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Autore: Mikayla    25/12/2014    0 recensioni
Hotaru non ha mai amato il Natale. Non è cristiana, e non ha mai avuto interesse nel festeggiare questa festività. Nella sua breve infanzia aveva ammirato gli alberi di Natale che illuminavano le case, gli addobbi e le decorazioni; aveva aspettato con trepidazione la mattina del venticinque per aprire i regali, e li aveva scambiati con allegria.
Dopo i suoi ventisette anni, però, qualcosa si era spezzato in lei. L’ultimo regalo di Natale che fece fu una copertina bianca e rosa, che cullava nei suoi sonni una bimba di nome Chibiusa.
Per questo era caduta dal cielo, quando all’età di ventinove anni, le fu proposto un Natale in famiglia. L’ultima cosa che si era mai aspettata era il classico Natale “due cuori e una capanna”.
Ma i cuori non erano esattamente due, e la capanna assomigliava molto a uno chalet con almeno una trentina di stanza...
[Della serie, Tale of True Life]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hotaru/Ottavia, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Note: cronologicamente, è da posizionarsi dopo neve (secondo capitolo di Stagioni). Può sembrare un cambiamento molto grande, ma è passato un’intero anno, e Hotaru è cresciuta. Psicologicamente e affettivamente. Le manca ancora la sua Chibi-chan, ma inizia a conoscere ed accettare questa Chibi-chan. Della serie, Tale of True Life.
Avvertimento: la storia è lunga, sono 47 pagine in cochin 12. Non è fitta, ha molti spazi, ma prendetevi del tempo per leggerla! :)
Ringraziamenti: alla mia Iuya, che ha subito paranoie/blocchi/scleri/chiamate lunghe 3 ore. E ha letto in anteprima, betacchiato, riso con me e per i miei personaggi. Penso che sarebbe marcita in computer per qualche altro anno, per la mia disperazione!
Dedica: alla mia preziosa gemé, Clà. Buon Natale (in famiglia)! Ti voglio davvero tanto, ma tanto, tanto bene.

BUON NATALE A TUTTI VOI!

vostra,
Lizz

 

Due cuori, uno chalet.

 

 

Venerdì, 21 Dicembre. 

 

Hotaru sbadigliò vistosamente, allungò le braccia sopra il proprio capo stiracchiandosi come un gatto sonnacchioso e lasciò vagare lo sguardo sulla propria stanza.
La luce soffusa delle abat-jour faceva risplendere ogni cosa con la stessa luce riflessa della pigra luna attraverso un filo di nebbia.
Un’atmosfera magica e misteriosa, rilassante.
Setsuna le aveva spesso chiesto come facesse a leggere con una simile luce, ma la ragazza aveva ribattuto sollevando appena le spalle e stirando le labbra in un lieve sorriso incurvato.

Hotaru stava leggendo un libro anche quel giorno.
Con l’inverno le ore di luce si erano drasticamente ridotte e alle quattro del pomeriggio si era vista costretta ad accendere la luce per proseguire nell’avventura in cui s’era immersa.

Avrebbe dovuto avere molto sonno, in verità, perché il turno in ospedale la notte era stato particolarmente estenuante: un triplo incidente a causa dei fumi dell’alcool avevano portato sei giovani e una coppia con figli proprio al suo reparto.
Per fortuna l’intervento tempestivo aveva limitato i danni di quella che poteva essere una piccola tragedia.
Ad ogni modo il sonno rubatele e l’adrenalina che le era salita in corpo aveva impedito ad Hotaru,  una volta arrivata a casa, di addormentarsi comodamente nel proprio letto, tiepido e invitante.

Benché sapesse perfettamente che avrebbe dovuto riposare almeno un poco, Tomoe si limitava a sbadigliare di tanto in tanto, alzare lo sguardo osservandosi pigramente intorno per poi tornare ad immergersi nella lettura.
Quello zelo non era dovuto solo all’affascinante storia che stava leggendo, ma anche - e soprattutto - al fatto che il libro non fosse di sua proprietà, ma di Sakura.

Più di un mese prima la ragazza si era presentata in ospedale durante la sua pausa pranzo -e come aveva saputo che era in pausa, Hotaru proprio non lo sapeva-  e le aveva imposto quel tomo tra le mani, sorridendo soddisfatta.
Prima che Tomoe avesse anche solo il tempo di salutarla, Sakura aveva dichiarato che Hotaru avrebbe dovuto assolutamente leggerlo, che ne andava della sua vita -di lettrice, aveva aggiunto dopo aver colto lo sguardo preoccupato dell'infermiera. 
Purtroppo, però, nonostante tutta la buona volontà che ci aveva messo, non era riuscita a finire le millecentotredici pagine che lo componevano; ed era anche pienamente conscia che Sakura avrebbe amato riavere il libro indietro quelle vacanze di Natale, perché sarebbe stato divertente rileggerlo con calma durante le vacanze. 

Così, prevedendo che alla cena con Takashi si sarebbe di certo addormentata, suscitando probabilmente una piccola faida tra i due fratelli, Hotaru si era immersa in una maratona che la portasse a finire le rimanenti seicentoventinove pagine.
Magari, si concesse prima di tornare al protagonista impegnato in un complicato gioco di potere con il proprio rivale, prima di uscire quella sera avrebbe potuto riposare una mezz’oretta, giusto per riuscire a godersi il proprio ragazzo prima della sua partenza con tutta la famiglia. 

Si sistemò meglio i cuscini dietro alla schiena, infilò piedi e gambe sotto la coperta e lanciò un’altra occhiata alla sveglia sul comodino: aveva almeno due ore, prima di dover abbandonare il proprio giaciglio e prepararsi per la cenetta romantica. Avevano prenotato da più di un mese, e in uno dei ristoranti più rinomati della città, e l'idea di poter mangiare lì era elettrizzante.
Accarezzando quel pensiero come un amante, Hotaru riprese la lettura. 

 

•••

 

« Hotaru, Hotaru! C’è Takashi-kun al telefono e ha una voce spaventata! »

La voce di Michiru raggiunse lentamente la mente di Tomoe, ancora obnubilata dal sonno.
Ma non riuscì a svegliarla.
Stava sognando.
Tra le braccia, teneva un fagottino, che lei cullava dolcemente. Sulle labbra una cantilena, parole di una lingua perduta; una canzoncina che le scendeva addosso da un antico passato. Una melodia che non apparteneva a quell’Hotaru, ma alla principessa nata sul lontano pianeta Saturno, molti e molti millenni prima. 
Cantava, con voce sommessa.
Cullava quel fagottino, fragile e forte allo stesso tempo.

Tutto attorno a loro scendeva una neve soffice e leggera, una fresca coperta ad avvolgere il mondo.
Madre e figlia però non sentivano la morsa del gelo, seppur vestite di abiti leggeri e smanicati.

« Hotaru! Se non rispondi immediata verrà qui a prenderti! »

Michiru bussò alla porta, con la forza di una Guerriera Sailor.
Nel sogno una lama di luce accecante attraversò le due figure, poco dopo un boato lontano le investì, seguito da una sferzata di vento così potente da strappare dalle braccia della madre il fagottino, e la melodia dalle labbra.
Stringendosi le braccia al petto, lacrime salate le rigarono il viso, strappandole il cuore in piccoli brandelli.
La neve era sparita, lasciando il posto a un deserto senza speranze.

Hotaru s’alzò di scatto, ansimando come dopo una lunga corsa, gli occhi ametiste spalancati.
Le luci delle abat-jour, per quanto fioche, la ferirono e la costrinsero serrare con forza le palpebre.

Sentiva il proprio potere espandersi dal suo corpo e impregnare la stanza.
Sapeva che, dall’altra parte della stanza sua madre poteva percepirlo e cominciava a preoccuparsi.

« Hotaru? »

Un richiamo flebile, dolce.

La ragazza dovette fare un profondo respiro prima di riuscire ad emettere delle parole udibili-prima che il genitore sfondasse la porta per controllare che fosse tutto a posto.

« Un incubo. Scusa. »

Non era sicura di essere riuscita a farsi sentire, ma certamente Michiru avrebbe percepito il ritirarsi del potere della morte e della rinascita.
Con fatica si costrinse a non pensare all’incubo che aveva fatto -e il timore che fosse un sogno premonitore le diede una fitta al cuore- e lasciò che il proprio potere rifluisse in sé.

Tentò un sorriso.

« Kaa-chan, cosa succede? »
« Takashi-kun al telefono! »
« Kami-sama! »

Hotaru si morse il labbro e si alzò di scatto.
Il libro cadde sul pavimento e le girò la testa.
Non era abituata a quegli sbalzi di pressione -sin da quando era rinata sulla Terra il suo corpo era sempre stato debilitato e non sembrava voler migliorare.
Ricadde sul letto e chiuse nuovamente gli occhi, strizzandoli forte, indice e pollice a stringere la base del naso.

« Digli che lo richiamo tra due minuti, kaa-chan. »
« Ti richiama tra poco, Takashi-kun. Sì, sta bene, si è appena svegliata: turno di notte. »

Hotaru sorrise e ringraziò mentalmente la madre, davvero grata.
Inspirò ed espirò con forza, svuotando i polmoni completamente e restando per qualche secondo in apnea prima di riempirli di nuovo d’aria.
Con un gesto calmo si portò le mani alle tempie.

Aspettò che la vista si spannasse.

Le fitte del mal di testa si placarono, mentre Hotaru compiva la sua magia.
Tentò di ricordarsi per quale motivo Takashi la stava cercando, mentre si domandava come mai si fosse addormentata con un libro che le comprimeva il petto, rubandole il respiro.
Come una doccia gelida il ricordo della cena di quella sera le piombò addosso.
Ricordò vagamente di aver letto qualche pagina e poi aveva faticato a tenere gli occhi aperti.
Si era fatta cullare dal sonno apportando come scusante un breve sonnellino prima dell’appuntamento.

Si mordicchiò le labbra e allungò la mano sul proprio comodino.
Afferrò il telefono e compose il numero a memoria.

Takashi rispose dopo il primissimo squillo.

« Hota-chan? Cos’è successo? »

Hotaru sorrise colpevole a quella punta di paura che si era insinuata nella voce del proprio ragazzo, e che lui non riusciva a nascondere.
Inspirò profondamente, pronta a venir ripresa per la propria manchevolezza.

« Mi sono addormentata, Takashi, nient’altro. Ieri ho avuto il turno di notte e oggi non avevo dormito... Mi dispiace. »

Il silenzio proveniente dall’altro capo del telefono la tranquillizzò: Takashi era troppo diretto e schietto per restare in silenzio quando covava qualcosa.
Infatti sentì il sospiro di sollievo del proprio ragazzo e poi una risata.
Anche a lei sfuggì un sospiro ilare.

« Sei sempre la solita, Hota-chan. »
« È la prima volta che manco a un appuntamento! »
« Oh, povero me: la mia fidanzata mi trascura! »
« Takashi! »
« Hotaru! »

Risero.
Alle due estremità di un telefono, risero insieme.
Hotaru riusciva a vederlo: la mano passata tra i capelli incolti, gli occhi lamponi ricolmi di ilarità, il sorriso largo che prendeva la maggior parte del suo viso, la piccola ruga d’espressione tra gli occhi.

Si scoprì a pensare a quanto lo amava.

« Facciamo ancora in tempo? »
« Non ne sono sicuro, quanto ci metti a vestirti? »
« Se vuoi che esca in calzamaglia, sono già pronta! »
« Ti concedo i dieci minuti che ci metto a venire lì per decidere, ma ci tengo a ricordarti che è uno dei ristoranti più esclusivi, il tuo preferito, e che sei stata tu ad insistere perché andassimo lì. »

Hotaru ridacchiò nuovamente.

« Chiederò aiuto a Michiru-okaa-chan. »
« Ora ragioni. »
« A dopo. »
« Ti amo. »

Le parole morirono sulla lingua di Hotaru, incapaci di uscire.
Sentì il click della chiusura della chiamata e un peso le scivolò all’altezza del petto, dove prima c’era stato il libro di Sakura.

« Anch’io. »

 

•••

 

« Non pensavo che la mia fidanzata fosse una VIP. »
« Per essere pignoli, sono la figlia di VIP. »

Si guardarono negli occhi e sorrisero.
Takashi le strinse la mano da sopra il tavolo, con nonchalance.
Hotaru arrossì, e guardò dalla parte del palco.

« Credo che dovrei proprio regalare qualcosa a Michiru-san per il disturbo… un mazzo di fiori? »

Hotaru scosse il capo.

« È stata tou-chan… non credo apprezzerebbe i fiori. »
« No, hai ragione, temo che l’unica cosa che la farebbe felice, da parte mia, sarebbe la mia improvvisa sparizione dalla faccia della Terra! »

Ridacchiò, incerto.
Hotaru posò uno sguardo innamorato su di lui, e fu lei a stringere la sua grande mano con la propria.
Per quanto Haruka mettesse su improbabili scenate davanti a Takashi, era felice per loro.
Lo era per davvero.
E la prova più evidente era proprio il tavolo a cui erano seduti.

« Credo che un grazie le basterà. »

Sorrise.

« E la promessa di farmi sempre tornare a casa per le otto, non uscire durante i temporali, lasciarmi a casa per le festività… »

Rise, quando il dito indice di Takashi le premette sul fianco.
L’espressione fintamente offesa le addolcì il cuore.
Si sarebbe chinata su di lui e l’avrebbe baciato, se non fosse stata così timida.

« Beh, direi che la mia proposta arriva proprio al momento giusto, allora! »

Hotaru trattene il respiro.
Michiru le aveva sorriso sorniona, quando era uscita.
Mentre le stava pettinando i capelli -dopo aver scelto di farle indossare uno dei suoi vestiti- le aveva detto che si aspettava quella cena da qualche anno, ormai.
Infondo “ Hai ventinove anni, ormai, Hotaru-chan, non possiamo tenerti qui per sempre, per quanto Haruka ci provi. ”, le aveva detto.

E Hotaru aveva riso, ignorando la questione con una scrollata di spalle.

Ma, ora, ci pensava.
Era davanti ad una bottiglia di vino.
Alla sua destra, sedeva l’uomo che amava.
Le loro mani erano intrecciate da una buona mezz’ora, sopra il tavolo.
E lui le aveva appena detto di avere una proposta.

Hotaru era terrorizzata.
Ed elettrizzata.
Ma più terrorizzata.
E innamorata.
Soprattutto innamorata.

« Ti andrebbe di fare un Natale in famiglia? »

Il sorriso si increspò.
La delusione si annidò nel suo petto.

Poi quelle parole fecero effetto.

« Un cosa?! »

Hotaru pensò di non aver capito bene.
Anzi, di non aver capito nulla.
Meglio: Takashi non aveva ancora parlato e lei non sapeva nulla della proposta.

« Natale in famiglia, Hota-chan. Sono otto anni che facciamo metà delle festività da te e metà da me, pensavo che quest’anno potessimo passarle tutti insieme! »

Hotaru sbatté le ciglia, incredula.
Takashi le strinse un poco la mano, incoraggiante.
Hotaru tentò di allargare un sorriso, incerta.
Takashi annuì con convinzione, insistente.

« Ogni anni i miei prendono in affitto uno chalet in montagna. Saliamo il ventitré, dopo il lavoro, e scendiamo il cinque, di solito. -Aspetta, non ho finito!- Non c’è problema se andiamo via prima, il ventisette o il ventotto, così puoi passare il capodanno con le tue amiche, come di tradizione… che ne dici? »

Era ovvio che Takashi si era ben preparato tutto il discorso.
Palese e sconcertante: non lo aveva mai fatto, prima di allora.
Quindi doveva tenerci davvero molto.
Ma proprio tanto, tanto, tanto.

E Hotaru non poteva pensare di deluderlo, proprio no.

« Sei sicuro che ci sia spazio anche per i miei genitori? »
« Certo! Nessun problema. »
« E sei sicuro che sia… sicuro, far incontrare così i nostri genitori? »
« Sicurissimo. »
« E sei davvero sicuro che-- »

La interruppe con un bacio, approfittando delle mani unite per attirarla verso di sé.

« Sarà tutto perfetto, Hota-chan. Fidati. »

Con un bacio sulle labbra e l’incertezza nel cuore, Hotaru annuì.
Decise di fidarsi.

E forse non fu un’idea così saggia.

 

[Ti ricordi di quel Natale?]
[Quello allo Chalet dei tuoi?]
[Sai, con il senno di poi…]
[Non lo rifaresti?]
[No, decisamente no!]

 

 

Sabato, 22 Dicembre. 

 

In quel momento, Hotaru avrebbe tanto, ma proprio tanto, voluto trovarsi da qualunque altra parte, anche nel mezzo di una battaglia, nei panni di Sailor Saturn.

« No. »

Quell’unico monosillabo perentorio da parte di Haruka scoppiò la bolla di gioia che aveva avvolto la giovane coppia.
Anche se, per essere precisi, Hotaru era rimasta saggiamente al fianco di quella bolla.
Takashi, al contrario, ne era rimasto invischiato.

E lei poteva solo tenergli la mano.
Un gesto per dirgli che lei c’era, che capiva.
Qualcosa a tenerli sempre uniti.

« Haruka-san… »
« Ho detto no. »
« Ma… »
« Haruka, potrebbe… »
« No, Michiru. »
« Setsuna, tu cosa--? »
« No. »

La donna era inamovibile.
E Hotaru non si sarebbe stupita di vederla prendere le sembianze di Sailor Uranus per far vedere le proprie idee.
Non che avesse bisogno di trasformasi per imporsi sulla sua famiglia: lo aveva sempre fatto.

Hotaru fece un passo avanti, protettiva.
Alzò lo sguardo, fiera.
Si scontrò con la volontà del padre e vinse.

« Se non vuoi venire con noi, Haruka, sei libera di restare a casa. Io andrò. E so che anche Michiru e Setsuna vogliono venire. Ed entrambe siamo consapevoli che non lo faranno per non lasciarti sola. E, così facendo, sarò io a restare isolata, di nuovo. »

Sospirò, portandosi la mano al centro del petto, dove normalmente si trovava la sua spilla a forma di cuore.

« È questo che vuoi, Haruka? Lasciarmi sola mentre voi tre potete stare insieme? »

Era un colpo basso.

Lo sapevano tutti e cinque -anche se Takashi aveva solo una vaga idea di cosa stesse parlando la fidanzata- che quello era il colpo più basso a cui poteva attingere Hotaru.
Ovviamente escludendo le minacce con il Death Reborn Revolution.
Ma la ragazza non voleva davvero ricorrere a quello.

Non ancora.

« Non andrà a finire bene. »
« Non lo puoi sapere. »

Lo sguardo di Haruka era ferito, e disperato.
C’era una minaccia che solo lei riusciva a vedere.
E non era in grado di far capire alle compagne quanto grande fosse.

Allungò la mano a indicare Takashi.
Un gesto gentile, e non minaccioso.

« Lui ha capito, neko-chan, e accettato. Ma ciò non significa che gli altri faranno lo stesso. »

Takashi tentò di parlare, ma Haruka scosse il capo.

« Come reagiranno quando vedranno la nostra famiglia? »

Che non fossero una famiglia normale, era evidente.
Quattro donne senza legami di sangue.
Hotaru che le chiamava mamme e papà.
Gli anni di differenza tra loro: Nove -per Haruka e Michiru- e undici -per Setsuna.
Le loro conoscenze troppo approfondite.
La loro vita troppo lunga.

L’affetto, l’amore, la gelosia, la preoccupazione, la cura, l’attenzione.

Il loro essere compagne.

« Non capiranno, neko-chan, e tu ne soffrirai. »

La stretta di mano dei due innamorati si fece feroce e bisognosa.

« Non tutti gli esseri umani sono capaci di accettare chi siamo. »

Le unghie di Hotaru si piantarono nel dorso di Takashi.

« Non verrà niente di buono nel mescolarci con loro. »

Il crepitio di un tuono squarciò l’aria.
Il potere di padre e figlia si scontrarono.
Il vento contro la morte e la rinascita.
Un turbinio troppo forte. E pericoloso.

Hotaru voltò le spalle e lasciò la propria casa.

 

•••

 

« Buongiorno, state parlando con la segreteria telefonica di Tomoe Hotaru. Al momento non sono raggiungibile, con ogni probabilità sono a lavoro. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il bip. Se invece avete necessità impellente di parlarmi, chiamate a casa, uno dei miei genitori saprà sicuramente come contattarmi. Grazie. »

Haruka abbassò il ricevitore, premendo il pulsante rosso.

« Ancora la segreteria telefonica? »

Annuì.
Osservò le proprie mani.
Alzò lo sguardo verso le due compagne.

« L’ho fatto per il suo bene, almeno voi lo capite, vero? »

Annuirono.

Michiru le premette una tazza di tè bollente tra le dita.
Sfiorò i suoi capelli con una carezza.
Le lasciò un bacio sulla tempia, appena sopra il sopracciglio.

« Lo capisce anche lei, Haruka-chan. »
« Ma non vuole accettarlo. »

Haruka annuì ancora.

« È in momenti come questi che vorrei che il regno della nostra Regina fosse esistito: allora non dovremmo più mantenere nascoste le nostre identità. »

Nessuno commentò.
Non ce n’era davvero bisogno.
Perché se davvero fosse stato così Hotaru e Chibiusa non avrebbero ventisette anni di differenza e Takashi non sarebbe stato l’unica luce nella vita della loro bambina.

« Buongiorno, state parlando con la segreteria telefonica di Tomoe Hotaru. Al momento non sono raggiungibile, con ogni probabilità sono a lavoro. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il bip. Se invece avete necessità impellente di parlarmi, chiamate a casa, uno dei miei genitori saprà sicuramente come contattarmi. Grazie. »

Haruka premette il tasto rosso e sospirò.

« La cosa buffa, è che dice che uno dei suo genitori saprà sicuramente come contattarla. E invece nessuna di noi tre riesce a farlo. »

Michiru le abbracciò le spalle.

« Se fosse necessario, potremmo trovarla. »

Setsuna annuì, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra.

« Con i nostri talismani, possiamo sempre sapere dov’è. »

Nessuna delle tre, però, chiamò il proprio talismano.

Ci sono cose, che bisogna fare come una famiglia normale.
Ci sono cose, che vanno sistemate lavorando seriamente.
Ci sono cose, che non possono essere affrettate.

E ci sono cose che, volenti o nolenti, bisogna accettare.
E conviverci.
E affrontare.
E sopportare.

E…

« Buongiorno, state parlando con la segreteria telefonica di Tomoe Hotaru. Al momento non sono raggiungibile, con ogni probabilità sono a lavoro. Siete pregati di lasciare un messaggio dopo il bip. Se invece avete necessità impellente di parlarmi, chiamate a casa, uno dei miei genitori saprà sicuramente come contattarmi. Grazie. »
« Smettila di farti del male, Haruka-chan. »
« Quando vorrà sentirci, lo farà. »
« Ho paura di non rivederla mai più varcare la soglia di casa. »
« Takashi-kun non permetterà che ciò accada, mai. »

I tre genitori annuirono.
Gli anelli alle loro dita brillarono.

C’era una promessa, tra loro.
Qualcosa che andava ben oltre il tempo e lo spazio.
Perfino oltre la morte e la rinascita.

« Buongiorno, state parlando con la segreteria telefonica di Tomoe Hotaru. --- C’è una chiamata in arrivo, per accettarla, premere il pulsante verde. --- Pronto? »
« Takashi-kun? »
« Buonasera, Haruka-san. Mi dispiace per prima, davvero… »
« Non… Non fa niente. »
« No, non è vero. »
« Hai ragione, non è vero. Ma va bene. Hotaru? »
« Mi ha chiesto di lasciarla a casa di un’amica. Non… non posso dirvi chi, ma sappiate che è al sicuro. »

Haruka esitò.
Non volle ammettere neanche con se stessa, che pensava che -a parte loro tre- Takashi era l’unico con cui l’avrebbe saputa al sicuro.

Annuì, anche se non poteva essere vista.

« Grazie, Takashi-kun. Buonanotte. »
« Buonanotte, Haruka-san. »

Un attimo di esitazione.
Un sospiro.

« È vero che non posso garantire che la mia famiglia accetti come normale la vostra situazione, ma sono stati loro a educare me e rendermi capace di accettare voi e Hotaru… concedere il beneficio del dubbio non è debolezza, ma coraggio. »
« Quando vivi a lungo, Takashi-kun, la sicurezza delle persone che ami è l’unica cosa che ti interessa davvero. »
« Nessuno ferirà Hotaru, io non lo permetterò. »

Una leggera risata scappò alle labbra di Haruka.
Michiru la strinse di più.
Dall’altra parte della cucina, Setsuna sollevò gli angoli delle labbra.

« Su questo, ci contiamo. »

La chiamata finì, in silenzio.
I tre genitori lasciarono che i loro sguardi si posassero sulla dolce luna.
Non avrebbero potuto desiderare di meglio, per la loro bambina.

Il telefono squillò.
Haruka riconobbe il numero.

« Pronto? »
« Haruka. »
« Mamoru. »
« Hotaru è qui. »
« Sta… bene? »
« Piangeva, Haruka. Non ho mai visto Hotaru piangere. »

La gola di Haruka si seccò.
Le parole non uscirono dalle sue labbra.

« Usako la sta consolando. Perfino Chibiusa cerca di consolarla. »
« Statele vicino, per favore. »
« Non ti chiederò cos’è successo, Haruka. »
« Grazie. »
« Però dovete sistemare le cose: era finalmente felice. »
« Re Endim--- »
« No. Cercate di riposare. Domani la convinceremo a chiamarvi. »

I ringraziamenti morirono sulle labbra della guerriera del vento.
Tra le mani di Michiru comparve il Deep Aqua Mirror.
Nel riflesso dello specchio, una triste immagine.

Capelli biondi, capelli neri, capelli rosa.
Colori mischiati assieme.

Dolore e lacrime.

 

[Però quel natale…]
[È uno dei ricordi migliori?]
[Esatto. Almeno fin’ora.]
[Ora c’è Shia-chan.]

 

 

 

Domenica, 23 Dicembre. 

 

Hotaru cullava tra le braccia un fagottino.
Sulle labbra una cantilena in una lingua perduta.
Attorno a loro, una neve soffice e leggera.
Madre e figlia però non sentivano la morsa del gelo.

Una lama di luce, un boato lontano, una sferzata di vento.
Le braccia vuote, la melodia seccata.
Lacrime salate a rigare il viso.
Un deserto senza speranze.

« Hotaru-chan? »

La voce di Usagi non le sembrò mai così gradita.

« Un incubo. »

La mano delicata della sua Regina le passò tra i capelli.

« Non lasciare che sia la paura a guidarti. »

La voce dell’esperienza.

« Anche l’amore ti può portare al dolore. »

Una carezza delicata.

« Usa-chan… tu sei felice? »

Una nuova carezza.

« , Hota-chan. Io sono molto felice. »

Un sorriso.
Uno di quelli veri.
Uno di quelli che fanno innamorare.
Un sorriso.

« Ti manca mai? Lei, intendo. »
« Ogni tanto, sì. La amavo. »
« Anche io. »
« Ma amo anche lei. »

Un sorriso dolce, innamorato, materno.

« E, infondo, sono la stessa persona. Sono così uguali… »
« Ma dal destino così diverso. »
« Se c’è una cosa che proprio tu mi hai insegnato, in tutti questi anni, è che siamo noi, il nostro destino. »

Hotaru si guardò le mani.
L’anello che sanciva la promessa della sua famiglia brillava.

Non aveva più la sua amica.
Ma aveva l’amore della sua vita.

Non aveva più la sua unica amica.
Ma aveva una vera famiglia ad amarla.

Non aveva più la sua migliore amica.
Ma aveva un’intera vita davanti a sé da vivere.

Non aveva più la sua amica e sorella.
Ma aveva accanto a sé cinque amiche e sorelle.

« È permesso? »

E un amico e fratello.

« Mamo-chan? »
« Chibi-chan era preoccupata. »

E una stupenda e dolce nipotina.

« Non nasconderti dietro a tua figlia, Signor Chiba Mamoru, e ammetti di essere tu, ad essere preoccupato! »
« Lo eravamo entrambi, va bene, Signora Chiba Usagi? »
« Che dici, siamo soddisfatte, Signorina Tomoe Hotaru? »

Hotaru non poté fare a meno di ridere.
Non si scostò neppure quando la piccola -estranea- Chibiusa le si aggrappò alle gambe.
Rise di cuore, sotto lo sguardo soddisfatto dei suoi sovrani.
Dei suoi amici.
Della sua famiglia.

« Bene. Chi vuole la colazione? »
« Io! Io! »

Chibiusa richiedeva attenzione.
Hotaru continuava a sorridere.

« Cucino io, Hotaru-chan: non devi preoccuparti di un eventuale avvelenamento da cibo… »
« Mamo-chan! »
« Grazie, Mamoru-kun. »
« Hota-chan! »

Usagi mise il broncio, incrociando ambo le braccia al petto.
Chibiusa, dall’alto dei suoi tre anni, imitò la madre.
Mamoru e Hotaru risero.

Madre e figlia lasciarono la stanza, ancora indispettite.
Ma, prima di uscire, un sorriso dolce lasciò le labbra di Usagi.
Una carezza solo per Hotaru.

Mamoru mise gli abiti di Hotaru, lavati di fresco, accanto alla sedia.

Si sorrisero.

« Fai uno squillo a casa, Hotaru: i tuoi genitori saranno preoccupati. »

La giovane donna annuì.
Il sorriso si fece più amaro.

« La mia è una famiglia strana, vero? »

Il Re le posò una carezza tra i capelli.

« La nostra famiglia è sempre stata speciale, Hotaru-chan. Fin da tempi che neppure ricordiamo. »

Il cuore della piccola lucciola si riscaldò.
Il tepore di quell’affetto genuino l’avvolse.

In lei si fece avanti il ricordo del salotto della loro bella casa.
Di suo padre che, con pazienza e dolcezza, le insegnava a controllare il suo potere.
Di sua madre che, con amore e dedizione, le insegnava a suonare il violino.
Di sua madre che, con amore e fermezza, le insegnava a svolgere il suo compito.

« La nostra famiglia è speciale. »

Il sapore di quella frase era ambrosia.
Miele senza fiele.
Era magia e mistero.

« Quando sei pronta, ci trovi in cucina. »
« Grazie, davvero. »

Una scrollata di spalle.

« Sei una di famiglia. »

Un sorriso luminoso.

« . »

Mamoru la osservò con soddisfatto affetto.
La sua empatia gli diceva molto, e in quel momento gli mostrava un cuore pieno di piccole crepe, tenuto insieme solo dalla forza di volontà, che iniziava lentamente a rafforzarsi e guarire.
La piccola lucciola risplendeva di un bagliore soffuso.

« Caffè o tè? »
« Tè. »
« Latte? Zucchero?»
« Latte. »

Quotidianità. 
Questo è una famiglia. 
Qualcuno che è lì per te quando ne hai bisogno. 
E quando non ne hai bisogno c'è lo stesso, anche solo per darti fastidio. 

« Grazie, Mamoru-nii-chan. » 
« Prego,  Hotaru-nee-chan .» 

Rimasta sola, Hotaru prese il cellulare e lo accese. 
Fu investita da una cacofonia di bip. 
Chiamate perse: casa. 

Con il cuore in gola pigiò il pulsante verde. 

E attese. 

 

•••

 

Quando arrivò a casa Chiba, Takashi trovò la propria fidanzata e gli ospiti ancora allegramente seduti al tavolo della colazione.
Ed erano le undici e un quarto.

E la cosa non lo stupì.

Non più di tanto, almeno.

« Ohayoo, minna! »
« Ohayoo, Takashi-kun! »
« Hotaru-chan ci ha raccontato dei vostri progetti. »
« Oh, vorrei andare anche io in una semi-settimana bianca! Che invidia! »
« Vorrei che tu contagiassi i miei genitori, Usa-chan! »
« Quindi alla fine non vengono? »

Hotaru scosse il capo.
Le spalle leggermente incassate.

« Mi hanno detto che posso venire senza farmi problemi, basta che io sia giù per la tradizione di capodanno, ma loro non verranno su… Sarò l’unico membro della mia famiglia durante il tuo “Natale in famiglia”. »
« Sarai una degna rappresentante, ne sono certo! »

Il muso lungo di Usagi s’illuminò di colpo.

Mamoru ne fu immediatamente preoccupato.
Chibiusa si rivitalizzò all’istante.
Takashi non seppe davvero cosa pensare.
Hotaru ebbe un presentimento, né buono né cattivo.

« Hota-chan non sarà da sola, né l’unica rappresentante della nostra famiglia! »

L’esclamazione arrivò al cuore di tutti i presenti, riscaldandolo.

Mamoru temette il peggio.
Chibiusa s’illuminò di sorrisi.
Takshi temette il peggio del peggio.
Hotaru non ebbe il coraggio di non illuminarsi di sorrisi.

« Siamo anche noi parte della tua famiglia, Hota-chan! Noi, e tutte le ragazze! Non ci andrai da sola: d’altra parte non è un problema se veniamo, vero Takashi-kun? »

Takashi e Hotaru si guardarono.

« Ehm… no? »

 

•••

 

Takashi entrò nell’auto in silenzio.
Taciturno guidò lungo le strade di Tokyo.
Sulle spalle il peso della frase con cui Usagi li aveva congedati prima di andare a preparare le valigie.

Non vedo l’ora di dirlo alle altre!

« Hotaru-hime, non c’è il rischio concreto di trovarci l’intera compagnia delle Guerriere Sailor allo chalet dei miei, vero? »

Hotaru scrollò le spalle, indecisa.
Alzò lo sguardo, insicura,
Allargò un sorriso, incoraggiante.

« Ci sono abbastanza stanze per tutti, giusto? »

Takashi tremò.

« Sei davvero molto amata, Hotaru-hime. »
« Sei geloso? »
« Un poco, lo ammetto. »

Il sorriso di Hotaru si fece più dolce.
La sua mano raggiunse quella del suo uomo.

« Non hai motivo per esserlo. »

Gli occhi lampone di Takashi brillarono.

« Ti amo, Taka-chan. »

 

•••

 

Il rientro a casa non fu gelato, ma tutta la cortesia dei genitori destabilizzò Hotaru.
Entrambe le madri la aiutarono a fare le valigie.
Il padre e Takashi le osservavano, silenziosi, dallo stipite della porta.

Nessun sorriso - né finto né vero - da parte di nessuno.

Hotaru sentì pesanti i regali per i genitori che aveva tra le mani.

« Li posso lasciare in salotto? »

Tre sguardi raddolciti.

« Certamente, neko-chan. »
« Il nostro te lo diamo quando torni. »
« Grazie, kaa-chan. »
« Siete proprio sicuri di non voler mangiare qui con noi? »
« Ci aspetta un bel po’ di strada, quindi prima partiamo e meglio è. »
« Posso prepararvi dei panini in due minuti. »
« Sarebbe perfetto, kaa-chan! »
« Quattro per te, Takashi-kun? »
« Ehm… mi accontento di quello che avete… »
« Non fare complimenti, suvvia! »

Il campanello li distrasse.
Fu Haruka ad aprire la porta, trovandosi davanti il sorriso splendente di Usagi.

« Ruka-chan! »
« Usa-chan…? »
« Ohayo! »
« Minako? »
« U-ka! »
« Chibiusa!? »
« Haruka-san… »
« Cosa succede, Mamoru-san? »
« Andiamo in montagna anche noi! »

L’esclamazione all’unisono delle due guerriere bionde risuonò in tutta la casa.

« Andate anche voi. »
« Sì! »
« A casa di Takashi, con i parenti di Takashi. »
« Sì! »

Haruka ammutolì e lanciò uno sguardo a Mamoru.
Lui scrollò le spalle, impotente.

« Hotaru! Takashi! Siamo pronte a metterci in viaggio! »

Hotaru strinse la mano al fidanzato.
Takashi espirò e ricambiò la stretta.

« Minako-san, come mai non sei a uno dei tuoi party? »
« Scherzi, vero? Non perderei mai un natale in famiglia! »
« Anche Makoto ci raggiungerà tra poco: doveva solo recuperare i bambini dai suoceri. Non l’avevo mai sentita così felice! »

La stretta di mano si rafforzò.

Takashi tentò la propria fortuna.

« Rei e Ami? »

Hotaru lo guardò come fosse impazzito.
E Takashi pensò di esserlo.

« Arriveranno in serata: dopo devo mandare loro l’indirizzo! »

Takashi per poco non scoppiò a piangere.

 

•••

 

Alla fine erano rimasti a pranzo.
Dovendo comunque aspettare Makoto e famiglia, Takashi aveva ritrattato la necessità di partire presto.
Hotaru sapeva che il ripensamento serviva in realtà a concedere alla madre di Takashi il tempo di preparare le stanze necessarie.

« Tutto a posto? »

Hotaru intercettò il ragazzo sulla porta della sala, per rubare un momento privato.
Lo sguardo di Takashi fece avanti e indietro tre o quattro volte dal cellulare alla fidanzata.

« Sì, credo di sì. »

Gli occhi color lampone straripavano d’incredulità.

« Kaa-chan era entusiasta di avere così tanti ospiti. Dice che, visto che gli zii dall’Hokkaido si sono ammalati e non possono venire, non potevamo farle regalo migliore di questo! »
« … »
« Kaa-chan è pazza, lo so. »
« Penso di non poter dire nulla, a riguardo, visto com’è la mia famiglia. »
« Quando dici sia il caso di preoccuparsi? »
« Mai? »
« Penso sia troppo tardi per quello, amore. »

Hotaru si limitò a regalargli un dolce sorriso.

« Oddio, e se poi si stanno antipatici? »
« Meglio non pensarci, koi. »

Non sapevano in quale pasticcio si erano cacciati.
Ma lo avrebbero affrontato insieme.

E, forse, sarebbero sopravvissuti.
E, forse, si sarebbero pure divertiti.
E, forse, Hotaru non avrebbe sentito la mancanza dei tre genitori.

Takashi l’abbracciò.

« Hai combattuto battaglie peggiori, e sei sopravvissuta. »

Hotaru sorrise.

« E tu? »
« Io sono cresciuto con quattro fratelli! »

Hotaru rise.

« In caso di necessità posso sempre ridurre tutti al silenzio. »
« Pessima battuta, Hotaru-hime. »

Hotaru si lasciò cullare nel caldo abbraccio.

« Nel caso, c’è un Hotel nei paraggi? »
« C’è. »
« Allora siamo salvi. »

Takashi le posò un bacio tra i capelli.
Sulla fronte.
Sul naso.
Sulle labbra.

« Ecco dov’eravate finiti voi due! Makoto è arrivata, possiamo partire! »

Hotaru arrossì vistosamente.
Minako non diede segno d’essere imbarazzata.
Takashi si preparò psicologicamente al risultato della propria - sconsiderata - proposta.

Non era più così sicuro che sarebbero sopravvissuti.
Almeno non senza qualche grave mutilazione.

 

•••

 

Tanto i saluti alla partenza furono silenziosi, quanto rumorosi furono quelli all’arrivo.
Ci impiegarono più di mezz’ora a presentarsi tutti, e nessuno o quasi azzeccava i rispettivi nomi.

Yukina - la mamma di Takashi - aveva sequestrato Hotaru l’esatto momento in cui si era liberata del cappotto.
Le aveva ampliamente illustrato tutto ciò che era e necessario e a disposizione della sua famiglia - perché dirlo a quello sbadato di Takashi sarebbe stato inutile.

Dopo aver messo a nanna i bambini, avevano fatto una cena tardiva.
Avevano raccontato la storia inventata a pranzo per spiegare quella famiglia così allargata.
Avevano preso possesso delle proprie camere.
Avevano aspettato l’arrivo di Ami, Rei e Yuri, seduti tutti insieme davanti al caminetto.
Infine, stremati, si erano dati appuntamento per la colazione; e si erano ritirati.

« Mi sembra che sia andata bene. »
« Temo che ci sarà un serio problema con i nomi. »
« Potremmo attaccare dei cartellini di riconoscimento a tutti! »
« Taka-koi…! »
« Pensaci! Renderebbe tutto più semplice! »

Hotaru rise e scosse il capo.
Takashi rise e annuì col capo.

« Prima che ti vengano in mente altre idee geniali mettiamoci a dormire! »
« Agli ordini, Hotaru-hime! »
« Taka-baka… »

Stretti sotto alle coperte, per un momento, sembrò che nulla potesse andare storto.
Stavano bene, e avevano davanti a loro tre giorni di riposo dalla loro vita.
E, la cosa più bella, era che stavano insieme.

Hotaru sorrise al buio.

 

[Non credevo ci stessimo tutti.]
[Io sono ancora convinto di no.]
[Baka!]
[Ti amo.]
[…]

 

 

 

Lunedì, 24 dicembre.

 

Tra le braccia un fagottino.
Sulle labbra, una cantilena: lingua perduta.
Attorno, neve.

Lama di luce
Boato.
Sferzata di vento.

Braccia vuote.
Melodia seccata.
Lacrime salate.

Deserto senza speranze.

« Hotaru…? »

Hotaru si svegliò di soprassalto.
Gocce di sudore freddo le imperlavano il viso.

La luce dell’abat-jour accesa.
Lo sguardo lampone di Takashi fisso su di lei.

« Hotaru? »

Non riusciva a inspirare.

« Hotaru! »

La porta si aprì di scatto.
Le mani gentili di Usagi e Minako allontanarono Takashi.
Quelle esperte di Mamoru e Ami si avvicinarono a Hotaru.

« È il tuo stesso potere a soffocarti, Hotaru, mi capisci? »

Paura.

« No. Tranquilla. Guardami, Hotaru, non smettere di guardarmi. »

Cenno del capo.

« Ragazze, lasciatelo. Takashi, ascoltami: abbandona la paura, respira con calma e avvicinati. »
« Ora, Mamoru? »
« Adesso la abbracci, da dietro, e lasci che la sua testa stia sul tuo petto. »
« E questo aiuterà? »

Un sorriso.

« Ho imparato che l’amore aiuta sempre. »

Un sorriso.

« Ora? »
« Adesso, respirate. »

E Hotaru respirò.
E con lei, tutti gli amici.
Tutta la famiglia.

Un respiro di sollievo.

« Cos’è successo? »
« Il potere di Hotaru la stava soffocando. »
« È sfuggito al suo controllo? Ami, com’è possibile? »
« Il problema vero, Takashi, è che non è sfuggito al suo controllo. »

Sguardi preoccupati.
Occhi ametista chiusi.
Il cuore veloce.

« Hotaru, sai spiegarci? »
« …incubo. »
« Lo stesso che hai fatto a casa nostra? »

Cenno del capo.

« Riesci a raccontarcelo? »

Cenno del capo.

« Domani, va bene. »
« Ragazze, andate pure a dormire, è tutto a posto ora. »
« Mamo-chan? »
« Vi raggiungo subito. »

Rimasti soli, Mamoru posò una mano sugli occhi chiusi di Hotaru.
La luce bianca del suo potere si diffuse per qualche secondo.

« So che è scomodo, Takashi, ma cerca di resistere. »
« Non è un problema. »
« Lo so. »
« … »
« … »
« È successo anche a te? »
« Anche a Usagi è successo, sì. »
« Sempre un incubo? »
« Sì. »
« E come l’avete risolto? »
« Parlandone. »

I due uomini si scambiarono uno sguardo di comprensione.

« Hai coraggio, Takashi. Non è facile essere nella tua posizione. »

Le labbra di Takashi si ingentilirono.

« Io la amo. »

Quelle di Mamoru si arricciarono.

« Come ho detto: l’amore aiuta sempre. »

Si fermò sullo stipite.
Guardò la giovane coppia.
Regalò loro un sorriso tiepido e accogliente.

« Quando si sarà addormentata puoi metterti a dormire: non le succederà niente. »
« Non succederà niente neanche a me, se perdo qualche ora di sonno. »

Un cenno del capo.

« No, certo. »
« Buonanotte, Mamoru. E grazie. »
« Buona guardia. »

 

•••

 

Hotaru si svegliò con il tocco leggero delle dita del fidanzato sui capelli.

« Takashi…? »
« Buongiorno. »

Un bacio sfiorato sulla fronte.

Hotaru si accoccolò tra le sue braccia.
Provò un senso di protezione che non aveva mai sognato.

E si sentì in colpa.

« Mi dispiace, Taka… »
« Va tutto bene. »
« No, non va tutto bene! »
« Hotaru… »

Occhi ametista soffocati dal rimorso.
Opache placche, fondi di bottiglia.

« Avrei potuto colpire te, Takashi. E allora non sarebbero arrivati in tempo… »
« Ma non è successo. »

Denti a torturare labbra.

« Non è successo questa volta. »
« … »
« Sono pericolosa, Takashi… forse troppo. »

Con uno sforzo enorme, e il cuore gonfio di paura, Hotaru si allontanò.
Ed era la prima volta che lo faceva.
Era abituata ad essere tenuta a distanza.
Ma mai, mai, era stata lei stessa a mettersi da parte.

Ma, per Takashi, lo avrebbe fatto.

Perché, a volte, rinunciare alla persona che ami, è l’unico modo per vederla felice.

« No, Hotaru. Non ti lascerò scappare da me. Scordatelo. »

Due mani forti sulle spalle della ragazza.
E Hotaru si trovò intrappolata tra le braccia di Takashi.

« Ti terrò qui per sempre, Hotaru. O, almeno, finché non avrai capito che è qui, a questo abbraccio, che tu appartieni. »

Occhi lampone ruvidi di determinazione.
Non erano più stati così da quando Hotaru aveva ceduto.
Ma lei li riconobbe ugualmente.

Erano gli occhi di chi non avrebbe permesso a nessuno - neppure a lei - di separarli.

C’era una promessa, in quell’espressione.
Qualcosa che le ricordò dell’anello che aveva al dito.
E il dolore per l’assenza dei genitori si fece sentire.

Hotaru inspirò il profumo di dopobarba.
E capì che non voleva essere lasciata andare.
Voleva restare lì.
Takashi aveva ragione: quello era il suo posto.

« Vuoi raccontarmi questo incubo? »

Hotaru scosse il capo.

« È un ricordo, temo. »
« Del passato? »
« Ancora più lontano: un altro universo. »
« Racconta. »

Un sospiro.

« Tra le braccia tengo mia figlia e le canto una ninnananna. Poi, un lampo di luce accecante seguito da un boato e da sferzate di vento. E io resto sola, senza voce né lacrime. »
« Perché pensi che sia un ricordo? »
« Perché so che cos’è successo dopo. »
« Cos’è successo, dopo? »
« Ho richiamato la mia falce, ho spalancato le porte della morte e ho calato la mia lama su quel mondo ormai corrotto. Death Reborn Revolution. »

Silenzio.

« È questo quello che faccio, Takashi: distruggo interi universi. »
« E poi li ricrei. »
« E poi li ricreo. »

Takashi premette le labbra sui capelli della ragazza.

« Per costruire qualcosa, qualcos’altro dev’essere distrutto. »
« … »
« Scusa per la filosofia un po’ spiccia, ma è la verità: quante cose abbiamo visto cambiare, solo nella nostra città? »
« Non sempre i cambiamenti sono in meglio. »
« No, ma non si possono evitare, non trovi? »

Suo malgrado, Hotaru annuì.

« Anche noi cambieremo, Hotaru. »
« Non voglio. »
« E se fosse meglio? »
« Meglio di così? »
« Sì, si può sempre migliorare! »
« E si può peggiorare… »
« Pessimista! »

Takashi le rubò un bacio.
Dapprima leggero, appena un ricercarsi di labbra.
Poi più profondo, alla scoperta dei segreti dell’altro.
Infine si sciolse, con delicatezza.

« A proposito: ho una notizia buona e una cattiva da darti, quale preferisci prima? »

Hotaru sorrise.
Non riuscì a trattenersi.
Takashi ricambiò il sorriso.

« La cattiva? »
« Siamo in ritardo per la colazione. Mamma è passata a chiamarci e stavi dormendo, così le ho detto che non ti sentivi troppo bene: stanchezza da viaggio. »
« E la buona? »
« Siamo in perfetto orario per il pranzo! »

La risata di Hotaru si sentì per tutto lo chalet.

 

•••

 

 

« Hota-chan! Ben svegliata! »
« Ohayoo, minna. »
« Oh, tesoro! Ti senti meglio adesso?  Quell’impiastro di Takashi non ti ha tenuta sveglia, vero? Fin da piccolo ha l’abitudine di girarsi nel letto in continuazione… »
« Sto molto meglio, Yukina-san, davvero. Era solo stanchezza… »
« E io non mi giro nel letto, mamma! »
« Oh, si che lo fai! »
« Mamma! »

Hotaru ridacchiò nascosta dietro la propria mano.
Takashi si finse indignato, senza riuscire a nascondere il proprio largo sorriso.

Tutti gli altri li osservarono di sottecchi, gli occhi colmi di dolcezza.
Perché chi più, chi meno, pensavano tutti che fossero la coppia.
Non quella perfetta - tutti sanno che non esiste -  ma quella giusta.
Quella che dura nel tempo.

« Ah! Ecco, per voi! »

Yukina porse ad entrambi un adesivo.
I loro nomi in bella vista.

Takashi parve stupito.

« Io me lo ricordo il mio nome, mamma! »
« Sciocchino, li abbiamo messi tutti: per comodità. »
« Sì, ma io e Hotaru siamo gli unici due che tutti conoscono! E, comunque, l’idea era mia: chi me l’ha rubata?! »
« Non sei l’unico ad avere delle idee così semplici, Taka-onii-baka! »
« Sakura! Me lo sentivo che c’entravi tu! »
« Ma se non sai distinguere la destra dalla sinistra! »
« Bambini, a cuccia! »

Takashi e Sakura presero le sembianze di cuccioli abbandonati.
I presenti non poterono fare altro che ridacchiare.
Qualcuno li paragonò a due amiche bionde - al momento disperse nella neve insieme ai bambini.
A Hotaru s’intenerì il cuore.

« E poi anche i nonni hanno apprezzato l’idea: la nostra famiglia è sempre più numerosa, e la loro memoria non è più quella di una volta… »
« In effetti… potrebbe essere piacevole venir chiamato Takashi e non Washito o Fukuroushi… »
« Falco, aquila e civetta?! Voi tre fratelli vi chiamate così? »

Yukina sorrise.

« E le ragazze Sakura e Himawari: fiore di ciliegio e girasole. »
« Come mai questa scelta? »
« Si tratta di una tradizione di famiglia, dare ai figli dei nomi collegati tra loro. »
« Questo spiega anche i vostri: Yukina e Yukito, giusto? Come mai? »
« Siamo i gemelli della neve! Quel marzo, proprio il giorno in cui siamo nati, era venuta una nevicata fuori programma. »

Hotaru ascoltò  quei discorsi seduta accanto a Makoto, senza prenderne parte.
Non era mai stata capace d’interagire con gli altri in quel modo naturale.
Preferiva stare al margine dell’azione.

Era nata spettatrice, non protagonista.

Per questo non aveva mai capito l’interesse di Takashi nei suoi confronti.
Lui sì che era un protagonista.
Sempre presente.
Sempre una battuta sulle labbra.

Lei… lei, semplicemente no.

« Non hai idea di quanto fossi felice di scoprire che la ragazza di Takashi si chiamava Hotaru: un falco e una lucciola creano insieme un’immagine davvero romantica, non trovi? »

Yukina sospirò estasiata.
Hotaru sospirò  imbarazzata.

Sperare nel cambiamento di argomento, era inutile.
Trovare le parole per rispondere, era inutile.
Sperare di passare inosservata, era inutile.

Trovare lo sguardo di Himawari che cercava il suo era una boccata d’aria fresca.

« Hotaru-chan, poi aiutarmi con i compiti? »
« Non disturbarla, è ospite! »
« Chiederei aiuto a qualcun altro, ma Hotaru è l’unica davvero brava in matematica… »
« Ehi! Guarda che me la cavo anche io! »
« Lascia perdere Takashi-nii-chan, il muro in camera mia spiega molto meglio di te, e lui non parla. »
« Questo è offensivo! »
« Questa è la verità. Hotaru-chan? »
« Certo, Himawari-chan, ti aiuto volentieri. »

Hotaru scappò  dalla cucina con le ali ai piedi, seguendo la più piccola delle sorelle Myokatono.
Nella piccola stanza, condivisa da Sakura e Himawari, c’era pace.
Hotaru si sedette sul letto, e sorrise apertamente.
Himawari ricambiò.

« Grazie! »

Himawari sollevò le spalle, prendendo dalla cartella il necessario.

« Capita spesso anche a me. »
« Cosa? »

Uno sguardo consapevole.

« Di non essere sicura di dove sia. »
« Il luogo a cui appartieni, giusto? »

Nonostante avesse solo quattordici anni, Himawari era saggia.
Era anche l’unico membro della sua famiglia ad esserlo.
E questo, che lei lo volesse o meno, la rendeva speciale.

Un po’ come Hotaru.

Erano le pecore nere della famiglia.
Benché volessero con tutto il cuore poter tingere i loro manti di un candido bianco.

« Il mio primo nipote, Midorito, ha sei anni in meno di me. Mia sorella dodici in più… Da quando sono nata, sono sempre stata o troppo piccola, o troppo grande. Per tutto e per tutti. »

Hotaru le si sedette vicina.
Lesse il primo esercizio.

« Sei davvero sicura di voler passare tutta la vigilia a fare i compiti? »

Himawari scrisse la prima equazione.

« Perché deve essere passata con chi ami? »

Hotaru seguì la scrittura fluida.

« Vorresti essere con Takashi adesso? Per questo sei triste? »

Himawari si fermò, picchiettando la penna sul passaggio poco chiaro.

« Chi amiamo di più, e più di tutti ci ama, è la nostra famiglia. »
« È per la tua famiglia, che sei triste? »
« Avrei solo voluto che i miei genitori fossero qui con noi… »

Hotaru le indicò l’errore.

« Ma non ci sono. »
« No, non ci sono. »

Himawari appoggiò la penna.

« A me piace guardare la mia famiglia seduta sulla poltrona in angolo, quella comoda, vicino alla credenza e la lampada. »

Hotaru sorrise, chiudendo il quaderno.
In attesa di quello che stava per arrivare.

« Se per te va bene… andiamo in salotto a giocare a non ti arrabbiare? »

Un altro sorriso.

« Certo. »

 

•••


 

 

Hotaru posò la propria tazza di tè bollente, e alzò lo sguardo perplesso sul fidanzato.

« Puoi ripetere, per favore? »

Takashi sbuffò spazientito.
Dondolò il cappotto della fidanzata davanti ai propri occhi.
Scoccò un’occhiata di avvertimento alla sorellina.

« È tutto il giorno che stai in giro con i miei fratelli: ora ti vesti e vieni fuori con me! »
« Fa freddo. »
« Hai il cappotto. »
« C’è la neve. »
« Abbiamo gli stivali. »
« È buio, ormai. »
« Ci sono luna e stelle, in cielo. E la neve schiarisce la notte. »

Silenzio.

« Sta finendo la partita con me. »
« Sto finendo la partita con Himawari. »

Takashi le scoccò un’occhiata omicida.
Una di quelle da fratello maggiore a sorella minore.
Quelle che, una volta ricevuta, ti precipiti in camera.

Al sicuro.

« Puoi continuarla quando torniamo. »

Silenzio.

Le due ragazze guardarono i dadi contemporaneamente.
Tutto il resto delle due famiglie, guardava loro.
Per gli occhi di Takashi, invece, esisteva solo Hotaru.

Hotaru allungò le dita verso i dadi.
Uno dei bambini più piccoli scoppiò a piangere.
Uno dei genitori si affrettò a coccolarlo.
Takashi la considerò un’offesa personale.

« Non ci credo! Preferisci Himawari a me? »
« Eh no! Hotaru preferisce decisamente me! »
« Sakura, torna al tuo libro e non ti impicciare! »
« Non puoi vincere contro le nostre due stupende sorelline, Takashi-baka, devi rassegnarti! E, in ogni caso, tra noi tre fratelli, Hotaru preferisce decisamente me: più maturo, responsabile, adulto… un vero uomo! »
« Sei sposato, Washito! »
« E con ciò? Posso essere comunque il suo preferito! »
« Spiacente, ma state prendendo un granchio entrambi: sono decisamente io l’anima gemella di Hotaru! »
« Sei gay, Fukuroushi! »
« E tu sei un uomo attempato, e con figli a carico! »
« Sempre meglio di un falchetto spelacchiato! »
« Almeno io non mi dò arie regali! »
« Stai marcando il territorio, Taka-chan? »
« Mi costringete! È la mia fidanzata, e oggi ha passato più tempo con voi che con me! »
« Perché preferisce noi! »
« Hotaru?! »

I tre fratelli si voltarono simultaneamente verso le due ragazze.
Per trovare solo delle poltrone vuote e un gioco abbandonato.

« Mentre davate un bell’esempio di amore fraterno, lei e Himawari se ne sono andate… »

Sakura sorrise, sorniona, da dietro il proprio libro.
I due fratelli maggiori si scambiarono un sorriso vittorioso.
Takashi si chiese perché non poteva essere figlio unico.

« Lo avete fatto apposta! »
« Era la prima volta che potevamo avere Hotaru tutta per noi, e ne abbiamo approfittato. »

Takashi passò lo sguardo da un fratello all’altro, finendo su Sakura.
Un’aura seria lo avvolse.
Gli occhi lampone si fecero più scuri.

« Ci tengo, a lei. Non rovinate tutto. Vi prego. »

Sakura chiuse il proprio libro con uno scatto.
Alzò gli occhi banalmente marroni sul fratello.

« Kaori era un’idiota. »
« E, non dimentichiamo: ci aveva provato con Washito. »
« E non era in grado di dire due frasi di senso compiuto. Nell’arco di un giorno. »
« E trattava Himawari come un animaletto domestico. »
« E aveva pessimi gusti in tutto. »
« E-- »

Takashi agitò entrambe le mani in segno di resa.

« Ho capito, ho capito! In poche parole: non vi piaceva. »

Takashi sospirò, trattenendo una risata.

« La odiavamo tutti. Perfino mamma e papa, anche se in modo molto cortese. »
« Diciamo che, se avessi chiesto di poter invitare Kaori a natale… beh, avremmo fatto a meno del natale! »
« Però, ammettiamolo: una cosa buona l’ha fatta. »
« Quale? »
« Lasciare spazio per Hotaru. »

Quattro sorrisi identici si dipinsero sui volti dei fratelli.
Un marchio di fabbrica.
Un bel marchio di fabbrica.

« Ora che ho la vostra approvazione, posso passare un po’ di tempo con la mia fidanzata? »

Sakura riaprì il libro e ci si immerse dentro.
Washito recuperò il proprio primogenito e lo portò a giocare.
Fukuroushi gli diede una pacca sulla spalla.

« Dipende da Himawari, non trovi? »

Takashi sospirò.

« Idee su cos’abbia in mente? »

Fukuroushi scrollò le spalle.

« Tenersela tutta per se, immagino: le piace davvero tanto… ed effettivamente hanno dei caratteri simili. »

Per la prima volta, quella somiglianza non gli piacque.

« Fammi indovinare: un posto isolato? »
« E nascosto. »
« Biblioteca? »
« Ci sono gli zii. »
« Di certo non fuori. »
« Camera? »
« Dubito, è il primo posto in cui le cercherei. »
« Ma non ci sono tanti altri posti in cui possono stare sole. »
« Argh! Questo posto e troppo grande! »
« Buona caccia, Taka-chan… è una cosa in cui dovresti essere bravo, no? »

Sbuffando alla battuta del fratello, Takashi inizio la propria ricerca.
E, per la prima volta, rimpianse d’avere una famiglia così numerosa: in un monolocale ci avrebbe messo molto, ma decisamente molto, meno tempo a trovarle.

 

•••

 

« Eccovi! »

La voce esultante e inaspettata di Takashi prese le due ragazze di sorpresa.
Si guardarono.
Poi guardarono lui.

« Taka-chan… »
« Non sei il benvenuto. »
« Non sono qui per te, Himawari. »
« Hota-chan è con me. »

Lui scrollò le spalle e si mise a sedere al fianco della fidanzata.

« Cosa state facendo? »

Si guardò in giro, leggermente stupito.
Non c’era mai stato, in quella stanza.

Sembrava quasi che fosse comparsa per nascondere loro due… un po’ come la stanza delle necessità in Harry Potter.

« Gli affari nostri. »

Takashi ignorò Himawari con una maestria degna di anni di perfezionamento.

« Non avevo idea che ci fosse un pianoforte. »
« È un po’ scordato: penso che sia stato messo da parte e dimenticato. »
« Sembra un ripostiglio, ma è troppo grande. Come l’avete trovato? »

Himawari si strinse nelle spalle.
Non aveva davvero voglia di raccontarlo.
Né, tantomeno, d’avere il fratello lì.

Ormai considerava quella stanza il proprio nascondiglio segreto.

« Due anni fa mi ci ha portato nonna: la proprietaria le aveva detto che c’era una stufetta elettrica, in caso di necessità. »
« E tu, ovviamente, hai rubato la chiave a mamma. »
« L’ho chiesta in prestito! »
« Prestito? »
« Himawari mi ha chiesto di insegnarle qualcosa di pianoforte, e visto che non avevano bisogno di noi altrove… »
« Perché non me lo hai detto, Hota-chan? »
« Le ho chiesto io di non dirlo a nessuno. »

Takashi le diede un buffetto sulla guancia.

Certe volte si era trovato a pensare che, senza Himawari, non avrebbe mai potuto capire Hotaru.
Non avrebbe mai cercato di avvicinarsi a lei e di conoscerla.

E, forse, avrebbe perso la cosa più bella che questo mondo poteva offrirgli. 

« Mi fai sentire? »
« No! So fare solo la scala di do! »
« È da li che si inizia, giusto? »

Himawari annuì, riluttante.
Hotaru sorrise, incoraggiante.

« Provo a farla a due mani, allora. »
« Ricorda di non irrigidire il polso. »

Un grande respiro.
Mignolo sinistro e pollice destro sui do, a distanza di un’ottava.

Nuovo respiro.
Le dita si appoggiano sui tasti, spingendoli, do.
Segue il re.
Poi il mi.

Il pollice destro raggiunse il fa insieme all’indice sinistro.
Poi il sol.

Il medio sinistro scavalcò il pollice per posarsi sul la.
Segue il si.
Do.

Himawari sorrise e sospirò.
Takashi applaudì, gonfio d’orgoglio.
Hotaru annuì, compiaciuta.

« Ora ci fai sentire qualcosa tu? »

Hotaru afferrò la mano di Takashi.
Insieme presero posto davanti al piano.
Dispose la mano del fidanzato sui tasti.
Abbozzò la melodia.
Prese posizione sulle ottave più alte.

Un cenno del capo.

La leggera canzoncina a tre mani prese il via, rallegrando lo stanzino.
Si concluse in poco meno di un minuto.
Seguita da un sincero applauso di meraviglia.

« È tutto ciò che è riuscita a insegnarmi, quindi non pretendere altro da me, Himawari. »

Risero, tranquilli.
Takashi cinse la vita di Hotaru con un braccio.
Lascio che lei appoggiasse il capo sul suo petto.

Himawari li osservò attentamente.

Erano felici.

Bastava loro così poco per essere felici.
Quello passato suonando, era tutto il tempo che erano riusciti ad avere insieme.

Ed erano felici così.

« Penso che dovresti andare a fare una passeggiata con Takashi, adesso. È davvero molto bello. »

Ricevette uno sguardo confuso.
E uno grato.

Scrollò le spalle e sospirò.

« Questa mattina vi ho sentiti parlare… non volevo origliale, lo giuro! Stavo andando in camera mia e vi ho sentiti. Ho temuto che volessi andare via, Hotaru, perché se i tuoi genitori non erano voluti venire, forse era perché non approvavano Takashi o noi… »

Hotaru tentò di fermarla.
Takashi la bloccò con una stretta di mano.

Himawari non si accorse di nulla.
E continuò con la propria cascata di parole e sentimenti.

« Non ho detto niente a nessuno: mi avevano detto che eri stata poco bene. Ma quando vi ho visti… Mi sono preoccupata! E così l’ho detto ai fratelli; E così abbiamo messo in pratica l’idea di Sakura: divide et impera… E così abbiamo tenuto occupata Hotaru! E Sakura ha coinvolto Mamoru, per tenere impegnato te… E… E temo che tutta la famiglia lo abbia saputo, così… »

Estrapolare le informazioni tra tutti quei così, fu difficile.
Capire quello che era successo, un po’ meno.
Accettare il tutto ancora meno.

Realizzare che tutti i loro amici e parenti avevano cooperato per tenerli separati, avevano dato loro il tempo di capire quanto volessero stare insieme, fu facile.

Commuoversi, ancora di più.

Hotaru sentì gli occhi umidi.
Takashi percepì un groppo in gola.

Hotaru posò un bacio sulla guancia di Himawari.

Un bacio che era per la sua Chiubiusa, o così avrebbero detto le sue amiche, se l’avessero vista.
Dolce, delicato, riconoscente, innamorato, amichevole, sincero…

Nessun essere vivente lo avrebbe riconosciuto, ma un giorno ne avrebbe ricevuto uno.
E molti, moltissimi, vedendolo, avrebbero saputo riconoscerlo e avrebbero ricordato il momento in cui l’avevano ricevuto.

Il bacio della Morte.

Quel bacio che ti porta via dal mondo di vita.

Il bacio della Rinascita.

Quel bacio che ti riporta nel mondo di vita.

Il bacio di Hotaru.

« Grazie, Himawari. »

Occhi che si incontrano.
Sorrisi che sbocciano.
Parole che non servono.

« Vado a recuperare degli stivali. »
« Chiedi a Sakura. »

Fratello e sorella rimasero soli.

« Sei ancora preoccupata? »
« Non voglio che vada via. »
« Non lo farà. »
« Non la farai scappare? »
« Al contrario, non la lascerò scappare. »

Il viso di Himawari si illuminò d’ilarità.

« Non ti sopporterà più, lo sai? »
« Riuscirò a conquistarla, ogni giorno. »
« Per sempre? »
« Spero di sì. »

Takashi non aveva mai ammesso a voce alta che sperava di restare per sempre con Hotaru.
Lo aveva sottinteso in ogni gesto, ma quelle parole non erano mai uscite dalle sue labbra.

« Sì, Himawari, spero che lei resti sempre accanto a me. »

 

•••

 

« Quindi ora è tutto a posto? »
« Sembra di sì. »
« Era solo una crisi passeggera. »
« Succede, infondo stanno insieme da tanto, no? »
« Sette anni, ormai. »
« Fidanzati da due, giusto? »
« Sono stati insieme molti più di voi due. »
« Ma meno dei nonni. »
« I nostri erano altri tempi. »
« Ma, qualcuno sa quando si sposano? »
« Hotaru non ha detto niente, a questo proposito. »
« Takashi è stupido, invece… »
« Hotaru, Takashi, state uscendo? »

La coppia osservò i nonni da sotto il cappello e sopra la sciarpa di lana.
E furono molto contenti che gli occhi fossero le uniche parti visibili del loro viso.
Anche se avrebbero preferito di gran lunga evitare l’intera situazione.

« Passeggiata. »

La risposta telegrafica di Takashi fece sorridere un po’ tutti.
La mano di Hotaru che stringeva attorno a quella di Takashi li fece intenerire.

La somma delle due cose, invece, li convinse a giocare un  po’ con loro.

« Vi facciamo compagnia, allora. »
« No! »
« Su, su, Takashi, è così che ti ho tirato su? »
« Mamma…! »
« Non ci volete proprio? Siamo un po’ tristi per questo… »
« Noi… »
« Eh, se altro non si può fare, vi accompagamo fino alla porta, almeno: dubito che riusciate a vedere dove mettete i piedi! »

Un corteo festoso e chiassoso scortò la felice e imbarazzata coppia fino alla porta.
Entrambi sapevano di essere stati giocati dalla rispettiva famiglia, ma non ne erano davvero disturbati.
Avrebbero di gran lunga preferito essere in tutt’altro posto - Hotaru - o dall’altra parte della barricata - Takashi -, ma in realtà andava bene anche così.

Il campanello, poi trillò pochi secondi prima che Washito e Minako spalancassero entrambe le ante della porta.

E il corteo si fermò.

Gli sguardi di tutti si fecero seri e in attesa.
Hotaru lasciò la mano di Takshi e si gettò in avanti.

« Kaa-chan, kaa-chan, tou-chan! »

Solo i riflessi agili e scattanti - frutto di allenamenti e battaglie - permisero ad Haruka di afferrare Hotaru e non lasciarla cadere.
Era preparata a molte cose, ma non a quell’accoglienza calorosa.

E sentire il profumo dei capelli della propria bambina, poterla stringere tra le braccia, fu il regalo più bello che avrebbe mai potuto chiedere.

« Scusate se ci presentiamo così, senza avvertire: siamo i genitori di Hotaru. »

Sorrisi.
Tanti, tantissimi sorrisi.
Troppi, per essere contati.

Un po’ come le stelle.

« Io sono Setsuna, e loro Michiru e Haruka. »
« Siete le benvenute! »
« I ragazzi stavano uscendo per fare una passeggiata, ma potete aspettarli con noi, davanti a un camino e una buona tazza di tè! »
« Ecco, noi… »

Haruka non sembrava minimanente intenzionata a lasciare andare Hotaru.
Né Hotaru mostrava segno di volersi staccare dal padre.

Michiru posò una mano sulla spalla della compagna.
Usagi si avvicinò rabbrividendo e afferrò la mano dell’amica.

« Vieni, Ruka-chan. Hota-chan non ci metterà molto. »

Takashi li raggiunse, abbracciò lieto le madri della fidanzata e scambiò un cenno del capo con Haruka.
Mamoru lo aveva seguito, e con il suo fare carismatico e familiare condusse Michiru e Setsuna in casa.

« Certo, certo. Neko-chan, divertiti! Noi ti aspettiamo… ma non fare tardi, eh! »

Hotaru non rispose.
Si limitò a strusciare un paio di volte il naso contro il petto del padre.
Quando si scostò, gli occhi ametista brillavano di una luce dolce.

« Takashi non mi farà fare tardi, è responsabile - anche se non sembra. »

Un bacio sulla guancia.
Un sorriso tiepido.

Poi Hotaru e Takashi furono da soli, fuori dalla porta dello chalet.

« Spero che i miei parenti non le facciano esasperare… »
« Tranquillo: ci saranno i miei parenti a proteggerle. »

 

 

[È stata le vigilia migliore.]
[Una cena piena di colpi di scena.]
[E Yukina che le ha costrette a dormire lì?]
[Sakura  e Fukuroushi ancora mi odiano.]
[Per aver ceduto il letto?]
[Non che la cosa mi preoccupi!]

 

 

Martedì, 25 dicembre.

 

« Entra pure, Setsuna-chan. »

Michiru si fece da parte, lasciando entrare l’amica nella stanza.
Entrambe osservarono Haruka.

Era seduta sul letto, tranquilla.
Particolarmente tranquilla.
Forse persino un po’ troppo tranquilla.
Inquietantemente tranquilla.

« Dormito bene, Haruka-chan? »
« Mnn… »
« Piuttosto bene, grazie. Tu? »
« Bene, anche se mi sento in colpa per aver costretto i fratelli di Takashi a dormire sul divano. »
« Avevo detto che potevamo starci noi, ma non hanno sentito ragioni… »

Haruka sembrava priva di vita.
E, in effetti, era uscita piuttosto provata dalla cena precedente.
Tra tutte loro, Haruka era quella che stava al peggio in mezzo alle persone.

« Haruka-chan…? »

Sguardo leggermente intimorito.
Smarrito.

« Sta bene, sta bene: sono solo un po’ di scene. »

Michiru minimizzò, lanciando uno sguardo di esasperata dolcezza.
Le posò una mano sulla spalla e un bacio tra i capelli.

« E si comporterà bene, non è vero? »
« Sì… »
« Niente scenate, lo hai promesso, giusto? »
« Sì… »
« E non farai la gelosa o la possessiva, d’accordo? »
« Sì… »

Michiru le diede qualche colpetto sulle spalle, impietosita.
Setsuna scosse il capo, indecisa se ridere o meno.
Haruka rimpiangeva amaramente il non essere rimasta a casa.

« Posso sedermi vicina ad Hotaru? »
« Non per tutto il tempo, amore. »

Haruka sospirò.

« Come mi avete convinta a venire qui? »
« La cosa divertente, Haruka, è che sei stata tu, a decidere di venire qui. »

Nuovo sospiro.
Un piccolo singhiozzo.

« Il vento mi aveva avvisata che non potevo lasciarla da sola, oggi… »
« Non ci sono stati segnali di pericolo. »
« Io lo so, Setsuna, lo so! »

Ancora sospiro.

« Sapevo solo che dovevo essere qui, oggi. Che dovevamo essere qui tutte e tre. »

Michiru la abbracciò.

« Siamo qui, tesoro. Siamo qui. »

Setsuna si unì a loro.

« Ricordati solo che mi hai promesso di comportarti bene. »
« Sì, lo so. »

Michiru si avvicinò al suo orecchio.

« Sennò niente sesso per tre mesi, almeno. »

 

•••

 

Fukuroushi spinse gentilmente Himawari nella cucina.
Si sedette sul bancone e sorrise al rimprovero negli occhi della madre.

« Sono stata invitata ad una riunione segreta di famiglia? »
« Hima-chan, volevamo solo fare due chiacchiere tutti insieme. »

Himawari osservò suo sorella, Washito e suo padre Sarutobi.
Poi scrollò le spalle, e prese la sedia di fianco al padre.

« Volete programmare l’omicidio di Takashi? »
« Perché dici queste cattiverie, Hima-chan? L’adolescenza ti fa male. »
« È tutta questa gente, che mi fa male… »
« Shush! Volevamo parlare di Takashi ed Hotaru, è per questo che non è qui. »

Una nuova scrollata di spalle.
Saggiamente la più piccola della famiglia decise che non avrebbe più provato a dire niente.
Decisione che il più grande della famiglia, Sarutobi, aveva preso molti anni addietro.

« Non ha mai invitato nessuno a natale. »
« Beh, ovviamente è molto innamorato. »
« Questo era evidente. »
« Mamma vuole sapere se può sperare che si sposino, Washi-chan. »
« Sei fastidioso, Fukurou-chan. »
« Oh, smettetela e datemi notizie sugose e fresche! »
« Hima-chan è quella che è stata di più con Hotaru, in questi giorni… »

Chiamata in causa dalla sorella traditrice, Himawari si strinse nelle spalle.

« Abbiamo giocato. »
« E basta? »
« E basta. »
« Sicura? »
« Sakura, sto decidendo di non risponderti più. »
« Dovresti fare la sorellina carina, Hima-chan. »
« Io lo sono. »

Le due sorelle si lanciarono occhiatacce, ma tenettero la lingua a freno.
C’erano alcune cose che, davanti ai genitori, era proibito portare per le lunghe.

« Quindi nessuno di voi quattro sa niente, niente di niente?! »
« Spiacente, okaa-chan. »
« Ma a che serve avere cinque figli se non vi raccontate tra di voi quello che io e vostro padre vogliamo sapere, eh? Vero, caro? »

Sarutobi tamburellò le dita sulla mano, un paio di volte.
Yukina lo prese come un ovvio consenso.

« Taka-chan è stato muto come un pesce. »
« In effetti potevate chiamarlo Sakana! »
« Washito Myokatono, tieni a freno quella lingua. »
« Era solo uno scherzetto, kaa-chan. »

Yukina abbassò il cucchiaio che aveva brandito.
E sospirò teatralmente.

« Quindi non so se devo sperare o disperare? »

Sarutobi si alzò.
Posò un bacio sulla tempia della moglie.
E si diresse verso la porta.

« Hotaru sarà una nuora perfetta. »

Uscì, strascicando le ciabatte.

 

•••

 

« Corri corri, Chibi-chan! Siamo in ritardo, come sempre! »

Usagi sospinse la propria bambina per il corridoio.
Erano dovute tornare in camera per un piccolo incidente di pannolino, ed ora erano in ritardo.
Ed essere in ritardo all’apertura dei regali, è il male.

« Veloci veloci, vero Chibi-chan? »

La bambina scattò in avanti.
La madre la inseguì.
Chibiusa riuscì ad evitare il giocattolo abbandonato con maestria.
Usagi riuscì a metterci il piede sopra e finire sedere a terra.

« Ahio! »

Chibiusa la guardò perplessa.
Poi scoppiò in una risata cristallina e scappò via.
Aveva una adorato papà da recuperare, non poteva di certo aspettare la mamma!

« Eh, figlia traditrice! Ruka-chan! Mia figlia ride di me! »
« Pensiamo prima a tirarti su, d’accordo? »

Haruka la aiutò ad alzarsi.
Usagi le regalò un sorriso prezioso.

« Grazie, Ruka-chan. »
« Posso chiederti una cosa? »
« Dimmi tutto. »
« Non hai percepito un pericolo, vero? »

La ragazza scosse il capo.
Posò delicatamente la mano sull’avambraccio dell’amica.

« Sapevo che non potevamo averlo sentito solo io e Mamo-chan! »
« Cosa? »

Usagi sorrise sibillina.
Cercò d’inciampare un’altra volta.
E si diresse velocemente alla porta della sala.

« Vedrai! »

Da oltre la soglia in cui era sparita Usagi, arrivarono risate.
Schiamazzi e rumore di carta strappata.

Haruka la seguì.
Si affiancò a Michiru.
E rimase lì, ad assistere.

« Se non sorridi i genitori di Takashi si preoccuperanno. »
« Non puoi chiedermi questo, Michiru. »
« Fallo per Hotaru… »

Allora Haruka sorrise.
E, dal divano, Hotaru ricambiò.

« Chibiusa-chan, che bel regalo che hai lì! È per te? »
« Hota! »
« È per Hotaru-chan? »
« Hota! »

Makoto accompagnò la piccola postina.

« Chibiusa-chan ha un pacchetto indirizzato a te, Hotaru-chan. »
« Davvero? Grazie, Chibiusa-chan. »
« Apri! »
« Devo aprirlo subito? »
« Cos’hai lì, koi? »
« Chibiusa-chan mi ha portato un regalo, e vuole che lo apra subito. »

Hotaru si rigirò tra le mani il piccolo pacchetto.
Chibiusa stava seduta al posto di Takashi.
Mentre lui stava sul tappeto mezzo inginocchiato, mezzo accovacciato.
In un equilibrio così precario che Hotaru non faceva altro che chiedersi quando sarebbe finalmente caduto.

Nell’allegro vociare, Hotaru scartò il pacchetto.
Con attenzione aprì la scatolina.
E con stupore lesse il bigliettino.
Semplici parole, in una scrittura nota.

Mi vuoi sposare?

E Hotaru guardò l’anellino.
Tre semplici e piccole ametiste.

Semplicemente perfetto.

« Cosa succede? »
« Shhh! Guarda lì! »
« EH?! »

Le risate, le voci, perfino i bambini, si fecero silenziosi.
Tutto era silenzioso.

E tutti guardavano Hotaru.
E Takashi.
E di nuovo Hotaru.
E ancora Takashi.

Hotaru era in silenzio.
Takashi era in silenzio.

Ed un minuto non sembrò mai così lungo a nessuno dei due.
Ed un minuto non aveva mai fatto preoccupare così tanto Takashi.

« Hai bisogno degli occhiali da lettura, koi? »

E, Hotaru, espirò un semplice, chiaro e nitido .

« Non sapevo che portassi gli occhiali da lettura! »

Washito e Fukuroushi si sbatterono una mano in faccia.
Fingere di non conoscerlo, però, sembrava inutile.

Sakura e Himawari scossero la testa, rassegnate.
Yukina non sembrava più stare nella sua pelle, un po’ come Usagi, che a stento si tratteneva dal saltellare.
Sarutobi, semplicemente, annuì.

Haruka cominciò a piagnucolare sommessamente.
Michiru le accarezzò l’avambraccio -non che potesse in qualche modo fingere di non conoscerla.

Il silenzio diventò leggermente imbarazzante.
E inquietante.

Nessuno sapeva cosa fare.

Himawari diede un colpetto alla sorella.
Con la testa indicò la coppia al centro dell’attenzione.
Sakura emise un leggero sospiro, e si avvicinò.
Per sbaglio, urtò con un calcio il fratello ancora inginocchiato.
Poi sollevò Hotaru in un abbraccio.

« Benvenuta in famiglia, Hotaru-nee-chan. »

Applausi.
Commenti.
Grida.
Gioia.

E, sopra a tutto, il pianto disperato di Haruka.

« Oh! È così commossa che non riesce a trattenersi! »

 

•••

 

« Sarutobi, caro, offri qualcosa da bere ai nostri ospiti! »

Il dopopranzo vedeva tutti, o quasi, i bambini nei loro letti a sonnecchiare.
Gli adulti seduti a caso sui divani del salotto, satolli e altrettanto pieni di sonno.

Sarutobi non si fece ripetere l’invito.
Aprì lo sportello degli alcolici.

E si dedicò volenterosamente al proprio ruolo di barman.

« Oh, ma che bella idea che hai avuto, Takashi! Sono così felice…! »
« Nah, secondo me non è valida! »
« Perché no? »
« Perché Takashi è stupido e non si è reso conto di esserlo! »

Risate.

Sarutobi versò una generosa dose di alcool ad Haruka.
Haruka ringraziò con uno sguardo commosso.

« Hotaru-chan, sai vero che fai ancora in tempo a rinunciare? »
« Non dirlo neanche per scherzo! »
« E chi scherza, mamma? Sono serissimo! »
« Non voglio che tu dica niente di simile, e se poi cambia davvero idea?! »

Risate.

Haruka aveva spostato gli occhi dal proprio bicchiere intonso per pochissimi secondi.
Ed era sparito!
Svanito nel nulla!

« No, no, e no! Bisogna pensare a dove fare le nozze, non a se farle! »

Risate.

Haruka tornò dal barman con le spalle incurvate.
Senza aver bisogno di parlare si trovò un bicchiere tra le mani.
Sorrise, grata.
Tentò un contatto visivo con la propria adorata bambina.
Sconfitta, ritornò al fianco di Michiru.

« Grazie per il bicchiere, Ruka-koi. Piuttosto, Hotaru-chan, preferiresti il vestito tradizionale o in bianco come Usagi-chan? »
« Hotaru starebbe benissimo in bianco! »
« Ma anche il vestito tradizionale le starebbe d’incanto! »
« Che decisione ardua! »
« Che decisione non vostra! »
« Lasciaci sognare un po’, Takashi! »

Sarutobi passò diligentemente da tutti.
Riempì i bicchieri vuoti.
Distribuì bicchieri pieni.
Haruka si appigliò saldamente al proprio.
Decisa finalmente a berlo.

« Ops! Scusa, Ruka-koi, non volevo urtarti. Ti sei sporcata? »

Haruka osservò con occhi umidi il contenuto del proprio bicchiere.
Sul tavolo.

« Tutti insieme, alziamo i bicchieri! »
« Un brindisi ai futuri sposi! »

Haruka fu costretta a brindare. 
Con l’acqua.

 

•••

 

Takashi osservò Hotaru.
Hotaru osservava il proprio anello.
L’anello brillava.

« Sei sicura di aver capito, vero? »
« Sì. »
« Ti sei resa conto che non stavo parlando degli occhiali da lettura? »
« Sì. »
« Sai che ti preferisco quando non mi dici sempre no? »
« Sì! »

Un bacio dolce.
Esasperato.
Divertito.
Innamorato.

« Posso richiedertelo… per sicurezza? »
« Sì… »
« Hotaru Tomoe, vorresti diventare mia moglie? Di Takashi Myokatono, intendo. Cioè, mia! »

Hotaru rise.
Di cuore.

« Sì. E né tu né tua famiglia mi farete cambiare idea! »

Takashi l’abbracciò.
E, potendo, non l’avrebbe lasciata più.

E, finalmente, non aveva più bisogno di sperare che Hotaru gli rimanesse accanto: quell’anellino semplice e così Hotaru-hime era la promessa che l’avrebbe fatto.
E, conoscendola, l’avrebbe fatto oltre alla vita.
Oltre alla morte.
Oltre perfino al tempo.

Semplicemente sempre.

« E Haruka come sta? Come l’ha presa? Ci hai parlato? »
« Non sono riuscita a parlarle, ma non mi sembra l’abbia presa troppo male. »
« Ha pianto! »
« Qualche lacrima prevedibile ci stava. Mi sarei preoccupata se non l’avesse fatto! »

Poi un dubbio.
Un fulmine a ciel sereno.

« Non è che si è offesa perché non ho chiesto prima a lei? »
« Eh? »
« Non le ho chiesto la tua mano! »
« In tutta sincerità, koi, penso che se l’avessi fatto ti avrebbe ucciso; e poi detto di no. »

Hotaru rise dell’espressione del futuro marito.
E si gustò, accoccolata a lui sotto le coperte, quelle parole.

Futuro marito e moglie.

Avrebbe potuto farci l’abitudine, a tutta quella felicità.

Con quella sensazione, si addormentò.
E sognò.

Tra le braccia, teneva un fagottino, che cullava dolcemente.
Sulle labbra una cantilena, parole di una lingua perduta; una canzoncina che le scendeva addosso da un antico passato.
Una melodia che non apparteneva a quell’Hotaru, ma alla principessa nata sul lontano pianeta Saturno, molti e molti millenni prima. 
Con voce sommessa e dolce, cantava.
Tra le braccia, cullava quel fagotto fragile e forte allo stesso tempo.

Tutto attorno a loro scendeva una neve soffice e leggera, una fresca coperta ad avvolgere il mondo.
Madre e figlia però non sentivano la morsa del gelo, seppur vestite di abiti leggeri e smanicati.

D’improvviso, una lama di luce accecante attraversò le due figure, poco dopo un boato lontano le investì, seguito da una sferzata di vento potentissima.

Un uomo le stava proteggendo.

Teneva tra le proprie braccia Hotaru e la bambina.
E, ora, la neve era fredda, la ninnananna era nota.
Hotaru portava un pesante cappotto.
Stretta tra le braccia di Takashi.

E, tra le proprie, c’era…

Shia.

 

 

[E chi lo aveva immaginato che Haruka fosse
così sconvolta da provocare un involontaria 
tempesta di neve durante la notte.]
[Ne è valsa la pena solo per vedere le occhiatacce
tue e di Michiru quando l’avete scoperto!]
[Takashi!]
[Lo so, non devo prendere in giro mio suocero.]

 

 

 

Fine

 
   
 
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