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Autore: MelaChan    31/12/2014    2 recensioni
Sherlock odia il Natale perché tutti quei sorrisi e tutta quella gioia diffusa gli ricordano qualcuno incontrato due secoli prima, qualcuno di veramente importante per lui e che avrebbe seguito fino alla fine dei suoi giorni. Non gli aveva mai rivelato la sua identità, ma si era semplicemente presentato come il Dottore.
[Wholock]
Genere: Generale, Science-fiction, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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NOTE DELLA PIGNA

Buon ultimo dell’anno!
Comunque, questa è una shot scritta per il contest natalizio indetto dal gruppo Facebook Sherlockians, con il quale mi scuso perché… insomma, Natale era praticamente una settimana fa.
Ringrazio Martina per il bellissimo prompt Wholock (che mi ha messo una tristezza addosso incredibile…) e chiunque abbia ancora lo spirito natalizio per leggerla!


P.S.: Come penso si possa ben capire dalla descrizione, il Dottore di cui ho voluto scrivere è Eleven, perché… perché Matt Smith, ecco. Manca tanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sherlock Holmes odia il Natale. Odia la generale allegria non giustificata. Odia i visi sorridenti delle persone che per un mese all'anno mettono a tacere le reciproche antipatie in nome di una festività di cui apprezzano solo il lato economico per lo scambio di doni. Odia la gente che passeggia per strada e augura buone feste agli sconosciuti, elargendo falsi sorrisi e pacche affettuose sulle spalle.

Sherlock odia il Natale perché tutti quei sorrisi e tutta quella gioia diffusa gli ricordano qualcuno incontrato due secoli prima, qualcuno di veramente importante per lui e che avrebbe seguito fino alla fine dei suoi giorni. Non gli aveva mai rivelato la sua identità,  ma si era semplicemente presentato come il Dottore.

 

 

Con il suo atteggiamento poco congeniale e misterioso aveva attirato l'attenzione di Sherlock dopo essergli finito addosso, brandendo in mano uno strano utensile che diffondeva una luce verde brillante ed emetteva uno strano suono e correndo via. Lo aveva inseguito per qualche vicolo, prima di perderlo di vista un momento dopo che aveva svoltato un angolo. Lo aveva cercato nei giorni seguenti, ma senza successo.

Voleva sapere di più su quell'uomo. Da una semplice occhiata di sfuggita era riuscito a dedurre poco o niente di lui e per semplice curiosità umana - e un leggero senso di sconfitta per il fallito tentativo di deduzione - non riusciva a smettere di pensare allo svolazzo di quel lungo cappotto scuro e allo bizzarro utensile nelle mani di quell'uomo. Aveva fatto delle teorie sulla sua identità, lui, che affermava che ipotizzare non era nient'altro che la più azzardata delle mosse. Non ne aveva parlato con suo fratello Mycroft, consapevole del fatto che lo avrebbe schernito definendolo un bambino, ma non aveva smesso di cercarlo e nei giorni seguenti Londra non fu più la stessa.

La gente diceva che la neve era strana, giudizio derivato senza alcun dubbio da qualche strano intruglio venduto a poco prezzo dai proprietari delle locande come nuova bevanda natalizia. Sherlock aveva notato la crescente quantità di pupazzi di neve per le vie della città ma aveva dato la colpa ai numerosi orfani che non potevano giocare con nient'altro se non con la neve stessa, quell'anno caduta abbondante. Era naturalmente conseguita la diffusione di racconti, sicuramente inventati dai numerosi fanatici che si risvegliavano ferventi sotto il Natale. E poi una sera qualche settimana dopo l'aveva rivisto, chino su una montagnola di neve, intento a studiarla e ad assaggiarla. Sherlock si era avvicinato lentamente e con attenzione, trattandolo quasi come un animale selvatico per non spaventarlo con movimenti bruschi e rumori improvvisi.

"Sherlock Holmes." Aveva esclamato l'uomo senza voltarsi, prendendo in contropiede Sherlock, che aveva esitato per un momento prima di fermarsi qualche passo dietro di lui.

"Voi non siete propriamente di queste parti, non è vero? Altrimenti sapreste che non è saggio assaggiare la neve caduta per terra a Londra." Rispose stoico, portando le mani dietro la schiena. L'altro aveva continuato a prendere manciate di neve, facendola cadere per terra e osservandone la caduta.

"La neve è di nuovo sana. E' stato un piacere." Affermò infine, alzandosi e voltandosi con uno svolazzo teatrale del cappotto mentre si sfregava le mani insieme. Sotto il cilindro di velluto scuro spuntavano ciocche castane che incorniciavano un volto giovane dalla mascella squadrata e prominente e gli occhi incavati fissi su Sherlock, che sollevò leggermente il mento mentre lo squadrava con occhio critico. "Sono il Dottore, piacere di conoscerti, mio giovane amico." Disse, porgendogli una mano, che il riccio osservò con un sopracciglio sollevato. L'uomo riabbassò la mano ma il sorriso non scomparì dalle sue labbra. "Non sembri avere molti amici." Esclamò cautamente dopo qualche momento, avvicinandosi a lui e invadendo il suo spazio personale.

"Non è affar vostro." Rispose bruscamente Sherlock, senza interrompere il contatto visivo.

"Ti va di partire per un'avventura o due, Sherlock Holmes?" Continuò l'altro ignorando il suo tono scortese. "Mi ricordi qualcuno di importante che ha fatto qualcosa di ancora più grande. Ho già sentito il tuo nome." Aggiunse, facendo un passo indietro e sollevando un sopracciglio con aria invitante.

Sherlock sbatté le palpebre, distogliendo lo sguardo e sinceramente incuriosito dalla sua proposta. Si guardò intorno, osservando le povere abitazioni di mattone rosso ora nero per la sporcizia accumulata e le persone che passeggiavano a giusto qualche metro di distanza da loro e che tuttavia li ignoravano come se appartenessero ad un altro mondo. Un altro mondo. Forse era quella la soluzione. Non sapeva se poteva fidarsi completamente di quell'uomo, o qualunque creatura essa fosse, ma aveva altra scelta? Non aveva un lavoro se non quello che si era inventato, suo fratello continuava a insistere perché si trovasse una moglie per assicurare una successione al nome della famiglia, ma Sherlock non voleva cambiare chi era per accontentare qualcuno.

"Avventura per dove?" Si sentì domandare, un leggero tremolio nella voce che non era in grado di interpretare. L'uomo allargò il sorriso.

"Hai a disposizione ogni anno di ogni epoca di ogni luogo. Da dove cominciamo?"

Sherlock sbatté le palpebre e si guardò intorno, con un sopracciglio sollevato in aria di sfida.

"Non avete un'astronave aliena o qualcosa di simile per poter viaggiare nel tempo e nello spazio?" Chiese, trattenendo la risata sprezzante per quanto gli suonasse ridicola la domanda. Lo strano uomo schioccò le dita come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa, spiazzando per un momento Sherlock.

"Certamente! Che stupido che sono! Devi ancora conoscerla!" Esclamò, girandosi sui tacchi con uno svolazzo del lungo cappotto e trotterellando via, lasciandosi l'altro alle spalle con un'espressione confusa e stupefatta sul volto dai lineamenti decisi. Sherlock aprì la bocca per chiamarlo ma al contrario si ritrovò ad inseguirlo a breve distanza, facendosi largo tra la gente per restare al suo passo. Nonostante avessero entrambi le gambe lunghe, l'uomo misterioso era comunque qualche passo in vantaggio rispetto a lui quando scomparve dalla vista di Sherlock. Questi si arrese di fronte alla consapevolezza di aver perso l'unico incontro realmente interessante da un mese a quella parte e non trattenne uno sbuffo sbuffato, prima che questo mutasse in un gridolino strozzato quando si sentì afferrare per le spalle e trascinare in una zona appartata.

"Sherlock Holmes! Conosci Londra come il dorso della tua mano, è impossibile per te perdere di vista un bersaglio." Lo schernì, sebbene il suo viso fosse addolcito da un sorriso affettuoso. Il moro se lo scrollò di dosso con aria stizzita e si sistemò il cappotto, allontanandosi da lui di qualche passo.

"La vostra astronave aliena." Gli ricordò dopo qualche secondo trascorso a studiarsi a vicenda. L'uomo schioccò nuovamente le dita, ma questa volta si materializzò dietro di lui una cabina della polizia blu. Sherlock indietreggiò spaventato e con gli occhi sgranati, che scattarono immediatamente allo strano oggetto. Rimase come bloccato sul posto mentre l’altro si avvicinò ed aprì la porta, spalancandola in modo che potesse vedere una grande stanza al suo interno al cui centro si trovava una sorta di plancia di comando. Sherlock spalancò la bocca, che richiuse subito per ostentare sicurezza, e schiarì la gola prima di farsi più vicino a sua volta.

“Coraggio! Non morde mica.” Lo incoraggiò l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla che in circostanze normali gli sarebbe costata un’occhiataccia e il più aspro dei commenti sulla sua persona o famiglia, ma che quella volta fu bellamente ignorata. Il moro fece un passo all’interno, gli occhi spalancati che mal celavano la sorpresa e l’incredulità. Si guardò intorno qualche volta, battendo il piede sul pavimento per essere certo che fosse reale prima di precipitarsi fuori, compiendo il rito qualche volta, per poi fermarsi sulla soglia.

“Dillo pure. Ci sono abituato.” Disse l’altro, agitando una mano nell’aria ed entrando a sua volta.

“E’ fisicamente impossibile!” Esclamò Sherlock, scuotendo la testa.

“Beh, c’è sempre una prima volta.” Fu il commento dell’altro, che ridacchiò e lanciò il cilindro su una piccola poltrona dall’altra parte della plancia di comando, se così si poteva definire. Si appoggiò ad essa, osservando Sherlock con un sorrisetto invitante sulle labbra sottili che lo faceva sembrare più giovane. Il riccioluto deglutì a fatica, seguendolo all’interno e camminando nella sua direzione facendo scorrere una mano sulla balaustra in metallo, come per accertarsi ancora una volta dell’effettiva esistenza di ciò che lo circondava.

“Siete un alieno.” Sussurrò, non volendo credere alle sue stesse parole, lui che aveva sempre creduto che la fredda logica dimostrasse la veridicità di tutte le leggi dell’universo. L’altro annuì.

“Sono un Signore del Tempo di 900 anni, se vogliamo essere pignoli come te.” Gli rispose, lasciandolo momentaneamente confuso per poi farsi più serio. “Tutte le epoche e gli eventi che hai sempre desiderato vedere. Allora, da dove cominciamo?” Gli chiese e questa volta Sherlock incrociò il suo sguardo, un lieve sorriso che iniziò titubante a nascere sui lineamenti del viso.

 

 

Ha vissuto mille avventure con quell’uomo tanto misterioso quanto straordinario: incontrato strane forme di vita, esplorato nuovi pianeti mai visti prima – e salvato alcuni di essi da esseri chiamati Dalek e da altri che si dichiaravano essere Cyberman. Ma Sherlock non sapeva che non sarebbe durato per sempre.

Per quanto ricordi vividamente ogni singolo momento passato con il Dottore, del loro addio non ricorda niente. Assolutamente niente. E questo fatto non potrebbe frustrarlo di più.

Ricorda solo che gli ha balbettato qualcosa sul fatto di essere destinato a qualcosa di più grande, a incontrare qualcuno che gli avrebbe stravolto completamente la vita una seconda volta ma che non lo avrebbe coinvolto in avventure in giro per lo spazio. Non gli ha detto il nome di suddetta persona, biascicando al posto delle risposte alle sue domande delle scuse, prima di tornare nella sua cabina blu e scomparire per sempre.

Sherlock scuote la testa e sbatte le palpebre un paio di volte, scacciando il pensiero stoicamente. Estrae le chiavi dalla tasca del cappotto e si decide finalmente a salire i diciassette gradini che lo portano a John Watson, il quale lo attende con una tazza di tè fumante e un sorriso.

  
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