Angelo
 


 
 
 
“Papà, chi è Sherlock?”
John Watson si voltò di scatto verso la bimba dai capelli dorati che, seduta per terra, giocava tranquillamente con alcuni sassi.
“Co-cosa?” domandò, stupito di sentire, dopo tanti anni, di nuovo quel nome.
La piccola alzò le spalle “Ieri gridavi il suo nome, mentre dormivi.” rispose, continuando a giocare.
Il dottore rimase senza parole.
Erano passati dieci anni da quando Sherlock era morto e, nonostante si fosse fatto una nuova vita, ogni notte sognava i giorni in compagnia dell’amico. E, soprattutto, il giorno in cui tutto era finito.
Non era mia riuscito a dimenticare. Ma, sentire sua figlia pronunciare quel nome dopo tanto tempo . . .
“Chi è, papà?” domandò nuovamente la bambina, alzando i grandi occhi color del mare, identici ai suoi, e posandoli sul suo volto serio.
L’uomo esitò a lungo prima di rispondere, con un groppo in gola “Lui è . . . era un mio amico.”.
La piccola non sembrava soddisfatta della risposta.
“Eravate tanto amici?”
John annuì, anche se con difficoltà “Era il mio migliore amico. Anche se era una persona a dir poco insopportabile.”.
La bimba lo fissò seria seria “Perché?”.
“Cosa?” domandò confuso il buon medico.
“Perché era insormontabile?”
Suo padre sorrise, divertito“Non insormontabile, amore. Insopportabile. Vuol dire che era una persona fastidiosa.”
“Ah. E perché?”
“Beh, trattava male la gente. Era arrogante. E faceva sempre di testa sua. Ma era intelligente, molto intelligente, bravo con il violino, eccentrico, e disposto a tutto per le persone a cui voleva bene.”
“E lui ti voleva bene?” chiese la piccola, incuriosita.
John sentì il cuore tremargli.
“Si, credo di si, tesoro. Mi ha salvato la vita tante volte, ed in tanti modi diversi. Per molti lui era uno psicopatico asociale, ma per me era qualcosa di speciale. Era un angelo. Il mio angelo.”
La bimba rimase in silenzio, mentre osservava il papà asciugarsi in fretta una lacrima.
“E dov’è adesso il tuo angelo, papà?”
Il biondo esitò, ma poi le passò una mano tra i riccioli dorati, sorridendole dolcemente.
“Dove sono tutti gli angeli, piccola. In cielo. E qui dentro” si posò l’altra mano sul cuore, per poi chiuderla a pugno, con forza, ed alzare lo sguardo verso il cielo grigio di Londra, in silenzio.
I due rimasero così per un po’, fino a quando l’ex soldato non si alzò in piedi, prese per mano la sua bambina e mormorò “Su, è ora di andare a casa.”.
La piccola sbruffò, ma poi annuì e, mano per mano col suo papà, si avviò verso l’uscita del grande parco giochi.
Prima di uscire, però, voltò la testa dietro di sé, sollevò la manina e salutò una persona con un bel cappotto scuro, riccioli neri ed occhi azzurri della stessa tonalità della sua sciarpa, nascosta nell’angolo più remoto del parco.
“Ciao ciao, angelo.” mormorò la piccola, senza che il suo papà riuscisse a sentirla.
La figura sobbalzò, ma poi rispose velocemente al saluto e, dopo aver asciugato una piccola lacrima, osservò John e sua figlia fino a quando non scomparvero dalla sua vista.