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Autore: xmaryf    24/12/2014    8 recensioni
Colin e Jennifer. Due anime affini che per forza di cose non potranno mai stare insieme. Lui che la guarda e la scruta da fin troppo vicino.
Lei che non riesce a non perdersi in quegli occhi che la guardano come se fosse la cosa più bella al mondo.
Dal testo: "Si calma, e viene ad abbracciarmi. L’abbraccio più bello dell’universo. Sa di buono.
Lei stessa ha un buon profumo. Lavanda, se ben ricordo.
Ricambio l’abbraccio e la stringo a me.
Questo momento sembra infinito.
Lei si stacca un po’ bruscamente e mi guarda.
I miei occhi fissi nei suoi.
Verde e azzurro che si incrociano e si completano."
Ho sempre immaginato che ci fosse del tenero tra Colin O'Donoghue e Jennifer Morrison. Con questa storia viaggio un po' con la fantasia.
Una storia dove avviene lo sviluppo ed evoluzione dei sentimenti che Colin e Jen provano l'uno per l'altra. Ambientata prima, durante, e dopo il SDCC 2014.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fear.

POV JENNIFER.

Una chiamata da Josh, e il mondo mi crolla praticamente addosso.

“Ha avuto un incidente, non so come sia potuto succedere.” dice con la voce tremolante.
No.
Non è possibile, non adesso.
Sono senza parole, e non riesco a respirare.
“E’ al Vancouver General Ospital, io sto andando. Dì a Ginny che ovviamente Ollie è con me.”
Non riesco a dire nulla.
Sbatto il cellulare sul tavolo.
Ginny mi osserva “J sei sicura di star bene?” mi chiede visibilmente preoccupata.
“Ha… - ha avuto un incidente.”
Lana si alza irruentemente dalla sedia e s’inginocchia di fronte a me.
“Chi? Chi avuto un incidente? Jennifer parlami. Josh? E’ Josh?”
“No” riesco solo a dire.
Mi alzo dalla sedia, le ginocchia stanno per cedermi.
Sto male, ho voglia di piangere, urlare, prendere qualcosa, qualsiasi cosa e spaccarla. Ma non posso, devo essere forte e devo stare con lui.
Mi avvio verso la mia stanza, mi vesto con le prime cose che trovo. E prendo una sua maglia che ha lasciato il giorno del nostro appuntamento. Ha il suo profumo.
Torno in cucina e trovo Lana, Ginny e Emilie che mi guardano senza capire cosa io stia facendo.
“Devo andare al VC General Hospital” dico, con una voce apatica. Senza far trasparire alcuna emozione, perché so che se lo facessi piangerei, solo questo.
“Jen, cosa è successo?” mi rimprovera Emilie alzando un po’ il tono di voce.
“Non ce la faccio a parlare, adesso. Portatemi lì e basta.”

Durante il tragitto, in macchina c’è un silenzio assordante. L’attesa mi sta uccidendo. Tengo stretta a me la sua maglietta, solo per sentirne l’odore. Il suo. Devo sapere come sta, devo vederlo.
“Colin” dico, senza aggiungere altro, mentre stiamo per arrivare all’ospedale.
“Cosa Jen?” mi chiede Emilie.
“E’ Colin, ad aver avuto l’incidente” rispondo.
Nessuno dice nulla.
Lana mi poggia una mano sulla spalla, per confortarmi.
Emilie guidando non può fare nulla, ma so che mi è vicino con il cuore.
Ginny mi prende la mano, e me la stringe. Quasi per farmi forza.

Arrivata mi fiondo subito alla reception per sapere qualcosa, qualsiasi cosa, mentre le ragazze mi aspettano più in lontananza.
“Salve, uhm, sono Jennifer Morrison, avete ricoverato il mio….avete ricoverato un uomo sulla trentina per un incidente stradale. O’Donoghue. Vorrei sapere se sta bene.” dico velocemente, quasi mangiandomi le parole.
Ho l’ansia. Tanta ansia.
“Lei è la fidanzata?” mi chiede l’infermiera.
Diavolo no, non lo sono. Ma ho bisogno di vederlo. Perché diamine esige questa regola secondo cui possano entrare solo i familiari?
“No…ma, la sua famiglia abita in Irlanda. E l’unica famiglia che ha qui sono i-siamo noi.”
“Capisco. Si accomodi nella sala d’attesa, appena sapremo qualcosa la chiamerò.”
“Sì, ma…voglio sapere se sta bene. Sta bene vero? Si riprenderà?” chiedo con voce tremolante. Ricaccio dentro le lacrime che so che tra poco cominceranno a scendere a fiumi.
“Non lo so, signorina.”
Afflitta, mi entro nella sala d’aspetto intenta a sedermi, e trovo Josh con in braccio il piccolo Ollie. Per un attimo ci guardiamo senza dire nulla, poi trovo il coraggio di parlare.
“Sai nulla? Ti hanno detto qualcosa?”
Ginny intanto entra di corsa ad abbracciare Josh, visibilmente preoccupato.
“Non so molto. Un attimo prima stavamo parlando al cellulare e un attimo dopo ho saputo dell’incidente. Mi hanno solo detto che ha battuto la testa, e si è fatto male alla gamba.”
“La solita, vero?” chiedo accennando un sorriso.
“La solita. Sarà la seconda volta” mi risponde Josh accennando quasi un sorrido.
“La terza” puntualizzo.

Non voglio che mi scappino le lacrime che ormai trattengo da più di un’ora.
Mi siedo in una delle piccole e scomode sedie della sala d’aspetto e le mie amiche si siedono accanto a me per darmi un minimo di conforto, senza dire nulla. Conforto che non avrò mai se non saprò che diavolo gli è successo.

Dopo un’ora e mezza, un medico sulla cinquantina – che non mi è sembrato proprio un medico (sarò impazzita) – mi chiama.
Sembra sollevato. Quindi la mia ansia inizia a scemare.
“Signorina Morrison, stiamo facendo un’eccezione a parlarne con qualcuno che non è un familiare. Deve sapere solamente che il signor. O’Donoghue sta bene. Dovrà tenere il gesso per 15 giorni, poiché è solo una frattura lieve, anche se abbiamo visto che la sua gamba ha subito già varie fratture.”
“Sì, ehm, è caduto durante una scena sul set.”
“Capisco. La gamba è da tenere sotto controllo. Così come la testa, pare l’abbia sbattuta molto forte.” dice con tono comprensivo.
“Posso vederlo? La prego.”
“La stanza è la 516. Sta dormendo, ma per me va bene. Solo…non lo faccia alzare o sforzare.”

Senza dare alcuna risposta al medico corro verso la sua stanza. Me ne frego di tutto e tutti, dimentico anche di avvisarli. Ho solo bisogno di stringerlo a me.
Entro con furia nella stanza e lo trovo disteso, che dorme - e russa. E tutta la mia ansia, e le mie proccupazioni scompaiono, per dare spazio a un sollievo mai sentito.


Mi avvicino con cautela, attenta a non fare rumore. Non vorrei svegliarlo.
Tesoro mio.
E’ bello anche con la testa fasciata e dei graffi sul viso.
Gli accarezzo dolcemente la guancia e mi chino su di lui lasciandogli un bacio casto in fronte.
Bacio che avrà sentito, dato che accenna un sorriso e mugola.
“Mmmhhh”
Ecco, lo sapevo. Menomale che dovevo lasciarlo riposare.
Non apre gli occhi.
Non so se sia un buon segno o no.
Mi siedo sulla poltrona accanto al suo letto e lo guardo. Traccio il profilo perfetto del suo viso, ha le gote rosse, la barba incolta, e un piccolo graffio sulla punta del naso.

Passo più di un’ora, lì, in silenzio.
L’unica cosa che sento è il suo respiro. Ogni 15 minuti prendo la sua mano e tasto il polso per sentire i battiti.
Quella sensazione di sollievo che prima mi aveva pervaso adesso si è trasformata in preoccupazione.
Perché diamine non si sveglia?

Josh e Ginny sono passati per chiedermi se mi andava di mangiare qualcosa. Oppure se mi andava di tornare a casa, o andare a casa di Colin per prendergli dei vestiti di ricambio.
Ma non ho voglia di mangiare. Ne’ tantomeno di andare a casa mia come se nulla fosse successo. E figuriamoci di andare a casa di Colin, con il suo profumo e le sue cose.
Non quando sono emotivamente instabile come adesso.

Ho dato loro la chiave di casa mia per portarmi qualcosa di ricambio.
E ho chiesto alle infermiere una coperta per poter restare a dormire. Non me ne vado fin quando non si sveglia – probabilmente non me ne andrò neanche dopo.

Un’ora, due, tre.
Le 3.30 e non si sveglia.
Non riesco a dormire.

4.30.
Ancora nulla.

In un momento di debolezza ripenso al momento in cui in incontrai i suoi occhi per la prima volta.
Il momento in cui mi mancò il respiro per la prima volta.
Il momento in cui capì che qualcosa nella mia vita stava per cambiare, che la monotonia stava andando via, facendo spazio ad una spensieratezza portata solo da questo irlandese, che ha stravolto tutti miei piani.
E che mi ha fatto sentire….viva.

Luglio 2011.

Cammino in giro per set, cercando di combinare qualcosa. Sono i primi giorni di registrazione delle puntate della seconda stagione.
Abbiamo tempo di girovagare a vuoto solo perché Adam e Eddy stanno ancora organizzando un po’ di cose.
Intenta a scrivere un messaggio sbatto contro qualcuno, e avendo i tacchi perdo l’equilibrio, Sento di stare per cadere e istintivamente chiudo gli occhi quasi per attutire meglio la caduta.
Ma – ormai pronta a farmi male un piede - sento due mani forti sui miei fianchi.
Apro gli occhi incredula, e mi ritrovo di fronte un ragazzo, sulla 30ina, che mi guarda divertito, con gli occhi spalancati.
Dio, quegli occhi.
Mi mordo il labbro.
“Stai bene?” mi chiede tenendomi ancora per i fianchi. Io? Bene? Con te che mi guardi così? Non lo so.
Ehi, no. Fermi tutti. Io sto con Sebastian. Io amo Sebastian. Non posso perdermi in due occhi azzurri di un uomo sconosciuto.
“Io..ehm..sì, sto benissimo. Scusa, anzi. Sono parecchio maldestra.” dico, imbarazzata.
“T-tranquilla.” Mi dice, staccando impacciato le mani dai miei fianchi “Io sono Colin, piacere.” Mi dice tendendo la mano verso di me e sorridendomi.
Colin. Mh. Bel nome.
Jennifer smettila e concentrati.
“Io sono Jennifer, piacere mio.” dico, porgendogli la mano in segno di saluto.
“Ehm, dovrei parlare con Adam e Eddy, è il mio primo giorno oggi, cioè…no non è il mio primo giorno ma dovrei discutere con loro sulla storyline del mio personaggio” dice prontamente.
“Sì, sono qui in giro, magari ti aiuto a cercarli, tanto non ho nulla da fare” gli dico sorridendo.
Passiamo del tempo a parlare del più e del meno.
E io passo il tempo a perdermi nei suoi occhi azzurri quasi quanto il mare, che quando sono posati su di me, riescono a farmi sentire diversa.

Mentre sono concentrata a pensare al nostro primo incontro, lo vedo muoversi sul letto.
Finalmente.
Gira la testa verso di me, apre gli occhi lentamente, prima uno, e poi l’altro e mi guarda.
D’istinto mi alzo dalla poltrona lasciando cadere a terra la coperta, la sua maglietta che tenevo vicino a me ed il cellulare e lo abbraccio, lo stringo a me, respiro il suo profumo.
“Ooh, stai bene. Grazie al cielo.” dico con voce strozzata.
Lo bacio sulla guancia per poi lasciargli piccoli baci sul collo.
“Dolcezza, questi baci mi fanno impazzire… ma mi fai male, mi stai strozzando.”
Ecco, io come al solito esagero. Brava Jen. Fagli ancora più male.
“Oddio, scusa..io..” dico, allontanandomi da lui per la paura di fargli ancora più male.
“Scherzavo. Più o meno.”
Accenno un sorriso, mi siedo sulla poltrona accanto al suo letto, e avvicino il mio viso al suo.
Continuo a perdermi in quegli occhi, più azzurri del solito, più vivi.
“Non fissarmi così, è inquietante.”
“Invece ti fisso eccome. Ho rischiato di perderti. Guardarti è il minimo che io possa fare.” Dico, mentre lui sorride soddisfatto come un bambino che ha trovato il suo giocattolo preferito sotto l’albero, il giorno di Natale.
“Come stai? Eh?” gli chiedo.
“Io...bene...più o meno. Oh, guarda mi sono rotto di nuovo la gamba.” dice ironicamente.
“L’avevo notato.” accenno un sorriso, perché mi fa tenerezza “dormi, sarai stanco” continuo.
“Tu..piuttosto, sono le…” si ferma per controllare il cellulare “…5 del mattino, che diavolo ci fai qui?”
“Mi sono accucciata sulla poltrona e ho aspettato che ti svegliassi.”
“C-cosa?” mi chiede quasi stupito.
Non ha ancora capito che, nonostante io lo respinga in quel senso, per lui provo qualcosa di forte; e che di certo non l’avrei lasciato da solo qui.
Come potrei lasciarti da solo?
Davvero credi che io ne sia capace? Credi che non voglia amarti? Credi che non vorrei starti vicino giorno e notte?
“Sono rimasta qui. Non c’è nient’altro da dire”
Mi guarda ancora, quasi con compassione, poi fa per alzarsi.
Maledetto irlandese, se s’ammazza è colpa mia.
“Stai fermo lì o giuro che ti spezzo l’altra gamba”
Credo di parlare un’altra lingua non comprensibile a lui dato che si mette seduto e continua a guardarmi senza dire nulla, senza alcuna espressione maliziosa sul viso.
Mi guarda, e basta. Mi manca il respiro.
Semplicemente perché non vorrei mi guardasse quasi trapassandomi con lo sguardo.
“Jen..”
“Non dire nulla, per favore.”
Sospira sconfitto e prova a stendersi di nuovo sul letto.
Gli cingo le spalle per aiutarlo a stendersi con cautela, data la fasciatura in testa. Peccato che i nostri volti si ritrovano vicini. Fin troppo.
Con un dito mi accarezza la guancia, per scendere sulle labbra e tracciarne il contorno.
Non provo neanche a ribellarmi, sarebbe stupido farlo.
“Jennifer..”
Troppo vicino, sento il suo fiato sulle mie labbra.
E senza pensarci due volte mi avvento sulle sue, con foga.
Sono così morbide.
E’ come se non lo baciassi da un’eternità. Ma ne avevo un incessante bisogno.
Non provo ad approfondire il bacio. Lo faccio sia per me che per lui.

Mi sollevo barcollante, incredula, forse scossa, ma soddisfatta di quello che è appena successo.
“Vado a prendermi un caffè. Ne ho decisamente bisogno.”
Lui prova a parlare, ma non faccio in tempo a farlo finire, che sono già fuori dalla stanza.

Ho bisogno di prendere aria.
Non dovevo farlo.
Proprio no.
Io. Lui. No.

Vado al bar dell’ospedale sperando che almeno una tazza di caffè possa svegliarmi e nel contempo rinfrescarmi le idee.
Ripensare a come affronteremo tutto questo casino.
Non l’incidente, ma proprio il casino che c’è tra me e lui, questo sentimento che non se ne vuole andare.
Un sentimento che invece di scemare, diventa più forte di giorno in giorno.
E insieme a quel sentimento cresce la paura.
La paura di stare male.
Non di avere il cuore spezzato. Ma lacerato, consumato, devastato.
Perché è come se lui mi fosse entrato dentro, e questa cosa mi inquieta.

Ritorno alla realtà un po’ frastornata dai troppi pensieri, torno nella sua stanza. Trovo i dottori che lo visitano.
Una specializzanda bionda mi chiede di uscire, ma lui protesta.
“Non fa nulla. La voglio con me. Anche perché qualsiasi cosa mi diciate non riuscirò a ricordarla, quindi ho bisogno di lei comunque” dice, girandosi verso di me e sorridendomi innocentemente.
Ricambio il sorriso e mi accingo a sedermi di nuovo sulla poltroncina accanto a lui.
Appena dopo aver finito di visitarlo, una specializzanda – l’altra, quella bruna – inizia a dirmi cosa fare dopo averlo riportato a casa.
“Signorina, terremo il suo fidanzato per un’altra notte, per accettarci che non abbia lesioni interne o quant’altro. Domani mattina potrà riportarlo a casa. Come le avranno detto dovrà tenere il gesso per almeno 15 giorni, e dovrà stare a riposo per almeno 25 giorni. Quindi niente lavoro, mi dispiace. Può uscire, se si sentirà abbastanza forte da farlo. Ma in quanto al lavoro, è in base alle ore. Quante sarebbero?”
“14” le rispondo repentinamente.
La ragazza mi guarda atterrita, quasi. Eppure, il dottori dovrebbero fare almeno 17 ore al giorno, o almeno così ho imparato dal set di House.
“Quindi 15 giorni con il gesso, niente sforzi. E riguardo alla testa, potrebbe avere le vertigini per qualche giorno, quindi sarebbe meglio aiutarlo.” continua il medico.

Andati via i medici, ci guardiamo per un po’.
Non dicendo nulla, ma dicendoci tutto solo con due sguardi.
“Fidanzato” dice solo questo.
Non dico nulla per controbattere  e guardo altrove; perché per adesso, incontrare il suo sguardo sarebbe troppo devastante.
Mi torturo le mani per la troppa tensione.
Ho bisogno di respirare, di urlare.

“Non puoi rimanere da solo a casa tua.” sbotto dal nulla.
Mi guarda non sapendo cosa dire.
Dopo un po’ però prende la parola.
“Cosa dovrei fare quindi? Chiamare Helen?”
“Io..non lo so. Cioè sì. A parte quello. Sai che io ci sono, posso aiutarti, per qualsiasi cosa chiama e -”
“Lo so.” risponde “dammi la mano”
“Eh? Perché? Devo avere paura?” chiedo trattenendo a malapena una risata.
“Sta’ zitta e dammi la mano” mi risponde.
Riluttante avvicino la mia mano al suo letto, e lui la prende. Ne accarezza il palmo, poi i polpastrelli, e infine il dorso e le nocche, su cui lascia un bacio casto. Senza alcuna apparente motivazione.
“Perché?” gli chiedo.
“Perché cosa?”
“Perché stai facendo questo.”
“Perché mi piacciono le tue mani. Generalmente su di me, ma mi piacciono di per sé.”
“Idiota” rispondo, e ritiro la mano.
“Scherzavo. Volevo solo essere un gentiluomo…e volevo ringraziarti.”
“Per cosa precisamente?”
“Per essere qui, con me.”
“Se non ci fossi io, ci sarebbe tua moglie. Quella che a quanto pare non hai la forza di chiamare.”

Dopo altri minuti di assordante silenzio, decide di raccontarmi quello che sta succedendo.
Quello che succede da prima che lui si avvicinasse a me a San Diego.

A quanto pare Helen ha visto le foto che ci hanno scattato sul set della prima puntata. E non ne è stata molto contenta, insomma, non le do torto. Riguardando quelle foto, capisco perché siamo arrivati fin qui.
Capisco che questo sentimento non è nato adesso, ma si è prolungato e sviluppato nel tempo.
Ed è saldo.
Dentro di me e dentro di lui.
Talmente saldo che, a quanto pare, alla risposta della moglie ‘tieni Jennifer lontana’ lui se ne sarebbe fregato. Anzi, pare si sia avvicinato ancora di più a me.
L’unica domanda che mi pongo è se lui si sia avvinato a me per ripicca o per un sentimento vero e proprio.
Ma questa è una domanda che gli porrò quando sarà un minimo più lucido.


Martedì 17 agosto.
Durante questi giorni, tutti i ragazzi del cast sono passati a trovarlo.
Ho dovuto supplicarlo per non alzarsi dal letto. E’ un tale testardo.

Passati i controlli di routine necessari per la dimissione, adesso dovrei aiutarlo a preparare le sue cose per tornare a casa.
In due giorni l’ho aiutato a vestirsi, lavarsi – almeno il viso, dato che ha deciso di fare la doccia a casa sua perché ‘le docce degli ospedali sono scomode’
Ha battuto forte la testa, si vede.

E’ buffissimo vederlo camminare con le stampelle. Non per le stampelle in sé, ma perché non riesce per nulla, e deve sempre aggrapparsi a me.
E diciamo che mi sento parecchio importante. Mi sento un sostegno, qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà, letteralmente.

Durante il tragitto tra l’ospedale e casa sua, non proferisce parola.
Nulla di nulla.
Si limita a guardare la strada e a sospirare. Non ha ancora chiesto nulla in proposito alla macchina.
Arrivati quasi davanti a casa mia decide, stranamente, di dire qualcosa.
“Jen, so che non puoi stare da me perché hai Ava, e perché trasferire il tuo armadio sarebbe un’impresa degna di un esperto nel settore…” dice, e nel frattempo rido “quindi pensavo…se non disturbo..potri venire da te per qualche giorno? Il tempo di riprendermi, poi non ti disturberò più.”
“Puoi rimanere per tutti i 25 giorni. Non mi faccio problemi. L’importante è che durante la notte non mi dai calci con quel gesso.” dico, tutto d’un fiato.
Sorride soddisfatto senza rispondere alla mia provocazione.

Arrivati a casa mia, lo aiuto a scendere di nuovo dalla macchina, ed attraversare il vialetto.
Per fortuna nell’androne c’è un ascensore o non saprei come farlo salire.

Entrati in casa, ava ci accoglie saltellando ed esultando.
Lui come un bambino le va incontro.
“Ciao piccolina, ma da quanto non ti vedo? Eh?” dice, provando ad abbassarsi, ma ovviamente non ce la fa, e ci rimane male.
Mi fa tenerezza.

Lo avvicino al divano e gli impongo di sedersi, prima che io ci rimetta davvero la schiena.
“Vuoi qualcosa da mangiare?”
“Non ho molta…fame” risponde con un sorriso sghembo.
Dio quanto è odioso quando fa così.
“Ti hanno dato la protezione per quel gesso in modo che tu possa lavarti quindi alzati e vai a farti una doccia, prima che ti prenda a calci in culo.”
“Non riesco a stare in piedi da solo” dice, con torno un po’ esasperato.
“Oohh, e va bene, ma toccami e giuro che ti spezzo un mano.”
Non lo farò, non gliela spezzerò, anzi.
Dio Jen, ma che vai a pensare.

Entrati in bagno lo aiuto a spogliarsi con cautela, avendo paura di fargli male.
Mi spoglio anch’io, imponendogli di voltarsi, anche se mi ha già vista nuda più volte, e mi vedrà nuda di nuovo.
Entrati nella doccia, mi avvicino a lui senza guardarlo o sfiorarlo. Ma so che non ce la fa a lavarsi da solo o a stare in piedi, è troppo debole.
“Girati!” gli dico.
“Cos’è, stiamo ribaltando i ruoli?”
Non posso fare a meno di ridere nonostante sia una battuta squallida.
Rido perché è vivo, ed è vicino a me, sano e salvo….e nudo.
Prendo il bagnoschiuma e dopo averne versato un po’ sulla mia spugna – che a quanto pare adesso è diventata anche sua – inizio a strofinargli piano la schiena.
“Attenta, le spalle mi fanno un po’ male.”
“Mi dispiace, non volevo.”
“Lo so.” mi dice in tono rassicurante.
Adesso però capisco che è lui a dover essere rassicurato.
Perché nonostante le battute, gli sguardi maliziosi, lo vedo buttato giù.
Quindi lo abbraccio, forte, per rassicurarlo. Per fargli capire che ci sono per lui, sempre. Nonostante tutto.
Lo stringo a me, e mi alzo sulle punte per baciargli la nuca.
Sento il battito del suo cuore accelerare notevolmente, ma non voglio dire nulla che possa destabilizzare l’equilibrio che si è creato tra noi in questo istante.
Voglio buttare via tutte quelle lacrime che ho trattenuto per tre giorni consecutivi, voglio stargli vicino, e piangere. Perché avrei potuto perderlo, e questo avrebbe potuto distruggermi. Ma lui è qui, di fronte a me, e anche se ridotto male, è vivo e vegeto.
“Jen..”
“Sta’ zitto. Non rovinare questo momento.”


NOTE AUTRICE.

Salve amici. Dopo tanto tempo sono riuscita ad aggiornare! E' stato peggio di un parto. Mamma mia. çç
Scusate tantissimo per il ritardo, davvero, ma tra la scuola e i problemi in famiglia non avevo possibilità di concentrarmi e scrivere un capitolo decente.
Anche questo capitolo non mi piace pienamente, forse perché fatto un po' di fretta. Non so. Credo di aver risolto la cosa un po' troppo frettolosamente. Mh.
Ma sta a voi giudicare. Quindi lasciatemi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. :)

Sto postando alle 00.10 del 24/12/14, quindi BUONE FESTE A TUTTI! **
  
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