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Autore: Elos    20/01/2015    2 recensioni
Certe cose sono intrise a fondo. Nella pelle.
Prima classificata al concorso "[Multifandom] E tu su quale nave salperesti?" indetto da MedusaNoir su Pseudopolis Yard.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il quinto ricordo

Ricordare: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore.
E. GALEANO



Il primo ricordo è l'odore di stalla.
Le cose che vediamo sono quelle che ricordiamo di più, i visi, i colori, l'impressione che lascia la luce cadendo su un filo umido di saliva, teso tra il rocchetto e la ruota, in una mattina di alba pallidissima, il fuoco e quella speciale sfumatura di rosso che prende il sangue secco, come ruggine, più marrone che rossa, come sporcizia secca sul filo delle spade. I rumori ci rimangono impressi a lungo, musiche e voci e il crepitio dei roghi e le urla e il fruscio lievissimo della lana filata, e così la sensazione dell'ago nella pelle e di troppo peso sulle sue gambe storte, le notti al freddo e il tepore dei corpi, e i gusti, dolce, amaro, salato, il gusto della vergogna, che sapore ha essere veramente felici.
Le cose che vediamo sono quelle che ricordiamo di più, i rumori ci rimangono impressi a lungo e così quello che abbiamo toccato, così il senso del gusto, ma quel che ci resta veramente dentro, come intriso a fondo nella pelle, quello di cui non ci liberiamo mai, è quello che abbiamo annusato.
Il primo ricordo, perciò, è l'odore della stalla in cui è nato, e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, perché c'è chi è nato per essere re e c'è chi è nato per essere sarto, e Tremotino ha un fuso e un arcolaio e un rocchetto anche ora che vive in un palazzo di marmo e di piume e di velluti, anche ora che sulla sua ruota passano matasse di paglia che diventano oro.
Il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, e il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po' – ma troppo poco, perché i bambini crescono e diventano grandi presto, gli anni corrono via come se venissero filati al fuso di Dio.
Il bambino era come un fagottino minuscolo, e sembrava una specie d'incredibile miracolo che avesse dieci perfette, minuscole dita alle mani, e dieci perfette, minuscole dita ai piedi, e due minuscole orecchie e due minuscoli occhi e tutto integro, intatto, tutto fatto bene. L'aveva fatto anche un po' lui, aveva pensato Tremotino. Il fagottino minuscolo e perfetto veniva anche un po' da lui.
Il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, e il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po' – e non abbastanza – e il quarto ricordo è la luce dei fuochi sul campo di battaglia, come il cielo si era tinto di rosso e anche la terra era stata rossa, bagnata, e la paura gli aveva spezzato il cuore in due.
Quello è un ricordo che cerca di non tenere troppo con sé. Ci sono ricordi così, ricordi tutti schifosi, ingarbugliati, c'è un po' di vergogna nel mezzo e molta nausea e troppo terrore, non è una buona cosa da tenere a mente.
Ma Tremotino è bravissimo a farsi del male: perciò di tanto in tanto il ricordo riaffiora in superficie, grumoso, e per cinque minuti lui è di nuovo sul campo di battaglia ed è come se nulla fosse mai successo, dopo. Lui non è mai tornato a casa. Non ha mai visto... non ha mai fatto... il suo bambino non è mai...
Ma Tremotino è tornato a casa. Così, il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po' e il quarto è la luce dei fuochi; e c'è un quinto ricordo, fa più male di tutti gli altri ricordi messi insieme, ed è il ricordo che fa pensare a Tremotino che forse sarebbe stato meglio non tornare a casa, mai. Non avrebbe più tenuto tra le braccia il suo bambino e non avrebbe mai saputo che buon sapore lascia la vendetta in bocca, che colore magnifico ha il potere, la sensazione tremenda e indescrivibile di essere il più forte in una stanza – in tutte le stanze – ma c'è una tazzina rotta in una credenza, adesso, e quella tazzina rotta ha spigoli taglienti ed angoli insanguinati e brucia più del fuoco.
Certe volte è il senso di colpa, certe altre volte la nostalgia; e chiunque abbia detto che la nostalgia è un genere di dolore pulito, nobile, doveva essere un perfetto imbecille, perché la nostalgia è seghettata e velenosa, la nostalgia è quella che gli fa girare la testa al momento sbagliato per rivolgere la parola a qualcuno che non è più alla sua sinistra, che non aprirà mai più una tenda, mai più preparerà il tè.
Mai più può essere un tempo tremendamente lungo.

Il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po' e il quarto è la luce dei fuochi.

Il quinto ricordo è il riflesso di rame perfetto sui capelli di una ragazza seduta per terra, che certe volte nella sua memoria alza la testa, certe altre volte no, ma tutte le volte in cui la alza le sue labbra sono rosse come un bocciolo di rosa fatto con la carne e le ossa di un promesso sposo, rosse come non è rosso il sangue e come non è rosso il fuoco, e ci sono efelidi minuscole sulle sue guance, il verde umido e florido delle mattine di rugiada nei suoi occhi, e Tremotino aveva dimenticato com'era guardare una cosa bella senza doverla... senza doverla rubare, sottrarre con la forza, con il potere, il ricatto, guardare una cosa bella senza dover dare niente in cambio.
Belle, be', Belle l'aveva rubata: ma il sorriso di Belle era stato gratuito.



Belle era stata troppo leggera e troppo ingenua e troppo ignorante. Belle non aveva mai visto la ruggine del mondo: era passata da una teca di vetro ad un'altra, credendo che la cosa più orribile che Tremotino potesse farle fosse chiuderla in una stanza dove c'era solo la pietra su cui potersi sedere.
La cella di Belle aveva avuto una finestra, la cella di Belle aveva avuto luce ed aria e rumori che filtravano dalle sbarre. Tremotino aveva pensato, al principio, che avrebbe potuto farle male – danneggiarla, ferirla, lasciarla piena di panico, farle vedere com'era il mondo visto dal lato sbagliato – perché la crudeltà gli si era sedimentata addosso, con il passare degli anni, ed era diventata facile, e l'aveva lasciato con il senso di una curiosità sottile e dispettosa come quella di un bambino. Sanno essere cattivi, i bambini, purissimi e magnifici e cattivi.
Avrebbe potuto farle del male solo per vedere che effetto le faceva: una cella senza fessure, buia di giorno e di notte, una cella senza suoni. Lasciarla lì uno, due, tre giorni, una settimana, e poi tirarla fuori e vedere se sorrideva ancora, se arrossiva, se era capace di venirgli vicino senza rabbrividire.
Ma le aveva offerto una mano, a Belle, quand'erano usciti dalla reggia di suo padre: si era aspettato che lei si ritraesse – si ritraevano tutte, si ritraevano tutti, dalla sua pelle che aveva il colore dell'ottone opaco, del metallo e delle paludi dove vanno a perdersi e a morire i viaggiatori – ma Belle gli aveva posato le dita sul braccio.
Aveva mani piccole e tiepide: attraverso la stoffa della camicia, erano sembrate bruciargli la pelle.

Non era un odore, non sapeva di stalla. Ma anche quello gli era rimasto intriso a fondo nella pelle.

Alla fine, la cella di Belle aveva avuto una porta sprangata e una finestra da cui entrava il sole. Ci aveva passato meno di un giorno intero, la prima volta.
Tremotino avrebbe potuto giurare che fosse tutta colpa della tazza.



La questione era: Belle aveva fatto cadere per terra la tazza e lui aveva contemplato per un lunghissimo momento l'ipotesi di dirle qualcosa di veramente terribile. Qualcosa che facesse il paio con i bambini scuoiati.
Tremotino non scuoiava i bambini. Li scambiava. Li rubava. Poteva spellare vivi gli adulti, ma il ricordo del fagotto magnifico e minuscolo che aveva tenuto in braccio – per troppo poco tempo – lo accompagnava come una condanna.
Così, niente bambini. L'aveva detto a Belle per vedere che aspetto aveva l'orrore sulla sua faccia, che colore prendevano i suoi occhi e le sue guance , e aveva scoperto che l'orrore di Belle aveva un viso bianco e nauseato e ginocchia deboli e mani di burro.
Era divertente, ma non divertente quanto Tremotino si sarebbe aspettato. E la tazza era caduta e si era rotta in due pezzi; Belle si era chinata e l'aveva sollevata e per un momento aveva fatto una faccia... una faccia di...
Era una faccia che Tremotino aveva visto per lunghissimi anni, tutte le volte che si era guardato in uno specchio, riflesso su una superficie d'acqua, negli occhi di suo figlio: una faccia tutta paura e debolezza e impotenza, la faccia del coniglio, della preda, di qualcosa che aveva un ventre molle e niente denti né artigli, qualcosa che aspetta solo di essere schiacciato.
Belle aveva chiesto scusa. Aveva chiesto scusa molto in fretta, e con una voce molto piccola.
Tremotino aveva pensato di dirle qualcosa a proposito del fatto che anche le governanti potevano essere scuoiate, e chissà che aspetto avrebbe avuto, lei, se fosse stata sbeccata, lui l'avrebbe sbeccata con gentilezza e non si sarebbe quasi visto per niente, poi. Solo sbeccata un po' lì, sul naso. Un naso non le era necessario per tenere pulita la casa.
Invece aveva aperto bocca e quel che era uscito fuori era stato:
“E' solo una tazza.”
E poi – perché il sollievo sul viso di Belle aveva un viso fiorito di guance rosa:
“Non m'importa.”



Il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato, perché in casa faceva troppo freddo e nella stalla tutta la paglia avrebbe tenuto più al caldo sua madre, nato da due persone nate per avere il ventre molle e niente denti né artigli, e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto alle dita, perché alle persone con il ventre molle, nate per essere schiacciate, non è permesso essere inoperose, e devono lavorare e lavorare e lavorare per permettere a tutti gli altri – ai lupi – di vivere di razzia e di rapina e di violenza.
Il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto alle dita e l'impressione gloriosa di essere utile, le sue dita flessibili, la lana gentile sotto ai polpastrelli, la sua prima pezza venduta e poi la terza, la tredicesima, il giorno in cui era divenuto il qualcuno che porta il pane a casa. Aveva avuto un lavoro e dignità ed una sposa, e così il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po'.
Il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po', e il quarto è la luce dei fuochi.
Nel fuoco, col fuoco, finirà tutto così – anche se lui ancora non lo sa.



La cella di Belle aveva avuto una porta sprangata e una finestra da cui entrava il sole, e ci aveva passato meno di un giorno intero, la prima volta.
Tremotino avrebbe potuto giurare che fosse tutta colpa della tazza, ma la verità era che la cella era venuta prima della tazza rotta e del giorno in cui l'aveva guardata inginocchiata e spaventata e aveva pensato che adesso era lei quella con il ventre molle, lei indifesa, lui lupo. La cella era venuta prima della tazza rotta, ma dopo il momento in cui Belle l'aveva toccato.
Certe volte il diavolo è nei dettagli. Certe altre, nella cronologia.



Belle voleva una grande avventura.
Tremotino aveva pensato di farle vedere com'era viaggiare a dorso di magia, spingere una barca nel mezzo di un lago e trasformare la superficie dell'acqua in cristallo, in madreperla, convincere i pesci a salire in superficie. Portarla attraverso le ombre di un posto e insegnarle come si faceva a camminare senza che nessuno ti vedesse, che cosa si provava ad andare più veloci del vento, ad essere meno tangibili della nebbia.
Non l'aveva fatto, perché tutta la magia ha un prezzo – e alcune magie costano più di altre.



A fior di pelle, a fior di labbra, lei aveva posato la bocca sulla sua e Tremotino aveva sentito il respiro di lei filtrargli dentro e una gioia cieca che l'aveva lasciato annaspante, vibrante, è tornata, aveva pensato, se n'era andata e invece è tornata, poteva avere Belle sotto agli occhi ancora per un po', tenerla vicina, seduta per terra e incapace di fuggire, aveva aperto la gabbia e come una rondine lei era tornata, Belle dagli occhi verdi, umidi e floridi, Belle che aveva aperto le finestre, Belle che portava la primavera.
A fior di pelle, a fior di labbra, Tremotino aveva chiuso gli occhi e per un momento tutto era stato perfetto.

Nei suoi ricordi, quello è il colore, la forma, della felicità.
Al momento che era venuto subito dopo, perciò, Tremotino cerca di non pensare.



Il ricordo del momento successivo è sempre accompagnato dalla voce di Regina che parla di fruste e ferri arroventati e di una finestra in una torre così alta che cadere è come morire – e certe volte il ricordo torna a galla malgrado tutto.
Tremotino è bravissimo a farsi del male. E' la sua specialità: il suo vero potere, prima della magia e delle pozioni e del filo di paglia che sotto le sue dita diventa d'oro. Tremotino taglia pezzi di sé e li consuma. Tremotino ferisce tutti quelli che gli passano accanto.



Il quinto ricordo è il riflesso di rame perfetto sui capelli di una ragazza seduta per terra, che certe volte alza la testa, certe altre volte no, ma tutte le volte sorride, perché Belle era stata troppo leggera e troppo ingenua e troppo ignorante, Belle non sapeva che faccia avesse il mondo veramente, e tutte le volte in cui Tremotino aveva visto il suo sorriso – gratuito, niente che si potesse vendere, scambiare – aveva ricordato che sapore aveva avuto la vita nei giorni in cui era stato umano, com'era stato avere il cuore pieno, stanze invase dalla luce dove nessuna tenda era mai inchiodata, venire toccato, toccare, senza vedere il disgusto negli occhi degli altri.
La vendetta era dolce, il potere magnifico, ma Tremotino può chiudere gli occhi e ricordare com'era dormire accanto a qualcuno, i corpi intrecciati, odori mescolati, svegliarsi al mattino annodati insieme. Sono tutti ricordi di un milione di vite prima.
Aveva avuto Belle e un momento così perfetto da avere il colore e la forma e l'odore della felicità, e adesso ha il ricordo dei suoi capelli, delle sue mani, della sua bocca.

Belle gli aveva detto che era tutto lì, quello che gli sarebbe rimasto, tutto lì: una tazza rotta, il cuore vuoto.
La tazza rotta è il pezzo più prezioso della sua credenza. Belle aveva ragione.
Belle aveva torto. Tremotino sa com'è avere il cuore vuoto, e non è così. Le cose vuote non bruciano e non pulsano e le cose vuote non hanno angoli che non combaciano, schegge infrante e aguzze e seghettate che tranciano via ferite sporche, sbrindellate, purulente.

Se potesse avere il cuore vuoto, sanguinerebbe meno. Se potesse dimenticare, sanguinerebbe meno. Ma Tremotino è bravissimo a farsi del male.



Il mondo cambia. Tremotino apre gli occhi, si sveglia. C'è una città con un orologio dalle lancette ferme, nessuno esce, nessuno entra, è un gabbia senza sbarre, filtrano il suono e la luce e niente cambia, è orribile e morto come uno scarafaggio sotto alcool, è il gioco crudele di qualcuno e Tremotino sa e Tremotino ricorda.
Si aggrappa ai suoi ricordi man mano che tornano, e così...

… il primo ricordo è l'odore della stalla in cui è nato e il secondo ricordo è la sensazione del filo sotto le dita, il terzo ricordo è quello di un bambino che ha tenuto in braccio per un po' e il quarto è la luce dei fuochi.
Il quinto ricordo è il riflesso di rame perfetto sui capelli di una ragazza seduta per terra. L'ha osservata per pochi mesi e avuta per un felicissimo secondo e, perduta, persa, rotta, l'ha odiata per meno di cinque minuti e amata per tutto il resto del tempo, e l'odio e l'amore disperatissimo che cambiava la sua pelle dall'oro al bianco, che gli riempiva il cuore, si sono intrecciati così strettamente che certi giorni fatica a districarli.
Il quinto ricordo ha il sapore della bocca di Belle contro la sua, della sua voce gentile, sa di tè e della polvere delle tende strappate. Il quinto ricordo è la maniera in cui piegava la testa quando rideva, le sue braccia bianche e la sua candida, pulita ostinazione, il modo purissimo in cui le erano bastati due giorni per smettere di avere paura di lui, cinque giorni per affezionarsi malgrado tutto, sette giorni per capire in che modo gli piaceva il tè, quanto zucchero, quanto latte, in quale tazza. Il quinto ricordo profuma di rose, ed è un odore umido e florido e verde. Lava via la polvere dalla memoria.

Il mondo cambia. Tremotino apre gli occhi, si sveglia. C'è una città con un orologio dalle lancette ferme, nessuno esce, nessuno entra, è un gabbia senza sbarre, filtrano il suono e la luce e niente cambia, è orribile e morto come uno scarafaggio sotto alcool, è il gioco crudele di qualcuno e Tremotino sa e Tremotino ricorda.
Certe cose, pensa, certe cose non si possono scordare. Certe cose sono intrise a fondo. Nella pelle.






Note: Nel gennaio dell'anno scorso il mio computer ha fatto pop. Letteralmente. Ha fatto pop un bel mattino e, malgrado tutto il mio amore e tutte le mie preghiere al Dio del Giorno Dopo, non si è mai più riacceso. All'interno c'erano qualcosa come tre milioni di parole scritte nel corso degli ultimi cinque anni ed una vagonata di grafiche, disegni, progetti e impaginazioni in corso.
In sunto, è stato un pop drammaticissimo.

Tra le altre cose poppate con il mio computer c'era questa storia, che aveva partecipato qualche mese prima al concorso E tu su quale nave salperesti? indetto da MedusaNoir, classificandosi prima. Per i giudizi di Med, potete andare a guardare qui.
Scopo del concorso? Convincere Med che una coppia fosse la coppia, il grandeammore, tutto attaccato e con le doppie al posto giusto, quello che supera i secoli e le avversità, i piedi freddi nel letto, i tubetti del dentifricio schiacciati nel mezzo e i capelli nello scarico della doccia.
Approssimativamente un anno fa io stavo attraversando un periodo di fissazione con Once Upon A Time, deliziosa serie televisiva che avrebbe tutte le carte in regola per essere una serie fantastica, se non fosse per la sceneggiatura. E per Biancaneve. E per il Principe Azzurro. E per le ultime, tipo, dodici puntate della seconda stagione. Non ho ancora visto la terza stagione, popolo di telespettatori, non ditemi niente.
Ad ogni modo, da quel periodo di fissazione sono emersi un salutare desiderio di vedere nuove serie televisive (la mia ultima serie TV era stata, tipo, Friends) e approssimativamente cinque pagine di depressione su Tremotino - la storia di cui sopra, sì. Quella.

Dedico questa pubblicazione al mio defunto PC - a lungo mi servisti, fedele amico, oh, possa tu galoppare felice tra le schede madri del cielo - e al simpatico signore del Centro Assistenza che mi ha permesso di recuperare un bel po' del mio hard disk: non tutto (era chiedere troppo), ma nondimeno una buona parte di quei tre milioni e rotte di parole che credevo di aver perso per sempre.
Tutto ciò anche per dire, gente, che ho ritrovato la trama di Come (non) doveva andare ed ho ripreso a scrivere. x°°°D
Un grazie a tutti voi che avete letto e che state leggendo, doppio con le amarene a tutti quelli che sono rimasti fino alla fine delle Note e triplo con la cioccolata (a chi non piace la cioccolata?) a chi si fermerà e si è fermato a lasciarmi un parere.
  
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