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Autore: millyray    27/12/2014    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: ho come l’impressione che dopo questo capitolo verrò linciata. Tuttavia, buona lettura : )

CAPITOLO DICIOTTO - ABIGAIL

So, this is me swallowing my pride,
standing in front of you,
saying I’m sorry for that night.
(Back to Dececember, T.Swift)

Cinque anni dopo.

“Sei pronta per andare a scuola?”

“Posso finire di vedere i cartoni?”

“Mi sa che non abbiamo tempo per vederli tutti”.

“Solo questo”.

“D’accordo”.

La bambina teneva gli occhi fissi sullo schermo della televisione e un biscotto mezzo mordicchiato in mano, mentre il padre si era rimboccato le maniche per lavare i piatti sporchi nel lavello, ma ogni tanto lanciava occhiate alla figlia sorridendo tra sé e sé di fronte a quello sguardo così innocente e affascinato.

Sua figlia era la cosa più bella che gli fosse capitata e in quegli ultimi anni era stata la sua forza per andare avanti. Ormai viveva soltanto per lei e faceva tutto ciò che c’era da fare soltanto per lei.

Sulla televisione comparvero i titoli di coda che segnavano la fine del cartone e la bambina mise in bocca il resto del biscotto, mandandolo giù con un paio di sorsi di latte.

“Adesso sei pronta per andare?”

“Sì, papà”.

La bambina scattò dalla sedia e corse in camera a prendere zaino e cappotto. Il padre l’aiutò a indossarli e poi afferrò le chiavi dell’auto e quelle della casa.

“Buongiorno!” li salutò la voce dell’anziana signora che abitava nell’appartamento di fronte al loro e che aveva preso in particolare simpatia i due, soprattutto la bambina, visto che spesso le faceva da baby-sitter.

“Buongiorno, Signora Brook”, ricambiò l’uomo mentre chiudeva la porta di casa. “Come sta oggi?”

“Al solito, l’artrite che ogni tanto fa scricchiolare qualche povero osso”, si lamentò lei, ma sempre con un sorriso dolce stampato in volto. “Significa che oggi pioverà”.

“Grazie per l’avvertimento. Ora io e Abby dobbiamo andare, siamo in ritardo”.

“Ma certo, ma certo. Buona giornata”.

“Anche a lei, Signora Brook”. L’uomo allungò una mano in direzione della figlia e la bambina si aggrappò ad essa, trotterellando a fianco del padre, lungo il corridoio, verso le scale.

 

Qualche ora prima…

Jack si lanciò praticamente fuori dal Tardis e non si voltò nemmeno indietro per vedere la cabina ripartire o salutare l’uomo al suo interno.

Corse lungo la baia e raggiunse il parapetto che lo separava dal mare, appoggiandovi sopra le mani. Lasciò vagare lo sguardo in giro, verso l’orizzonte dove il sole pian piano cominciava a spuntare e faceva disperdere una luce rosea e pallida che andava a illuminare il cielo e a coprire le stelle.
Nulla era cambiato, tutto sembrava essere rimasto come ricordava lui.

Eppure…

Eppure aveva una terribile sensazione.

Raggiunse in rapide falcate una panchina dove aveva visto il giornale e cercò subito la data. Il suo cuore mancò un battito.
Non poteva essere…
Non voleva crederci…
Ci doveva essere un errore…
Adesso avrebbe richiamato il Dottore e gli avrebbe chiesto di aggiustare quella cosa perché lui non poteva essere lì, non poteva aver perso tutto quel tempo.

Si lasciò cadere sulla panchina e affondò la faccia nelle mani.
Ma chi voleva ingannare? Era tutto giusto, era tornato nel momento giusto, almeno nella sua linea temporale, solo… ora ci sarebbero state delle conseguenze e non sarebbero state affatto piacevoli.

Voltò il capo e i suoi occhi incontrarono la base del Torchwood tre, ancora lì, intoccata e come lui l’aveva lasciata.
Ma questo non significava che in quei cinque anni non fosse cambiato nulla, anzi.

A passo lento e con lo svolazzo del lungo cappotto, si diresse verso l’entrata. Una volta dentro, rimase fermo in silenzio per sentire dei rumori o delle voci, ma non c’era nessuno. Era ancora presto, dopotutto.
Si mise a passeggiare in giro, constatando che nemmeno lì era cambiato molto, eccetto qualche nuovo oggetto alieno lasciato in giro, un computer nuovo di Tosh, fogli di carta e cose così. Persino nel suo ufficio le cose erano rimaste come erano. Chissà se qualcuno lo aveva usato, magari Gwen. Ma ne dubitava.

Scese al piano inferiore e si scontrò con la macchina del caffè, pulita e lucidata.
Ianto…
Il suo cuore accelerò immediatamente i battiti al pensiero del ragazzo. Come avrebbe fatto a spiegargli? Come si sarebbe giustificato con lui? E, soprattutto, stava bene?
Gli venne da piangere, ma si trattenne.
Era contento di essere tornato a casa, ma aveva anche paura e questa era una sensazione nuova per il Capitano.

Salì di nuovo al piano superiore e si sedette sul divano, chiudendo gli occhi.

 

Gwen, Tosh e Owen arrivarono insieme alla baia al solito orario ed entrarono subito alla base di Torchwood, attraverso la grande ruota rumorosa. Ma non appena misero piede dentro, capirono che c’era qualcosa di strano, a cominciare dalle luci accese.

Contemporaneamente estrassero le pistole e cominciarono a guardarsi attorno sospettosi, riflettendo su quale fosse il miglior modo per accogliere l’indesiderato visitatore, chiunque esso fosse. Di certo non si aspettavano di trovare Jack addormentato sul divano.

Gwen lo scosse per un braccio piuttosto bruscamente e l’uomo scattò subito a sedere, trovandosi due pistole puntate davanti agli occhi.

“Dannazione! Mettete giù quelle pistole!” ringhiò il Capitano, alzandosi in piedi.

“E perché dovremmo?” fece Gwen in tono scontroso.

“Non vorrete mica spararmi”.

“Servirebbe a qualcosa?” chiese Owen, il capo inclinato da un lato e gli occhi assottigliati a formare due fessure minacciose.

“Certo, non mi aspettavo un bentornato caloroso ma questo mi sembra troppo”. 

Restarono tutti quanti in silenzio per un po’, come riflettendo sul da farsi, ma poi Gwen e Owen misero via le pistole, anche se la mano rimase sull’impugnatura. Infine restarono a fissare il Capitano di fronte a loro, gli sguardi seri e impenetrabili. Solo quello di Tosh sembrava emanare una certa sorpresa.

“Quando sei tornato?” chiese Gwen, questa volta più rilassata ma sempre sull’attenti.

“Poche ore fa”.

“Perché sei tornato?” Questa volta fu Owen a porre la domanda. “Dopo cinque anni, pensavamo che non saresti più tornato”.

“Ecco…”, iniziò Jack senza sapere come continuare. Da dove avrebbe dovuto iniziare? “Io… posso spiegarvi”.

“Già, come hai fatto l’ultima volta”.

Il Capitano stava per aggiungere qualcos’altro, ma qualsiasi parola stesse per pronunciare venne bloccata dal rumore della ruota che girava di nuovo per aprire la porta e lasciar entrare l’ultimo membro della squadra che ancora non era arrivato.
Ianto fece il suo ingresso camminando con passo sicuro, buttando la giacca sul primo attaccapanni che trovò a portata di mano.

“Scusate il ritardo, ho accompagnato Abby a scuola”.

Gli altri rimasero in silenzio, gli occhi rivolti al ragazzo, aspettando solo il momento in cui si sarebbe accorto della presenza di Jack. Il cuore di quest’ultimo batteva all’impazzata. Come avrebbe reagito, si chiedeva.

Anche Ianto salì al piano superiore ma, soltanto quando si accorse dello strano silenzio che regnava nella stanza, alzò lo sguardo sugli amici, bloccandosi sul posto al vedere Jack davanti a lui.
Nessuno disse niente, non una mosca interruppe il silenzio carico di tensione che si era venuto a creare.
Jack non sapeva che fare; avrebbe voluto buttarsi addosso al ragazzo, stringerlo in un abbraccio, baciarlo e dirgli quanto gli dispiaceva, ma non gli sembrava una buona idea, almeno per il momento. Perciò lasciò che fosse l’altro a fare il primo passo.

“Bentornato”, sibilò Ianto. “Spero che il viaggio sia stato… piacevole”. Il suo tono era indifferente, disinteressato. E a Jack fece male. Avrebbe preferito l’odio, la rabbia, qualsiasi altra cosa sarebbe andata meglio dell’indifferenza.

“Ianto…”.

“Vado a fare il caffè. Non l’ho ancora preso stamattina”, lo interruppe il ragazzo, tornando di nuovo al piano inferiore.

Anche gli altri finalmente si decisero a reagire e si allontanarono dal Capitano. Solo Gwen si voltò verso di lui. “Subito nella sala riunioni. Tu ci devi delle spiegazioni”.

 

Quando i quattro membri del Torchwood Tre si radunarono attorno al grande tavolo nella sala riunioni, Jack lasciò vagare lo sguardo su tutti loro, cercando dei segni sui loro volti che gli indicassero che erano veramente passati cinque anni. Perché ancora non riusciva a crederci.
Non erano cambiati molto, nessuno di loro. Gwen aveva solo un nuovo taglio di capelli, non portava più la frangetta.

Ianto distribuì il caffè ai suoi colleghi, ma non a Jack. Non alzò nemmeno lo sguardo su di lui. Il Capitano lo osservò, cercando di capire, cercando di trovare le parole giuste da dire. Perché in fondo era solo di lui che gli importava; non gli interessava che gli altri fossero arrabbiati con lui o che lo odiassero. Solo Ianto contava in quel momento.
Ma Ianto era… distante. Ed era… diverso. Non portava più il completo, ma un semplice paio di jeans e una maglietta. E gli sembrava stanco, affaticato.

“Allora, Jack!” esclamò Gwen, distraendo il Capitano che riportò lo sguardo sulla donna, seduta a capotavola esattamente di fronte a lui. “Attendiamo le spiegazioni”.

“Io…”, iniziò l’uomo, facendo di nuovo scorrere lo sguardo sui presenti. La verità. La verità era sempre la soluzione giusta. “Io ero col Dottore. Stavamo viaggiando, abbiamo visitato diversi posti. Avrebbe dovuto riportarmi indietro al momento in cui sono partito, ma… qualcosa è andato storto”.

“Che cosa?”

“Il Tardis… la sua astronave è rimasta incastrata in un anello temporale. Ci abbiamo impiegato due settimane a uscirne fuori”.

“Due settimane?”

“Due settimane nell’anello… ma cinque anni qui sulla Terra”. Lo sguardo gli cadde di nuovo su Ianto il quale continuava a tenere gli occhi fissi sul tavolo le labbra serrate, la schiena appoggiata allo schienale.

“E non potevi mandarci un messaggio o qualche segnale? Tanto per capire se stavi bene o che non ti eri scordato di noi”.

“Ogni comunicazione era interrotta. Non potevamo parlare con nessuno. Mi è già capitato una volta, con John Hart. Ma credetemi, col Dottore è persino peggio. Non fa che lamentarsi”. Jack piegò le labbra in un sorriso cercando di sdrammatizzare, ma non sortì alcun effetto. “Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto. Non avrei mai voluto che succedesse”.

Dopo le sue parole, nella stanza calò il silenzio. Da quel momento in poi, Jack era sicuro che avrebbe odiato il silenzio. Forse loro aspettavano che aggiungesse qualcos’altro, ma lui non sapeva più che altro dire. Quella era in sostanza tutta la storia: due settimane bloccato nel Tardis col Dottore e avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e non essere mai partito.

A un certo punto lo stridio di una sedia che graffia sul pavimento sbloccò la situazione e Ianto si alzò in piedi.

“Scusate, ho un sacco di scartoffie da mettere in ordine”, disse, uscendo dalla stanza a passo spedito, senza guardare nessuno. Subito dopo venne seguito anche da Tosh e Owen.

“Ho un corpo da dissezionare”, mormorò il medico.

“Io devo controllare delle cose al computer”.

Solo Gwen rimase ancora lì insieme a Jack. Aspettò qualche istante, però, prima di alzarsi anche lei e dirigersi verso il Capitano. Restò a guardarlo per un po’, con quei suoi occhi scuri ma vispi e dopo, con un incredibile slancio, buttò le braccia attorno al collo dell’uomo e lo abbracciò forte. Jack aveva pensato che gli avrebbe dato uno schiaffo oppure un pugno ed era già pronto a incassare.

“Mi sei mancato, Jack”, gli sussurrò all’orecchio, affondando il viso nell’incavo del suo collo e inspirandone l’odore, quei famosi feromoni del cinquantunesimo secolo.

“Anche voi mi siete mancati. Tutti quanti”.

Si staccarono e Gwen gli sorrise. “Sono comunque ancora arrabbiata con te”.

“Lo capisco”.

Esitarono.

“Come sta Rhys?”

“Sta bene. In fondo, non è cambiato molto qui dentro. Le nostre vite sono sempre le stesse”.

“Sono contento che stiate bene”.

“Ce la siamo vista brutta”.

“Ma ve la siete cavata alla grande”.

“Sì, direi di sì”.

Lasciarono che di nuovo il silenzio li avvolgesse, senza sapere più che dirsi. Jack era contento di avere almeno Gwen su cui poter contare. La donna dal canto suo era contenta di rivedere il Capitano; loro quattro se l’erano cavata bene, però si era sentita molto la mancanza dell’uomo. Cinque anni erano tanti. Ma non aveva la più pallida idea se le cose sarebbero tornate come prima oppure no. L’ultima volta che era sparito così era stato via solo un paio di mesi, ma adesso… adesso tante cose erano cambiate, loro erano cambiati e in fondo, per quanto ognuno di loro fosse bravo nel suo lavoro, addestrato e allenato, erano stati lasciati senza una bussola, senza una guida.
Nessuno di loro lo avrebbe ammesso, ma Jack contava molto nel team.

“Dagli tempo”, sbottò Gwen a un tratto. “A Ianto”, aggiunse, notando il sopracciglio alzato del Capitano di fronte a lei. “Parlagli, ma dagli tempo. Col tempo forse le cose tra di voi si sistemeranno”.

Non gli sembrava molto convinta delle sue parole e nemmeno Jack lo era. Ianto lo avrebbe mai perdonato?
Non ne aveva idea ma ci avrebbe provato, a farsi perdonare. Perciò disse a Gwen di mettersi al lavoro, di fare quello che doveva fare e lui corse giù per le scale diretto agli archivi, dove sapeva avrebbe trovato il giovane gallese.
Infatti, non appena aprì la porta, vide Ianto impegnato vicino ad un tavolo a riordinare alcuni fogli.

Gli si avvicinò silenziosamente e restò a guardarlo per un po’, indeciso su come annunciarsi.

“Che cosa vuoi?” gli arrivò la voce forte e glaciale del giovane che gli stava dando le spalle.

“Ianto…”. Prese un respiro profondo. “Ti trovo bene”.

Idiota! Non lo trovava bene affatto.

Ianto non rispose.

“Stai bene anche in jeans, comunque. Come mai niente completo?”

“Si sono rovinati tutto. Me ne è rimasto uno solo che conservo per il mio funerale”.

Jack si sentì stringere il cuore e lo stomaco. In realtà si sentì stringere tutti gli organi interni. Non avrebbe saputo dire se gli avesse dato più fastidio la frase che Ianto aveva detto o il tono con cui l’aveva detta. Probabilmente tutte e due.
Gli si avvicinò di più da dietro le spalle e gli poggiò una mano sul fianco. Il ragazzo si scostò bruscamente.

“Jack, ho del lavoro da fare”.

“Mi dispiace”, pronunciò il Capitano guardandosi i piedi. “Mi dispiace davvero tanto, Ianto”. Vide il ragazzo irrigidirsi e stringere in mano un foglio.

“Tutto qui quello che hai da dirmi?”

“Davvero, Ianto. Se ci fosse un modo, anzi, se ci fossero mille modi per farmi perdonare, per riuscire a rimediare a quello che ho fatto ti giuro che li userei tutti. Io non volevo che succedesse…”.

“Però è successo. E immagino che tu non possa riportare indietro il tempo, Jack”.

Il Capitano tremò al sentir pronunciare il suo nome in quel tono così rabbioso e per di più da una delle bocche che amava di più al mondo.
Ma la frase detta da Ianto sembrava dannatamente ironica in quel contesto. Uno pensa che avere una macchina del tempo renda tutto più facile, invece non è così. Ci sono comunque tantissime regole che se non vengono rispettate potrebbero causare grossi danni irreparabili, linee del tempo che si cancellano e punti fissi nel tempo e nello spazio che sballano tutto.

“Spero tu ti sia divertito con il Dottore. Cinque anni è tanto tempo, immagino tu non l’abbia sprecato”.

“Per me sono state due settimane…”.

“E per me sono stati cinque anni, dannazione!” Finalmente Ianto alzò il capo su Jack, puntandogli davanti i suoi occhi azzurri in quel momento pieni di rabbia e furore. “Cinque anni in cui…”. Abbassò di nuovo lo sguardo e sospirò. “Lasciamo perdere”.

Ianto chiuse con forza un fascicolo e  si rimise a sistemare le carte.

“Lo so che sei arrabbiato con me e va bene, non ti biasimo. Nei hai tutto il diritto. Però… vorrei sapere del bambino. Ti prego, almeno questo”.

“Non c’è nessun bambino”.

A Jack venne un colpo e per una frazione di secondo gli sembrò che la stanza avesse preso a girare.

“Che… che cosa intendi?”

“Non c’è nessun bambino, Jack. È una bambina”.

“E come si chiama?”

“Abigail. L’ho chiamata Abigail, come mia madre”.

“E’ un bel nome”.

“Sì, lo è. E lei è una bambina bellissima”.

“Avrà preso da te”.

“Immagino di sì. Ma non voglio parlarne ora”.

Una bambina. E così avevano avuto una bambina. In altre circostanze Jack ne sarebbe stato felicissimo. Si era immaginato molte volte la sua nascita, quanto sarebbe stato felice vedendola per la prima volta, come l’avrebbero cresciuta e tutto il resto. Ma questo era stato prima,  prima di quei fottuti cinque anni.
Adesso… adesso non aveva la più pallida idea di come comportarsi. Voleva essere felice, felice perché aveva avuto una bambina, felice perché era tornato, felice perché poteva avere di nuovo Ianto con sé. E invece non ci riusciva.

“D’accordo, ti lascio lavorare”.

E uscì. Si sentiva tremendamente vigliacco e stupido.

Andò da Owen. Il dottore era impegnato a dissezionare uno strano corpo scuro, viscido che emanava un odore piuttosto sgradevole.

“Wow! Cos’è?”

“Non ne ho la minima idea. L’ha trovato Gwen due giorni fa in una discarica. Emanava una forte energia aliena, così per sicurezza controllo di che sostanze è composto”, spiegò il ragazzo, senza distogliere l’attenzione dal suo lavoro. Almeno lui sembrava avere voglia di parlare.

“Senti, Owen…”.

“Che c’è, Jack?”

“Potresti dirmi qualcosa di Abigail? Intendo, di quando è nata? Com’è… andata?”

“Non dovresti chiederlo a Ianto?”

“Non mi vuole parlare”.

“Puoi forse biasimarlo?”

“Ti prego, Owen”. Aveva perso il conto di quante volte aveva detto ti prego in quell’ultima mezz’ora.

Owen posò lo sguardo sul Capitano e si sentì sciogliere; quello che aveva davanti non era il solito Jack, spavaldo e sicuro di sé. Era un Jack quasi disperato, che non sapeva più che fare.

“La gravidanza era andata bene e quando è arrivato il momento di farla nascere l’ho tirata fuori senza alcun problema. Era una bambina bellissima, perfettamente in salute, anche se non completamente umana”.

Ma, c’era un ma sulla punta della lingua di Owen ed era quello a spaventare il Capitano.

“Ianto, invece… Ianto ha avuto un’emorragia. L’ho dovuto aprire per bloccarla e non avevo molti mezzi a disposizione. L’ho salvato per miracolo”.

Jack dovette sedersi, così si lasciò cadere sui gradini di ferro cercando di non far notare che stava tremando. “Grazie”.

“Non ringraziarmi. Il guaio è che ora Ianto non potrà più avere bambini. Né da te né da nessun altro”.

C’era qualcosa che avrebbe potuto farlo stare peggio di come stava in quel momento? Probabilmente no.
Ianto doveva averne passate tante e lui non c’era. Non c’era nel momento più importante della sua vita, delle loro vite.
Non sarebbe mai dovuto entrare dentro il Tardis. O forse non sarebbe mai dovuto tornare.

 

La mattinata trascorse tranquilla per Torchwood, ognuno lavorò per conto proprio e tutti furono molto silenziosi.
Jack rimase chiuso nel suo ufficio per tutto il tempo, constatando che lì niente era cambiato, nessuno aveva toccato niente. Infatti, c’era parecchia polvere.
Ianto quasi non uscì dagli archivi, ma tutti sapevano che voleva soltanto evitare Jack. Verso l’ora di pranzo si decise a lasciare il lavoro che stava facendo per andare a sbrigare qualcosa di molto importante, ma non disse cosa e Jack non fece altro che chiederselo. Almeno fino a quando il ragazzo non si ripresentò dopo un’ora, in compagnia.

Il Capitano voleva andare a controllare le celle, per vedere se ci fossero ancora i Weevil o qualche altra creatura, quando si imbatté in un paio di grandissimi occhi chiari che restarono a guardarlo per qualche istante, come se avessero di fronte a sé una strana creatura. Appartenevano a una bambina piuttosto minuta ma molto graziosa, con i capelli scuri raccolte in due lunghe trecce.

“Ciao”, lo salutò lei.

“Ciao”, rispose Jack, abbassandosi alla sua altezza.

“Io sono Abigail. Tu chi sei?”

Jack per poco non si sentì mancare.
Abigail… quella era Abigail. La sua bambina.

“Io sono Jack”.

“Io ti ho già visto”.

“Davvero?”

“Sì, in una foto di papà”.

“Abby, tesoro!” la voce di Ianto li distrasse entrambi e la bambina si voltò verso il fondo della stanza. “Vieni a finire i compiti”.

Abigail corse via, lasciando Jack completamente spiazzato. Voleva piangere. Aveva un’incredibile voglia di piangere.
Ma non poteva farlo.


MILLY'S SPACE

Sì, sono una cattiva persona. Sia per non aver aggiornato per così tanto tempo sia per quello che ho fatto succedere in questo capitolo. Avete il permesso di lanciarmi addosso la verdura *apre ombrello*.
Sono stata veramente molto impegnata in questo periodo, voi non ci crederete neanche. Ma non ho intenzione di propinarvi le solite scuse che tanto non vi interessano ^^.
Parliamo solo di cose serie. 
Perciò... che posso dire? Così è andata e così doveva andare. Possiamo considerare questo capitolo come l'inizio di una seconda parte della storia, una seconda fase. Siete curiosi di sapere come andrà a finire? Be', continuate a seguirmi.
Ma, cosa più importante, lasciatemi qualche recensione. Ho bisogno di conoscere le vostre opinioni.
Un bacione,
Milly.

LORIE_LIESMITH: mi dispiace, a quanto pare le cose non sono andate come avevi immaginato tu. Per quanto riguarda i viaggi col Dottore, ne saprai qualcosa nei prossimi capitoli. Intanto, spero ti sia piaciuto questo e spero che tu non ti sia dimenticata della storia.
Un grosso abbraccio. M.

P.S. non ho riletto il capitolo perché è davvero molto tardi e sono stanchissima, ma ci tenevo ad aggiornare. Quindi, se c'è qualche errore segnalatemelo pure.
  
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