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Autore: ThorinOakenshield    28/12/2014    5 recensioni
Che dire? Innanzitutto che non si tratta di uno slash! Questa è una storia a capitoli sul rapporto di amicizia che intercorre tra Bilbo e Thorin.
Mi sono presa molte licenze ed è la prima fanfiction che scrivo, quindi siate clementi! xD
Allora, le vicende si svolgono dopo la Battaglia dei Cinque Eserciti e Thorin ha ottenuto il suo titolo di Re sotto la Montagna; Bilbo si è talmente affezionato ai nani che ha deciso di passare le vacanze a Erebor. Tutti i suoi amici sono entusiasti di questa decisione e, tra l'incoronazione di Thorin e vari festini, saranno tutti euforici e persi nella gioia del momento, ma qualcosa di terribile romperà l'incanto...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per sempre nel mio cuore
Thorin si ricordava perfettamente come si era sentito quando Azog, dinanzi a lui, aveva decapitato suo nonno, lanciando la testa ai suoi piedi come se non fosse stata altro che una palla da gioco. Ecco, in questo momento il Re sotto la Montagna si sentiva allo stesso modo, mentre Bilbo lo guardava inespressivo.
Non si ricorda di me! pensò allarmato Thorin, scuotendo la testa e guardando disperato il suo migliore amico. Non gli dico niente!
Lo hobbit continuava a guardarlo confuso, la sua testa stava scoppiando: che voleva quel tipo da lui? Non ci stava capendo niente! Per Bilbo tutto era iniziato su quel letto, dopo quel lungo sogno che non riusciva più a ricordare.
Il nano non riusciva a sopportare questa situazione, così scappò fuori dalla camera e si mise davanti alla porta. Inspirò ed espirò profondamente, cercando di mantenere la mente lucida.
Va bene, Bilbo non si ricorda di me. Ha perso la memoria. Non mi basterà altro che andare da Bes e… Thorin venne aggredito da un attacco di rabbia, prese a calci una pietra e lacrime calde gli caddero lungo il viso. Adesso non ce la faceva più veramente. Tutto andava male nella sua vita e Bes non sarebbe sicuramente riuscito a far tornare la memoria a Bilbo. Il Re sotto la Montagna pensava che era già tanto se era riuscito a riprendersi Erebor, probabilmente c’era un prezzo da pagare per questo: lo scassinatore, il suo scassinatore.
I deliri mentali di Thorin Scudodiquercia finirono non appena egli sentì singhiozzare dietro alla porta.
Bilbo stava piangendo.
Il nano sentì il suo cuore spezzarsi e, udendo quei lamenti, ebbe ancora più voglia di lasciarsi andare ad un pianto disperato.
Va bene, vita, ho capito che ce l’hai con me… ma lui non ti ha fatto niente! Ti prego, risparmialo!
Thorin si precipitò in camera e si fermò sull’uscio: lo hobbit era piegato in due sul letto, in preda ai singulti. Il suo faccino era tutto rosso dal pianto e si vedeva che non ce la faceva più, perdere la memoria è una cosa seria. Doveva essere molto ma molto difficile per lui.
Il Re sotto la Montagna corse ad abbracciare Bilbo. Egli si abbandonò fra le sue braccia e pianse con la faccia schiacciata su quel petto solido e muscoloso.
Thorin accarezzava lentamente la schiena del suo piccolo amico, mormorandogli all’orecchio: “Shh, passerà tutto Bilbo, passerà tutto, vedrai…”
Gli sto mentendo ancora una volta, si disse il nano, non riesco ad immaginare che questo tormento finirà.
“P… perché mi chiami con quel nome?” mugolò il signor Baggins, senza smettere di piangere e stando attaccato a lui. “Forse è il mio nome. Ma io non lo so, vedi, NON MI RICORDO NIENTE! MI RICORDO SOLO DI ESSERMI SVEGLIATO SU QUESTO DANNATISSIMO LETTO! NON SO CHI SONO, NON SO CHI…” Venne assalito da un attacco di panico e cominciò a gridare e a piangere più forte, ripetendo in continuazione: Non so chi sono.
Thorin lo strinse più forte e cercò di tranquillizzarlo, ma lo hobbit continuava ad agitarsi fra le sue braccia, gridando come un indemoniato. Non l’aveva mai visto così, neanche quando lui stava per morire ferito da Azog, Bilbo aveva sempre mantenuto il controllo.
Una lacrima uscì dall’occhio azzurro del Re, il quale cercò di trattenersi. Doveva essere forte per lui. Prese il suo amico per le spalle e lo costrinse a guardarlo. “Ehi,” sibilò con voce roca e bassa, “guardarmi.”
Lo hobbit alzò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi erano arrossati come la faccia.
“Devi ascoltarmi, io posso dirti tutto, so tutto. Ma tu devi stare calmo e darmi ascolto, va bene?” gli disse dolcemente Thorin. Era agitato, ma non lo diede a vedere.
Bilbo annuì tremando. Non conosceva quel tipo e non sapeva se poteva fidarsi, ma non aveva altra scelta, doveva vederci chiaro in quella faccenda.
“Tu sei un mio caro amico che viene da molto, molto lontano. Abbiamo viaggiato insieme e, durante una battaglia, sei stato ferito. Hai dormito per giorni e giorni ed ora che ti sei risvegliato hai perso la memoria, è l’effetto del veleno degli orchi.”
“Veleno?”
“Sì, veleno. Ma presto passerà tutto, ti porterò dal miglior medico della Montagna, lui troverà certamente un modo per farti tornare la memoria.”
Il signor Baggins non aveva smesso per un secondo di piangere, tuttavia ora era più calmo. Stava pensando. Negli occhi azzurri di quel nano leggeva onestà, probabilmente non gli stava mentendo e, non sapeva perché, ma gli ispirava fiducia. Decise di abbandonarsi a lui, sentiva che era la sua unica ancora di salvezza in quei giorni bui.
“Va bene” sussurrò lo hobbit, a testa bassa.
Thorin lo guardò con tristezza, dopodiché gli diede una leggera pacca sulla spalla.

Bes non era ancora arrivato e Thorin, Bilbo e gli altri nani lo stavano attendendo fuori dalla porta del suo studio.
Il signor Baggins si sentiva leggermente a disagio in mezzo a tutti quei nani che lo fissavano come se lo conoscessero da anni, non sapeva come comportarsi. Tutti loro sapevano chi era lui, e lui non aveva la minima idea di chi fossero loro e lo conoscevano meglio di quanto si conoscesse lui stesso.
Thorin capì come si stesse sentendo il suo amico e sperò che il dottore arrivasse presto.
“Ma veramente non ti ricordi nulla?” Kili interruppe il silenzio.
Suo zio lo guardò eloquente. “Kili, per favore…” Già prima era andato in escandescenze per questo fatto.
Il giovane nano non gli diede ascolto e, nonostante i tentativi di suo fratello e degli altri nani di tenerlo fermo, egli andò da Bilbo e lo prese per le spalle. “Veramente non ti ricordi di quando siamo venuti per la prima volta a Casa Baggins? Di quando ti abbiamo ridotto il bagno in quello stato? E della canzone che abbiamo cantato mentre ti mettevamo a posto la cucina? E tutti gli ostacoli che abbiamo attraversato per arrivare fin qui? Com’è possibile che di tutto ciò non sia rimasto niente?!” gridò furioso, piangendo dalla rabbia. Aveva ereditato quel lato del carattere da suo zio Thorin, quel lato rabbioso e impulsivo. Neanche lui riusciva ad accettare tutto questo e gli dava fastidio il fatto che tutto dovesse sempre e costantemente andare alla cavolo di cane.
Bilbo stava guardando Kili smarrito, mentre lui continuava a scuoterlo per le spalle.
Il Re sotto la Montagna portò via suo nipote dallo hobbit. “Smettila, Kili! Ti ho già detto che non si ricorda niente, vediamo ora cosa dice il dottore. Lascialo in pace, nel frattempo” lo sgridò seccamente.
Il giovane nano trattenne le lacrime ed evitò lo sguardo severo di suo zio.
“Che succede qui?” La voce di Bes fece voltare tutte le teste dei nani dall’altra parte.
Il dottore di Erebor era appena giunto assieme a Gandalf. Quest’ultimo non riuscì a trattenere il suo entusiasmo non appena vide Bilbo.
“Bilbo!” esclamò sgranando gli occhi. Il suo sorriso andava da un'orecchia all'altra. Si avvicinò a lui. “Amico mio! Non sono mai stato così contento di vedere qualcuno in vita mia!”
Thorin fece un passo avanti e lo fermò con un gesto della mano. “Aspetta Gandalf, è presto per gioire.”

Dopo aver avuto un colloquio accurato con Bes, Bilbo fu rilasciato e il dottore volle parlare in privato con Thorin e Gandalf nel suo studio.
Il nano aveva le mani nei capelli, mentre il Re e lo stregone lo guardavano ansiosi.
“Be’? Allora?” scattò Thorin.
Il medico si riprese e finalmente parlò: “Il signor Baggins mi ha detto che voi gli avete raccontato qualcosa del suo passato.”
“Sì, e ho intenzione di dirgli altr…”
“Male” lo interruppe categorico Bes. “Non bisogna mai parlare a qualcuno che ha perso la memoria del suo passato.”
“E perché no?” gli chiese Scudodiquercia, leggermente seccato.
“Perché così gli confondereste ancora di più le idee.”
“Cosa consigliate di fare, allora?” gli domandò invece Gandalf.
“Consiglio di passare un po’ di tempo con lui, fargli vedere posti che ha già attraversato, fargli fare esperienze che ha già vissuto in modo tale che la memoria, piano piano, ritorni. Nel frattempo seguirà delle terapie.”
“Francamente, Bes, c’è una vaga, vaghissima possibilità che Bilbo recuperi la memoria?” Thorin Scudodiquercia lo guardò con le braccia conserte, più serio del solito. “E siate sincero.”
Il dottore ci mise un po’ per rispondere, dal suo sguardo già si capiva che la guarigione sarebbe stata ardua e il Re sotto la Montagna non riuscì a trattenere un sorrisino amaro. “Sì, ma molto vaga” ammise a testa bassa. “L’unica cosa da fare è seguire le istruzioni che vi ho dato e sperare per il meglio.”
Thorin e Gandalf si guardarono allarmati, ma non intenzionati ad arrendersi, proprio ora che avevano recuperato il loro scassinatore non se lo sarebbero lasciato scappare di nuovo.

Bilbo stava percorrendo da solo le ampie sale di Erebor. Accarezzò le colonne e le guardò rapito. I nani, esseri così piccoli e apparentemente insignificanti, erano capaci di costruire tali immensità. Tanto di cappello.
L’entusiasmo dello hobbit per quel posto si spense non appena si rese conto che non aveva idea di dove si trovasse, non ricordava niente di quelle sale mentre, forse, le aveva percorse per anni e anni.
“Bella Erebor, no?” Una voce profonda proveniente dal fondo della sala fece sussultare il signor Baggins sul posto. Si voltò tremando e deglutì non appena vide il grande Thorin Scudodiquercia con la schiena rilassata contro una colonna. Lo stava guardando con le braccia incrociate e un mezzo sorriso.
Quel nano, non sapeva perché, lo faceva sempre sentire in soggezione, eppure, al contempo, gli dava un misterioso senso di protezione. L’unica cosa della quale era certo è che, ogni volta che c’era lui, si sentiva improvvisamente felice e sollevato.
Il piccolo hobbit gli sorrise sinceramente e rispose balbettando: “Sì, ehm, molto. Erebor, è così che si chiama?”
“Sì,” disse Thorin avanzando verso di lui, “è casa mia.”
“Oh.” Bilbo non riuscì a dire altro non appena si ritrovò il Re a un soffio dal suo viso.
“Bes, il dottore, ha detto che sarebbe opportuno che tu segua delle terapie, potrebbero aiutarti a recuperare la memoria.”
“Ha detto altro?”
“Sì. Ha detto anche che dovresti percorrere luoghi che hai già percorso, fare esperienze che hai già fatto e frequentare persone che hai già frequentato.”
“Intanto tu potresti darmi informazioni sul mio passato?” gli chiese supplichevole lo hobbit. Chinò il capo. “Non mi ricordo niente di niente, magari se mi dicessi qualcosa i ricordi potrebbero riaffiorare.”
Thorin scosse la testa. “No,” rispose, “il dottore è stato categorico: questo potrebbe confonderti ancora di più le idee.”
“Il fatto è che ho percorso queste sale, ma non mi dicono niente. Purtroppo non riesco a ricordare" mugolò sconfitto Bilbo.
“È logico che non te le ricordi, hai passato poco tempo qui.”
All’improvviso un’idea andò a crearsi nella mente del Re sotto la Montagna, ma era troppo presto per metterla in atto, doveva pensarci ancora un po’ su.
Nel frattempo c’è qualcos’altro che potrei fare, pensò e, contemporaneamente, tirò fuori una ghianda dalla tasca della casacca. La strinse in un pugno, nascondendola a Bilbo che lo guardò smarrito, chiedendosi cos’avesse preso.
Thorin gli sorrise. “Ciò che sto per mostrarti è una cosa che una persona mi diede poco tempo fa, in un momento un po’ critico.” Aprì la mano e, nel palmo, rivelò la ghianda.
Lo hobbit la guardò e sorrise come sorride un bambino quando gli viene offerta una torta al cioccolato con le fragole sopra.
“Una ghianda” squittì.
Thorin gli sorrise commosso e addolcito: quel sorriso dolce come il miele gli era mancato tanto e pensava che non l’avrebbe mai più rivisto sul volto del signor Baggins. “Eh sì,” annuì, “ti dice niente?”
Piano piano, il sorriso sul volto dello hobbit, si spense. “No…” mugolò disperato.
Anche Thorin smise di sorridere e abbassò le spalle, abbattuto. Sospirò. Successivamente mise la ghianda in mano al suo amico. “Puoi tenerla. Guardala ogni giorno, così magari col tempo ti ricorderai di me.”
Il suo piccolo ma grande amico osservò la ghianda posata sul palmo della sua mano. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare, però era l’unica cosa che aveva che apparteneva alla sua vita. La strinse sul cuore e decise che ne avrebbe fatto tesoro. Chiuse gli occhi.
“Adesso andiamo da Oin che ti preparerà un bel tè verde, il dottore ha detto che è efficacie contro la perdita di memoria.” Thorin gli cinse le spalle e lo costrinse ad avanzare.
Bilbo non si ricordava del giorno in cui gli aveva dato la ghianda, ma il nano lo rammentava perfettamente.

Se ne stava seduto solo in uno dei tanti spazi desolati di Erebor. Aveva numerosi pensieri per la testa: ritornare a casa, il trasporto della sua quattordicesima parte ma, soprattutto, l’Arkengemma. Il Cuore della Montagna si trovava proprio nella sua tasca e sarebbero stati guai se Thorin l’avesse trovata. A Bilbo non importava il fatto che il nano l’avrebbe ucciso, l’unica cosa che lo preoccupava era che il suo amico sarebbe caduto nella dannazione più totale e forse mai più sarebbe tornato l’eroe che era un tempo. Le parole di Balin lo avevano allarmato moltissimo.
Lo hobbit mise la mano in tasca e tirò fuori qualcosa.
“Che cos’hai in mano?” Una voce rabbiosa e profonda gli bloccò il cuore in gola. Si voltò: Thorin stava avanzando freneticamente verso di lui.
Il signor Baggins si alzò e si affrettò a dire: “Non ho niente.”
Scudodiquercia lo guardò diffidente e gli ordinò ostinato: “Mostrami.”
Lo sguardo truce del nano divenne perplesso non appena vide la ghianda sul palmo della mano dello scassinatore.
“L’ho presa nel giardino di Beorn” gli spiegò il suo amico.
Thorin gli sorrise commosso. “E l’hai portata fino a qui…” mormorò.
“La pianterò nel mio giardino, a casa Baggins.”
“Un misero premio, da portare nella Contea” commentò Thorin. Intendeva dire che il signor Baggins si meritava qualcosa di cento volte più prezioso di una misera ghianda, per i servigi che aveva fatto a lui e al resto della Compagnia.
“La pianterò nel mio giardino e ogni volta che la vedrò crescere ricorderò. Ricorderò il bello, il brutto, il bene, il male, chi è sopravvissuto e chi no… E mi ricorderò anche di te” disse Bilbo, sorridendogli.
Thorin ricambiò il sorriso.
Rimasero così, a sorridersi l’un l’altro, tenendo a bada le tenebre con la loro amicizia.
“Puoi tenerla, se vuoi.” Improvvisamente lo hobbit gliela mise in mano.
“No Bilbo, è tua, ti serve per ricordare, veramente…”
“Bubbole” lo interruppe lo hobbit. “Non mi serve di certo una ghianda per ricordarmi di te. Sarai per sempre nel mio cuore.”
   
 
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