fu costretto ad interrompersi perché l'uomo si alzò in fretta dal tavolo, richiuse lo scrigno con un colpo secco e se lo mise sottobraccio, poi afferrò il ragazzino per la spalla e lo condusse fuori dalla locanda.
Solo quando furono sufficientemente lontani da qualsiasi orecchio indiscreto, l'uomo decise di fermarsi. Indurì la mascella e squadrò il ladruncolo con tutta la durezza di cui era capace. «Tu sai che bestia è quella?» gli domandò.
Il ragazzino sembrava più scocciato che impaurito. «Certo che lo so, signore» rispose con sfacciataggine. «Io tratto solo con merce pregiata.»
L'uomo si trattenne dal tirargli uno schiaffo. «Il Basilisco è un animale pericoloso, molto pericoloso.» Teneva ancora lo scrigno sottobraccio, deciso a non lasciare che il ladruncolo si riappropriasse del suo contenuto, magari per venderlo ad un altro mago che non avrebbe saputo come trattarlo. «Dobbiamo portarlo in un luogo sicuro, perché potrebbe uccidere qualcuno» mormorò, più che altro a se stesso. «O peggio... qualcuno potrebbe uccidere lui.»
«Dove vuole portarlo, signore?» indagò il ragazzino, titubante.
Il mago abbassò lo sguardo su di lui. «Non c'è luogo più sicuro di Hogwarts.» E con quelle parole lo afferrò per un braccio, lo strattonò a sé e, roteando su se stesso, si Smaterializzò.

Il ragazzino, quella sera, si era spinto fino alla locanda “Al folletto taccagno” convinto che avrebbe fatto un buon affare con il suo Basilisco appena nato. L'aveva fregato ad un mago che abitava nella brughiera, un tizio stano che faceva esperimenti con gli animali. Sperava di concludere qualcosa di buono. Certo non si immaginava che lo stregone con la barba lunga l'avrebbe trascinato con sé in una Materializzazione.
Il ragazzino era abbastanza certo di chiamarsi Ludovico, o almeno così lo chiamava la donna che aveva detto di essere sua madre. Era morta anni fa e lui non si ricordava nemmeno più che volto avesse. Da allora aveva assunto il nomignolo di Lupus e aveva preso a girovagare per tutta l'Inghilterra. Non che con sua madre avesse avuto una vita stanziale, anzi. Avevano viaggiato per tutta l'Europa, ma lui non si ricordava un gran che. I boschi sono uguali dappertutto. Le coste nebbiose dell'Inghilterra era l'ultimo posto dove era approdato insieme alla madre, prima che lei morisse e lui fosse costretto a cavarsela da solo. Era sopravvissuto per qualche anno grazie alla sua nobile professione di ladruncolo, poi aveva avuto una botta di culo: un falegname di Londra aveva avuto pietà di lui e l'aveva preso con sé come apprendista. In quell'ultimo anno aveva imparato a lavorare con il legno, aveva mangiato un pasto caldo tutte le sere e aveva avuto un posto sicuro dove dormire.
Ma non era il suo mondo. Se la svignava ogni volta che gli si presentava un'occasione e andava alla ricerca di locande frequentate da maghi, dove poter vendere la merce che rubava.
Non sapeva dire se sua madre fosse stata una strega. Non se lo ricordava. Sapeva solo che quell'esistenza da girovaga non era stata la sua vita ed era morta a poco a poco, consumata. Da sua madre aveva imparato solo due cose e nessuna delle due aveva a che fare con la magia: aveva imparato a leggere e a scrivere e a parlare la sua lingua madre.
Però Lupus era certo che la sua vita avesse a che fare con la magia. Gliel'aveva detto anche quella vecchia strega che viveva nella capanna in mezzo al bosco. Lui doveva essere un mago. Ma senza nessuno che gli insegnasse a far magie, non sapeva che farsene di quell'informazione.
Non poteva certo immaginare di aver appena tentato di vendere un Basilisco niente po' po' di meno che a Salazar Serpeverde, uno dei fondatori della scuola di magia più prestigiosa del mondo.

La Materializzazione fu l'esperienza più terribile che il giovane Lupus avesse mai provato. Si sentì comprimere ogni parte del corpo, inclusi gli organi interni, tanto che fu certo che gli occhi gli sarebbero schizzati fuori dalle orbite. Quando sentì sotto i suoi piedi della terra solida, lasciò che le sue ginocchia cedessero e si ritrovò a vomitare quel poco di minestra con cui aveva cenato.
«La Materializzazione fa quest'effetto a molti» commentò Salazar, sbrigativo. «Forza, in piedi.» Lo afferrò per il cappuccio della mantellina e lo fece alzare. «Muoviamoci.»
Lupus, ancora intontito per la Materializzazione, si lasciò trascinare dal mago verso una carrozza senza cavallo, che li attendeva al di là di un cancello. L'uomo fece un rapido gesto con la sua bacchetta e il cancello si aprì. «Non andremo molto lontani, con quella» si sentì in dovere di ironizzare Lupus, nonostante fosse ancora scosso.
Salazar gli lanciò un'occhiataccia, ma non disse nulla. Semplicemente, lanciò una specie di richiamo con un fischio e subito arrivò al trotto una bestia orribile. Pareva un cavallo, ma aveva qualcosa del rettile, nel suo essere scheletrico, con una testa mostruosa e occhi bianchi come quelli di un cadavere.
«Cosa diavolo è?» domandò Lupus, improvvisamente vigile.
Salazar si voltò verso di lui, sorpreso. «Chi hai visto morire?» Lupus si strinse nelle spalle. «Un sacco di gente. Mia madre, poi quel vecchio giù al mulino, i due cacciatori sbranati dai lupi...»
«Va bene, non importa» lo interruppe il mago, prima che snocciolasse tutto l'elenco. «Questo è un Thestral. Una bestia molto intelligente e molto difficile da addomesticare. Sono riuscito a creare un piccolo branco, qui nella foresta di Hogwarts» spiegò salendo sulla carrozza.
«Dovete aver proprio la passione per le bestie demoniache, signore» commentò Lupus, sfoderando un sorrisetto furbo.
Salazar lo afferrò per un braccio e lo tirò sulla carrozza, facendolo sedere di fronte a lui. «Ora, zitto.»
E Lupus non se la sentì di disobbedire.
Il viaggio, per fortuna, non fu tanto lungo. Lupus si guardava in giro alla ricerca di qualche indizio che potesse tornargli utile, ma il buio della sera avvolgeva la foresta completamente. L'unica cosa che poteva cogliere chiuso dentro la carrozza era il fatto che la strada doveva essere in salita. Quando finalmente si fermarono, il mago scese a terra e lo afferrò per il braccio, trascinandolo al suo fianco.
«Voi vivete qui?» Lupus non era un ragazzino che si lasciava stupire facilmente, ma la vista di quel castello appollaiato sulla montagna, scuro contro il cielo e con qualche finestra illuminata, era qualcosa di davvero straordinario.
Salazar sorrise compiaciuto. «Questa è la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.»
«Scuola?» gli fece eco Lupus. «E potrei venirci anche io?» Già si immaginava quante cose avrebbe potuto imparare, quanti libri da leggere (erano secoli che non leggeva più un libro); magari avrebbe ricevuto anche lui una bacchetta con cui fare magie.
Salazar spostò gli occhi sul ragazzino e parve soppesarlo per un po'. «Forse sì» concesse alla fine. «Magari anche nella mia casa.»
Lupus gli rivolse uno dei suoi sorrisetti sdentati da furbacchione. «Grazie della sua magnanimità, signore.»
Salazar stava per rimbeccarlo di tenere a freno la lingua, dal momento che presto sarebbe diventato il suo insegnante, quando il Basilisco nella scatola si agitò, riportando la sua attenzione al problema principale. «Ora occupiamoci di questo.»
Il mago condusse Lupus attraverso un ampio ingresso, poi lungo un dedalo infinito di corridoi, scalinate e scale a chiocciola. Il ragazzino si guardava in giro silenzioso, immagazzinando nella memoria ogni singolo particolare. Dopo l'ennesima svolta, si fermarono di fronte ad una porta dall'aria anonima, che si trovava in un corridoio deserto al terzo piano.
«Cosa c'è qui?» si azzardò a sussurrare Lupus, eccitato dall'idea di scoprire qualcosa di straordinario e magico. Ma rimase molto deluso quando si ritrovarono in una banalissima stanzetta rettangolare in cui erano stipate varie cianfrusaglie, da vecchie cassapanche ad una gabbia per animali dall'aria malconcia. «Volete nascondere il Basilisco qui, signore?» domandò perplesso il ragazzino.
Salazar gli riservò uno sguardo carico di pietà. Dopodiché agitò la sua bacchetta in aria, per far spostare una grossa cassa di legno.
Lupus non sapeva bene a cosa fosse servita quell'operazione, finché i suoi occhi acuti non individuarono un indizio. «Lì, signore!» esclamò eccitato, indicando un piccolo serpente inciso su una delle assi che prima si trovava sotto la cassa. «Il serpente è il vostro simbolo!»
«Molto bene, ragazzino» si complimentò il mago. Dopodiché pronunciò uno strano sibilo: a quel suono si delineò sul pavimento una botola sufficientemente grossa da potervisi calare dentro.
«Avete parlato in un'altra lingua, signore!» trillò il ragazzino estasiato dalla magia e con gli occhi che brillavano per l'eccitazione.
«Era Serpentese.» Salazar ebbe come l'impressione che prendersi dietro il marmocchio fosse stato uno sbaglio, ma ormai era tardi. In fin dei conti, lui aveva sempre apprezzato la sete di conoscenza dei suoi studenti, per quanto in quel particolare frangente risultasse un po' scocciante. «Forza, ora calati dentro.»
Lupus aprì la botola per ispezionare quanto fosse profonda e non appena notò il buio tunnel di cui non si intravedeva nemmeno il fondo, scoccò al mago un'occhiata di sbieco. «Non è pericoloso, vero?» indagò guardingo. Se l'era sempre cavata anche da solo, fino a quel momento, perché aveva imparato che la prudenza paga più del cieco coraggio.
Salazar sospirò. Sì, quel ragazzino sarebbe stato benissimo tra i suoi studenti. Poi, senza troppi complimenti, gli diede uno spintone e lo buttò giù nel tubo. Il suo grido si perse nell'eco del tunnel.
Lupus cacciò un urlo con i fiocchi quando si ritrovò a scivolare lungo quella pista viscida e senza fondo. Aveva visto di tutto nella sua giovane vita, ma vedere le cose era ben diverso dallo sperimentarle. E quel tubo buio era una delle pazzie più spaventose che avesse mai fatto. Sprofondò e sprofondò, tra curve e giravolte che gli fecero venire il voltastomaco, finché il tunnel tornò in piano, permettendogli di rallentare la corsa. Rotolò in terra malamente, su un pavimento freddo e umido.
Salazar lo raggiunse poco dopo, atterrando con la grazia di chi ha già sperimentato quella discesa più di una volta.
«Potevate ammazzarmi» si lagnò Lupus, alzandosi da terra con il broncio.
«Suvvia, non è mai morto nessuno» rispose Salazar, rivolgendogli un sorriso.
Lupus gli piantò gli occhi addosso. «Quanta gente c'è venuta?»
Il mago rispose con un'alzata di spalle piuttosto ilare. «Solo io, in effetti.»
Lupus borbottò per un bel pezzo, mentre seguiva l'uomo lungo un tunnel illuminato solo dalla luce che era apparsa sulla cima della sua bacchetta. «Si può sapere dove stiamo andando?» domandò alla fine.
Salazar sospirò. «Nella mia Camera dei Segreti.»
«Che cos'è una Camera dei Segreti?» indagò Lupus, a metà tra il sospettoso e l'interessato. Dopo aver superato lo spavento della discesa, la sua naturale curiosità ricominciava a far capolino.
«È un luogo segreto dove posso entrare solo io» rispose Salazar. Non sapeva dire se preferiva che il ragazzino se ne stesse imbronciato a brontolare oppure che lo tartassasse con le sue domande petulanti. «Anche Tosca ne ha costruita una all'interno del castello» aggiunse poi, sovrappensiero. «Ma lei è talmente buona che ha fatto sì che possa entrarvi chiunque ne abbia necessità. E la stanza, sai, cambia in base a quel che ti serve.»
Lupus sfoderò di nuovo il suo sorrisetto furbo. «Se io avessi una Camera dei Segreti, farei in modo di poterci entrare solo io.»
Salazar annuì soddisfatto. «Vedo che siamo d'accordo.»
Lupus si picchiò un dito sulla tempia. «Le menti geniali vanno sempre d'accordo» rispose con una bella dose di sfacciataggine.
Salazar stava per tirargli un sonoro scappellotto sulla nuca, quando qualcosa lo trattenne. «Hai un vocabolario molto ricco, per essere un ragazzino di strada» commentò, chiedendosi quali qualità nascondesse quel marmocchio.
Lupus parve sinceramente orgoglioso per quella considerazione. «Io ascolto sempre tutto, signore. Mi guardo in giro e imparo» spiegò soddisfatto.
Salazar annuì. Tuttavia, oltre alla naturale predisposizione ad apprendere, che poteva essere una dote innata, quel ragazzino doveva aver ricevuto una qualche istruzione. «Sai leggere?»
«E anche scrivere» confermò Lupus, gonfiando il petto. «E anche io parlo un'altra lingua.»
«Ah sì? E quale?» indagò Salazar, sorpreso.
Lupus assunse un'espressione seria. «Quella di mia madre.»
Il mago gli scoccò un'occhiata di sufficienza. «E come si chiama la lingua di tua madre?»
Lupus alzò lo sguardo su di lui e lo fissò pensieroso. Non ne aveva la più pallida idea. Però era certo che in nessun altro posto dell'Europa dove era stato con sua madre si parlasse quella stessa lingua.
Nel frattempo, erano giunti alla fine del tunnel e si ritrovarono davanti ad una parete su cui erano scolpiti due serpenti attorcigliati che avevano due smeraldi al posto degli occhi. Salazar ripeté lo stesso sibilo con cui aveva fatto girare il rubinetto e i due serpenti si sciolsero da loro groviglio, permettendo alla parete di aprirsi su un ampio salone. Lupus sgusciò dentro, estasiato. Le due file di enormi colonne che si innalzavano verso il soffitto buio la facevano assomigliare ad una sinistra cattedrale, illuminata debolmente da una strana luce verdastra. In fondo alla sala troneggiava una statua gigantesca che rappresentava il mago dalla barba lunga. Tra i piedi, una scrivania con una sedia, una cassapanca che pareva stracolma di libri e uno scaffale con ogni sorta di vaso e boccetta adagiati sopra. In un angolo, un calderone ribolliva placido sopra un fuoco magico di colore blu. «Romulum cornutum cum omnibus suis bovibus!» si lasciò sfuggire Lupus. «Questa sì che è una Camera dei Segreti!»
«Che cosa hai detto?» Salazar si avvicinò al ragazzino, incredulo.
«Cioè, signore...» balbettò Lupus, rendendosi conto di essere stato un po' indelicato. «È una gran bella Camera dei Segreti, signore.»
«No, no. Cosa hai detto prima di quello?»
Sembrava una cosa di vitale importanza. Lupus si strinse nelle spalle. «È una vecchia imprecazione che usava mia madre» rispose semplicemente, senza capire bene a cosa servisse.
«Ed è nella lingua che parlavi con tua madre?» si informò ancora il mago.
Lupus si limitò ad un cenno d'assenso del capo. Proprio non capiva cosa ci fosse di straordinario nell'imprecazione su Romolo cornuto e le sue vacche.
Salazar sbatté le palpebre un paio di volte, riflettendo velocemente. Era quasi certo che l'élite della società magica dell'Italia centrale avesse mantenuto come lingua viva quella degli Antichi Romani, in segno di distinzione dai Barbari Babbani, ma dubitava fortemente che quel ragazzino cencioso potesse provenire da un'altolocata famiglia italiana. Eppure...
«Come si chiama, signore?» domandò rispettosamente Lupus.
«Cosa?» Salazar fu strappato dalle sue riflessioni.
«La lingua che parlava mia madre. Come si chiama?» Il ragazzino sembrava sinceramente interessato.
Salazar si lasciò sfuggire un sospiro. «È latino, ragazzo. La lingua degli Antichi Romani.»
Lupus non sapeva chi fossero costoro, ma si chiese cosa avessero a che fare con lui e con il suo passato. Lui apparteneva a quel popolo? Era da lì che veniva sua madre? Non l'avrebbe mai saputo, temeva. Inoltre, il mago dalla barba lunga era troppo indaffarato con il Basilisco per prestare attenzione alle sue petulanti domande sulle sue origini. L'uomo infatti aveva creato con la magia una teca per il serpente e ce l'aveva fatto scivolare dentro. Dopodiché aveva cominciato a parlare in quella strana lingua fatta di sibili.
«Il serpente vi capisce, signore?» si informò Lupus, troppo interessato a quella questione per riuscire a trattenere la lingua.
«Certo» rispose Salazar.
«E cosa gli state dicendo?»
Salazar era convinto che un giorno la sua infinita pazienza sarebbe stata premiata. Un giorno. Alzò gli occhi al cielo, ma alla fine rispose: «Gli sto imponendo un sigillo con la magia: d'ora in poi risponderà solo ai miei ordini, o a quelli dei miei eredi.»
«E a cosa servirà?» chiese ancora Lupus, accucciandosi al fianco della teca e sbirciando il Basilisco.
«A tenerlo al sicuro» mormorò il mago.
Lupus meditò che tenere un mostro chiuso in una scuola poteva essere sicuro per il mostro in questione ma non proprio per gli studenti. «Non c'è pericolo che attacchi qualcuno?» si informò. Voleva sapere bene che rischi avrebbe corso, prima di accettare di studiare a Hogwarts.
Salazar sembrava divertito dalla cosa. «Perché dovrebbe? Gli ho intimato di restare qui nascosto, e poi risponde solo ai miei ordini.»
Lupus gli gettò un'occhiata di sottecchi. Un mago che non trovava pericoloso un Basilisco o aveva difficoltà ad individuare le minacce, oppure aveva un senso sadico del divertimento. In entrambi i casi, Lupus non voleva certo beccarsi una punizione dal suddetto mago senza prima essersi assicurato del fatto che non l'avrebbe dato in pasto al demoniaco serpente. «E voi non gli ordinereste mai di attaccare uno studente, giusto?» chiese per precauzione.
Salazar ripensò a quello zoticone di Ethelbert, uno degli studenti Nati Babbani di Godric, alla rozzezza delle sue magie e ai grugniti con cui di media rispondeva alle domande. Non sarebbe stato male potergli scatenare contro un Basilisco. Giusto per misurare quanto l'audacia e il coraggio tanto amati da Godric valessero contro astuzia, nobiltà e intelligenza.
Sospirò. «No, non gli ordinerei mai di attaccare uno studente» rispose infine. «Per quanto qualcuno se lo meriti eccome» si sentì in dovere di precisare, giusto per mettere in chiaro che certi studenti parevano disonorare il nome stesso di mago con la loro ignoranza.
Dopotutto, lui era Salazar Serpeverde e pretendeva sempre il meglio per sé e per la sua casa.










Carissimi,
ecco qui il primo capitolo di una nuova mini-long, che ho scritto per il contest Noi amanti degli O.C. – Lunga vita al Personaggio Originale!, indetto da Emilia zep. Mi sono iscritta perché, tra i pacchetti, ce n'era uno che prevedeva un ragazzino di dodici anni che parla latino... be', insomma, conoscete tutti il mio amore per il latino e non ho potuto resistere!
Quanto al caro Salazar, il mio orgoglio Serpeverde è stato ripetutamente ferito in questo periodo, quindi ho voluto dedicare a lui questa storia, per rivalutarlo un po'. Infatti, nella mia storia, il personaggio di Salazar risulterà meno “malvagio” di quello che appare nei libri della Rowling (che sono scritti in ottica Grifondoro, non dimentichiamolo!). Certamente il suo razzismo verso i Babbani e i figli di Babbani non può essere modificato, ma ho cercato di giustificarlo con l'arretratezza della società del X secolo: la storia è ambientata poco dopo la fondazione di Hogwarts che, a quanto dice il professor Rüf, avviene proprio nel X secolo. Immagino che, in quel periodo, la comunità magica fosse mediamente più colta ed evoluta di quella Babbana. Credo che sia giustificabile che Salazar non voglia come studenti ragazzini di 10-11 anni completamente analfabeti, le cui famiglie Babbane temono la magia. Per questo cerca studenti “di antico lignaggio”, come dice il Cappello Parlante, nel senso di figli di maghi (e dunque istruiti) o almeno figli di nobili Babbani, che hanno ricevuto una alfabetizzazione di base. Diciamo che, nel corso dei secoli, le sue posizioni sono state un po' estremizzate e... ecco, travisate. Ma non credo che Salazar fosse un mago oscuro; insomma, aveva creato una scuola in armonia con gli altri fondatori. Anche se poi sono seguite delle divergenze, non penso che fosse una persona malvagia, o non si sarebbe preoccupato dell'istruzione delle giovani generazioni.
Invece, per quanto riguarda la Camera dei Segreti, ho seguito quanto si trova su Pottermore, dove la Rowling dice che in origine alla Camera si accedeva tramite una botola, mentre solo dal XVIII secolo l'ingresso viene spostato sotto il lavandino del bagno di Mirtilla; in effetti, mi chiedevo come potessero avere i bagni nel X secolo. ;)

Va be', dopo queste lunghissime note di spiegazione, passiamo a qualcosa di divertente:
QUI l'immagine del capitolo, ovvero quell'adorabile mascalzone di Lupus e il grande Salazar!

Ci vedremo tra circa una settimana con il prossimo capitolo!
A presto,
Beatrix B.

   
 
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