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Autore: Nocturnia    15/12/2014    6 recensioni
Cosa credi che sarà in grado di fare quando crescerà?"
Albert incespica di qualche centimetro, protendendo le mani in avanti e recuperando poi subito l'equilibrio perso.
Vincent si scrolla nelle spalle, buttando la sigaretta a terra.
"Conquistare il mondo?"

[Terza classificata al contest "Not so bad, not so mad" indetto da onlyfanfiction, ma giudicato da Cendrillon89 sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Nuovo Personaggio, William Birkin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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Disclaimer: Albert Wesker, Chris Redfield, Jill Valentine e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. I personaggi di Elaine, Isaac, Cora Korn, Vincent Simmons e Aelita Muller sono invece un'idea dell'autrice stessa. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


"Di tutte le passioni e di tutti i nostri appetiti, l'amore del potere è quello di natura più imperiosa ed egoistica, poiché l'orgoglio di un solo uomo esige la sottomissione della moltitudine.

- Edward Gibbon -



Embryo



#6 marzo 1961

Elaine ride con suo marito da dietro una cornice spezzata, i frammenti di vetro che rimandano l'immagine di una notte quieta e insolitamente calda.
Le dita le sono rimaste rattrappite attorno alla culla e il sangue gocciola sul nuovo orsacchiotto che Isaac gli aveva appena comprato.
Osserva i suoi aggressori e soffoca un conato, stirando le labbra in un ringhio trattenuto.
"Figli di puttana."
Non cede Elaine, perché è la genetica a urlarglielo, una mente geniale per la quale valeva la pena uccidere e massacrare.
"Io vi conosco."
Uno degli uomini che l'ha colpita si ferma, un fagotto azzurro e bianco tra le braccia fasciate di nero.
"Nulla di personale." articola, la voce smorzata dalla maschera che indossa "Sto eseguendo solo degli ordini."
Elaine chiude gli occhi, chinando il capo.
"Fottiti."
Il mondo si riduce a un buco nero e a una canna lucida, il corpo di Isaac a pochi metri dai suoi piedi e quello stupido carillon che non smette di suonare.

Mi dispiace. Mi dispiace, Albert.

Il pianto di suo figlio sarà l'ultima cosa che sentirà.

#8 marzo 1961

Cora fissa il fondo della tazza, osservando i residui di caffè rimasti.
Il cielo non si è ancora schiarito del tutto e l'alba comincia a mangiarne i contorni, accartocciandoli come carta bruciata.
"Il bambino piange."
Cora distoglie lo sguardo, posandolo su Vincent.
"E quindi?"
"Non so cosa fare."
Cora scuote la testa, emettendo un suono a metà tra il singhiozzo e la bestemmia.
"Spencer ci ha proprio dato una bella gatta da pelare."
"Hai provato a dargli da mangiare?" gli chiede, facendosi strada verso le scale.
"Sì, ma non vuole."
"L'hai cambiato?"
"È pulito."
"Forse ha solo mal di pancia; le coliche sono frequenti nei bambini così piccoli." replica Cora, sporgendosi oltre il bordo della culla e osservando il viso paonazzo del bambino.
Vincent si muove inquieto, giocando con l'anello che porta all'anulare.
"Quanto mi piacerebbe tornare a spaccare qualche testa."
Cora lo ignora, prendendolo in braccio.
"Non è quello che vuole Spencer."
"Eravamo due operativi; due di quelli bravi." sottolinea Vincent, avvicinando il pollice all'indice.
Cora scrolla le spalle "Si, be', adesso siamo solo due genitori."
"Di un piccolo demonio."
Cora sorride involontariamente quando il bambino le stringe una ciocca di capelli, tirandogliela leggermente e scoppiando poi a ridere.
"Si chiama Albert, Vincent. Albert Wesker. E da adesso in poi sarà nostro figlio."
Il domani ha ora il suo nome.

#20 agosto 1961

Vincent fissa il sole da dietro un paio di lenti scure, la sigaretta che dondola pigramente dall'angolo della bocca e le mani ben sepolte in tasca.
"Tutto qui?" le domanda, inspirando una boccata di fumo "Mi hai chiamato solo perché il piccoletto ha fatto qualche passo?"
"Qualche passo?" ripete Cora, calcando sulle ultime sillabe "Vincent, Albert ha letteralmente camminato."
Vincent le rivolge uno sguardo interrogativo, come a dire e quindi?
"Ha solo otto mesi, eppure dimostra una coordinazione motoria quasi perfetta." Cora è un profilo sfumato nella luce del mezzogiorno, una bellezza completamente assorbita dall'infante che le sta andando incontro.
"Spencer aveva detto che era particolare. Non c'è da stupirsene."
"Cosa credi che sarà in grado di fare quando crescerà?"
Albert incespica di qualche centimetro, protendendo le mani in avanti e recuperando poi subito l'equilibrio perso.
Vincent si scrolla nelle spalle, buttando la sigaretta a terra.
"Conquistare il mondo?"
Cora ride, stendendo le braccia e accogliendovi il bambino - un bacio tra i capelli e una carezza lieve sulla guancia.
La verità ha il potere di un dio e l'arroganza di un uomo.

#22 giugno 1967

Kevin gli aveva tirato un pugno.
Per l'esattezza un montante destro, dritto dritto nel plesso solare.
Dal basso dei suoi sette anni (a novembre, quindi non ancora compiuti) Albert aveva incassato il colpo con stile, assestandogli poi una pedata degna d'un vero lottatore.
Kevin era caduto al suolo, lamentandosi, ma questo non aveva fermato per nulla l'altro bambino, che aveva infierito fino a fargli implorare pietà.
"Supplica." gli aveva sibilato a pochi centimetri dalla faccia "Tanto è quello che faranno tutti."
Kevin gli aveva sputato in faccia, un po' piangendo, un po' urlando.
Albert aveva sorriso e gli aveva rotto un braccio.

#4 aprile 1968

"Come stanno andando le cose con il soggetto numero tredici?"
"Benissimo, signore."
Cora odiava quando Albert veniva chiamato in quel modo, quasi fosse solo una cavia da laboratorio.

Ma lo è, non è forse vero?

"Mi hanno detto che ha eccellenti risultati a scuola."
"Sissignore."
"E che il suo allenamento fisico continua senza problemi."
"Sta dimostrando una sorprendente intraprendenza nelle arti marziali."
Spencer si era voltato, gli occhi sottili da rapace che la scrutavano senza requie.
"Ma è violento."
Cora aveva deglutito, imponendosi di trattenere le mani sulle ginocchia.
"È un po'... esuberante."
Spencer aveva annuito, tornando a fissare il cortile della villa.
"Un'elaborata metafora per dire che il ragazzo non controlla i propri impulsi."
"Non sempre." ammette poi Cora, digrignando i denti "Sembra che qualcosa lo consumi, una fame, un desiderio così stonato su di un bambino così..."
Spencer batte una mano sul tavolo, facendola trasalire.
"Non è pagata per pensare, Agente Korn. Il suo compito è allevare il soggetto secondo le mie direttive, nient'altro. Lei non è sua madre non più di quanto lui sia suo figlio. Sono stato chiaro?"
Cora annuisce, evitandone lo sguardo.

Perché altrimenti vi avrebbe letto qualcosa di troppo vicino all'affetto per essere perdonato.

"Può andare, Agente Korn. Ci vediamo il mese prossimo."
Cora libera un respiro che non sapeva d'aver trattenuto.

#6 novembre 1968

"Buon compleanno, Albert."
Cora gli porge un pacchetto blu e azzurro, sorridendogli.
"Grazie." replica il bambino, gli occhi che non si sollevano neanche dalla pagina che sta leggendo.
Cora sospira e si siede al suo fianco, togliendogli il libro dalle gambe.
"Ogni tanto dovresti smetterla di studiare."
Ha gli occhi di sua madre è il primo pensiero che la coglie, la stessa sfumatura gelida di Elaine, lo stesso taglio predatorio e affilato.
"Domani ho il compito in classe."
"Dieci minuti in più o in meno non faranno la differenza." gli ribatte Cora, allungandogli nuovamente il pacchetto "Avanti, aprilo."
Albert sembra indeciso, quasi irritato, ma poi cede, disfacendo il pacchetto in maniera metodica e un pochino maniacale.
"Un orsacchiotto?" domanda, stupito "Ho otto anni, mamma." e petula quasi, assomigliando a un bambino come tutti gli altri.
"Lo so." dice Cora "Ma pensavo potesse piacerti."
Albert lo osserva con attenzione: è peloso e rotondo, con la pancia bianca e una piccola macchiolina rossa sull'orecchio - difetto di produzione?
"È... carino." ammette, inclinando la testa di lato.
"Sono contenta." è tutto quello che gli replica Cora, tornando in cucina "Trattalo bene, Albert: alcune cose non possono più tornare come prima una volta che le hai rotte."
Albert alza gli occhi al cielo, tornando al suo libro di fisica.
Cora espira debolmente, passandosi una mano tra i capelli: le grida di Elaine ancora la tormentano la notte.

#24 luglio 1970

"Gli hai dislocato una spalla." bercia Cora "Gli hai rotto tre dita, una costola e l'hai reso incosciente per mezza giornata."
Vincent si strofina la mascella, dove un vistoso ematoma fa bella mostra di sé.
"Neanche il ragazzino ci è andato giù leggero."
Cora sbatte il pugno sul tavolo, frantumando il bicchiere.
"Ha dieci anni, Vincent. Dieci. Fottuti. Anni."
"È il nostro lavoro."
"Stronzante. A te Albert non è mai piaciuto."
Vincent scatta per primo e la colpisce in pieno petto, facendole perdere l'equilibrio.
Il sangue di Cora ruggisce e tutto il suo addestramento nei corpi speciali dell'Umbrella torna a galla, permettendole di scartare di lato.
"No." sibila Vincent "Non mi è mai piaciuto quel piccolo bastardo inquietante. Non mi sono arruolato nell'esercito dell'Umbrella per fare da genitore a un moccioso arrogante."
"È il nostro lavoro." lo imita Cora, aggirandolo alle spalle e facendogli perdere il piede d'appoggio.
"Sei tu quella che gioca a fare mammina cara." la redarguisce lui, afferrandole i capelli e scaraventandola attraverso la cucina "Albert è solo un soggetto e nulla più."
"No." latra Cora, e non capisce da dove venga tutto questo livore - tutta questa rabbia - ma lascia che scorra libera, riversandosi nei suoi pugni "È un bambino, Vincent. Un cazzo di bambino a cui abbiamo ucciso i genitori!"

Silenzio.

"Non dovresti urlare." mormora Vincent, massaggiandosi la nuca ferita "I vicini potrebbero sentirci."
"Crepa."
Vincent ride fino a quando non gli fanno male le guance.

#16 dicembre 1971

Ha solo undici anni, eppure Spencer è già ai suoi piedi.
Ha solo undici anni, ma combatte come un uomo - una macchina.
Ha solo undici anni e le gambe rotte di Vincent sono la prova della sua forza, un istinto naturale che lo fa assomigliare a un grosso predatore.
Ha solo undici anni, le braccia un po' troppo lunghe e gli zigomi pronunciati, ma sono gli occhi che più la preoccupano - acciaio e ghiaccio.

Gli occhi di sua madre, il volto di suo padre.

Isaac e il suo sorriso.
Isaac e i suoi capelli biondi, quasi bianchi sotto la luce del sole.
Isaac ed Elaine; vittime - tue e solo tue. Assassina.

Che cosa ho fatto?

"Mamma?"
Cora alza la testa di scatto, incontrando lo sguardo interrogativo di Albert.
"Cosa c'è?" gli domanda, massaggiandosi le palpebre "Mi ero addormentata un attimo."
Albert annuisce e continua a fissarla - dio, sembra un serpente.
"Vado a studiare." annuncia poi, incamminandosi verso le scale "Scendo per cena."

Che cosa ho creato?

La paura le divora il cuore a ogni battito.

#15 gennaio 1972

Cora osserva la siringa entrare nella pelle morbida di Albert, il liquido bluastro che viene inoculato lentamente e con precisione chirurgica.
"Vaccino antinfluenzale." sorride la dottoressa (Vicky Forest, virologa dell'Umbrella Corporation. Due lauree e decine di dottorati. Un QI di almeno centonovanta. Una delle future vittime del disastro di Racoon City.) "Quest'anno c'è una vera e propria epidemia."
Albert non distoglie un attimo lo sguardo dal suo volto, studiandola come fosse un insetto particolarmente strano e interessante.
Stira poi gli angoli delle labbra in un sorriso inquietante, sottilmente crudele.
"Certo, dottoressa. Capisco."

Il virus progenitore è nero come il colore dei suoi sogni.

#7 ottobre 1976

"Il soggetto numero tredici è quasi pronto."
"Bene." replica Spencer, osservando il ragazzo allenarsi in palestra "È  già tutto predisposto per l'estrazione degli Agenti Korn e Simmons?"
"Ovviamente."
"Allora procedete."
L'uomo alle sue spalle annuisce, segnando qualcosa sul taccuino che tiene in mano.
"E il soggetto numero dodici?"
"Abortitelo."
Albert ruota in aria con la grazia di un ballerino.

#12 agosto 1977

Cora ha capito che qualcosa non andava quando Vincent non era tornato dalla missione.
Abbiamo perso le comunicazioni le avevano detto Il team Alpha deve essere stato abbattuto.
Non erano più stati operativi da quella notte, e l'improvvisa convocazione di Vincent le aveva fatto temere il peggio - a ragion veduta.
"Albert." chiama, e la voce un po' le trema "Devo parlarti."
"Per cosa?" le domanda, gli occhi ancora fissi sul libro di medicina che sta leggendo.
Cora affonda le dita nello stipite della porta fino a farsi sbiancare le nocche, il peso di tutti quei diciassette anni che le si riversa addosso come un'ondata gelida e appiccicosa - sangue e colpa.
"Tuo padre è morto."
Albert alza un sopracciglio, fissandola di sottecchi.
"Vincent non era mio padre."
Silenzio.
"Morirò anche io."
"Lo so."
Cora china il capo, i capelli ramati che catturano le ultime luci del tramonto.
"Mi ucciderai tu?"
Albert chiude il libro, alzandosi.
"Sì."
"Mi dispiace, Albert."
"Per cosa?" le domanda, e c'è autentica curiosità nelle sue parole.
"Per averti tolto tutto."
Albert sorride prima di spararle.

#22 settembre 1977

"William Birkin." cinguetta il suo collega, uno sparuto uccellino di due anni più piccolo "Tu sei...?"
"Albert." gli risponde lui, stringendogli la mano "Albert Wesker."
"Sei grosso." mastica William, mettendosi in bocca un altro pezzo di ciambella "Fai palestra?"
"Un po'." ammette Albert, aspettando che il suo caffè sia pronto.
"Colleghi, eh?"
"Rivali, forse." lo riprende Wesker, e il sorriso di William si allarga ulteriormente.
"Naaah. Io dico che saremo colleghi. Forse persino amici."
Wesker alza un sopracciglio, interdetto.
"Solo il migliore sopravvive in questo mondo, Birkin."
"Allora mi dispiace per te, perché se qui c'è un maschio alfa, be', quello sono io." ribatte William, allargando le braccia "Almeno nel campo della ricerca." borbotta poi "Se mi tirassi un pugno, una cosa molto triviale e primitiva, fattelo dire, perderei di sicuro."
A immaginarselo, il futuro, mai amicizia sarebbe stata più blasfema e pericolosa.

#31 ottobre 1979

"Potresti vestirti da vampiro."
Albert sospira, regolando la lente del microscopio.
"Oppure da chirurgo pazzo. I camici li abbiamo."
"No." è l'unica cosa che dice, ignorandolo.
William gli rivolge uno sguardo irritato, continuando a infilare il dito nella ciambella e rubandone la crema.
"Quanto sei noioso."
"Quanto sei petulante."
"Io sono civile, Albert, ci-vi-le."
"Mi stai dando del barbaro?" gli ribatte Wesker, ma c'è una nota divertita sul fondo di quella voce arrogante e monocorde.
William sorride, capelli spettinati e cravatta macchiata.
"L'aspetto ce l'hai: alto, biondo, grosso. Ti manca solo il martello e siamo a posto."
"E a te un paio d'ali per essere un'oca." chiude il discorso Albert, sfilandogli il dolce da sotto le mani "E smetti di mangiare: mi dai fastidio."
Birkin è più veloce e trattiene l'involucro tra le dita sottili, ancora sporche di crema.
"No." sibila, e brillano quelle pupille contratte, deliranti - spasmodicamente alla ricerca di qualcosa "Molla. La. Torta."
Albert tira più forte e Birkin cade in avanti, ancora aggrappato al pacchetto arancione.
"No." ribatte con più convinzione "Assolutamente no. Dovrai passare sul mio cadavere per averla."
Wesker valuta per un attimo la prospettiva - finalmente un po' di silenzio in laboratorio e niente più dolci e dolcetti vari - e quasi quasi...

Però un cervello così sarebbe davvero uno spreco perderlo.

Albert subisce altre due ore di vaneggiamenti e sgranocchiamenti da parte di William.

#7 aprile 1981

L'Umbrella Corporation assomiglia a una gigantesca roccia bianca e rossa.
L'edificio superficiale è nulla in confronto all'alveare nascosto, ma possiede una sua tetra bellezza; finestre affilate come denti e scie rossastre a ricordare dita di sangue e metallo.
Albert si gode un raro momento di tranquillità nel cortile interno quando William gli oscura il panorama, un panino in bocca e tra le mani un libro.
"Cosa c'è?" gli chiede Wesker quando gli è chiaro che no, quel pulcino magrolino e senza ancora un accenno di barba non se ne andrà così facilmente.
"Ti ho preso qualcosa da leggere."
"Non ne ho bisogno."
William lo ignora (lo fa sempre il moccioso, ora una spina nel culo, ora uno scienziato così brillante da farlo crepare d'invidia) e alza un dito al cielo, schiarendosi la voce.
"Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo. Certamente questo animale è molto grave per la grandezza, si come la terra, è anchora sdruccioloso, perilche è simile all’acqua: e muta ogn’ anno insieme con la vecchiezza la pelle. Per la qual cosa il tempo faccendo ogn’ anno mutamento nel mondo, diviene giovane. Ma perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, le quali per divina providenza son generate nel Mondo, dovere ritornare in quel medesimo."
Albert alza un sopracciglio, interdetto.
"La teoria dell'eterno ritorno." lo anticipa Birkin, sorridendogli "Ho pensato fosse... come dire... calzante."
Wesker non dice nulla, osservando affascinato la figura che incornicia il discorso del Vasolli.

Un serpente. Un meraviglioso serpente nero e bianco che divora la sua stessa coda.

"Lo chiamano Uroboro." spiega William, sedendosi al suo fianco "La natura ciclica delle cose. L'evoluzione delle cose."

Occhi che sanguinano e pupilla verticale. Occhi che guardano te - solo te.

"Affascinante." mormora Albert, sfiorando il simbolo con la punta delle dita,  quasi avesse paura di sporcarlo "Molto affascinante."
"Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto!" ribatte William, sorridendo "L'alchimia è sempre stata una mia passione!"
Il vento spira più forte, sollevando un odore sottile, dolciastro, che si adagia sulla sua lingua e l'anestetizza - paura.
William ingoia un altro boccone, soddisfatto.
Albert ascolta il canto di una sirena che puzza già di morte e disperazione.

#16 agosto 1991

Aelita è una guerriera.
Aelita risponde alle sue voglie con una facilità imbarazzante, ma graffia stringe non dimentica.
L'ha scelto perché la solitudine mordeva e il sangue chiamava - urlava.
L'ha scelto perché nei suoi occhi c'era il mondo e una fame che avrebbe riconosciuto tra mille.

Potere.

Non è un uomo che perde il controllo facilmente, e sotto la pelle dimora un mostro dagli occhi rossi e i denti aguzzi.
Forse non è nemmeno un uomo, ma la sua bocca parla la lingua universale del desiderio - della prevaricazione, del dominio.
Fa male e si fanno male, cercandosi tra lenzuola umide di sangue e sudore.
Si scontrano e lottano, lei per sopravvivere e lui per piegarla, un ciclo senza mai fine.
Aelita sente che Albert odia perdere il controllo, eppure lo fa.
Sente che odia lo spasmo dell'orgasmo e le sue dita tra i capelli - odia sentirsi così umano - eppure lo fa.
Aelita sa che lui conosce la sua debolezza; non sa come, non sa quando, ma dal primo momento che l'ha toccata le è sembrato di essere come di vetro, perfettamente trasparente.
Sa che la sua genetica è fragile e che quella di Albert è invece forte, una catena con la quale soggiogare popolazioni intere.
Unghie che le incidono la carne tenera delle spalle, notti all'ombra della morte e sospiri rubati a un uomo che non esisterà più - che il virus mangerà vivo, pezzo per pezzo.
Non gli dirà che domani partirà per l'Edonia.
Non gli dirà che l'amava.
Non gli dirà che lo seguirà fino alla fine, quando dell'Umbrella non resteranno altro che macerie e incubi.
No; non lo farà.

"Mi ricordi la mia gente. Persone dall'animo duro. Uomini spietati."

Aelita chiude gli occhi e sogna un bambino dal cuore indomabile e il profilo affilato del padre.

#2 gennaio 1996

"Quindi è definitivo: te ne vai."

Tum tum. Tum tum.

Il Tyrant li osserva in silenzio, quel suo orrendo cuore che batte allo stesso ritmo del loro.

"Sì. Sono il nuovo capitano della squadra Alpha della S.T.A.R.S."

Tum tum. Tum tum.

"Bene. Un'ottima opportunità per tenere la polizia fuori dai nostri affari."

William fissa il pavimento, evitando il suo sguardo.

"Ovviamente."

Tum tum. Tum tum.

"Peccato: a chi potrò dare fastidio ora?" domanda Birkin, rivolgendogli un sorriso stropicciato e incerto.
Wesker gli regala un'occhiata indifferente, un lago ghiacciato la cui superficie sta per creparsi.
"Contegno, William."

Tum tum. Tum tum.

"Dico solo che mi annoierò qui senza i tuoi continui ammonimenti. I Tyrant non sono esseri molto loquaci."
Albert si trattiene dal piegare le labbra in una smorfia irritata, i sentimenti di William che gli scivolano addosso come una patina viscida e appiccicosa - nauseante.
"Te la caverai benissimo."
"Certo."

Tum tum. Tum Tum.

"Albert... "

A rispondergli solo il monotono ronzio delle macchine collegate al Tyrant.

#23 luglio 1998

"È il nostro virus." ammette William "Quei cani sono infetti."
Wesker è immobile, gli occhiali abbandonati sulla tastiera e le braccia strette al petto.
"Come?" ringhia - e William sussulta.
"Non lo so. Qualcuno deve averlo rilasciato, non c'è altra spiegazione."
Albert si avvicina e Birkin non crede d'averlo mai visto così teso  - un leone messo all'angolo.
"Manderò la mia squadra. Possiamo sempre sfruttare la situazione a nostro vantaggio, ma dobbiamo iniziare il protocollo di distruzione della villa. Nessuno deve venire a sapere del nostro 'complotto'."
William inspira con forza e percepisce l'odore di Wesker, adrenalina e fatica.
"Sono così vicino a completare il virus G..."
"Fai come vuoi, ma non abbiamo tempo."
"Albert..."
"Cosa?" bercia, i muscoli tesi lungo il collo e sulle braccia "Cosa, William?"
Annette. pensa Birkin Sherry. Sono in pericolo.
"Non possiamo fermarci adesso..."
"Fai come vuoi." ripete Wesker, dandogli le spalle "Io non posso più proteggerti."
William ha solo un attimo, un istante nel quale ritorna indietro di vent'anni e ha quindici anni, molti problemi con le ragazze e tutto il futuro davanti.

Spencer. Marcus. Albert. L'Umbrella. Annette. Sherry.

Albert lo fissa e vede anche lui quello sparuto uccellino di quella che sembra una vita fa, uno scricciolo che gli si era attaccato addosso con una protervia quasi ammirevole.

Collega. Rivale. Degno pari. Amico.

"Ho una cosa per te." è il commiato di William "Un virus sperimentale, un prototipo."
Wesker lo osserva sfilare una fiala dal frigorifero, porgendogliela in un gesto delicato, leggero come i pensieri che non hanno mai avuto.
"È nuovo, nessuno dell'Umbrella ne è a conoscenza. Sui topi ha dato il 90% dei risultati positivi. Solo il 10% muore, la restante porzione torna in vita, più forte di prima."
Albert ne osserva il contenuto, un liquido rosso e denso come sangue coagulato.
"Funzionerà." prosegue William, incidendosi il labbro con i denti "Deve funzionare."
Albert storna lo sguardo, posandolo sui suoi occhi, un azzurro spento e vacuo.
"Domani darò inizio al primo test con il Team Bravo." è tutto quello che gli risponde, e William china il capo, sorridendo.
"Resterò qui, Albert. Mi serve un po' più di tempo per perfezionare il G virus; solo un po'."
Wesker annuisce, entrando nell'ascensore.
Ti abbatteranno è quello che gli trasmettono i suoi movimenti Ti abbatteranno come abbiamo fatto noi con Marcus.
William inclina la testa di lato, il suo sorriso che si spegne minuto dopo minuto.
"Ce la farò."
"Non ne dubito."
"Lascerò l'Umbrella subito dopo. Me ne andrò con Annette e Sherry in qualche posto caldo, forse le Maldive."
"Che desiderio banale, William."
Birkin ride, ed è un suono teso, triste e fuori tempo.
"Disse Mister Allegria."
Albert gli concede un cenno del capo, un pallido stirar di labbra e quella che sembra una scintilla divertita in fondo ai suoi occhi d'acciaio.
"Ci vediamo domani, Albert."
"Certamente, William."
Le porte dell'ascensore si chiudono, nascondendo il volto di Wesker da Birkin.
William si prende la testa tra le mani e piange per tutte le scelte che non ha mai potuto compiere.

#25 luglio 1998

Gli umani sono lenti.
Calcolano le possibilità di rischio in base alle loro capacità, fragili come vetro sotto le dita.
Si difendono dietro armi che non valgono nulla, occhi ciechi e sensi anestetizzati.
Wesker respira l'aria gelida della notte, le mani affondate nell'erba bagnata e il volto verso il cielo.
Si dilata il mondo intorno a lui, colori pungenti e odori stordenti.

Un cervo a due chilometri. Una carcassa a qualche metro. Una macchina in difficoltà ad altri quattro chilometri. Un gufo che aspetta la sua preda.

Inspira con forza, le fiamme che divorano la villa dell'Umbrella ora solo esangui lingue morenti.
Il sangue gli si è appiccicato addosso come una seconda pelle, una patina vischiosa e ormai quasi coagulata.
Un lupo lo osserva incuriosito, la coda tra le gambe e un fremito nelle zampe.

Sono vivo.

Sì, è vivo.
Vivo come non lo è stato da anni; vivo come solo la morte può renderti.
Gratta la terra nuda con le unghie e William Birkin è un'eco lontana, un riflesso.
Le vertebre della schiena si contraggono in maniera quasi dolorosa mentre si rialza, la sua umanità qualcosa che gli sfugge, che forse non c'è mai stato.

Un orsacchiotto rovinato e con la pancia bianca.
Cora e Vincent.

Il lupo uggiola, arretrando di qualche passo.

Sherry. Piccola e bionda e che lo chiamava zio.
Annette. La moglie di William. Fragile e inconsapevole.

Wesker inclina il collo - crack.

Aelita. Edoniana. Occhi sinceri e capelli colore dell'inferno.
Aelita, mani esigenti e labbra morbide, umide di desiderio.
Aelita, una debolezza di cuore e di carne.

Il lupo tenta di scappare, ma qualcosa lo inchioda al suolo - il diavolo senza gli occhi gli sta parlando.

Il suo team.
Chris, Jill, Barry.
Rebecca. Marini.
Fedeli cani da guardia, leali.
Lo ammiravano. Lo imitavano.
Quale crudele ironia; quale splendido contrappasso.

Il lupo comincia a correre e Wesker sorride - arriccia le labbra e scopre i denti, un brontolio al centro del petto che diventa ringhio.

La caccia è aperta.

La fame è l'unico sentimento che non smetterà mai di consumarlo.



Note dell'autrice: il discorso pronunciato da Birkin sull'Uroboro (#7 aprile 1981) è tratto dalla traduzione in volgare del Vasolli  del Hieroglyphica di Orapollo.

   
 
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