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Autore: Severia85    24/12/2014    5 recensioni
Babbo Natale è ammalato. Severus controvoglia parte per il Polo Nord. Che cosa potrebbe convincerlo a prendere il posto di Babbo Natale? Forse, la richiesta di un bambino molto speciale.
Questa fic è stata scritta qualche anno fa per partecipare ad un'iniziativa di Magiesinister: bisognava trovare il modo per far indossare a Piton gli abiti di Babbo Natale! Il geenere è introspettivo e non comico o demenziale
Terza classificata e Premio giuria al contest "Passate inosservate" di Cloe sullivan
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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SOLDATINI
 
Jeremy non era in grado di dire se fosse sveglio o se stesse sognando: gli sembrava di essere uscito dal proprio letto perchè aveva sentito dei rumori provenire dal piano di sotto. Ora, si trovava di fronte ad un buffo personaggio; il bambino inclinò la testa per osservarlo meglio: indossava una lunga giacca rossa, bordata di soffice pelo bianco, chiusa con grandi bottoni gialli; una spessa cintura di cuoio la stringeva in vita. Anche i pantaloni erano rossi, infilati in pesanti stivali neri. In testa, portava un berretto rosso, rifinito in bianco, con un morbido pon pon in cima. Il cappello gli ricadeva di lato, appoggiandosi sulla spalla. Il complesso faceva pensare a Jeremy di trovarsi di fronte a Babbo Natale, eppure alcuni dettagli stonavano con l’immagine che il bambino aveva di quel simpatico vecchietto: innanzitutto, l’uomo che aveva davanti sembrava troppo giovane per essere Babbo Natale, aveva lunghi capelli neri e nessuna traccia della fluente barba bianca; mancavano anche il grosso pancione e il sorriso allegro e gioviale che tanto lo caratterizzavano.
Era davvero Babbo Natale? Il piccolo non avrebbe saputo rispondere con certezza.
L’uomo in questione, sotto lo sguardo stupito e un po’ addormentato del bambino, alzò gli occhi al cielo, imprecò sottovoce, poi estrasse qualche cosa da una tasca del vestito e l’agitò nell’aria. Jeremy sentì il desiderio irrefrenabile di ritornare nel proprio letto e di dimenticare quello stranissimo sogno.
 
Severus Piton osservò il bambino trascinarsi su per le scale e scomparire nella propria cameretta; sistemò vicino al camino il grande pacco, avvolto in una carta blu scuro con un grande fiocco giallo. Gettò un’occhiata alla pendola di legno che batteva i minuti, appoggiata alla parete di fianco: aveva ancora molte consegne da effettuare e il tempo era decisamente poco.
Severus lasciò la casa del piccolo Jeremy e si materializzò di nuovo sulla slitta. Tirò un poco le redini delle renne e scomparve nell’oscurità. Rabbrividì, rimpiangendo il suo pesante mantello nero che non aveva potuto indossare.
Ancora non riusciva a credere di avere accettato di sostituire Babbo Natale e di essersi preso il solenne impegno di consegnare tutti i regali, durante quell’unica notte.
Tutto era iniziato qualche giorno prima, nell’ufficio di Silente.
 
******
 
“Severus, ragazzo mio, accomodati.”
Lo sguardo allegro e il sorriso vivace di Silente misero in allarme Severus Piton, che prese comunque posto sulla sedia di fronte alla scrivania. La preoccupazione del giovane mago crebbe quando si accorse che, dalle loro cornici, molti dei vecchi Presidi attendevano con grande curiosità di assistere a quel colloquio. Fanny la Fenice dormiva, appollaiata sul suo trespolo.
“Volevi vedermi, Albus?”
“Sì, certo.” Esclamò il Preside. “Tu conosci Sigurd Raikenen?”
Severus non era sicuro che quella di Silente fosse una domanda: dal tono, sembrava più un affermazione; tuttavia, visto che Silente sembrava attendere una risposta, Severus scosse la testa, con un cenno di diniego.
“No?” riprese stupito l’anziano mago. “È un personaggio piuttosto famoso.”
Silente si appoggiò allo schienale della sedia, con fare rilassato.
“Sigurd Raikenen non è altri che Babbo Natale.”
“Babbo Natale?” chiese Severus, con una nota di ironia nella voce ed iniziò a pensare quali incantesimi avrebbero potuto far perdere il senno al Preside in quel modo.
“Non fare quell’espressione scettica, mio giovane ragazzo. Essere Babbo Natale è un mestiere come un altro: molti maghi di talento si sono impegnati in questa professione. Credo si ottengano grandi soddisfazioni.”
Severus si domandò fino a che punto avrebbe dovuto lasciare corda a Silente e decise che era meglio arrivare subito al nocciolo della questione.
“Ammesso che questo Raikenen sia davvero Babbo Natale, che cosa c’entra con me?”
“Sigurd è Babbo Natale ed è anche un mio caro amico.”
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Severus si agitò sulla sedia, nella vana speranza di trovare una posizione più confortevole.
“Sfortunatamente, Sigurd si è ammalato e, considerando che mancano solo pochi giorni alla notte di Natale, ha bisogno di aiuto.”
“Se è malato, non può andare in ospedale come tutti gli altri maghi?”
“Beh, puoi immaginare lo scompiglio che si creerebbe se Babbo Natale si presentasse ammalato in ospedale, a pochi giorni dal venticinque Dicembre.”
“Naturalmente.” Rispose scettico Severus.
“Ha bisogno di un mago in gamba, che possa rimetterlo in sesto in un paio di giorni al massimo.”
Severus strinse impulsivamente i braccioli della sedia: cominciava a capire il motivo per cui Silente lo avesse convocato nel suo ufficio.
“Ed io ho pensato a te, mio caro ragazzo.” Continuò Silente, ignorando il colorito sempre più cinereo del giovane mago che gli stava davanti. “Fare un giretto al Polo Nord, cambiare aria, non può che farti bene, non trovi?”
Severus addusse diverse scuse e validi motivi che non lo rendevano certo la persona più adatta ad affrontare questa missione, tuttavia, con alcuni sorrisi divertiti e diverse perle di saggezza, Silente ottenne ciò che voleva.
“Partirai domani mattina dal porto di Londra; chiedi di Nathan Ship: sarà lui a farti arrivare, via mare, fino in Norvegia; da lì, una passaporta ti condurrà direttamente alla casa di Sigurd, al Polo Nord.”
Con quelle brevi indicazioni geografiche, Silente pose fine al colloquio con il giovane professore.
Severus ritornò nel suo ufficio e si versò un abbondante bicchiere di Whisky Incendiario: aveva la strana sensazione che quel viaggio, oltre ad essere una enorme scocciatura, gli avrebbe riservato sorprese sgradite.
 
Severus Piton lasciò la scuola la mattina seguente alle prime luci dell’alba. L’aria era gelida, ma fortunatamente non nevicava. Il mago aveva una piccola borsa a tracolla dove, nonostante le dimensioni ridotte, erano contenute tutte le cose necessarie per un viaggio di qualche giorno e una vasta scelta di tutte le sue migliori pozioni. Silente aveva ipotizzato che Babbo Natale fosse stato colpito dal Vaiolo di Drago, tuttavia non ve ne era alcuna certezza, in quanto il mago non si era ancora sottoposto a nessun controllo da parte di un guaritore. La sgradevole sensazione che aveva provato la sera prima lo accompagnava ancora, eppure non aveva intenzione di fallire quella missione: non gli importava nulla del Natale - una festa che aveva sempre odiato - ma non voleva deludere le speranze di Silente. Severus si strinse nel mantello e attraversò il parco a passo spedito. Appena giunse al di là dei confini del castello si smaterializzò.
 
Nonostante l’ora, il porto di Londra brulicava di gente che camminava in fretta, spesso portando sacchi pesanti sulle spalle. Grandi casse di legno venivano caricate sulle navi ormeggiate nel porto.
Severus si diresse sicuro verso il molo numero quarantotto, cercando di non attirare l’attenzione: quello era il molo riservato ai maghi e reso completamente invisibile agli occhi delle persone comuni. Il mago si domandò se i Babbani si fossero mai posti il dilemma del perché la numerazione dei moli passasse direttamente dal quarantasette al quarantanove, ma accantonò in fretta quel pensiero.
Quando Severus raggiunse la sua destinazione, notò con una certa meraviglia un antico vascello attraccato al molo; le grandi vele bianche erano ammainate, in attesa di essere spiegate al vento. Alcuni maghi si stavano affaccendando sul ponte, pronti ad un’imminente partenza. Severus si stava guardando intorno, alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni, quando si sentì chiamare:
“Professor Piton!”
Il mago si girò e si trovò di fronte ad un ragazzo allampanato, con lunghi capelli chiari che il vento gli spingeva davanti al viso; i suoi occhi azzurri erano vivaci e sembravano sorridergli. Indossava una giacca verde con il cappuccio, dei blu jeans chiari e degli stivali di gomma blu: aveva tutta l’aria di essere un Babbano.
“Nathan Ship?” chiese il professore, sperando ardentemente che non si trattasse del suo accompagnatore.
“Sì, signore: al suo servizio!” rispose l’altro con allegria, rivelando un accento straniero.
“Quanti anni hai?”
“Diciannove, signore.”
“Non sei un po’ troppo giovane per condurmi fino in Norvegia?” il tono di Severus era piatto e acido.
“Signore, conosco quei fondali come le mie tasche: ci sono cresciuto.”
Severus inarcò le sopracciglia, dubbioso.
“Mio padre è inglese, ma mia madre è originaria della Norvegia; sono cresciuto in quelle terre e spesso ho accompagnato mio padre per mare: era il capitano di un’importante nave mercantile.”
Severus rimase per qualche secondo a squadrare quello strano ragazzo, tuttavia la sua conclusione fu che non aveva altra scelta. Prese mentalmente nota, al suo ritorno, di far notare a Silente che lo aveva costretto ad affidare la propria vita nelle mani di un ragazzino e seguì il giovane mago con gli stivali di gomma blu.
Se l’imponente vascello aveva acceso la curiosità di Severus, il malandato battello verso cui si diresse Nathan fece rimpiangere al professore di avere accettato quell’incarico.
“Non si lasci ingannare dall’aspetto, professore: è la miglior barca che possa portarla a Capo Nord.”
“Dubito sinceramente che possa anche solo uscire dal porto di Londra!”
“Il professor Silente mi aveva avvertito che lei aveva un carattere difficile: questa barca ha già affrontato diverse traversate, anche durante la tempesta, e ha sempre portato i suoi passeggeri a destinazione sani e salvi.”
“Speriamo che questa non sia l’ultima!” continuò sarcastico Severus Piton.
“Stia tranquillo, professore e lasci fare a me.”
“Mi sento sicuro come dentro alla gabbia di una femmina di Spinato.”
Il battello ondeggiò pericolosamente quando i due maghi vi salirono a bordo. Nathan raggiunse la sala comandi e invitò il professore a rilassarsi nella cabina.
“Preferisco restare ben sveglio.” Ribatté Severus al marinaio.
“Molto bene, ma la avverto: il viaggio durerà diverse ore.”
“Sono abituato a rimanere sveglio a lungo.” Rispose a denti stretti l’altro, ricordando le lunghe notti insonni perse a fissare l’oscurità delle sue stanze, con l’animo dilaniato.
“D’accordo, come vuole lei. È pronto a partire?”
Nathan non aspettò la risposta del mago e, con un colpo di bacchetta, pronunciò l’incantesimo:
Navis Locomotur!
Il battello cominciò a muoversi. Severus barcollò e si appoggiò ad un tavolino per non cadere.
 
“Professor Piton?”
Dopo l’iniziale diffidenza, il professore si era reso conto che Nathan sapeva effettivamente il fatto suo e, sentendo un principio di mal di testa farsi avanti, si era arrischiato ad approfittare della branda, sistemata nella cabina. Ora, Nathan lo stava scuotendo perché si svegliasse.
“Professore, siamo quasi arrivati e in perfetto orario per prendere la passaporta.”
Severus si alzò, raccolse il mantello e la borsa e uscì sul ponte del battello.
Nonostante mezzogiorno dovesse essere passato da poco, il cielo era scuro come al tramonto. Attraverso la nebbia si riusciva comunque a distinguere l’alta e ripida scogliera che si alzava dal mare nero.
“Come farò a raggiungere Capo Nord?”
“Non deve arrivare fino a Capo Nord: la passaporta l’aspetta sulla spiaggia di Honningsvag. Attraccheremo al porto, poi l’accompagnerò fino al punto esatto.”
Severus si trattenne da qualunque commento: se Nathan era riuscito a condurlo fino lì con quella barca che sembrava cadere a pezzi, poteva essere benissimo in grado di fargli trovare la passaporta.
Circa un’ora dopo, Severus liquidò con una certa freddezza il giovane marinaio e afferrò un vecchio remo abbandonato sulla spiaggia, scomparendo nel nulla.
 
Severus avvertì il caratteristico strappo all’altezza dell’ombelico. Ricomparve, dopo alcuni secondi, in mezzo ad un deserto completamente bianco. Nell’oscurità, a poca distanza, intravide una debole luce; si avviò, affondando nella neve e tenendo la testa in avanti per affrontare il vento.
Man mano che si avvicinava, la luce si fece più intensa e il mago riuscì a distinguere i contorni di un’abitazione.
La casa era di legno, con un tetto spiovente ricoperto da un alto strato di neve. Le finestre erano illuminate e dal comignolo usciva un invitante filo di fumo. Severus allungò la mano, intirizzita dal freddo, per bussare, ma prima che potesse toccare la porta questa si aprì da sola. Per un istante, rimase sorpreso, ma poi, abbassando lo sguardo, notò sulla soglia un elfo: uguale in tutto e per tutto ad un elfo domestico di Hogwarts, questo indossava però una giacchetta verde smeraldo, un paio di babbucce ricurve e un cappello floscio anch’esso verde che faceva solo intuire la presenza di due lunghe orecchie a punta.
“Il professor Severus Piton, immagino? Prego si accomodi.” Disse l’elfo, inchinandosi profondamente.
Severus entrò in un’ampia sala, arredata con un lungo tavolo di legno, un divano color ambra e un grande camino che riscaldava l’atmosfera. Sulla parete opposta, una schiera di arzilli vecchietti canuti osservava il nuovo arrivato da una lunga fila di cornici. Il mago sbatté energicamente i piedi per togliersi la neve dalle scarpe poi seguì l’elfo al piano di sopra.
Severus mise piede in una camera, fiocamente illuminata dalla luce di due candele. Nel letto, si poteva distinguere la presenza di una persona sdraiata e probabilmente addormentata. Il giovane mago si avvicinò con cautela.
“Venga avanti, professore: non abbia timore di disturbarmi.”
Severus si accostò al letto e appoggiò il lungo mantello nero su una sedia.
“Accenda le altre candele, per favore.”
Ad un gesto della bacchetta di Severus, la stanza si illuminò a sufficienza.
Un mago anziano giaceva coricato nel letto: era calvo e una lunga barba bianca gli copriva le guance pallide. Sul suo viso però non vi erano le caratteristiche pustole del Vaiolo di Drago, bensì piccole macchie rosse che l’uomo faticava a non grattare.
“Sono il professor Piton.” Disse il mago, facendo comparire una sedia al fianco del letto. “Posso sapere quali sono i suoi sintomi, signor Raikenen?”
“Mi chiami pure Babbo Natale; queste maledette macchie mi fanno impazzire, ho la febbre da diversi giorni e non riesco ad alzarmi da letto, ma devo rimettermi assolutamente entro la notte del ventiquattro.”
“Farò del mio meglio,” rispose il professore. “Proviamo con questa.”
Così dicendo, allungò al degente una fialetta piena di una sostanza biancastra che avrebbe dovuto abbassargli la febbre. Una densa crema azzurra servì a  calmare il prurito.
 
L’elfo bussò delicatamente alla porta della stanza, dove Severus stava assistendo Babbo Natale:
“Il signore desidera cenare?”
Il professore seguì l’elfo al piano di sotto, dove la tavola era stata apparecchiata. Consumò un pasto leggero, ma eccellente sotto l’occhio premuroso dell’elfo.
“Come ti chiami?”
“Dadà, signore.”
“Lavori qui da molto?”
“Da sempre: anche i miei genitori hanno servito Babbo Natale, in passato.”
“È un mestiere che dà…soddisfazioni?”
“Molte, signore: sapere di avere reso felici milioni di bambini, avverando i loro desideri è alquanto soddisfacente; come immagino sia il suo mestiere.”
Severus si limitò a sospirare e ad alzare gli occhi al cielo: insegnare a certi Grifondoro ottusi non era affatto soddisfacente.
“Il signore desidera visitare il laboratorio?”
Severus Piton si calò attraverso una botola nel pavimento del corridoio, tallonando l’elfo Dadà.
Si ritrovò in un lungo corridoio, illuminato da più di mille candele; ai lati si aprivano alcune stanze. La prima in cui vene introdotto aveva dimensioni notevoli e ogni parete era occupata da schedari alti fino al soffitto.
“Qui,” spiegò l’elfo. “Raccogliamo le lettere dei bambini che ogni hanno ci vengono spedite; ogni bambino ha la propria cartella in cui sono catalogate tutte le sue richieste; le cartelle sono classificate in ordine alfabetico e per zona geografica di provenienza.”
“Ce ne devono essere davvero tante, troppe.” Ribatté Severus, alquanto stupito.
“Diversi milioni di cartelle e alcune sono molto voluminose, ma non sono troppe: i bambini hanno tutto il diritto di sognare; se scrivono a Babbo Natale significa che credono nella magia e nei sogni e questo li fa crescere più felici e sereni.” Rispose Dadà, con un sorriso.
La stanza successiva sembrava un grande ufficio, dove diversi elfi, perfetti nelle loro livree verdi, ricevevano, leggevano e classificavano lettere.
Ciò che più colpì Severus fu il laboratorio vero e proprio: una stanza che avrebbe potuto tranquillamente contenere due volte la Sala Grande di Hogwarts, in cui un numero inimmaginabile di elfi lavorava a ritmo incessante per fabbricare giocattoli, incartarli e prepararli per la spedizione. Trenini elettrici, scacchi magici, bambole, aeroplani telecomandati, scope volanti, animali di peluche, sfere di cristallo e ogni altro giocattolo si potesse desiderare riempiva la stanza. Alcuni grammofoni d’ottone, appesi alle pareti, diffondevano nell’ambiente allegre carole di Natale. Il giovane mago non avrebbe mai potuto immaginare che, sotto i ghiacci del Polo Nord, si nascondesse un luogo del genere. La visita si concluse in una sorta di ampia rimessa, dove era parcheggiata la lunga slitta di legno lucido, pronta per essere caricata.
 
La mattina seguente, le condizioni di Babbo Natale non erano migliorate: la febbre era ancora alta e il senso di spossatezza persisteva, così come le macchie rosse.
Severus tentò con una nuova pozione a base di sangue di Drago e radici di Salice.
Nel pomeriggio Sigurd lo convocò:
“Le mie condizioni non migliorano.” Gli disse preoccupato, grattandosi un braccio.
“Sto facendo del mio meglio, ma non sono un guaritore.” Rispose Severus, punto nell’orgoglio. Poi riprese: “Credo si tratti di Morbillo elfico: qualcuno dei suoi elfi si è ammalato di recente?”
“Sì, credo di sì: non pensavo potessero contagiarmi.”
“Come sospettavo. Penso di poterla guarire, ma ci vorrà tempo.”
“E noi non ne abbiamo, professore. Dobbiamo iniziare a pensare ad una soluzione alternativa.”
Il giovane mago sollevò le sopracciglia, con espressione dubbiosa.
“Se non dovessi farcela, è indispensabile che qualcuno mi sostituisca.”
“Molto bene: chi?”
“Lei, professore.”
Severus si era aspettato una simile affermazione e rimase perfettamente calmo mentre pronunciava un semplice, ma categorico “No”.
“Non c’è tempo per cercare un altro mago: domani è il ventiquattro.”
“Non avete un successore o un allievo?”
“Non avevo ancora iniziato a cercarlo: pensavo di avere più tempo.”
“Posso mandare un gufo a Silente…”
“Non arriverebbe in tempo!”
L’anziano mago si stava agitando e questo non giovava alla sua precaria salute.
“Userò il camino,” rispose nervosamente Severus. “e la Polvere Volante.”
“Il cammino non è collegato: si immagina quante visite di piccoli maghi riceverei?” rispose Babbo Natale, cominciando ad ansimare.
“Si calmi, Raikenen: troveremo una soluzione.”
“L’unica soluzione,” continuò il vecchio, chiudendo gli occhi perché ormai troppo affaticato. “è che lei prenda il mio posto. La prego, professore!”
“Le ho già detto di no.” Rispose piccato Severus.
“Perché no? Perché non vuole rendere felici tanti bambini? Ci pensa a come ci rimarrebbero male se la mattina di Natale non trovassero nessun dono ad aspettarli sotto all’albero?”
“Non è un mio problema: io non sono felice, ma vivo lo stesso.”
“Lei sopravvive, professore, ma non vive. Pensi che, con tutta la gioia che regalerebbe, ritornerebbe ad essere felice anche lei.”
“È impossibile: ciò che mi renderebbe felice, il mio unico desiderio, è irrealizzabile!”
“Se lei accettasse, forse, per una notte, ritornerebbe a vivere davvero.”
“Se proprio lo vuole sapere, a me non piace affatto vivere.”
“Ma questa non è altro che immaturità, probabilmente dovuta ad un suo fallimento.”
“Ma lei che cosa ne sa? Come si permette di giudicarmi!” Severus aveva alzato la voce “Mi ha fatto venire fino a qui, in un angolo sperduto del mondo, per tentare di curarla ed è quello che sto cercando di fare. Non ha il diritto di chiedermi altro.”
La conversazione fu interrotta da un eccesso di tosse di Babbo Natale quando tentò di controbattere. Severus gli somministrò un’altra dose di pozione e se ne andò, lasciando il vecchio a riposare.
 
Severus Piton aveva da tempo imparato a trattenere e a camuffare le proprie emozioni, eppure quel vecchio pazzo era riuscito a fargli alzare la voce. Che cosa ne poteva sapere lui del suo passato, dei suoi fallimenti, del suo dolore? Lui che portava doni e conosceva soltanto la felicità non poteva comprendere, e tanto meno giudicare, quello che provava.
Severus avrebbe mantenuto fede all’impegno preso con Silente e sarebbe rimasto anche il giorno seguente per tentare di rimettere in piedi Babbo Natale, poi sarebbe ripartito alla volta di Hogwarts, con la coscienza tranquilla.
Il mago sentiva il bisogno di fare una passeggiata per distendere i nervi, tuttavia il deserto di ghiaccio che circondava la casa non aveva nulla a che fare con il parco della scuola; decise quindi di scendere nel laboratorio, sicuro che gli elfi, indaffarati com’erano, non lo avrebbero infastidito.
Scese attraverso la botola e si ritrovò nel lungo corridoio.
Dal laboratorio giungevano le note delle canzoni natalizie e le voci degli elfi ancora al lavoro.
“Un lavoro del tutto inutile.” Pensò il mago.  
Severus scelse di entrare nella prima stanza, buia e silenziosa; con un fluido movimento della bacchetta accese le candele, illuminando la stanza: gli archivi lo fissavano immobili. Il mago passeggiò per un poco avanti e indietro, rimuginando sul diverbio avuto con Babbo Natale; quella discussone però, non era l’unico pensiero che gli occupava la mente: una curiosità, difficile da tenere a freno, si faceva strada tra i suoi pensieri. Con noncuranza, Severus si avvicinò agli schedari relativi alla zona di Londra: erano più di cento. Gli ci vollero diversi minuti prima che riuscisse ad individuare quello che gli interessava; aprì un cassetto sul quale troneggiava una grande P nera. Scorse alcune cartelle: quella di un certo Mark Pinz era più spessa di dieci centimetri. Finalmente trovò quello che cercava: Harry Potter, Privet Drive 4 Little Whinging, Surrey.
Severus tentennò di fronte a quel nome: che cosa vi avrebbe trovato all’interno? Quante letterine aveva scritto quel bambino? Se era arrogante almeno la metà del padre, doveva aver avanzato parecchie richieste; la sua fama e la sua celebrità dovevano stimolare innumerevoli desideri.
Estrasse con cautela la cartellina verde e rimase sorpreso: sembrava vuota; in realtà, al suo interno vi era un solo foglietto, stropicciato e scritto con una calligrafia stentata.
 
Caro Babbo Natale,
ti scrivo questa lettera anche se zia Petunia me lo ha proibito. Però io vorrei tanto dei soldatini di metallo: li ho visti in una vetrina e mi piacciono tanto. Ci ho pensato bene e mi sembra il regalo perfetto: occupano poco spazio e riuscirei a nasconderli e anche se Dudley li trovasse non riuscirebbe a romperli. Io dormo nel sottoscala: dovresti lasciarmi lì il regalo senza farti scoprire, altrimenti gli zii si arrabbieranno e daranno il mio regalo a Dudley. So che porti i regali solo ai bambini buoni e io non faccio altro che essere sgridato, ma visto che ne porti una montagna a Dudley (che proprio non se li merita) potresti portarne uno anche a me. Cosa ne pensi? Beh, io ci spero tanto. Grazie.
Harry Potter
 
P.S. Ma è vero che tu hai una slitta volante? Non è che per caso che hai anche una motocicletta? No, perché io ne sogno sempre una e magari è la tua.
 
Severus stringeva il foglio sempre più saldamente, mentre leggeva quella scrittura infantile. Guardò il timbro che un elfo aveva posto in calce: portava la data di quell’anno.
Un rumore di passi fece trasalire il mago, il quale si affrettò a rimettere in ordine la cartella che aveva in mano.
“Oh, è lei signore.” Dadà era comparso nel vano della porta.
“Sì, stavo dando un’occhiata.” Rispose, in tono neutro.
“Signore, pensa che Babbo si riprenderà in tempo per domani sera?” chiese l’elfo, mente i suoi grandi occhi si facevano acquosi.
“Ne dubito, mi spiace.”
“Sarebbe una tragedia per tutti non riuscire a consegnare i regali e che delusione per i bambini.” Balbettò Dadà, scuotendo piano la testa.
“Già, una vera delusione.” Fu il commento sbrigativo di Severus.
 
Severus Piton dormì male quella notte, occupato com’era a tenere a bada un sentimento caldo che si faceva strada attraverso il freddo delle sue membra. La lettera di Potter lo aveva colpito dritto al cuore, creando una breccia in quella diga che aveva costruito così faticosamente in quegli anni. Anche se non voleva ammetterlo, si sentiva in dovere di fare qualcosa, qualunque cosa. L’unica domanda era: il suo orgoglio glielo avrebbe permesso?
 
La mattina seguente, Severus Piton non trovò il suo paziente a letto; dopo aver perlustrato la casa, scese nel laboratorio e trovò l’anziano mago seduto su una sedia, intento a dare ordini ai suoi elfi.
“Vedo che si sente meglio” gli disse Severus, avvicinandosi.
“Sì.” Fu la risposta spiccia di Babbo Natale.
Guardandolo, Severus si rese conto che il vecchio non doveva stare poi tanto bene; si avvicinò ulteriormente e, allungando una mano, sentì la fronte ancora molto calda del mago.
“Dovrebbe stare a letto.” Gli intimò.
“Non posso: non ho scelta.”
“Non è in grado di affrontare il lavoro che l’aspetta.”
“Non ho scelta.”
“Lei è molto testardo, signor Raikenen.”
“In questo, allora, ci assomigliamo.”
“Nessun bambino morirà, se riceverà qualche regalo in meno.”
“Probabilmente ha ragione, professore, ma moriranno in loro la speranza e la capacità di sognare che rendono i bambini unici e speciali!”
“Speranze, sogni… sono tutte stupidaggini! Prima ci si rende conto di com’è la realtà e meglio è.”
“Si sbaglia, professore, si sbaglia di grosso: quando si smette di sognare si diventa aridi e infelici. Sono i nostri sogni, i nostri desideri più profondi che ci fanno andare avanti. Probabilmente, lei queste cose le ha dimenticate.”
Severus non rimase a sentire altro: arrabbiato, si ritirò nella sua stanza a leggere uno dei suoi libri. Se Babbo Natale voleva rischiare la sua salute per portare qualche regalo e dare alimento a vane speranze erano soltanto affari suoi. Severus, dal canto suo, riteneva di fare già abbastanza a rimanersene in quel luogo sperduto a farsi insultare da un vecchio malato, arrogante e presuntuoso.
 
Le candele sulla scrivania si erano consumate una dopo l’altra, mentre il tempo scorreva lentamente. Severus si era assopito, appoggiato allo schienale della seggiola, quando alcuni colpi alla porta lo fecero trasalire.
“Signore? Babbo Natale si è sentito male: deve venire subito.”
Dadà fece strada al professore fino alla camera da letto, dove gli elfi avevano fatto coricare il vecchio mago.
Severus si avvicinò con l’espressione di chi si compiace nel vedere avverarsi ciò che aveva predetto. Babbo Natale sembrava addormentato: Severus appoggiò una mano sulla fronte del mago e scosse la testa.
Mentre misurava la giusta quantità di pozione da somministrargli, sentì qualche parola confusa; avvicinò l’orecchio alle labbra riarse dalla febbre. La voce dell’anziano mago era un debole sussurro, nella penombra della stanza:
“La prego.”
“L’avevo avvertita.”
“Mi sostituisca: solo per questa notte. Saprò ricompensarla.”
Severus si concesse una risata di scherno.
“Non desidero nulla.”
 “È un lavoro come un altro ed è solo per una notte. La prego: pensi a tutti quei bambini…”
Alla mente di Severus, ritornarono le parole scritte dal figlio di Lily; chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quell’esitazione gli fu fatale.
 
 
*****
Ed eccolo lì, sulla slitta, con quei ridicoli vestiti addosso, che aveva dovuto stringere di diverse taglie per farseli andare bene. Attraversava il cielo, portando doni e maledicendosi per aver accettato l’incarico.
Era ancora notte fonda quando fermò la slitta a Little Whinging; entrò al numero quattro di Privet Drive carico di pacchi. Tentennò per qualche istante davanti alla porta, cercando di controllare il battito del cuore che sembrava impazzito. Silenziosamente, entrò nell’ingresso e depose tutti i regali sotto il grande albero addobbato. Ne tenne in mano soltanto uno, piccolo e incartato di verde. Più piano che poteva, si avvicinò al ripostiglio; si domandò per quale motivo il famoso Harry Potter dormisse nel sottoscala, ma scacciò in fretta quel pensiero. Aprì la porta e depose il pacchetto ai piedi del letto. Si era ripromesso di non fermarsi più del necessario, tuttavia non riuscì a resistere alla tentazione di alzare gli occhi sul bambino, profondamente addormentato: vide soltanto ciuffi disordinati di capelli castani. Sperò ardentemente che il bambino si svegliasse, aprisse gli occhi e lo guardasse: quello sarebbe stato il suo regalo di Natale, un tuffo nei ricordi, in un passato sereno, senza incubi. Harry, intanto, dormiva, rannicchiato in posizione fetale, del tutto ignaro di quello che accadeva intorno a lui, in quel preciso istante.
“Guardami, ti prego.” Sussurrò il mago, serrando la mascella. Per tutta risposta, il bambino si girò dall’altra parte, continuando il suo sonno tranquillo. Severus distolse lo sguardo e uscì velocemente dalla casa.
Una miriade di pensieri gli vorticava nella mente: alcuni ricordi di momenti sereni trascorsi con Lily si mescolavano alle umiliazioni subite a scuola da parte di Potter e dei suoi compari. Quel bambino addormentato e innocente gli rammentava tristemente tutte le sue colpe.
Babbo Natale si era sbagliato: se quella notte aveva regalato un poco d felicità, consegnando doni, lui, Severus, non si sentiva affatto più sereno.
 
Severus Piton si trattenne al Polo Nord ancora qualche giorno, giusto il tempo per rimettere completamente in sesto Babbo Natale e il suo animo profondamente sconvolto.
Fece ritorno in una Hogwarts ancora riccamente decorata con addobbi natalizi e si chiuse nel suo ufficio buio e spoglio, per due giorni interi: non aveva voglia di parlare con nessuno, nemmeno con Silente. Poi, pian piano, riprese a frequentare la Sala Grande per consumare i pasti.
 
 
Qualche giorno dopo, mentre era concentrato nella correzione di alcuni compiti, qualcuno bussò alla porta.
“Professore, è arrivato un gufo per lei.” Biascicò il custode, deponendo sulla scrivania una pergamena arrotolata e legata con un nastro rosso.
Severus la prese con noncuranza e slegò il nodo; mentre distendeva la pergamena, cadde un foglietto spiegazzato al quale Severus non porse subito particolare attenzione. La pergamena proveniva dal Polo Nord:
 
Questo è il mio personale regalo per ringraziarla di quello che ha fatto per me e per milioni di bambini nel mondo.
Babbo Natale
 
Severus rimase sorpreso e si chiese in che cosa consistesse il regalo; solo a quel punto, notò il foglio caduto a terra. Lo raccolse e riconobbe la grafia stentata che già aveva visto una volta:
 
Caro Babbo Natale, grazie: erano proprio i soldatini che volevo. Io credo proprio che tu sia un mago anche se gli zii mi ripetono sempre che la magia non esiste, perché altrimenti non saresti riuscito a portare tutti quei regali in una sola notte. Ho ragione?
Beh, forse non puoi rispondermi: deve restare un segreto.
Grazie ancora.
Harry Potter
 
P.S. Dudley ha già rotto il modellino che gli avevi portato.
 
Severus lisciò il foglio con le mani per togliere le pieghe procurate dal lungo viaggio. Si chiese come avesse fatto Raikenen a scoprire il motivo che lo aveva spinto ad accettare l’incarico di sostituirlo. Poi, portando il foglietto al petto, si sciolse in un pianto liberatorio.
  
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