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Autore: DanielleNovak221    30/12/2014    2 recensioni
[AU!Destiel]
Dean e Castiel hanno entrambi nient'altro che dolore nel loro passato, ma se è vero che non tutto il male vien per nuocere, l'ultima di queste ha portato al loro primo incontro: Dean si sveglia in un ospedale, dopo un coma di due mesi, sa che la ripresa sarà una scalata piena di ostacoli, ma se Cas, il suo infermiere, gli starà vicino, allora sarà in grado di raggiungere la vetta sapendo di poterla condividere con qualcuno che merita davvero di avere un motivo per cui sorridere. Tuttavia, i fantasmi sono forti e sempre in agguato, non è mai troppo tardi perché possano decidere di attaccare trascinandoti giù per affogarti nei tuoi stessi ricordi...
{trigger warning per una sola scena di violenza, anche se non esplicitamente dettagliata}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Dean non aprì gli occhi. Sapeva che quello che avrebbe trovato nel mondo non sarebbe stato nulla di buono.

Già solo per il fatto che l'aria era satura di disinfettante e faceva decisamente troppo caldo, era inequivocabile che l'incidente e lo stato comatoso in cui si trovava non erano stati un brutto e lunghissimo incubo.

Era in un ospedale, questa notizia non era nuova. Quanto tempo sarà rimasto in coma, due ore? Una settimana? Se si fosse svegliato il trambusto di dottori ed infermiere sarebbe stato tale da fargli desiderare di essersi liquefatto nell'incidente come suo padre, cosa a cui, apparentemente, era andato molto vicino.

Ha sentito Sammy dirlo, il giorno in cui gli aveva raccontato di essere bloccato su una sedia a rotelle con un braccio ed una gamba ingessati, sei costole incrinate ed il peso del lutto sullo stomaco.

Dean era sempre nel suo stato vegetativo-inattivo, ma i suoi sensi erano stranamente funzionanti, o perlomeno, l'udito lo era. Era solo questione di concentrazione, se si focalizzava abbastanza, arrivava ad afferrare intere conversazioni.

Sapeva di aver pianto, quando gli avevano riferito che John non ce l'aveva fatta. Ricordava anche l'infermiere che gli aveva tamponato il viso e la sua voce esageratamente apprensiva che tentava di consolare un Sam letteralmente sconvolto, catalogando le grosse lacrime come nientemeno che un riflesso incondizionato del coma vigile.

Riflesso incondizionato un corno, imbecille! Aspetta solo che mi rimetta in piedi e quel fazzoletto te lo metto...” poi gli avevano rifilato una dose massiccia di calmanti perché la macchina accanto al letto aveva cominciato a bippare forsennatamente come se stesse traducendo in Morse le sue parole enfatizzandone la frustrazione.

Ora che si era svegliato anche il suono più lieve gli rimbombava nelle orecchie come uno sparo, gli odori di quel posto orrendo erano penetranti al punto da soffocarlo e fargli lacrimare ancora gli occhi. Il tampone che continuava a picchiettargli la faccia regalava la piacevole sensazione di una serie di mattonate sugli zigomi.

Okay, Winchester, è ora di alzarsi.

Se lo disse con ferrata convinzione, ma quando decise di aprire gli occhi la sua sicurezza vacillò paurosamente. Uno spiraglio di quella luce bianca ed accecante bastò a convincerlo che non era decisamente pronto per affrontare il mondo di nuovo, e serrò le palpebre facendo ripiombare l'oscurità.

– Accidenti, Dean! Siamo più reattivi del solito! – la voce dell'infermiere (sulla ventina, probabilmente un tirocinante) gli giunse come un coro di trombe da stadio sparate direttamente nel suo orecchio. Inspirò profondamente, il rumore del tubo attaccato al naso ed alle narici risuonò come un sibilo irritato, mentre all'aria della macchina veniva mescolato quell'odore pungente e lacrimogeno di limone ed acido.

La pioggia di meteoriti che si scatenava ogni volta che il tampone gli premeva sul viso sembrò diradarsi, lasciando solo la sensazione della carta che gli accarezzava delicatamente la pelle.

Decisamente, odiava gli ospedali.

Ma era anche vero che più si fingeva una lattuga lessa senza mostrare segni di vita, più a lungo sarebbe rimasto incastrato lì, dove tutto gli ricordava la morte di suo padre ed il motivo per cui era accaduto quel disastro.

Prima di aprire definitivamente gli occhi, Dean aspettò che l'infermiere gli togliesse le mani dalla faccia, cosa che impiegò altri due minuti per accadere. Aveva ripreso coscienza da meno di un quarto d'ora e già ne aveva abbastanza.

Okay, Dean, si disse, adesso o mai più.

Desiderò immediatamente di non averlo fatto.

 

Fu come se i fanali del camion lo stessero investendo di nuovo, travolgendolo con un muro di luce bianca che gli bruciava le cornee fino alla cecità.

Annaspò furiosamente, gli occhi sbarrati all'inverosimile, le dita che artigliavano il lenzuolo nel tentativo di scappare dall'incubo ad occhi aperti che si avvicinava sempre di più in uno stridio di freni e odore di gomma bruciata sull'asfalto, il suono prolungato ed assordante di un clacson, il freddo del vetro che si schiantava contro la sua fronte in un'esplosione di schegge e, infine, il mondo che si capovolgeva e ribaltava nel fango del ciglio della strada. Quando il tubo smise di soffocarlo, riuscì ad urlare tutta la paura che quell'attimo troppo veloce non gli aveva permesso di liberare, e il grumo incandescente di angoscia, panico e solitudine che dall'esatto momento in cui aveva perso conoscenza gli aveva roso lo stomaco si estinse in quell'unico grido.

Era vivo, e vivere era la cosa più dolorosa ed insopportabile che il mondo gli avrebbe mai chiesto di fare.

Ora era Dean Winchester, orfano di entrambi i genitori, bloccato in un letto d'ospedale a rincorrere l'andamento del mondo ormai troppo veloce per le sue gambe malferme, la morte di suo padre sulla coscienza, il destino suo e di suo fratello fra le mani.

Gli bastò una manciata di secondi per pensare tutto ciò, e fu l'arco di tempo peggiore della sua vita, in diciannove anni non si era mai sentito così solo, distrutto, in colpa e desideroso di essere morto al posto di qualcun altro. Non solo era inutile, ma anche colpevole, condannato a rivivere quel suo piccolo inferno personale fino al giorno in cui la morte di suo padre nell'incidente, e quella di sua madre nell'incendio proiettati come cortometraggi nel vuoto delle palpebre ogni volta che le avesse chiuse, non lo avrebbero indotto al suicidio.

Sperava solo che quel giorno non tardasse ad arrivare.

Diavolo, Dean, non pensarci nemmeno. Sammy ha bisogno di te, puoi ancora espiare la tua colpa, prendendoti cura di lui.

Quel pensiero attraversò la sua mente come un lampo, il genere di folgore che illumina il buio fino a rischiararlo completamente dalle tenebre di un temporale.

Si costrinse a respirare piano, nonostante un paio di dottori avessero cominciato le loro manovre , infilando qualcosa nella flebo con una siringa enorme, allentando il respiratore e avvolgendogli uno strap blu intorno al braccio, picchiettandogli sulle dita e sulla fronte per verificare i riflessi, misurare le funzioni vitali e mio Dio, Dean detestava essere toccato, odiava il fatto che quegli estranei gli stessero addosso e gli infilassero le mani ovunque, si sentiva violato, umiliato ed esposto, mentre la maglia gli veniva sbottonata e sfilata ed altri tizi in mascherina gli sondavano il corpo. Un freddo subdolo ed invadente lo fasciò da capo a piedi, lo sbalzo di temperatura gli strinse la gola, gli fece irrigidire i muscoli fino all'ipertensione e gli impediva persino di pensare, il che fu ancora più sconfortante: pensare era l'unica cosa che fino a quel momento era stato in grado di fare.

Mentre il suo corpo veniva tastato, misurato, toccato e maneggiato come se non gli appartenesse più, Dean cominciò , per la prima volta in vita sua, a pregare per davvero.

Pregò Dio che Sam stesse bene. Che tutta quell'agonia finisse. Che il freddo lo ghiacciasse in un'ibernazione vischiosa e lenta sulla quale il mondo esterno non aveva influenza, ma allo stesso tempo, che tutto finisse bene.

Pregò il Dio che prima di quel momento non aveva mai minimamente considerato, di mandargli un angelo.

***

 

Più Dean tentava di muoversi, più i suoi muscoli sembravano non essere intenzionati a collaborare, ed il suo stesso corpo divenne la sua bara.

La stanza in cui era cominciò a muoversi, e mentre ogni sua cellula urlava in preda al caos, alla paura ed alla confusione, fu portato in un altro locale dove altri medici e le loro fottutissime lampade che gli si marchiavano a fuoco nella testa lo invasero come un campo di battaglia.

Il tempo passava, e Dean aveva l'impellente bisogno di reagire. I suoi occhi verdi vagarono impazziti facendosi strada in un labirinto di voci apprensive che gli parlavano come se si stessero rivolgendo a un pesce rosso, che però sembravano finalmente abbinarsi al viso corrispondente.

Quando si aprì uno spiraglio tra quella foresta di braccia, mani, dita e camici bianchi, vide Sam, sulla sua sedia a rotelle, il viso pietrificato dall'orrore, e accanto a lui lo zio Bobby.

L'uomo lo fissava ancora più spaventato ed impotente, l'espressione tradiva la fatica di trattenersi dal sgominare quel gruppo di medici e portarlo via.

– Saaaa... – la sua voce uscì dalla bocca come una sorta di muggito assonnato, ma fu ben chiaro quale nome stesse chiamando.

Una delle dottoresse sorrise fin troppo dolcemente e parlò con voce talmente affettuosa e comprensiva che gli avrebbe fatto venire il diabete: – Ehi, ma che dormiglione! Ricordi che dobbiamo metterci la mano davanti alla bocca quando si sbadiglia, eh? –

Dean sentì una rabbia pulsante rombargli nelle orecchie come un maremoto.

Toglietevi tutti quanti di dosso o giuro che non appena ritornerò interamente funzionante vi piscerò in faccia, EHI, STRONZO LEVA LE MANI DA Lì, e tu odiosa strega indemoniata, non parlarmi come se fossi un povero demente, abbiamo già appurato che se non è sufficiente un camion ad ammazzarmi, posso farti passare un brutto quarto d'ora!

Il tutto riassunto in un unico, lapidario e più che comprensibile: – Levatevi dai coglioni.

La dottoressa, che più di tutti aveva sentito, trattenne il respiro fintamente scandalizzata.

– Avete sentito?

– Ha ripreso in fretta!

– Vai così, Dean!

E da lì un coretto di esclamazioni esaltate e complimenti partirono fino a sommergerlo, ma in un attimo quelle cinque paia di mani lo stavano di nuovo studiando come per prepararlo ad una vivisezione.

Dean sentì ancora la rabbia scaturire sul fondo dello stomaco e salire velocemente alla testa. Avrebbe voluto urlare a tutti di scansarsi e lasciarlo respirare, perché davvero, non ci riusciva (E si chiedono anche perché abbia un apporto scarso di ossigeno nel sangue?! Dove diavolo avete i neuroni?!) ma aveva esaurito le sue capacità vocali in quell'unico, rauco e patetico tentativo di ribellione.

Boccheggiò in preda al panico, sapendo che assillato com'era sarebbe durato ancora poco, finché un dottore non venne trascinato via di peso e spinto lontano.

L'aria ormai assente gli impedì di vedere granchè, ma potè udire una voce imporsi sulle altre con autorità.

– Sta soffocando, lasciatelo respirare!! – l'equipe di medici cominciò a disperdersi.

– Ehi, novellino, – disse uno, riprendendo in mano il fonendoscopio – lasciaci lavorare e tornatene a scuola. –

Ora che c'era più spazio, l'ossigeno si riversò a fiumi nei polmoni di di Dean, e se tutto ciò non lo avesse fatto stare immensamente meglio, avrebbe detto di stare affogando.

Allora Dio lo aveva ascoltato! Grazie, vecchio!

Voltò appena la testa ed immediatamente la voce di SoloUnRiflessoIncondizionato venne collegata al volto dell'infermiere con la tenuta bianca da tirocinante. Non era esattamente l'aiuto che si aspettava dal signore, ma doveva accontentarsi.

– Non vedete che ora che vi siete allontanati ha ripreso a respirare? – esclamò, più preoccupato che arrabbiato. Si avvicinò un po' titubante e schiacciò un bottone sulla macchina accanto al letto, che immediatamente rilasciò altro ossigeno nella gola desertica di Dean.

– Andiamo, Crocerossina Novak, tranquillo che nessuno toccherà il tuo paziente preferito, sono tutti test di protocollo e se avessi fatto i compiti lo sapresti! – lo schernì il medico più giovane, un tizio allampanato e con l'espressione beffarda e maliziosa di chi ha tanto da rinfacciare a qualcuno.

Dean avrebbe voluto dire “Ehi! Dategli ascolto e lasciatemi morire!” ma ovviamente le sue batterie si erano già scaricate e la stanza cominciava a tremolare.

– Dottor Lucifer, non potete negare che abbia ragione. L'attività cardiaca e cerebrale è decisamente migliorata. – borbottò sommessamente un medico panciuto, che fece rapidamente cenno agli altri di andarsene non appena ebbe scribacchiato qualcosa sulla cartellina agganciata al letto.

Dean avrebbe voluto ringraziarlo, ma aveva già abbastanza da ringraziare lo stesso Dio che non aveva mai pregato per averlo degnato di attenzione, e le forze di parlare attualmente non le aveva.

Certo, meglio di così, in fondo! Non aveva energie, non aveva aria, e a giudicare da quanto scarno il suo corpo riflesso nella lamina argentea della parete apparisse, non aveva nemmeno più muscoli, ma era certo di avere una fame assassina.

I dottori vennero congedati dalla sala di terapia intensiva, e dopo che il pancione che aveva dato ragione all'infermiere scambiò due parole con il suo salvatore, anche Sam e Bobby furono costretti ad andarsene.

Dean rimase solo con il tizio del Riflesso Incondizionato, che sembrava essere incredulo di sé stesso e di quello che aveva appena fatto. Trafficò con un altro paio di macchine e regolarizzò il rilascio d'aria nei tubi, alzò leggermente lo schienale del letto e preparò una siringa sul tavolo poco distante, sotto lo sguardo costernato del ragazzo.

Quest'ultimo ne approfittò per guardarlo meglio, ora che la vista si era ristabilizzata: doveva avere uno, al massimo due anni in più di lui, e pareva proprio il classico studente un po' imbranato ma incredibilmente devoto al suo lavoro.

Aveva i capelli neri e scompigliati, e aveva un portamento un po' strano, il mento e lo sguardo proiettati verso l'alto, come i sognatori. Gli occhi azzurri erano accesi in un modo che Dean non aveva mai visto in nessun altro, ma sembravano, soprattutto in quel momento, rilassati e concentrati insieme, a dire il vero quasi un po' persi, come se avesse tanto a cui pensare e tutto ciò che lo teneva legato alla realtà era il suo obbiettivo ed il controllo dello stantuffo della siringa.

Indossava, come tutti i tirocinanti, una semplice divisa bianca composta da pantaloni e maglietta che tradivano leggermente il suo fisico asciutto.

Dean fu beccato in flagrante ad osservarlo, e per un secondo temette di ricevere nient'altro che uno sguardo di rimprovero, che quelle iridi di cobalto avrebbero reso glaciale come l'Antartide. Invece, la sua sfacciataggine fu accolta da un sorriso ampio e sereno.

– Pronto, Dean? – fece Riflesso Incondizionato, portando di nuovo il mento in alto e lo sguardo alle tacche sul cilindro di plastica. Il diretto interessato rimase spaesato per un secondo, colpito dal tono con cui l'infermiere si era a lui rivolto, come se si conoscessero da anni.

Avrebbe annuito, ma ovviamente il suo corpo era ancora immobilizzato. Riuscì a mugolare un qualche strano verso che lo fece sentire terribilmente idiota, e ancor di più la risata del ragazzo. Non gli piacque nemmeno un po' che ridesse delle sue talmente pietose condizioni da non essere nemmeno in grado di comunicare, e se avesse potuto gli avrebbe mollato un ceffone.

L'infermiere si avvicinò brandendo la siringa, e Dean si sentì andare nel panico. Lui odiava le iniezioni, i prelievi, le flebo (era un bene che gliele avessero fatte mentre era in coma) e tutto ciò che avesse a che fare con gli aghi, ma come faceva a dirlo? Insomma, magari esisteva una pastiglia o qualcosa del genere dello stesso tipo e non lo avrebbe mai saputo.

Sbarrò gli occhi più che poteva ed irrigidì i muscoli sotto le dita fredde del ragazzo che aveva iniziato a massaggiargli la spalla, sperando che il messaggio fosse chiaro.

Infatti, lui si bloccò a metà e lo fissò vagamente divertito. – Andiamo, non dirmi che hai paura degli aghi! Fino adesso non ti sei mai lamentato! –

Forse si conoscevano davvero da più tempo di quanto Dean credesse possibile. Eppure lui non se lo ricordava.

Ovvio, babbeo, fino a mezz'ora fa ero ancora bello che andato!

Tutto ciò tradotto con un rantolo soffocato.

– Suvvia, non farà male... ecco! Visto? Sei vivo no? – esclamò Riflesso Incondizionato, cacciandogli l'ago nella carne della spalla con un gesto misurato ed esperto.

Dean non emise un fiato, ma se avesse potuto lo avrebbe fatto eccome.

Credimi, preferirei non esserlo.

Si maledisse subito per quel pensiero, Sammy aveva ancora bisogno di lui. O forse il contrario. Meglio entrambi, sì.

RI gettò via la siringa e si tolse i guanti, protendendosi per un paio di secondi sul letto per svitare la valvola della flebo. Dean lesse velocemente il nome sul cartellino appuntato sul petto del ragazzo: Castiel Novak. Non sembrava troppo difficile.

– C... C-Caaaaas... – biascicò, strappando un altro sorriso al suo infermiere.

– Certo, Dean, sono Castiel, o Cass, se ti è più facile così. Non mi stupirebbe se non ti ricordassi di me, e non voglio prendermi il merito di nulla, ma mi piacerebbe che tu sapessi che in questi due mesi di coma, mi sono preso cura io di te. E penso che continuerò a farlo. –

Due mesi? Grandioso! Ehi, Castiel Riflesso Incondizionato, che è successo mentre io ero a Comalandia? Non vorrei riprendere a camminare nel bel mezzo di una guerra nucleare, sai com'è.

E, ovviamente, tutto quello che una meschina cospirazione fra stomaco e cervello gli rese possibile dire fu: – Toooortaa.

Castiel fece un sorriso sghembo, continuando a sbrigare le sue incombenze.

– Ehi, amico, con calma e andiamo per gradi!

Ehi, vai per gradi pure tu, “amico” è già troppo forzato, dato che Dio non ha trovato niente di meglio da mandare quaggiù.

 

BUOOONGIORNO/SERA/POMERIGGIO/NOTTE a seconda dell'orario in cui leggerete (da me è mezzanotte e dodici hihi)

Allora, spero di non aver combinato un casino con questa prima ff Destiel (si capisce che è destiel? Andiamo per gradi anche noi, allora), e spero che possa piacervi, onestamente non so se qualcuno aveva già scritto una cosa del genere, perché all'inizio come trama mi sembrava giusto un pizzico scontata, ma ho alcune idee e un paio di capitoli pronti che potrebbero renderla già più originale...

inutile dire che gradirei un sacco sapere il vostro parere, quindi lasciate una recensione!!!

inoltre ci tenevo a dirvi che il rating potrebbe cambiare a seconda dei capitoli, e visto che siamo partiti abbastanza “soft”, me che penso aumenterà, ve la faccio partire verde...

ultima avvertenza, il carattere psicologico dei personaggi non sarà sicuramente uguale a quello della serie tv, ma il livello di imbranataggine (a dir poco adorabile) di Cass tenterò di lasciarlo tale e quale...

ripeto, lasciate una recensione, voglio davvero sapere che ne pensate!!

un bacione da Danielle!

 

   
 
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