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Autore: Rov    20/01/2015    4 recensioni
"Lui era un musicista ribelle e solitario amante di donne, buona musica, cioccolato e pan di zenzero.
Non aveva mai sentito quella strana sensazione di sentirsi di troppo, o in qualche modo ingombrante: viveva in una calma e offensiva libertà che lo elevava al di sopra degli animi, come se vivere per lui non fosse una scelta, più che altro una filosofia di pensiero."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~Era una di quelle curiose coincidenze, del tutto illogiche, che capitano, per esempio, quando si gira l'angolo e ci si trova davanti la persona a cui si stava pensando proprio in quel momento.
Lui era un musicista ribelle e solitario amante di donne, buona musica ,cioccolato e pan di zenzero.
Non aveva mai sentito quella strana sensazione di sentirsi di troppo o in qualche modo ingombrante: viveva in una calma e offensiva libertà che lo elevava al di sopra degli animi, come se vivere per lui non fosse una scelta, più che altro una filosofia di pensiero.
Colazione: cannolo alla panna ricoperto da virtuoso cioccolato, e una spruzzatina di zenzero.
Pranzo: macedonia o panino con l'insalata, ma sono con l'insalata e niente di più!
Cena: datteri o passato di funghi.
Non era un salutista, non lo era mai stato e mai gli era importato di figurare tale.
Aveva imparato che le cose semplici erano quelle che lo rendevano meno felice, esattamente come i cibi insipidi da bettole comuni gli chiudevano lo stomaco.
La fiducia in sè stesso non gliela avevano certo regalata a Natale; l'aveva costruita mattoncino per mattoncino nel corso degli anni della sua vita trascorsa a non guardarsi mai alle spalle.
Certo, alcuni dei suoi colleghi dell'orchestra lo trovavano un gran bamboccio affumicato annegato nella cioccolata e nelle sigarette di buona marca; d'altro canto come dargli torto?
Una vita come la sua avrebbe mandato chiunque al manicomio!
Le sue giornate dovevano essere un inferno: sballottato tra un teatro e l'altro, infilato in tra gli spartiti di una melodia e l'altra mentre guardava le ballerine saltare sul palco.
Ma le notti...
Decisamente quel musicista aveva l'aria di uno che di notte se la passava meglio che di giorno.
Sapeva raccontare attraverso le note tutte quelle sere intrise un po’ di quell’effimera passione che il giorno dopo spariva.                                                                                                                
Non duravano mai più di una notte quei baci, si cancellavano facilmente come le note sulle loro schiene.
E lui continuava a vivere delle lacrime e delle virtù delle sconosciute che transitavano al suo fianco, e di molte non ricordava nemmeno il nome.                                                                             
Tutte erano belle: a lui importava quello.
Che fossero belle, pulite, aggraziate, eleganti e un po'... melodiche.
Forse traeva da lì l'ispirazione per le sue note: si nutriva dell'amore e volava sulla musica.

Lei era una Ballerina.
Amava vedere la propria immagine riflessa nello specchio rotto del camerino sotto il palco del teatro; piccoli spettacoli di tanto in tanto.
Non una premiere; ballerina di fila comune, scontata e quasi scarna ma orgogliosa.
Quando inarcava la schiena per saltare o prendeva posizione per cominciare il balletto sapeva di non essere perfetta quanto le altre: nel suo mondo la perfezione era tutto, sentiva piccolo e impercettibile quel fremere leggero delle gambe che durava solo un istante.
Si trattava di un piccolo brivido per la tensione e questo bastava a definirla imperfetta.
Imperfetta si, ma bella.                                                                                         
Il suo corpo era sinuoso, poteva eseguire qualsiasi movimento con semplicità, e danzava sempre come se fosse l'ultima volta che le gambe fossero in grado di sorreggerla.
La danza era passione viscerale, era vita, era sè stessa.
Colazione: yogurt bianco, quello con lo 0,1 % di grassi,
Pranzo: un panino, o un pacchetto di patatine, o al limite una fetta di pizza.
Cena: molto molto alcool.                                                                                                          
Sognava qualcuno che riuscisse a suonare il suo amore per la danza, qualcuno che la facesse sentire speciale e non una delle tante ballerine di fila.
Il suo problema era la faccina pulita e l'orgoglio tatuato sulle scapole come grandi ali di un cigno: la grinta non le mancava, ma non quando ballava.
Adorava il suo lavoro con tutta sè stessa ma spesso sentiva che, una volta indossate le scarpette gessate, qualcosa la attirasse verso il basso e la spingesse come per ricordarle che nell'anima sarebbe sempre stata una grande sognatrice... ma nella realtà, la semplice ballerina che tutti avrebbero dimenticato una volta chiuso il sipario.
Mentre l'alcool...
Sì, quello sì  che la faceva stare su.
Aveva imparato da quando era ragazzina che esistono due tipi di sbronze: quella allegra e quella triste; lei prediligeva quella allegra, ma non sempre la sorte la accontentava, così spesso si trovava riversa sul pavimento tra giramenti di testa e una gran voglia di piangere.                                                                                

Coincidenza, sì.
Curiosa coincidenza che si trovassero proprio nel momento in cui lei cercava uno come lui e  lui una come lei.
Quando i due si incontrarono la passione si accese dietro le quinte e sul palcoscenico…neanche la polvere del vecchio teatro riusciva a soffocare gli occhi calamitati del musicista nel guardarla danzare.
La trovava estremamente stravagante: l'unica ballerina che avesse mai incontrato, che quando danzava arrossiva come se volesse dire Non fate caso a me.                                                     
Lei invece lo trovava dannatamente poco affine con la sua idea di piccolo musicista squattrinato che fa la fame suonando nella buca dei teatri minori.
Due settimane.
Quanto bastava per allestire una sorta di scheletro rudimentale della sceneggiatura e dei balletti del nuovo spettacolo, e lui aveva già iniziato a suonarla sfiorandone le costole e  pizzicandole la mente un po' annebbiata da un bicchierino di troppo.                                                                                                   
Ma le note iniziarono presto a scarseggiare.
Gli impulsi erano sempre più un obbligo nei riguardi della loro piccola storia più che un vero desidero di abbandonarsi alla pelle.                                                                                               
Una mattina il musicista si svegliò, appoggiò il capo alla testata del letto della casa di lei e prese carta e penna: voleva dare suono a ciò che sentiva dentro e guardò la sua musa scompostamente addormentata accanto a lui in un talamo sfatto.
Ma quello che vide non era più bello.
Non gli ispirava nulla.
Non aveva nuove parole da dire o sentimenti da esternare; nessuna musica da suonare e nemmeno nessuna vecchia melodia da far riaffiorare al cuore.
Sentiva solo un sottofondo piatto e monotono suonato con un clarinetto stridente senza la minima armonia.
Si vestì, andò in teatro e  si sedette sulle scale che conducevano al palco dove provava una piccola attrice minuta e sorridente.
Era una di quelle donniciole che cantavano assieme al coro della compagnia solo per il gusto di non chiudere il becco quando non era il loro momento di entrare in scena; quelle che per recitare si strizzavano il petto in corpetti troppo stretti o che avevano sempre lo stesso tono di voce o il medesimo sorriso.
Ma paradossalmente l’ispirazione del musicista si risvegliò di colpo all'immagine di quella nuova Musa.
Un ardore ancora da esplorare che pregustò accendendo una sigaretta e facendo uscire un boccata di fumo grigio: si sentiva artistico.                                                                                            
Era elettrizzato. Non riusciva più a controllare il suo desiderio di suonare, di alimentare quella musica con una nuova passione bramosa di prender vita.                                                                                                                                                      
Mai più si sarebbe legato ad una sola donna: le amava tutte, doveva amarle tutte. Non avrebbe mai potuto perdere quel suo dono straordinario.
Sciocchi i poeti e gli scrittori che prima di lui si erano ispirati ad un'unica Musa.
No, lui ne voleva a migliaia.                                                                                                                          

La Ballerina, al risveglio, si sentì come una pesca vuotata della polpa.
Un nocciolo inutile di un frutto che, un tempo, era stato uno dei più prelibati e succosi.
Il suo sogno, non si era realizzato: non aveva trovato in quel musicista la stabilità che cercava, l'amore cieco di cui agognava cibarsi a brano a brano.                                                                
Quando arrivò a teatro tutte, tra le file della compagnia, sparlavano della loro notte bollente, di come si fossero abbandonati a un abbraccio di drappi rossi e di come ora, quel posto, spettasse ad un'altra musa fortunata.
Il musicista la guardava come si guarderebbe un tramonto su una rupe.
Lontano, bello irraggiungibile e... passato.
L'avrebbe rivista ancora, sempre uguale, sempre la stessa.
Già posseduta e già guardata negli occhi troppe volte perché potesse suscitare in lui lo stesso interesse.
La ballerina non poté resistere a un tale sguardo. Scorse gli occhi maligni e le risatine di chi la riteneva una povera illusa; lei che era nota per la sua fragile posizione tra quelle file di perfette compagne.
Ora era ancora più fragile.
Piccola e debole.                                                                                                                   
Ancor più male facevano gli sguardi di compassione delle amiche che con lei avevano vissuto quel sogno tanto sospirato e poi sparito in una bolla di sapone.                                                          
Mortificata, cercò di ballare per sopravvivere ma le gambe tremavano più che mai e i salti non erano perfetti; non sinuosi, non eleganti.
Anzi, monchi.
Arrivò un gran dottore a curare le sue pene: il tempo intorpidì quella sensazione di infinitamente piccolo; questo fino al giorno in cui, anni più tardi, non vide quell'uomo sulla copertina di un disco in vinile.
Abbracciato alla piccola attrice conosciuta quel mattino indimenticabile sorrideva presentando le musiche del loro nuovo spettacolo.
Entrò e ne comprò una copia; arrivata a casa stappò una bottiglia del suo legale e ormai rassicurante veleno preferito e si distese sul divano.                                                                                    
Ascoltò per ore quella musica e si chiede perché lei non fosse riuscita a suscitare quelle melodie così perfette; e se anche lei aveva fatto scaturire da quel genio qualcosa, ci cosa si trattava?
Era così terribilmente bello?
Tanto bello da provare il desiderio di volerla allontanare?                                                                
Probabilmente no.
Pianse, bevve e pregò.
Venne imprigionata tra le note del vinile mentre la testa girava velocemente, ma non sentiva alcun disturbo: era rapita da quei suoni che le annebbiavano la mente, in una morsa che sperò la stritolasse a morte e non la restituisse mai più alla vita.                                                                               
Sparì tra le note nella sua mente addormentandosi soltanto.                                                        
Erano cambiate le cose: se la vita di quell'uomo era un cioccolatino dal ripieno piccante, la sua sarebbe stata uno con quello al liquore.

 

   
 
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