Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Hermione Weasley    16/01/2015    6 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

- Capitolo 20 -

 

 

 

2 mesi dopo

Waverly, Iowa

 

Controllò che Buck non gli stesse prestando attenzione, estraendo il cellulare dalla tasca della tuta con aria furtiva. Ne osservò il display quasi fosse stato in attesa di una qualche rivelazione esistenziale... che, puntualmente ed esattamente com'era ripetutamente successo nell'ultimo paio d'ore, non arrivò.

Stark gli aveva promesso informazioni fresche fresche sul conto di Barney, ma erano ormai tre giorni che non si faceva sentire. Non che Clint avesse un qualche dubbio sulle doti di pirata informatico di Tony, tutt'altro: gli era bastato vederlo all'opera svariate settimane prime, quando si era deciso ad hackerare il sistema dello SHIELD per scoprire la provenienza delle patate che servivano a pranzo, a cena... a volte persino a colazione. Sebbene fosse solo un modo per far saltare i nervi al colonnello Fury (e in quel senso aveva funzionato alla meraviglia), Clint aveva colto l'occasione al volo, chiedendogli di indagare su quanto l'organizzazione sapesse realmente dell'attuale posizione del fratello.

A dirla tutta non avevano scoperto granché: lo SHIELD si era limitato a tenere per sé il sospetto che Barney fosse – in una qualche misura tutta da determinare – un collaboratore dell'HYDRA. Per quale altro motivo un'organizzazione che si occupava della sicurezza mondiale avrebbe dovuto monitorare gli spostamenti e gli avvistamenti di suo fratello? Il gruppo terroristico al quale era affiliato era in contatto con alcune delle cellule internazionali dell'HYDRA... a Clint era bastato fare due più due per arrivare alle stesse conclusioni che Fury gli aveva tanto convenientemente taciuto.

Dopo la partenza di Natasha, il suo soggiorno alla base operativa di Cordova si era protratto per una decina di giorni, giusto il tempo per le sue costole di rimettersi in sesto e per lui di ficcanasare dove non gli competeva. A dargli il via libera, l'unico di cui avesse avuto realmente bisogno, era stato l'arrivo di una cartolina indirizzata ad un certo Mr. Waverly; la fotografia ritraeva lo skyline di New York mentre il retro riportava poche concise parole, trascritte in una calligrafia disordinata e scomposta: Tante luci, ma nessuna stella. Spero che a casa stiano tutti bene! Nathan.

Dopo un acceso interrogatorio al povero agente Waverly (che disgraziatamente esisteva davvero), Coulson era riuscito a decifrare il messaggio e si era finalmente deciso a consegnargliela.

Il pensiero che Natasha fosse stata capace di creare scompiglio solo con l'invio di una fottuta cartolina l'aveva fatto ridere più a lungo di quanto avrebbe voluto ammettere; quello e il fatto che la signora Drakov era stata (in qualche modo) depennata dalla lista di cose di cui avrebbe dovuto preoccuparsi.

In ogni caso, l'avviso era stato come una manna del cielo. Aveva fatto i bagagli e se n'era andato senza troppe cerimonie, mantenendosi comunque in contatto sia con Stark che con Rogers, il quale aveva inutilmente tentato di convincerlo a restare. Doveva ammettere che era stato sul punto di cedere: Steve poteva essere dannatamente insistente quando ci si metteva. Per un attimo era quasi riuscito a persuaderlo che del suo dannato paese gliene fregasse qualcosa, che avrebbe potuto mettere le sue abilità al servizio di una giusta causa... ma il pensiero di Barney, invischiato in affari troppo più grandi di lui, aveva avuto la meglio.

Nonostante questo, Clint aveva la netta sensazione che la questione SHIELD fosse tutt'altro che una pratica conclusa. Anzi. E il colonnello Fury doveva aver avuto la stessa impressione, o non gli avrebbe permesso di lasciare la base come se niente fosse.

Quale che fosse il caso, aveva fatto ritorno a Waverly, Iowa, ripreso la sua vita di sempre. Il modo in cui il vecchio Buck l'aveva accolto all'officina aveva messo bruscamente in evidenza la completa straordinarietà degli eventi che si erano da poco conclusi: a parte una tirata di orecchi su quei venti giorni trascorsi a fare solo dio sapeva cosa, la routine era ricominciata senza alcun intoppo. Niente chiacchiere su pericolosi complotti che miravano a sovvertire l'ordine del mondo, nessuna missione suicida per recuperare strani aggeggi di cui non riusciva neppure a capire il funzionamento... se i primi tempi avevano avuto su di lui un effetto distensivo, a lungo andare il tran-tran quotidiano aveva cominciato ad innervosirlo. Quello e – soprattutto – il fatto che le ricerche sul conto di Barney continuavano ad impelagarsi in un vicolo cieco dopo l'altro: il database dell'esercito era pressoché inutilizzabile, mentre le poche informazioni che aveva rinvenuto su Internet erano – nel migliore dei casi – a malapena circostanziali.

Stark l'aveva contattato settantadue ore prima, avvisandolo di certi movimenti che lo SHIELD stava monitorando, spostamenti che coinvolgevano anche il gruppo di cui faceva parte Barney (ancora doveva capire in che capacità). Gli aveva promesso di tenerlo aggiornato e non si era più fatto sentire; il che poteva significare due cose: che era stato scoperto e successivamente preso letalmente a calci in culo da Fury o che non c'era niente di nuovo.

Per quanto avesse voluto fare le valigie e cominciare a combinare qualcosa – qualsiasi cosa – sapeva altrettanto bene che imbarcarsi in un'impresa tanto pericolosa, uno spostamento alla cieca dopo l'altro, non sarebbe servito a niente... probabilmente solo a farlo uscire definitivamente di cervello.

“Ehi, uccellaccio, ancora con quel dannato aggeggio?”

La voce di Buck lo fece trasalire, costringendolo a rinfilarsi il telefono in tasca e a voltarsi verso di lui con l'espressione più innocente che riuscì ad invocare lì su due piedi.

“Questa ha bisogno di una batteria nuova,” replicò con naturalezza, poggiando una mano sul cofano aperto della Camaro a cui stava lavorando.

“Non prendermi per il culo, Barton,” Buck si era messo a ridere di fronte a cotanta sfacciataggine.

“Stavo solo...”

“Almeno non farti vedere, va bene?”

“Hai ragione, Buck,” decretò la propria sconfitta con una leggera scrollata di spalle.

“Ah,” l'uomo aveva fatto per dargli le spalle e andarsene, ma si era bloccato a mezza strada, “c'è una tipa che sta cercando Hawkeye.”

Lo stomaco gli si contrasse fastidiosamente: l'ultima volta che aveva vissuto quella scena, la signora Drakov gli aveva fatto un'offerta che non aveva proprio potuto rifiutare e che l'aveva messo nel peggior mare di merda in cui fosse mai finito in vita sua (lui, che di certi oceani se ne intendeva alla perfezione).

“E' quella dell'altra volta?” Gli chiese, sbirciando inutilmente in direzione dell'ingresso che dava sulla strada e che gli era attualmente schermato dalle pareti di lamiere e cemento della rimessa.

“Come cazzo credi che possa ricordarmi quella dell'altra volta?” Buck si grattò la nuca, sovrappensiero. “Questa forse è più giovane,” azzardò, ma finì per indispettirsi subito dopo. “Va' a vedere per i cavoli tuoi e datti una mossa: Kevin e Louie le hanno già messo gli occhi addosso. Se aspetti ancora un po' di lei non sarà rimasto un bel niente!” La fragorosa risata in cui era esploso si trasformò prontamente in un raschiante tossire.

Clint lo osservò per qualche istante, mentre una sensazione fin troppo familiare si impossessava di lui. Lasciò la Camaro e la sua defunta batteria a se stessa, superando il principale per spostarsi nella stanza adiacente, un'improvvisa consapevolezza ad animarlo.

“Ehi, uccellaccio!” Le grida roche di Buck lo inseguirono mentre si allontanava, “se sparisci per un altro mese puoi pure risparmiarti la briga di ritornare, capito?”

Individuò Kevin, alto e slanciato, una zazzera di ricci scuri e un sorrisetto strafottente sulle labbra; Louie rasato e con due bicipiti che non mancava di mostrare a chiunque gli capitasse a tiro: appoggiati in modo del tutto innaturale ad un'auto rossa fiammante parcheggiata accanto al marciapiede antistante l'ingresso dell'officina, stavano tenendo occupata una donna che gli dava attualmente le spalle. Capelli rossi e mossi che a malapena le sfioravano le spalle, il medesimo zaino che aveva con sé la prima volta che l'aveva vista, un vestito a fiori che le scendeva a coprirle a malapena i ginocchi, le gambe pallide e nude e muscolose...

Si voltò verso di lui un attimo dopo, quasi avesse percepito il suo arrivo o l'incedere sempre uguale dei suoi passi.

Natasha gli rivolse un ampio sorriso. Fu costretto a pararsi gli occhi con una mano, immersa com'era nella luce aranciata del tardo pomeriggio. Si ritrovò a deglutire sonoramente, la gola riarsa e un bizzarro disagio a rimestargli lo stomaco.

“Louie e...,” la vide voltarsi verso gli altri due, “Kevin, giusto?” Tornò su di lui, un'aria divertita ad illuminarle tutto il volto. “Mi stavano mettendo al corrente delle mille e più attrazioni di Waverly.”

“Ah sì?”

“Il miglior pub degli Stati Uniti si trova proprio alla fine di questa strada, a quanto pare,” insisté lei, calcando sull'assurdità di quell'asserzione.

“Il migliore!” Convenne Louie che non si era accorto dello scetticismo di lei, mentre tentava di assumere una posa che mettesse sufficientemente in evidenza le sue enormi braccia muscolose.

“Dovresti proprio venire con noi stasera,” Kevin gli dette manforte, fingendo un disinteresse così poco credibile da risultare comico.

“Perché non andate a tormentare qualcun altro?” Le parole gli erano uscite più imperiose di quanto avesse voluto.

“Oh, andiamo!” Protestò l'altro, rizzando improvvisamente la schiena. “Non puoi fare sempre così.”

“Perché non facciamo decidere la signora?” Intervenne Kevin con l'aria di chi è convinto di avere la situazione in pugno, totalmente a proprio vantaggio.

Natasha non aveva smesso un secondo di sorridere: più che seccata sembrava divertita, quasi stesse assistendo ad uno spettacolo mai visto... non così da vicino, almeno.

“Sono qui per parlare con Barton,” finì per rispondere con una leggera scrollata di spalle, a mo' di scusa.

“Perché sono sempre tutte qui per parlare con Barton?” Louie si era voltato verso il compare per esprimere tutta la sua frustrazione. Clint li ignorò completamente, avvicinando Natasha di un paio di passi, quella strana sensazione di disagio ancora ad impacciargli i movimenti.

“Ehi, chiedo a Buck se posso staccare adesso,” decise.

“Posso aspettare finché non hai finito,” si offrì lei, continuando a guardarlo con l'aria di chi ha appena scoperto qualcosa di – che qualcuno gli desse un colpo in testa! – bello.

“No, no, tanto... manca mezz'ora,” Clint si affrettò a puntualizzare, facendole cenno di restare ferma dov'era.

“Non vado da nessuna parte.”

 

*

 

Il pub migliore degli Stati Uniti si era rivelato non essere neppure il migliore della contea di Bremer... o almeno così le aveva confidato Clint. Il Green Clover si limitava ad essere il locale preferito dell'arciere, o meglio – Natasha sospettava – quello situato perfettamente a metà strada tra casa e officina.

“Allora,” l'uomo si lasciò ricadere seduto di fronte a lei, sprofondando nella lisa finta pelle delle panche che punteggiavano il pub, “vuoi dirmi perché sei così di buon umore o... continuerai a sorridere misteriosamente fino all'anno prossimo?” Poggiò due grossi boccali di birra accanto al cestino di pollo e patatine fritte che la cameriera aveva portato solo qualche minuto prima.

“Non posso essere di ottimo umore e basta?” Rilanciò dopo un istante di silenzio, la voce venata da un impalpabile tono di sfida. Clint si prese qualche attimo per osservarla attentamente e Natasha ne approfittò per fare altrettanto: indossava ancora la canottiera scura che gli aveva intravisto sotto la tuta da lavoro, il collo e le braccia macchiati di nero in più punti, le mani innaturalmente pulite rispetto a tutto il resto.

“Certo che puoi essere di ottimo umore,” decretò infine, ficcandosi una patatina in bocca. “Ti ricordavo diversa, tutto qui.”

“Anch'io ti ricordavo diverso,” l'accusò bonariamente, alludendo ai suoi vestiti.

Clint le lanciò un'occhiata interrogativa prima di indicarsi con un dito e un'espressione perplessa sul volto.

“Perché faccio il meccanico?”

“Ti sta bene,” Natasha convenne, “ti dona.”

“Mi dona fare il meccanico?”

“Già,” prese un sorso di birra, cercando di placare l'euforia che le aveva preso lo stomaco.

La verità era una e una soltanto: Natasha era contenta di non essere più... sola. In quegli ultimi due mesi, le sembrava di aver trattenuto il respiro; si era spostata senza sosta, con un solo pensiero fisso ad esortarla ad andare avanti: l'idea, per quanto fallace, che qualcuno la stesse aspettando... da qualche parte.

“Non credevo che saresti realmente venuta a cercarmi,” ammise l'altro, appoggiandosi alla schienale della panca con un leggero sospiro.

“Ho pensato che sei stato l'unico a non ricevere una visita... per tutta quella faccenda, sai.”

“Neanche tu.”

“Tu mi hai trovata.”

“Solo perché la signora Drakov aveva le informazioni corrette.”

“Non importa,” Natasha si strinse nelle spalle. “E poi mi ero stufata di andare in giro da sola,” aggiunse, caricando istintivamente la voce di una falsa indifferenza.

Clint dovette soppesare per un attimo le sue parole; infine, si decise a sorriderle di rimando, a scuotere il capo quasi non riuscisse a credere ai propri occhi.

“Come hai fatto a convincerla a lasciarmi in pace?” Si risolse a chiederle, alternando patatine e alette di pollo fritte a corposi sorsi di birra.

“Sembra che avesse non pochi problemi da risolvere.” Una delle tante cose che Ivan le aveva insegnato era che tutti, tutti hanno un punto debole, che chiunque può essere comprato. Bastava saper premere i tasti giusti nel giusto ordine: tutti volevano qualcosa, tutti avrebbero fatto virtualmente di tutto pur di ottenerlo.

“E non ha cercato di ucciderti?”

“Oh, no, l'ha fatto eccome,” sorrise di nuovo, “prima ha tentato di togliermi di mezzo e poi ha deciso di optare per un approccio più ragionevole,” esattamente come aveva sospettato sin dal primo istante in cui si era ritrovata faccia a faccia con Elizaveta Drakov.

“L'hai uccisa?” Si era rifatto serio, un velo di tristezza ad incupirgli gli occhi.

“No,” scosse il capo, ricordando a se stessa di rimanere sul vago. “Solo spaventata.”

“Spaventata. Con cosa?”

“Sono piuttosto persuasiva quando voglio esserlo, lo sai?” Replicò piccata, lanciandogli un'occhiata esplicita.

“Cazzo, me ne sono accorto.” Entrambi avevano ben presente il modo in cui aveva convinto cinque uomini (più o meno) grandi e grossi ad imbarcarsi in una folle e misteriosa impresa che avrebbe potuto tranquillamente ucciderli tutti. “E i capelli?”

Si accigliò, portandosi distrattamente una mano alle ciocche mosse che le sfioravano a malapena le spalle, sovrappensiero.

“Avevo voglia di cambiare,” rispose semplicemente, colta alla sprovvista da una domanda tanto normale, “e poi avevano preso fuoco, quindi...,” alla quale si sentì di dare una risposta non troppo ordinaria.

“Ti avrei voluto vedere,” Clint si era messo a ridere.

“Con i capelli in fiamme?”

“Letteralmente: avere un diavolo per capello.”

“Sei proprio uno stronzo quando ti ci metti, lo sai?”

“Non mi devo neppure impegnare più di tanto: è una dote naturale.”

“Me ne sono accorta, non ti preoccupare.”

“Mi erano mancati i tuoi insulti.”

Natasha fece per ribattere a tono, disincastrandosi dal ritmo improvvisamente serrato delle loro battute. Si limitò ad osservarlo per qualche istante, più per cercare di dare un nome alla sensazione che le aveva riempito lo stomaco – della quale, ne era sicura, era lui il colpevole – che per fargli capire chissà che cosa. Lo vide cambiare bruscamente espressione, guardare qualcosa (qualcuno?) che doveva trovarsi alle sue spalle.

“Ehi, Clint,” una voce femminile la raggiunse da dietro, subito seguita da una testa bionda che le occupò la visuale. “Mi prendi da bere?” La ragazza – di cui Natasha non aveva ancora visto il viso – si era appoggiata al tavolo con una mano.

“Kelsea...” Le ci volle un secondo di troppo per accorgersi dei due boccali, per intuire che non era da solo e, in rapida sequenza, per voltarsi verso di lei con aria confusa e sorpresa insieme.

“Oh, pardon, non mi ero accorta che avessi già compagnia.” La donna le rivolse un sorriso canzonatorio, rimettendosi frettolosamente dritta, quasi a ribadire fulmineamente il suo totale disinteresse. “Se cambi idea sai dove trovarmi,” tornò su Clint, sfiorandogli calibratamente un braccio con la punta delle dita, “stasera è un mortorio.”

“Certo,” l'uomo annuì, rivolgendole un sorriso imbarazzato che – a giudicare dall'espressione perplessa di Kelsea o qualsiasi fosse il suo nome – non dovette apparirle granché familiare.

Natasha la seguì con lo sguardo mentre si allontanava in direzione del bancone, lanciando occhiate alternativamente deluse e gelide nella loro direzione.

“E tuo padre?” La voce di Clint si impose alla sua attenzione con una certa urgenza, come per dirottare la conversazione lontana anni luce da quell'episodio e impedirle, così, di indagare oltre. Tornò su di lui, notando la poca naturalezza nel modo in cui aveva ripreso a bere e mangiare, quasi meccanicamente.

Si umettò le labbra, più divertita che altro, sforzandosi di non lasciarsi prendere dallo sconforto alla menzione di Ivan: quale che fosse la situazione, il pensiero del padre aveva sempre e comunque il potere di alimentare il mostro nero della paura che le dormiva in petto.

“Non sono riuscita a trovarlo,” confessò dopo un lungo attimo di silenzio. “Sono tornata in Brasile, ma non c'era traccia di lui in nessun ospedale.”

“Hai rinunciato?” Le domandò, la fronte corrugata da un vago senso di colpa.

“E' inutile,” annuì leggermente, distogliendo lo sguardo, “se non è già morto, sarà lui a cercarmi.” Una parte di lei, in effetti, ci contava. Tuttavia, rimase in silenzio per qualche istante, tentando di tenere sotto controllo il panico che minacciava di proromperle nelle vene da un momento all'altro.

“Non importa,” Clint aveva allungato una mano, forse per poggiargliela sul braccio, abbandonandola però a qualche centimetro di distanza, “non è niente che tu non possa affrontare.”

Non ne era poi così sicura: Ivan l'aveva tenuta in pugno tanto a lungo da precluderle anche solo la prospettiva di una vita alternativa, una in cui non sono gli ordini e le missioni a scandire il ritmo dei giorni. Solo in quelle ultime settimane era stata capace di immaginarsi scenari leggermente diversi, a farsi faticosamente strada in direzione di un futuro privo di regole e padroni e punizioni.

“Mi ricordo di San Francisco, lo sai?” Mormorò.

“Di quando mi hai fottuto diecimila bigliettoni?” Il tono di Clint era indispettito e divertito in egual misura. “Siamo in due, allora.”

“Mi sono ricordata di un sacco di cose.,” aggiunse a mezza voce.

“Forse l'effetto di... qualsiasi diavoleria ti somministrasse, era solo temporaneo,” ipotizzò lui, ritraendo definitivamente la mano, deviandola piuttosto verso il cestino del pollo.

“Il siero non era nella sua versione definitiva,” o almeno così dicevano i documenti che il colonnello Fury le aveva consegnato poco prima della sua partenza dalla base ex SHIELD di Cordova. Le ci erano volute due settimane prima di decidersi ad aprire il fascicolo, ancora di più a leggerne il contenuto. “Faceva parte dei servizi segreti russi,” riprese a parlare senza neppure rendersene conto, “una sezione separata del KGB, la Red Room. Si trattava di un programma sperimentale che coinvolgeva bambine dai sei ai dodici anni, più che altro. Credo che l'idea fosse quella di addestrarci,” annuì distrattamente, come per dare conferma alle proprie parole.

“Bambine soldato?”

“Non soldati,” Natasha rialzò lo sguardo, rivolgendogli un mesto sorriso, “spie. Armi,” sospirò. “L'idea era quella di riplasmare i nostri corpi e le nostre menti, renderci di volta in volta adatte all'occasione. Le più forti, sarebbero avanzate alla fasi successive. Le altre...”

“Cazzo.”

“Quando il KGB è stato smantellato, la Red Room è sparita con quello. I vertici dell'esercito hanno insistito affinché ne venisse cancellata ogni traccia...,” operazione che aveva richiesto l'assassinio delle bambine che ne facevano parte, o almeno di quelle che erano sopravvissute. Colse l'occhiata inorridita di Clint, limitandosi a scrollare le spalle.

“Immagino che Ivan non volesse rinunciare al lavoro di tutta una vita,” chiosò dopo una lunga pausa. Erano state conclusioni a cui era arrivata quasi automaticamente: l'uomo doveva averla rapita prima che i giustizieri arrivassero a lei, era fuggito portandola con sé e, quando erano stati finalmente al sicuro, aveva ripreso a fare quello che avrebbe fatto se la Red Room fosse sopravvissuta. L'aveva addestrata a rubare, nascondersi, uccidere, mentire, spiare, manipolare... aveva usato il siero che doveva aver portato con sé per piegarla al suo volere, renderla più malleabile, controllabile. Qualcosa le suggeriva che, a dispetto della mancanza di mezzi, era persino stato in grado di produrlo autonomamente. Il pensiero che quel supplizio fosse durato per quasi vent'anni le dava il voltastomaco, le faceva girare la testa in preda a rabbia e paura insieme.

“Che hai intenzione di fare adesso?” La voce di Clint la riportò coi piedi per terra, diradando le coltri di terrore che rischiavano di ottenebrarla.

“Speravo che potessi dirmelo tu,” mormorò, accompagnando le parole con l'ennesimo sorriso.

“Stark doveva contattarmi per delle informazioni su Barney,” anche l'arciere si era rifatto innaturalmente serio, “ma sono tre giorni che non si fa sentire.”

“Allora le aspetteremo,” decise, “e poi andiamo a cercarlo.”

“Non devi venire con me,” Clint si era messo a ridere, scuotendo il capo come per scacciare l'assurdità di quella proposta.

“No, non devo,” convenne lei, cercando i suoi occhi affinché si convincesse della sua sincerità, “ma voglio. Sono stanca di andare in giro da sola.”

“Meglio soli che male accompagnati,” sentenziò seraficamente l'altro.

“Già, quando cominci a citare proverbi senza senso è quando sai di non aver ragione,” replicò implacabile, rivolgendogli un'occhiata esplicita. “A meno che tu non mi voglia tra i piedi.”

“No.” La risposta arrivò secca e recisa prima ancora che Natasha avesse il tempo di terminare la frase. “Non è perché non ti voglio tra i piedi,” precisò. “Credevo solo che... avresti voluto fare altro.”

“Altro?”

“Altro,” ribadì l'uomo, vagamente in difficoltà, “una vita diversa intendo.”

“Questo è tutto ciò che conosco,” si limitò a rispondere, “questo è ciò che sono.”

“Magari non sai di poter essere qualcos'altro.”

“Magari non posso... essere nient'altro,” lo corresse.

Lo vide dischiudere le labbra, prepararsi a replicare, infine richiuderle senza aver emesso il benché minimo suono: Natasha capì di aver avuto la meglio.

“Hai un posto dove dormire?”

“Ho la mia auto.”

“Non puoi dormire in un'auto.”

“Hai un'idea migliore?”

 

*

 

Le assi del portico scricchiolarono sinistramente sotto i loro passi. La presenza della donna incombeva alle sue spalle: poteva essere la birra o il caldo di quegli ultimi giorni d'estate che rischiava di dargli alla testa, ma la sensazione di disagio che l'aveva accompagnato sin dal momento in cui Natasha era apparsa sulla soglia dell'officina, non l'aveva ancora lasciato. Un fastidioso nodo allo stomaco che l'aveva tenuto su di giri per tutte quelle ore, quasi il suo corpo fosse capace di percepire l'imminenza di un qualche evento a cui il suo cervello non riusciva ancora a dare una forma.

“E' qui che sei cresciuto?”

Non era sicuro di poterla seriamente definire un'idea migliore, ma si dava il caso che era anche l'unica che avesse avuto. Nonostante sapesse – piuttosto bene, tra l'altro – che Natasha era perfettamente in grado di difendersi da sola (al punto che avrebbe definito “in pericolo” chiunque avesse avuto la pessima idea di tirarle un brutto scherzo), il pensiero di lasciarla dormire sul sedile posteriore della sua auto non gli era proprio andato a genio.

“Per un po',” confermò dopo un attimo di esitazione, lanciandole un'occhiata indecifrabile mentre cercava la chiave nelle tasche dei jeans. La infilò nella toppa non appena l'ebbe trovata, senza smettere di sentirsi addosso lo sguardo indagatore di lei.

“Non devi ospitarmi per forza,” Natasha, accostata allo stipite, stava cercando i suoi occhi, quasi avesse colto la sua esitazione.

“Non devo, voglio,” la citazione gli uscì in modo più irritante di quanto avesse preventivato. La serratura scattò un attimo dopo; Clint spalancò la porta, rivelando lo spoglio corridoio d'ingresso immerso nel buio pressoché totale. “E' che... non sono abituato ad avere ospiti,” deglutì appena, umettandosi le labbra.

La donna era rimasta ferma al suo posto: nell'ombra, riusciva solo a scorgere il pacato scintillio dei suoi occhi, le rotondità delle sue forme in netto contrasto col bianco scrostato della parete esterna.

“Posso cercare un albergo,” si decise a dire, indietreggiando di un misero passo. “Non devo per forza dormire in auto.”

“Smettila,” la invitò ad entrare con un brusco gesto. “Devo dirlo ad alta voce? Sei una specie di vampiro?”

“Sei un idiota,” lo redarguì lei, la voce seccata e divertita insieme, decidendosi infine a superarlo, a varcare per prima la soglia e tagliare così la testa al toro. L'oscurità del corridoio la inghiottì, lasciando che nell'aria aleggiasse il fantasma del suo profumo, che – Clint sospettava – non doveva essere altro che l'odore emanato dalla sua pelle.

Si decise a seguirla dopo un ultimo istante d'incertezza, a richiudersi la porta alle spalle e cercare la luce con una mano. L'interruttore scattò a vuoto.

“E' saltata di nuovo la corrente,” esalò esasperato, gettando alla cieca la chiave nella grossa zuppiera di vetro sistemata sull'unico mobiletto che occupava l'ingresso. Conosceva la disposizione degli oggetti praticamente a memoria: quando aveva fatto ritorno da New York si era preoccupato di lasciare tutto così come aveva trovato. Niente era cambiato rispetto agli anni della sua infanzia: c'era solo uno spesso strato di polvere ad invecchiare ogni cosa, a segnalare il passaggio del tempo su un mondo ormai morto, così come quasi tutti coloro che l'avevano abitato. O almeno così aveva creduto fino a qualche mese prima: l'idea che il fratello fosse ancora vivo aveva gettato una luce completamente diversa su quel posto, l'aveva fatto sembrare... meno morto, forse.

Non si era accorto di aver cominciato a respirare irregolarmente.

“Clint?” La voce di Natasha gli apparve improvvisamente più vicina, forse solo ad un paio di passi di distanza. “E' tutto okay?”

Giurò che la donna si fosse fatta avanti, di poter sentire il suo odore più chiaramente, il calore della sua pelle accaldata, la sua presenza tutta materiale. Se solo avesse allungato una mano avrebbe potuto toccarla...

Realizzò di essere indietreggiato quando si ritrovò con le spalle al muro, la vista a malapena abituata a tutto quel buio. Le dita di lei trovarono il suo viso, costringendolo a socchiudere gli occhi, a rabbrividire al contatto nonostante l'afa che appesantiva l'aria. Deglutì faticosamente, la gola improvvisamente riarsa, la consapevolezza del proprio corpo, la concretezza di quello di lei... così vicino.

La sentì trattenere il fiato, gli parve persino di poter distinguere il battito del suo cuore a rimbombare tra le pareti, ma era un pensiero stupido: non era mezzo sordo, comunque?

“Natasha?” Esalò, inorridendo al modo in cui la voce gli era uscita, bassa e roca e confusa.

Fu un attimo. Il calore umido delle sue labbra gli mozzò il respiro in gola: ne ricordava ancora la consistenza da quando l'aveva baciato in quell'infermeria improvvisata nel quartier generale dell'ex SHIELD, ma niente avrebbe potuto prepararlo alla brusca reazione che quel contatto gli provocò. Si lasciò sfuggire un gemito strozzato, affondò una mano tra i suoi capelli, attirandola a sé per i fianchi con l'altra finché la distanza tra i loro corpi non fu definitivamente annullata.

Assecondò i suoi gesti sempre più frenetici, quasi disperati, dischiudendo le labbra per approfondire il bacio, per riempirsi la bocca del suo sapore. La temperatura parve centuplicarsi in un solo istante: le braccia di Natasha gli furono addosso, poi le gambe, il calore delle sue cosce morbide che – non aveva capito come – gli cingevano i fianchi. Invertì la posizione, schiacciandola alla parete mentre la teneva sollevata senza riuscire a smettere di baciarla, di toccarla ovunque gli capitasse, di saggiare la pelle liscia del suo corpo, tanto pallida da illuderlo di poterla vedere nel buio.

Si lasciò cullare dal battito impazzito del proprio cuore, dall'urgenza che aveva improvvisamente preso il sopravvento, costringendolo a soddisfare quella necessità prima di qualsiasi altra. Le sue dita trovarono alla cieca, istintivamente, tutti quei posti in cui avrebbe voluto sfiorarla fin dal primo giorno che l'aveva vista, sudata e pericolosa e furente in quella fetida bettola di Florence, Arizona...

Non si rese mai del tutto conto di come avesse fatto a trasportarla fino alla soffitta – l'unica stanza della casa che si era concesso di occupare – a disperdere i loro vestiti giù per le scale, a non perdere la testa alla maledetta reazione che i gemiti e i sospiri di lei gli scatenavano. Un istinto animalesco, quasi primitivo e primordiale l'aveva sostenuto fin lassù, forse.

L'odore di Natasha, la sua voce, i suoi soffi, i suoi graffi, ogni cosa si era susseguita ferocemente e freneticamente, annebbiandogli i sensi, riducendo la sua lucidità a quell'unico desiderio, a quella fame che andava placata... un brusco, bollente, convulso affondo dopo l'altro.

Sul materasso abbandonato sul pavimento che gli fungeva da letto, nel groviglio delle lenzuola sfatte, non aveva smesso di cercare ossessivamente il caldo umido del suo corpo, di lasciarsene travolgere come un fottuto ubriaco che non può averne abbastanza.

L'ebbro tremore delle loro membra, i singhiozzi strozzati di Natasha, il fastidioso tirare dei suoi muscoli contratti, il sudore e la polvere...

 

*

 

La luce dell'alba che penetrava dall'alta finestra aperta la stuzzicò fino a farle aprire gli occhi. Mugugnò una protesta, coprendosi il viso con una mano mentre tentava di mettere a fuoco il soffitto tramato di travi che la sovrastava.

Restò immobile, lasciando che ogni singolo particolare di quel bizzarro scenario si palesasse alla sua coscienza: la consistenza delle lenzuola su di lei, l'odore di chiuso e di sesso che la circondava, gli oggetti ammassati sul pavimento a dare l'idea di un accampamento temporaneo più che di casa.

Allargò le braccia, misurando il materasso in tutta la sua larghezza; mosse le gambe indolenzite, sentendo i muscoli protestare debolmente, sfiancati. Fece scivolare una mano tra le proprie cosce, saggiandone distrattamente la pelle delicata e irritata. L'ombra di un sorriso le crepitò sulle labbra ancora gonfie, sovrappensiero.

Inspirò a fondo, stiracchiandosi ancora per qualche attimo prima di trascinarsi fino al pavimento per rimettersi in piedi. Individuò il vestito a fiori che indossava la sera prima nel mucchietto di stoffa abbandonato vicino alle scale; si affrettò a raccoglierlo e indossarlo prima di arrampicarsi fuori dalla piccola finestra che si apriva sulla facciata della casa, uscendo all'aria fresca della mattina.

Clint sedeva sul tetto: un paio di vecchi pantaloni morbidi erano il solo indumento che aveva addosso; lo sguardo perso sul desolante panorama che li circondava, campi e case tutte uguali illuminati dalla luce rosata del giorno appena nato. Lo raggiunse agilmente, sedendoglisi di fianco senza chiedere il permesso, accorgendosi solo in quel momento del telefono che teneva tra le mani.

L'uomo si limitò ad osservarla: i capelli spettinati e un paio di graffi a marchiargli le spalle costituivano l'unica traccia della notte appena passata. Passò un attimo di totale silenzio prima che Natasha non lo sentisse ridere sommessamente.

“Qualcosa di divertente?” Gli chiese, inarcando un sopracciglio e trattenendo molto convenientemente il sorriso che avrebbe voluto rivolgergli.

“Hai il segno del cuscino sul viso.” Si portò una mano al volto, indovinando il leggero solco che la cucitura della federa le aveva scavato nella guancia. “Non volevo svegliarti.”

“E' stata la luce,” lo rassicurò a mezza voce. “Tentato di fuggire?”

“Un po' difficile fuggire da casa mia,” commentò. Nonostante l'impaccio, le parve di buon umore.

“Ti avevo detto che potevo dormire altrove.”

“Se lo dici un'altra volta, giuro che...”

“Giuri che?” Natasha lo urtò appena, spalla contro spalla. “Non ti preoccupare, non ti chiederò di tenermi la mano la prossima volta che attraversiamo la strada.”

“Non sono affatto preoccupato.”

“No? Allora perché non ci hai mai portato nessuno qui?”

“Quello che intendevo era: non sono preoccupato... perché sei tu.”

“E io sono diversa da tutte le altre,” lo prese in giro.

“Tutti sono diversi da tutti gli altri,” la corresse lui. “Sei meno diversa da me di tanta altra gente, però.”

“Diversa nei punti giusti,” finì per dire, strappandogli una risata e un vigoroso cenno d'assenso.

“E' stato divertente,” concesse.

“Divertente,” ripeté, come per assicurarsi di aver capito bene.

“Non farmi dire cose che non voglio dire... di cui potrei pentirmi,” la mise in guardia.

Natasha sorrise, assecondandolo. Studiò per qualche istante il suo profilo, rilassato sì, ma con un'evidente (impercettibile per chiunque non fosse stato abile come lei a leggere le persone) ruga di preoccupazione a segnargli il volto. Si rifece seria come di riflesso, facendo vagare lo sguardo sul panorama illuminato dal sole sempre più caldo e alto nel cielo.

“Stark si è fatto sentire?” Domandò, intuendo la causa del suo turbamento.

“Già,” confermò dopo un attimo d'esitazione.

“Dove siamo diretti?”

Clint si voltò per guardarla negli occhi, improvvisamente serio e contrito.

“Sarà pericoloso,” l'avvertì, “non... non devi rischiare per me.”

“Non sto rischiando per te,” ribatté prontamente.

“Natasha...”

“Clint.” Pronunciò il suo nome con tanta autorevolezza da convincerlo a zittirsi, a ricambiare il suo sguardo, determinato e ostico insieme.

Che altro avrebbe potuto fare, comunque? Andarsene in giro a chiedere se qualcuno avesse bisogno di un omicidio? Un furto? Una spia? Sapeva che, in mancanza di alternative, avrebbe finito per ricadere nell'orbita dell'ex SHIELD: se doveva rischiare la vita per aiutare gente che non conosceva, tanto valeva farlo per Clint.

“Va bene,” fu costretto a cedere, l'ennesimo sorriso ad increspargli le labbra. “Non devi aver accettato molti 'no' come risposta, ah?”

“Non da gente come te.”

“Gente come me...”

“Gente di cui m'importa,” stabilì seccamente, suonando sufficientemente seccata da dissuaderlo dall'aggiungere un qualsiasi commento tagliente a riguardo. “Dove siamo diretti?”

“Giappone.”

“Quando?”

“Domani.”

“Avremo bisogno di biglietti aerei, allora.”

“Stark ci ha già pensato.”

“Armi?”

“Anche. Mi ha messo in contatto con la base giapponese dello SHIELD.”

“Esiste una base giapponese dello SHIELD?”

“Evidentemente.”

“Quindi che ci resta da fare?”

“Una doccia?” Clint si era rimesso in piedi, sovrastandola con tutta la sua altezza. Stiracchiò le braccia e fece scrocchiare la schiena prima di scendere giù dal tetto, sparendo oltre il davanzale della piccola finestra che riconduceva alla soffitta con un'unica, fluida manovra.

Natasha restò immobile finché non lo vide ricomparire, sporgendosi con tutto il busto, un'occhiata interrogativa sul volto.

“Per essere una spia russa non mi sembri così sveglia,” la prese in giro. “Hai bisogno di un invito scritto?”

“Che ti fa pensare che abbia voglia di fare la doccia con te?” Rilanciò.

“C'è tanto spazio e poca acqua calda...”

“Posso lavarmi con l'acqua fredda.”

“... e il sottoscritto. Nudo. Non puoi dirmi di no.”

“Sei proprio uno stronzo, te l'ho mai detto?”

“Al punto di essere quasi riuscita a convincermi che il mio nome di battesimo sia Stronzo.”

“Ti dona,” convenne, raggiungendolo senza alcuna difficoltà.

Non fece in tempo a saltare all'interno della soffitta che Clint l'afferrò di peso, cogliendola totalmente alla sprovvista.

“Clint!” Protestò a gran voce, dimenandosi tra le sue braccia. “Clint, ho ucciso per molto meno!”

“Cosa credi che renda tutto questo così divertente?”

La trattenne senza forzarla, lasciandosi sfuggire una risata che si confuse alla sua mentre la trasportava giù per le scale.

 

*

 

Caricò l'ultimo borsone sul retro della vecchia Audi rossa di Natasha, richiudendo il bagagliaio con un sonoro schianto di lamiere.

“Dove diavolo l'hai trovato questo trabiccolo?” Non poté proprio esimersi dal chiedere, sporgendosi oltre il finestrino del conducente, un sorriso insopportabile ad illuminargli il volto.

“Il modello che piaceva a me dava troppo nell'occhio,” replicò lei, sostenendo piccatamente il suo sguardo. “Un giorno te lo farò vedere,” promise. Clint, che non riuscì a capire se era seria o meno, si limitò a scuotere il capo. “Preso tutto?” Natasha lo incalzò.

“Tutto,” confermò a mezza voce, voltandosi verso la facciata dalla sua casa di infanzia. Tendeva a dimenticare quanto fosse squallida di giorno... la luce del sole aveva il pessimo vizio di rivelare ogni crepa, ogni difetto, ogni bruttura. Solo a lui, che sapeva che la vera tragedia si era andata consumando all'interno dell'abitazione, non appariva poi così tremenda.

“Tutto a posto?”

Si voltò per incrociare lo sguardo – ora pacato – della donna, i capelli più rossi, gli occhi più verdi. Fece per rispondere, ma si limitò a scrollare le spalle, ad impedirsi di guardare di nuovo verso quello che era stato il santuario dei suoi genitori e della sua infanzia. Aggirò l'automobile da davanti, prendendo posto sul sedile del passeggero, un sospiro ad accompagnare i suoi movimenti.

Allungò una mano per accendere la radio, mentre Natasha riportava in vita il motore.

“Lo sai,” riprese lei, controllando che la strada fosse sgombra per immettersi nella carreggiata deserta, “mi manca quel dannato furgone.”

Clint si mise a ridere, saltando di stazione in stazione finché non ne ebbe trovata una che faceva al caso loro.

“Questa è triste,” protestò Natasha, mentre le note di una vecchia ballata riempivano l'abitacolo.

“Non ti hanno insegnato che le cose belle, di solito, lo sono?” Ribatté lui cripticamente, a metà tra il serio e il divertito. La donna frenò qualsiasi reazione, studiando soltanto la sua espressione fino a decidere di non replicare.

L'asfalto scivolava sotto le ruote; le strade e le case che ormai conosceva a memoria sfuggivano ai suoi occhi oltre i finestrini spalancati. Si abbassò gli occhiali da sole sul viso, incassandosi maggiormente contro il sedile, tenendo il tempo della canzone con un piede.

“Natasha?” La voce gli uscì in un soffio, mentre la donna si voltava verso di lui, un'espressione preoccupata a crucciarle il volto come di riflesso.

“Sì?”

Fece una pausa ad effetto, come per aumentare la suspense e poi...

“Siamo arrivati?”

“Oh, fottiti!”

Il vento, la musica, la risata di Clint, si portarono via l'imprecazione di Natasha.

 

__________________________________________

Note:
Aaaaand that's it! Siamo arrivati alla fine :) Col botto, perché non mi potevo smentire, e perché dopo tutto il "patire" clintashoso degli scorsi 19 capitoli ci voleva :P Credo che la distanza abbia rimesso in prospettiva le cose sia per lei, che per lui (dopotutto lo dice anche Clint che ci vede meglio da lontano, no?) e ... bè, finalmente soli! Unico appunto: la canzone che si sente alla radio è Wish You Were Here dei Pink Floyd. E' la canzone che mi ha ispirata scrivendo e inizialmente avrei voluta intitolarla di conseguenza, ma non sono riuscita a trovare un verso che mi piacesse... e gli AC/DC sono arrivati in mio soccorso con Ride On.
La fine rimane aperta ad un possibile sequel: Clint e Natasha sono partiti alla ricerca di Barney, ma la nostra russa nasconde qualcosa, e la missione dell'ex SHIELD contro l'HYDRA continua (non senza l'aiuto degli altri Vendicatori). Le idee (abbozzatissime) ci sono, devo solo trovare voglia/ispirazione/tempo per scrivere :) Prossimamente...

Ringrazio chi ha letto la storia ed è arrivato fin qui, in particolar modo:
Ragdoll_Cat, Alwaysmiling_, blue_sun23, Mumma, Frau Blucher, Blackmoody, fangirl_mutante_SHIELD, Rebekah_65, gio05. Grazie :') Dovuti e sentitissimi ringraziamenti anche alla sclerobetasocia Eli che mi ha consigliata fino alla fine! :*

Concludo con un po' di sana pubblicità all'insegna del Clintasha:
- Hawks di Sheep01, un AU medievale a dir poco delizioso, drammatico e divertente insieme, basato sul film Ladyhawke. Ma qualsiasi cosa della socia val la pena d'esser letto, da Sleep Twitch (ancora in corso) alla conclusa ma sempreverde Cinque Centesimi (soprattutto se vi piace Clint);
- La Leggenda degli Straordinari Vendicatori di the Commas, un dettagliatissimo AU vittoriano più che altro Loki-centrico, ma con incursioni dell'intera e squadra e pure della nostra coppia preferita (ancora in corso);
-
Blood Red, Snow White di Lorhen, interamente dedicata a Natasha e alla sua storia che non manca di affrontare (egregiamente se posso dire la mia!) tra gli altri, il suo rapporto con Clint (ancora in corso);
- per quel che mi riguarda invece ho ancora una raccolta di 10 one-shot/flashfic da pubblicare, a metà tra angst, fluff e commedia (non credo di dover specificare incentrate su chi :P) e una one-shot più lunga che funge da spin-off alla raccolta stessa. Arriverà tra un po'... prossimamente su questi schermi :)


E adesso ho finito davvero!
Ancora grazie per essere arrivati fino alla fine e alla prossima storia :D
S.

 

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Hermione Weasley