Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
Ricorda la storia  |      
Autore: madelifje    28/12/2014    5 recensioni
Fondamentalmente Willow Reed non aveva mai sopportato Giselle Dawson. Ragion per cui odiava particolarmente essere in debito con lei.
***
Missing Moment ambientato prima, dopo e durante Invisible.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




LIKE REAL PEOPLE DO
 
 
 
Una storia che dovevo scrivere
 
 
 
Luglio 2010
Fondamentalmente Willow Reed non sopportava Giselle Dawson. Si erano conosciute tramite Ali nell’estate dopo la terza media, quando Willow aveva accarezzato per qualche tempo l’idea di lasciare la scuola privata. Grazie a dio poi era rinsavita.
Giselle Dawson possedeva un carattere con cui Willow non sarebbe mai potuta andare d’accordo. Era la finta santarellina di turno, quella che dà buoni consigli all’umanità mentre lei stessa è nel bel mezzo di una qualche azione illegale. Ovviamente alle medie il concetto di illegalità era abbastanza relativo, ma Willow giurava sul suo cane che lei, certe cose, non le avrebbe mai fatte.
Nell’agosto del 2009, Ali trascinò Willow al fiume. La finta bionda le aspettava lì.
«Questa è Willow» annunciò Ali, «ti ho parlato un sacco di lei.»
«Sì, è assurdo conoscersi solo adesso. Piacere, Giselle.» Aveva una bella voce, di quelle con quel timbro particolare che difficilmente si dimenticano. Le aveva stretto vigorosamente una mano, facendo tintinnare le campanelle dei suoi stupidi braccialetti. Willow notò per la prima volta il suo abbigliamento… eccentrico: t-shirt hippie, multicolore, probabilmente se l’era fatta da sola; jeans strappati sulle ginocchia, collana con l’ohm e una moneta europea, di quelle bucate; All-Star verde marcio con dei motivi etnici fatti a mano. Il  gusto estetico di Willow all’epoca era ancora in fase sperimentale, ma perfino lei arrivava a capire che gli anni Novanta erano passati da un pezzo – per fortuna. Con l’età quella tizia avrebbe solo potuto peggiorare, poco ma sicuro.
Infatti.
 
 
Al liceo, Giselle, Ali e quel Vincent erano entrati nel gruppo dei finti alternativi. La feccia, secondo Willow. Se Ali Crawford non fosse stata Ali Crawford, probabilmente avrebbe smesso di rivolgerle la parola.
A volte uscivano in tre. Dopotutto, Giselle era la migliore amica di Ali. Giselle. Quella sottospecie di hippie mancata, il cui scopo nella vita sembrava essere quello di trovare il classico bello e dannato molto più grande di lei e sposarsi. La migliore amica di Ali. No, Willow non era gelosa. Non credeva in quel genere di cose: i migliori amici non esistono. Ali poteva fare proprio quel cazzo che voleva. Solo che, andiamo, avrebbe potuto scegliersene una più simpatica. Willow era abbastanza sicura che nemmeno Giselle avesse una grande opinione di lei, ma non lo diede mai a vedere.

Successe a luglio del 2010. Vacanze estive, sole, progetti, valige, libri di scuola abbandonati in un angolo. Ali e tutti i suoi amici erano partiti, Willow detestava sentirsi così sola. Gli unici rimasti a casa stavano 24/7 col il/la partner e lei di fare il terzo incomodo proprio non aveva voglia. Willow era single. Non aveva ancora dato il primo bacio e la cosa non le pesava per niente. Aveva tutta la vita davanti. Il fatto che i suoi amici si comportassero come se fossero sposati, quello che le dava fastidio. Così, in un pomeriggio di pura follia, chiese a Giselle Dawson di uscire.
Faceva un caldo infernale. I sandali alla schiava in pelle stavano logorando i piedi di Willow, che iniziava seriamente a pensare che il karma si stesse vendicando contro di lei. Eppure non aveva fatto niente di male – se non contiamo la maglietta azzurrina di sua sorella messa in lavatrice coi capi scuri, ma mica l’aveva fatto apposta.
Eppure eccola lì, con i piedi che imploravano pietà e Giselle Dawson che non la smetteva di parlare. Odiava quando saltava fuori il nome di Ali e le sembrava che l’altra se ne rendesse conto: cambiava quasi subito discorso. Willow si chiedeva da dove le venissero tutti quegli spunti, lei si sarebbe sicuramente ridotta a parlare del surriscaldamento globale.
A metà di un discorso sul concerto dei Kings of leon – mai sentiti prima – Willow fu attraversata da uno strano pensiero. Non riusciva a immaginarsi Giselle Dawson da vecchia. Le capitava spesso, cercare di vedere le persone più vecchie di venti o trenta anni, ma con Giselle non ce la faceva. Viveva troppo alla giornata, aveva troppi progetti irrealizzabili e la testa costantemente sulle nuvole, per non parlare di una concezione assurdamente ingenua della vita. Era inutile, Willow non riusciva a vedersela a quarant’anni.

(Questi pensieri le sarebbero venuti in mente qualche mese dopo, mentre comprava il primo vestito nero sobrio della sua vita)

Alla fine di quel pomeriggio-calvario, Giselle aveva pensato bene di uscirsene con una delle sue frasi enigmatiche.
«Ehi Willow.»
«Hm?»
«Sai cosa dovresti fare?» Era una domanda retorica. «Smettere di avere così maledettamente paura.»
All’epoca Willow non aveva capito. «Paura di che?»
Un sorriso insopportabile fu l’unica risposta che ricevette.


 
~~~
 



Ottobre 2010
A quanto pareva Giselle Dawson si era fidanzata e il suo tipo aveva tendenze da stalker. Prevedibile. Ali ne parlava come se quelli fossero i veri problemi della vita. Erano al 21, erano passati mesi e Willow ancora si chiedeva di cosa avesse paura. Qualcuno doveva dire a quell’hippie mancata di smettere di giocare alla psicologa. Rischiava di farla diventare pazza.
Era ancora single. Aveva provato a lanciarsi in una relazione, per poi boicottarla perché “tanto l’unica coinvolta ero io”. Ali minacciava ancora di tirarle addosso qualcosa. Lei non ci stava male, non gliene fregava niente di queste cose.
«Che cosa fai ad Halloween?» buttò lì. Gli occhi grigi di Ali si illuminarono. Finì la cedrata in un sorso – come diavolo faceva a bere quella roba? – e iniziò ad armeggiare col cellulare.
«Io e Gis ci vestiamo a tema Harry Potter. Vedi? Pensavo a una cosa del genere…» Le mostrò una foto. Da sfigati, secondo la modesta opinione di Willow. «Se vuoi vieni. Se non è troppo degradante per te.» Rise a malincuore, condividendo con Ali un sorriso complice. «Pensavo che questi eventi sociali non fossero per Ali Crawford.»
«Ehi, qui c’è di mezzo Harry Potter. E poi Nathan ha degli impegni al 31. Sarà una delle poche sere in cui potrò stare con Giselle senza di lui.»
Quella che si fece strada nello stomaco di Willow era chiaramente gelosia. Poteva negarlo quanto voleva.
Setacciò la stanza alla ricerca di un divertimento, qualcosa con cui scaricare l’irritazione contro se stessa e Giselle Dawson. Lo trovò.
«Vedi quel biondino là?» Ali seguì la linea del suo sguardo e annuì. «Scommettiamo che riesco a farmi offrire qualcosa?»
Willow Reed non aveva paura di niente.
 

 
~~~
 
 

Febbraio 2011
Willow imprecava. Il cellulare si era appena spento sotto ai suoi occhi, dopo aver esaurito anche l’ultimo briciolo di carica. E adesso come ci tornava, a casa? Avrebbe dovuto camminare, ecco come. Il ragazzo della settimana si era rivelato una noia mortale. Aveva passato tutto il tempo a parlare del gatto di sua nonna – te lo giuro, Ali – e l’idea che a lei potesse servire un passaggio non l’aveva nemmeno sfiorato. Willow non vedeva l’ora di prendere la patente.
A febbraio fa buio presto. Avreste detto che fossero le nove/dieci di sera, invece erano appena le sette e un quarto. Faceva un freddo cane e lei aveva dimenticato la sciarpa a scuola. In più il cellulare non funzionava e sarebbe arrivata in ritardo per la cena. Chi la sentiva, sua madre? La solita sfiga.
A metà strada non si sentiva più né il naso né le dita delle mani. Aveva provato a soffiarci aria calda sopra, ma non funzionava. Probabilmente sua madre non l’avrebbe uccisa, se si fosse trovata davanti una figlia in ipotermia.
Questi erano più o meno i pensieri di Willow prima che sentisse i passi.
In giro non c’era anima viva, solo lei e il cane dell’edicolante. Motivo per cui quei passi di corsa, nel silenzio, rimbombarono come l’eco in una caverna. Sentì salire una sorta di panico – non era il tipo di ritmo da jogging, quello – fino a quando lo sconosciuto non fu abbastanza vicino da essere visibile. E Willow si sarebbe aspettata davvero tutti, tranne Giselle Dawson.
«Giselle? Cristo, ma cosa stai facendo?»
Anche l’altra non era particolarmente entusiasta di vederla. Si fermò a riprendere fiato, piegandosi in avanti e appoggiando le mani sulle ginocchia.
«A te cosa sembra?» boccheggiò. Quella non era una risposta da lei. Assolutamente no. Willow iniziava a preoccuparsi.
«Simpatica. Il tuo ragazzo t’ha mollata?» Capì immediatamente quanto fosse sbagliata quella frase. Giselle smise di ansimare e si rialzò, quasi dolorosamente. «Facciamo che tu non mi chiedi niente e ognuno se ne va per la sua strada.»
«Ok. Però domani dirò ad Ali la mia teoria su quello spacco che hai sul labbro.» Quello, invece, non era da Willow. Da quando in qua faceva la premurosa con qualcuno? Giselle Dawson, per giunta.
«No» scattò subito questa, «Ali no.»
Conoscevano entrambe Ali abbastanza bene da sapere le conseguenze a una simile reazione. Anche Willow sapeva giocare sporco, quando voleva. «Allora vieni a farti un giro» disse.
 
«Dovresti come minimo lasciarlo.»
«È stato un incidente. Solo stavolta. Non è una cosa che fa sempre e io lo amo. Non la lasci, una persona, se la ami.» Era la paranoia di Willow, o quella frase conteneva una marea di frecciatine implicite? «Non ho paura di lui, Willow. All’inizio avevo paura di amarlo. Paura del modo in cui mi trattava, perché era troppo bello e io troppo felice. Mi sembrava quasi sbagliato. La paura di buttarsi è la cosa peggiore.»
Qui Willow si bloccò. «Ok, smettila.»
«Di fare cosa?»
«Lo sai. Smettila.»
«Perché?»
Giselle Dawson era più bassa di lei. Ebbe modo di verificare che il suo naso le arrivava più o meno al mento. La forza che trasudava, però, era il doppio di Willow. «Lo vedi che scappi? Che hai paura?»
«Stavamo parlando di te. Sai com’è, sei tu quella nella relazione malata.»
Era troppo vicina, cazzo. Sentiva il suo fiato sul collo, letteralmente.
«La mia relazione funziona benissimo. Nathan mi ama. Non mi farebbe mai del male.»
Quanto era ingenua, maledizione.
«E quel labbro cos’è? Fa’ un favore a te stessa, apri quei cazzo di occhi.»
Per la prima volta in vita sua era riuscita a muovere qualcosa dentro Giselle Dawson. Aveva dovuto prenderla in uno dei suoi momenti peggiori, ma l’aveva fatto. E, naturalmente, l’altra non gliela poteva far passare liscia.
«Sei solo gelosa. Di me, dei miei amici, di Nathan. Quando lo dirai ad Ali?»
E Willow fece persino l’errore di chiedere «Cosa?»
Fu l’apoteosi, la ciliegina sulla torta.
Non se ne rese conto subito. Mani sulle spalle. Corpo su corpo. Labbra su labbra. La baciò con così tanta violenza che i loro denti di scontrarono, ma Willow non si mosse di un millimetro. Non c’era niente di dolce in quel bacio. Willow non avrebbe mai pensato che si potesse trasmettere così tanta rabbia attraverso un mero bacio a stampo, ma, a quanto pareva, era possibilissimo. Faceva un male cane.
Percepì la mano destra agire di volontà propria, in un riflesso incondizionato, e centrare in pieno la guancia sinistra di Giselle. Ci fu un momento di pausa, in cui il suono dello schiaffo sembrò riecheggiare.
«Lo vedi, di cosa hai paura?» sibilò Giselle.
«Lascialo» fu tutto quello che riuscì a dire Willow.
Rimase sola.
 
 
~~~
 


Marzo 2011
Se sei riuscita a evitare una persona per un mese, non significa che ce la farai per sempre. Willow ci sperava, ma Giselle, un giorno alla fine di marzo, pensò bene di presentarsi fuori dalla sua scuola. Era una situazione assurda, perché Giselle sembrava appena tornata da un concerto punk e la St. Patrick High School era gestita da cattolici. Non fu quello, però, la cosa più scioccante.
Era magrissima. Willow non sopportava più i discorsi preoccupatissimi di un’ignara Ali, ma almeno l’avevano preparata alla vista di Giselle.
 
Ricorderà per tutta la vita quel giorno.
La radio del 21 trasmetteva Iris dei Goo Goo Dolls. C’era odore di torta appena sfornata e faceva abbastanza caldo da togliersi il giubbotto pesante. Sedevano una di fronte all’altra, attente a evitare i rispettivi sguardi, senza sapere bene chi dovesse iniziare a parlare. Alla fine ci pensò Giselle. «Gran bel giorno per morire» disse. Guardava fuori dalla finestra. C’era il sole. Willow non l’aveva nemmeno notato.
«Volevo scusarmi» continuò. E no, Willow non se l’aspettava.
«Quella sera ero arrabbiata per problemi miei e me la sono presa ingiustamente con te. Scusa.» Sembrava un discorso tutt’altro che spontaneo, ma Willow decise di accettare le scuse. Giselle, però, non aveva ancora finito.
«Devi accettarti, Willow. Smetterla di comportarti come se nessuno potrebbe mai amarti. Sei una bella persona.»
Willow non sapeva cosa dire. Fissava le venature del tavolo di legno, chiedendosi come diavolo avesse fatto a finire in quella situazione e perché Giselle si fosse fatta vedere proprio quel giorno. Aveva avuto un mese per metabolizzare il tutto: quel bacio che neanche troppo in fondo le era piaciuto, la costante sensazione di inadeguatezza che finalmente si spiegava, quella marea di sentimenti contrastanti suscitati dalla stessa persona.
«Proprio» sbottò infine, «una persona stupenda.»
Giselle appoggiò qualcosa sul tavolo. Era una foto. Willow sapeva riconoscere l’impronta di Ali, quando la vedeva, e quella foto ne era impregnata. Lo sfondo molto scuro e completamente fuori fuoco, per far risaltare la carnagione pallida del soggetto. Era stata scattata chiaramente contro luce, infatti un’aurea dorata illuminava i contorni della figura femminile, ma senza ridicolizzarla. Già, la figura femminile. Willow Reed. Manco se la ricordava, quella foto. Accidenti ad Ali.
«Certo che è brava» fu il commento, dopo una pausa che sembrò eterna.
«Vero? Glielo dico sempre anche io.» Fece scivolare la foto sulla superficie liscia del tavolo, fino a Willow.
«Il soggetto però non è niente male. Anzi, io vedo una gran bella ragazza.»
Willow la osservò di nuovo, si osservò. I capelli chiari illuminati dal sole, gli occhi penetranti, le linee dure del viso, gli zigomi scolpiti e le labbra sottili. Sentì di avere gli occhi lucidi e si costrinse a non sollevare lo sguardo.
«Perché qualcuno non dovrebbe innamorarsi di te? Dammi una ragione sensata. Chissenefrega se è un ragazzo o una ragazza!»
Willow non le aveva mai detto espressamente nulla, Giselle non era proprio la sua confidente ideale. Eppure aveva capito. Aveva capito tutto passando un afoso pomeriggio di luglio con lei. Fondamentalmente Willow Reed non sopportava Giselle Dawson e adesso era perfino in debito con lei.
«Scusa per quello schiaffo» sussurrò, non dicendo una montagna di altre cose.
«Non fa niente.» Giselle si alzò, lasciando la foto sul tavolo. Disse qualcosa a proposito della mancanza di tempo libero, salutò e si avviò verso l’uscita. Willow aveva un nodo in gola.
«Ehi Giselle.» Si voltò. «Tu poi l’hai fatto? Aprire gli occhi, intendo.»
Sorrise. «Sì. Adesso so cosa fare.»
 
Meno di tre settimane dopo era morta.
 
 
 
~~~


Aprile 2011
Con una manovra complicata riuscì a tirare su la cerniera che chiudeva il vestino nero. Era semplice, senza particolari decorazioni, non troppo scollato e senza maniche. Quando l’aveva provato, nel camerino del negozio, le era piaciuto molto di più. Adesso le faceva solo venire voglia di piangere, ma Willow Reed doveva essere forte.
 
 
 
Gliel’aveva detto Ali. O almeno, ci aveva provato. Il telefono di Willow era squillato all’una e zero tre, rompendo il silenzio religioso dell’ora di algebra con Fluorescent Adolescent, e lei aveva pensato che la prof fosse sul punto di spedirla dal preside. Soprattutto perché Willow, fregandosene di tutto e tutti, era uscita in corridoio e aveva risposto.

C’era che Ali non avrebbe mai e poi mai telefonato in orario scolastico, quindi doveva trattarsi di un’emergenza. L’eufemismo del secolo.
Venti secondi di silenzio.
«Pronto? Ali?»
Trentacinque secondi. Chissà perché si era messa a contarli.
«Ali, cazzo, la prof m’ammazza.»
E Ali scoppiò a piangere. Non il tipo di pianto silenzioso, quello da persona matura che riesce a mantenere un minimo di autocontrollo, no. Willow la sentiva singhiozzare, tirare su col naso e piangere, senza riuscire ad articolare una parola. Fu solo quando la lingua avvertì il sapore pungente del sale, che realizzò di stare piangendo anche lei.
«Ali» disse, con tutt’altro tono. La prof si affacciò dalla porta dell’aula. «Ali, dimmi cosa c’è.»
«In palestra. Io- lei- non ho fatto in tempo a…»
Willow camminò verso il fondo del corridoio, dove c’erano le scale di emergenza che tutti usavano per fumare. Era come se il tempo si fosse fermato. Si era dimenticata di tutto e tutti; la voce di Ali era l'unica cosa che la tenesse ancorata a pavimento. Willow temeva che, se solo si fosse distratta un attimo, sarebbe scivolata via.
«Mi aveva chiamato… Lei- lei contava s-su di m-me… Io ci ho provato… Will, giuro che ci ho provato. Lo giuro.»
Quanto si sentiva stupida, Willow, a piangere a dirotto senza nemmeno sapere il perché. Chiamatela empatia, forse si era fatta troppo fagocitare dalle emozioni della sua amica, forse era il suo subconscio che le stava urlando di chiudere lì la telefonata. Non lo saprebbe dire neanche oggi.
«Ali, dimmi cos’è successo. Chi ti aveva chiamato?»
«‘È un bel giorno p-per mo-rire’, ha d..etto. V-voleva che… che…»
Eccola lì. Quella frase. La frase che mandò al loro posto tutti i pezzi confusi della sua mente. Qualcosa dentro di lei si spezzò e Willow capì tutto nel momento in cui Ali balbettava “che la salvassi”.
Ricorda di essersi dovuta appoggiare al muro.
 
 
 
Willow doveva essere forte, almeno per Ali. Si conoscevano da tanto, l’aveva vista attraversare un’infinità di brutti momenti. Mai così.
Sì, doveva fare quella forte, allora perché non riusciva nemmeno a starle vicino? Era la mano di quell’imbecille, Bridget, che Ali stava stringendo. Al suo posto avrebbe dovuto esserci Willow.
Ma a Willow le persone facevano paura, gliel’aveva detto Giselle Dawson.
 
 
~~~



Maggio 2011
Sua madre insistette per mandarla dallo psicologo. Willow protestò, quella che ne aveva davvero bisogno era Ali; lei, Giselle, non la sopportava nemmeno. La signora Reed però fu irremovibile e Willow ci andò.
 
 «Che tipo di rapporto avevi con Giselle?»
Ci vollero tre sedute prima che riuscisse a parlare di quell’attrazione fisica nascosta per così tanto tempo.
Quando uscì non tornò direttamente a casa. Fece una deviazione al 21, si avvicinò a un tipo castano e iniziò a fare conversazione. Ora della fine della serata era riuscita a strappargli un bacio.
 
 
~~~
 
 
 
Settembre 2012
Ali era diversa.
Era la metà di settembre, le foglie iniziavano a cadere dagli alberi e loro erano al 21. Non ci voleva chissà che acume per vedere una luce nuova negli occhi di Ali.
Avrebbe dato un nome a quella luce neanche una settimana dopo. Al momento, però, Willow prova solo una specie di rabbia. Sì, rabbia, perché era passato un anno e mezzo e lei stava meglio. Le era bastata Ali e le era bastato il tempo. Aveva trovato un modo per andare avanti. Faceva male realizzare che ad Ali, invece, era servito qualcun altro.
Infatti fu per una sorta di ripicca che iniziò a uscire con Connor Morris, il cugino di Nathan. Ma non doveva sentirsi in colpa, in fondo era lui a essere venuto da lei.



 
~~~
 



Ottobre 2012
Che Ed Sheeran fosse pazzo, Willow lo sapeva dalla prima volta che l’aveva visto.
All’epoca non sapeva ancora che lui e Ali si conoscessero, figuriamoci. L’aveva incontrato un giorno al supermercato, in fila alle casse, quando lui l’aveva superata.
«Ecco, è arrivato il più furbo» aveva sbuffato, a voce volutamente alta. Il cafone aveva avuto il coraggio di guardarla con quell’aria da Bambi e balbettare di non averla vista.
«Non mi hai vista. Certo.»
«Ma ti dico di sì.»
«Ascolta, chiunque tu sia, fai pure lo gnorri quanto vuoi. Non sono stupida, capito? Adesso porta la tua crapa arancione dietro di me, prima che mi arrabbi sul serio.»
«Altrimenti cosa, diventi un Basilisco?»
«Un cosa?!»
«Non cogli le citazioni di Harry Potter. Male. Molto male, mia cara. Per punizione, credo dovrai cedermi il tuo posto in fila.»
«Oh Cristo, adesso mi faccio superare dagli sfigati.»
In quel momento il suo cellulare vecchissimo aveva vibrato. Guardò il messaggio, inarcò un sopracciglio arancione e sorrise a Willow.
«Purtroppo il dovere mi chiama. Tu leggiti Harry Potter, vedrai che la tua vita migliorerà.»
E a Will era già simpatico, ma non l’avrebbe mai detto.
 
Un giorno lui e Ali la obbligarono a sedersi a un tavolo e le raccontarono una storia assurda su Nathan Morris e Giselle Dawson, una storia che Willow aveva cercato con tutte le sue forze di dimenticare. Quei due le stavano offrendo la possibilità di tirare fuori le palle, far vedere a Giselle che lei, gli occhi, li aveva aperti. Come faceva a rifiutare? Magari in seguito se ne sarebbe pentita. Per il momento, Willow Reed si sentiva viva.


 
~~~
 


Novembre 2012
Aveva incontrato Ed Sheeran girovagando per il centro e a lui era venuta la bella idea di “fare due passi insieme”. Neanche fossero amici. Nel corso di quel tardo pomeriggio realizzò due cose: 1) Ed era innamorato di Ali. Molto innamorato. 2) Era maledettamente facile parlare con lui. In particolare, aggiunse il punto 2 all’elenco a metà di un discorso lunghissimo, stando al quale il problema della sua vita sentimentale non era Connor in sé, ma lei; , si rendeva conto di quanto quest’affermazione fosse scontata, ma era la pura e semplice verità; anzi, voleva saperla tutta?, lei, Willow Reed, aveva paura delle relazioni amorose. E perché diavolo glielo stava dicendo?
Ed Sheeran, tuttavia, non sembrò molto colpito. Affermò di sospettare che anche Ali avesse lo stesso problema – sempre Ali, vero Ed? – e che, per un adolescente, fosse molto comune. Lei fece presente di non farsene nulla delle solite stronzate da psicanalisti. Ed rise.
«Ma in Connor cosa ci trovi?» chiese, quella che avrebbe dovuto essere una domanda facile. Peccato che a Willow non venisse in mente niente.
«Mi trova carina. Gli piaccio, cioè. Stare in sua compagnia è bello e usa un buon profumo.»
«Tutto qui?»
«Sticazzi, Sheeran, mica ho detto di volermelo sposare.»
Ed si ferma in mezzo alla strada, per raccogliere una moneta da un quarto di dollaro. Tutte le fortune a lui, pensa Will.
«Non me lo voglio sposare» ripeté. «Ti ho mai detto di essere bisessuale?» Cazzo, l’aveva fatto di nuovo.
«No» rispose Ed, lucidando il quarto di dollaro con la manica della felpa.
«Beh, sono bisessuale.»
«Ti è mai piaciuta una ragazza?»
«Forse.»
«Chi?»
«Giselle Dawson.»
Il quarto di dollaro cade dalle mani di Ed e finisce dentro una grata. Forse lui non se ne accorge nemmeno.
«Questa poi.»
 
 
«Spiegami il senso di questa cosa.»
«Non deve per forza averne uno.»
«Ma tu non hai mai un cazzo da fare?»
«Sinceramente no.»
«E posso sapere chi stiamo aspettando?»
«No, tanto adesso lo vedi.»
Willow avrebbe preferito scoprirlo in anticipo, così avrebbe evitato di spalancare la bocca fino a toccare il pavimento quando Vincent Sunders fece la sua entrata trionfale nel pub. Non avevano scelto il 21 perché c’era il rischio che Ali potesse vederli, ma adesso Willow iniziava a pentirsene.
Si concesse il beneficio del dubbio fino a quando Ed non gesticolò per farsi vedere dal nuovo arrivato, a quel punto Willow si rassegnò.
Vincent prese posto davanti a lei e salutò.
«Eccoci qua» disse Ed, «comodi come piselli in un baccello.»
Se Mr. Ciuffo Da Emo qui presente fa notare il doppio senso, giuro che me ne vado.
Vincent non lo fece.
Come per Giselle e Bridget, Willow lo conosceva tramite Ali. Non erano esattamente amici, per l’amor del Signore, ma nemmeno estranei. Semplici conoscenti. La fama da puttaniere precedeva Vincent Sunders, Willow stessa poteva dire di conoscere almeno cinque ragazze che erano state con lui. Un numero allucinante, considerando che frequentava una scuola e un ambiente diversi da Mr. Ciuffo Da Emo.
Cosa diamine aveva Ed Sheeran al posto del cervello, segatura?!
«Willow, come stai?» domandò Vincent, con voce dolce.
Quello che stava facendo era immorale. Tecnicamente, tra Willow e Connor c’era una storia. Tecnicamente. Ok, Willow cambiava spesso ragazzo, ma solitamente usciva con uno alla volta, non dieci.
«Ed, cosa ci facciamo qui?» chiese, ignorando la domanda di Vincent.
«Penso che voi due abbiate molte cose in comune» rispose con ovvietà.
«E mi fa davvero piacere» incalzò Vincent.
«Ma tu non avevi una ragazza?»
Vince sembrò sul punto di chiedere qualcosa come “Quale delle tante?”, ma cambiò intelligentemente idea. «È una relazione aperta.»
Ah. Si poteva dire lo stesso di lei e Connor?
Ed riuscì a filarsela grazie a una telefonata finta e li lasciò soli al tavolo. Forse Willow poteva seguire il suo esempio e simulare un attacco di cuore. O forse poteva semplicemente stare lì e vedere come andava a finire la faccenda. Dopotutto, non c’era niente di male.
 
 
Vincent Sunders era gentile. Melenso, forse troppo, ma gentile. A Willow i continui complimenti facevano segretamente piacere, così come il suo forte odore di Abercrombie. Doveva essersi fatto una doccia di Abercrombie. Ma a Willow non dava fastidio. Non le dava fastidio nemmeno il suo orrendo gusto estetico o il ciuffo da emo che in continuazione necessitava di essere spostato. Non le dava fastidio la sua voce da tenore e l’intercalare “tipo”. Non le dava fastidio praticamente nulla ed era preoccupante.
A metà frappè, Willow decise che ci sarebbe stato un secondo appuntamento.
 

 
~~~
 
 

La sensazione di dejà-vu che Willow provò nel trovarsi Ed Sheeran fuori dalla porta, non sarebbe neanche in grado di descriverla.
Era assurdo, perché quella volta le circostanze erano completamente diverse. Eppure…
Ed Sheeran aveva fretta. Si torceva le mani, spostava continuamente il peso da una gamba all’altra e ogni tanto fletteva le ginocchia.
«Ce ne hai messo di tempo» sbuffò vedendola, una nuvola di condensa si formò vicino alla sua bocca.
«Mi viene voglia di sbatterti la porta in faccia» rispose lei, seccata. Non rispose. Non la supplicò di ascoltarlo, non fece nulla.
«Se ti dicessi una cosa, Willow?» domandò.
«Prego. Sappi che tra un po’ comincia la replica di Shameless.»
Ed le mise una mano sulla spalla e la trascinò fuori, al freddo. Accidenti a lui. Forse era andato fuori di testa del tutto. E cos’era tutta quell’urgenza?
Lo capì nel momento in cui si trovarono entrambi sotto la luce di un lampione. L’occhio destro di Ed era tenuto chiuso da un enorme segno rosso – che sicuramente sarebbe diventato nero – il labbro inferiore era spaccato e il mento aveva l’aria di fare male.
La sensazione di dejà-vu era così aumentata che Willow dovette trattenersi per non correre via.
«Che cazzo ti è successo?»
«È un figlio di puttana.»
«Metti i soggetti.»
«Nathan Morris è un bastardo. Se lo sento ancora parlare di lei in quel modo…» Non specifica chi sia questa “lei”, ma stavolta non serve.
«Sei pazzo? Adesso vai contro Nathan Morris in questo modo?» sbottò Willow, mentre nella sua testa riusciva solo a dire Non anche tu, per favore no. Tu no, Ed. Fallo almeno per lei.
«Willow, mi sa che la amo davvero.» E quel davvero, detto da lui, sembrava significare il mondo.
«Dimmi qualcosa che non so» mormorò Willow.
«Forse sparirò per un po’. Devo sistemare un po’ di questa merda e Ali non mi deve vedere. Starai tu con lei?»
Non lo faccio sempre?
Willow annuì.
 
 
Quando rientrò, inviò un messaggio su facebook ad Ali chiedendole dove fosse finita. la risposta Fu un invito ad andare a quel paese, ovviamente in altri termini. Willow sorrise e digitò in fretta una risposta. Lo scambio di battute andò avanti per un po’, fino al “Visto che sei tipo il Grande Fratello, sai qualcosa di Ed?”.
Ovviamente dovette mentire. “Come se parlassi con quel ginger.”
 
 
 
Qualche giorno dopo Andrew decise di fare un frontale con un altro veicolo. Ali era a bordo.
 
 

 
~~~
 


 
Gennaio 2013
Erano passate più di tre settimane da Quella Sera, eppure il nome di Connor era ancora tabù. Vincent capiva e la rispettava. Se l’era ritrovata fuori da casa una sera sul tardi, con i lividi ancora non proprio guariti e degli occhi, cazzo, degli occhi che non avrebbe più dimenticato. Ali era stata dimessa dall’ospedale. Ed praticamente era sempre con lei, tranne quando i signori Crawford lo cacciavano. Era da tanto che Willow non si sentiva così sola. Non era un tipo da visite improvvisate, Vincent lo sapeva. Non era la ragazza complicata che credeva di essere.
«Che vita di merda» la salutò Vince.
«Facciamo che entro e tu non mi chiedi niente?»
Non se lo fece ripetere due volte. La prese per un braccio, tirandola verso di sé fino a quando non si ritrovarono abbracciati. Willow si intossicò di Abercrombie senza protestare, anzi, stringendo la presa sulla t-shirt deformata di lui fino a stropicciargliela. È la volta buona che la butta via, pensò, sorridendo. Vince le accarezzò i capelli e percepì un brivido scendere giù per la colonna vertebrale. Chi glielo faceva fare, di separarsi da lui?
Quella notte fecero l’amore per la prima volta.
Willow, al mattino, accettò addirittura di indossare una vecchia maglietta degli Iron Maiden.
 
 
 

«Ufficializziamo?»
«Se proprio ci tieni.»
Ci teneva, perché non l’aveva mai fatto. Non si era mai spinto così in là.
Era una sera di fine gennaio e Vincent Sunders cambiò la sua situazione sentimentale su Facebook da “single” a “impegnato”. Pochi secondi dopo Willow Reed ricevette la migliore notifica della sua vita.

 
 
~~~
 
 


Settembre 2013
Una domanda all’apparenza semplice, posta addirittura via whatsapp. Neanche una note vocale.
Vieni a vivere con me?”
Fanculo a Giselle Dawson, che a volte le faceva ancora qualche visitina in sogno. Fanculo a Ed Sheeran – Ed Sheeran ha sempre qualche colpa. Fanculo alle due spunte di whatsapp, che diventavano azzurre nel momento in cui il messaggio veniva visualizzato.
Willow Reed lesse, deglutì e bloccò il telefono. Codarda.
Ci ripensò, schiacciò il tasto centrale dell’iPhone, digitò il codice di sblocco – il compleanno del suo gatto, alla faccia della fantasia – e andò sulla rubrica.
Ali rispose poco prima che Willow decidesse di riattaccare.
«Ohi» la salutò.
«Adesso quel coglione vuole convivere.»
«Prevedibile. E tu cosa gli hai detto?»
«Per adesso niente, ma è ovvio che accetterò.»
«Allora dov’è il problema?»
Quando due persone riservate sono in vena di confidenze, la conversazione non è mai troppo produttiva, pensò Willow.
«È che… Non lo so.»
«Willow? Buttati.»
 
 
“Facciamoli”
Commetteva sempre errori di battitura nei messaggi importanti. E mai una volta che rileggesse, prima di premere invio.
“*o”
La risposta arrivò quasi subito.
“(y)”
“Ti amo”
 
 

 
~~~




Novembre 2014
Era il Giorno del Ringraziamento e tutti avevano avuto la bella idea di riunirsi da loro. Erano in dieci: gli Aled (ormai Willow li considerava un’unità), Bridget e il suo ragazzo morboso, tre amici di Vincent e una di lei. Alcuni degli ospiti non si conoscevano nemmeno, ma quello era l’ultimo dei problemi di Willow Reed.
Sì, perché era la mattina del Giorno del Ringraziamento e lei era in bagno a dare di stomaco. Ali le teneva i capelli biondi lontani dal viso, senza parlare, e Willow le era grata.
«Ho davvero bisogno di un collutorio» annunciò, facendo ridere la sua amica.
«Sai, Will» cominciò Ali, mentre lei sputava il liquido alla menta nel lavandino, «se non ti conoscessi bene direi che…»
«Non t’azzardare!» la bloccò in tempo Willow. «Sto bene. È quel tacchino ad avere un odore fortissimo.»
«Il tacchino non sa assolutamente di nulla.»
«Fatti controllare l’olfatto da qualcuno.»
Ali uscì dal bagno senza dire una parola. Che si fosse offesa per così poco? Amen. Al momento Willow doveva preoccuparsi di altre cose. La sua faccia da zombie, ad esempio. Magari si era presa un’influenza intestinale. Ed era appena guarito. Non poteva mica essere… quella cosa là.
«Cosa dicevi a proposito della pillola?» Non aveva sentito Ali arrivare, perciò per poco non le venne un infarto. Si voltò, con le mani che tremavano, pronta a fronteggiare gli occhi grigi della Crawford.
Ali teneva in mano il calendario che originariamente era appeso in cucina. Lo sfogliava con aria professionale, come se fosse un documento importante e non una sfilza di date, compleanni e appuntamenti.
«L’ultimo asterisco risale a settembre e non ti sei fatta neanche una domanda?» sibilò.
«Per quello che ne sai tu, gli asterischi indicano gli appuntamenti dal dentista.»
«Davvero? E allora la scritta ‘dentista h17’ cosa vuol dire? ‘Incontro segreto col postino’?»
Willow gemette. In realtà il dubbio le era venuto. Ricordava parecchie volte in cui lei e Vincent non avevano usato dei contraccettivi, ma aveva semplicemente finto che non ci fossero problemi né rischi.
A quanto pareva, l’unica cosa che Willow Reed avrebbe comprato al Black Friday era un test di gravidanza.
 

 
~~~
 
 

Marzo 2015
Ali aveva scommesso cinque dollari con Vincent che sarebbe stato un maschio. Ed invece appoggiava il futuro padre, perché “ha l’aria da femmina” - “Ma se non lo vedi nemmeno”, “Come sei puntigliosa, All!”.
Per sicurezza, la coppia aveva pensato a un nome femminile, uno maschile e uno unisex - quello di "scorta". Era stata una dura lotta. Vincent voleva i nomi complicati, Willow quelli semplici. Non voleva che il suo bambino passasse la vita a sentirsi chiedere che razza di nome avesse. Erano riusciti ad arrivare a un dunque: se maschio Dylan, se femmina Marie. Il nome unisex era Noah e Willow sperava di non arrivare a tanto.
Si erano trovati subito d’accordo solo sul secondo nome.
 
In quel momento, col gel freddo sulla pancia e la mano sudata di Vincent nella sua, Willow era sicura di essersi dimenticata tutti i nomi. Si era sempre chiesta come facessero i ginecologi a vedere qualcosa di sensato in quel monitor. A lei sembrava solo un’accozzaglia di macchie bianche e nere, mentre loro volevano farle credere che lì in mezzo ci fosse suo figlio. O figlia. Roba da matti.
«Volete sapere il sesso del bambino?»
La stretta di Vincent aumentò. Le stava bloccando la circolazione.
Annuirono.
La ginecologa controllò sul monitor per qualche secondo prima di dire «Avrete una bambina. Congratulazioni, sta benissimo.»
«Ali mi deve cinque dollari» fu tutto quello che Vince riuscì a dire.
Per la prima volta da quando quel test di gravidanza era risultato positivo, Willow Reed pianse.
 
 
 
 
Ottobre 2015
Si chiamava Dylan Giselle Sunders, aveva tre mesi e sua madre la trovava adorabilmente paffuta.
Dylan, perché al momento del parto la famosa lista dei nomi era andata a farsi benedire e Willow aveva optato per il primo che le era venuto in mente. Grazie a Dio non si era trattato di Noah.
(“Troveremo un bel soprannome” aveva detto Vince. Non ci erano ancora riusciti.)
Sunders, perché quello era il cognome di Vincent.
Giselle, perché sì.
Fondamentalmente Willow Reed non aveva mai sopportato Giselle Dawson. Ragion per cui odiava particolarmente essere in debito con lei. Con la persona che, per la prima volta in vita sua, le aveva insegnato cosa volesse dire accettarsi.
Era l’ottobre del 2015. Vince aveva un colloquio di lavoro. Ed Sheeran iniziava a incidere il suo secondo album. Ali era felice come Willow non l’aveva mai vista.
 
 
Forse c’era qualcosa di sbagliato nel portare un neonato con sé dal tatuatore, ma Willow non aveva nessuno a cui lasciarla. Aveva assicurato all’omone tatuato che sua figlia avrebbe continuato a dormire tranquillamente anche sotto un bombardamento e lui si era fidato.
L’unica non tranquilla in quella stanza era Willow.
Era un pomeriggio caldo nello Stato della California. Esattamente come quasi tutti gli altri pomeriggi. La radio trasmetteva l’ultimo singolo di Ed Sheeran. Dylan dormiva nel seggiolino della macchina. Il sole spaccava le pietre e creava delle illusioni ottiche sull’asfalto. Con grande gioia di Willow, le previsioni prevedevano un aumento delle temperature. A volte le mancavano le piogge continue del nord-ovest.
Quel giorno, comunque, il tempo le era assolutamente indifferente. Aveva appena inviato ad Ali Crawford una foto del suo avambraccio, su cui adesso spiccava una scritta in greco antico.
 
“ἄφοβο”.
 
“Senza paura”.
 

 
 
 
 
Il punto è che non riesco a dire addio a questi personaggi. Non è proprio una sorpresa, perché l’avevo scritto su ask e pubblicato un estratto su facebook. Però credetemi quando vi dico che l’ultima cosa che avrei mai creduto di scrivere era un Missing-Moment su Willow. Non so, mi ero abituata a lei come all’ "amica di Ali". Poi però ho realizzato che alcune caratteristiche del personaggio erano chiare probabilmente solo a me e non va bene. Non ci sono momenti Aled, è vero, chiedo scusa, ma ho voluto lasciare spazio ad altri personaggi. Vediamo come nasce la relazione Willow e Vincent, l’amicizia con Ed, la gravidanza più nel dettaglio. La parte iniziale è praticamente dedicata a Giselle, un altro personaggio che era rimasto non ben identificato fino ad ora.
Non sapete quanto sia stato faticoso scrivere questo missing moment. Mi ha fatto piangere. È lunghissimo, probabilmente non l’avrete neanche finito, ma spero di sì. Ho dovuto spremere il personaggio di Willow come un limone per far uscire questa cosa, spero almeno che vi sia piaciuta. Ah, ci sono un sacco di riferimenti a Invisible... spero non siano stati un problema.
La prossima volta che ci vedremo (sì, ci sarà una prossima volta) potrebbero esserci più Ed e Ali. Per adesso, voglio proprio sapere le vostre reazioni a questa follia :)
   
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran / Vai alla pagina dell'autore: madelifje