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Autore: ChiiCat92    25/01/2015    2 recensioni
"- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -
Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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- Choises -

 

- 1 -

 

Tutte le persone al mondo ogni giorno della loro vita sono chiamate a fare delle scelte. Che si tratti di piccole, insignificanti decisioni come mettere o meno lo zucchero nel caffè la mattina, o di decisioni che possono cambiare le loro esistenze, prima o poi decidono.

Quelle scelte, giuste o sbagliate che siano, forgiano il futuro di chi le ha prese.

La specie umana è inevitabilmente il frutto delle sue scelte.

 

*

 

Pioveva, pioveva quella sera, pioveva che Dio la mandava, perché solo una forza superiore sarebbe in grado di generare una tale quantità d'acqua tutta in una volta, e concentrata su un unico, piccolo individuo.

Tremante di freddo, lo sguardo truce di chi vorrebbe uccidere qualcuno ma non ha fisicamente nessuno a portata di mano, senza giacca perché lasciata sul treno quella mattina, senza ombrello perché rubato a scuola, senza mezzo di trasporto a causa dello sciopero improvviso e dell'impossibilità dei suoi di venirlo a prendere, Roxas cercava riparo dall'acquazzone sotto la tenda bucherellata di un bar chiuso.

Perché tutte a me.” gli capitava di pensare di quando in quando, più o meno nei momenti in cui l'acqua trovava il modo di filtrare nel tessuto della tenda e gli gocciolava tra i capelli già zuppi.

Perché tutte a me?”

Roxas essenzialmente era un bravo ragazzo.

Non dava troppi problemi ai suoi genitori, aveva dei voti nella media a scuola con qualche picco verso e l'alto e verso il basso, come la maggior parte degli studenti, tornava a casa puntuale, nei limiti del possibile, mangiava le verdure, che non era quasi sempre un punto a suo sfavore.

Alle volte sapeva essere insostenibile, con quel suo fare altezzoso e il suo apparente disinteresse per qualsiasi cosa. Forse era troppo silenzioso.

Certo, aveva fatto delle scelte sbagliate, come quando aveva scelto di tenere della droga per alcuni ragazzi, sperando di poterseli fare amici; quando aveva scelto di tirare il freno di emergenza del treno solo per farsi due risate in compagnia; quando aveva scelto di ubriacarsi ed era finito a letto con la sua migliore amica che da allora aveva smesso di parlargli; o quando aveva taccheggiato un negozio solo perché non aveva i soldi per comprare un cappello che tanto desiderava.

In ogni caso, niente di tutto ciò avrebbe potuto far pensare a qualcuno che si meritasse tutta quella sfortuna.

Eppure, da un po' di tempo a quella parte qualsiasi decisione prendesse risultava essere sbagliata.

Per carità, si rendeva conto di aver fatto molte sciocchezze e di non essere irreprensibile, ma semplicemente non pensava di essere il peggiore tra i peggiori.

Il Karma lo stava punendo, e non ci andava leggero.

Mentre se ne stava lì, tutto tremante per via del freddo e dell'acqua che gli impregnava i vestiti, un'auto passò correndo di fronte a lui. Ovviamente c'era una pozzanghera. Ovviamente era a portata di schizzo. Ovviamente si ritrovò tutto zuppo senza riuscire neanche a prendersela: quasi se lo aspettava.

Sputacchiò e tossì, maledicendo l'autista screanzato che gli aveva fatto la doccia; ma a quello non importava del Karma, della sua sfortuna, di quello che gli sarebbe successo per aver infradiciato così un ragazzo.

No.

Importava solo a lui che c'era dentro.

Con lo sguardo ancor più torvo di prima incrociò le braccia al petto alla ricerca di un po' di calore.

Se non si era ancora mosso da lì c'era una spiegazione, e non dipendeva dal fatto che stava diluviando e che non aveva l'ombrello (tanto era comunque zuppo fino al midollo).

C'erano due strade per tornare a casa. La prima, più grande e luminosa, faceva il giro di tutto l'isolato, ed era la più lunga. Nel lasso di tempo che avrebbe impiegato per percorrerla chissà quante altre sfortune potevano capitargli.

La seconda era la più stretta e buia, tagliava l'isolato perfettamente a metà, ed era giustamente la più corta. Ma Roxas era quasi sicuro che gli sarebbe toccata la sorte peggiore prendendo quella strada. Insomma, un vicolo buio, di sera, durante un temporale, lui era solo e baciato dalla sfortuna. I suoi pronostici oscillavano tra la rapina e l'aggressione, e nessuna delle due lo allettava in particolar modo.

Era questo a bloccarlo: l'impossibilità di prendere una decisione.

Di solito si sarebbe affidato a quella vocina interiore che di tanto in tanto gli sussurrava la cosa giusta da fare e che lui associava alla sua coscienza o al suo istinto, in base all'occasione.

Anche quella, però, sembrava essergli stata portata via e troppo spesso si trovava in balia di scelte che non riusciva a prendere.

Proprio come in quel momento.

Roxas spostò il peso del corpo da una gamba stanca all'altra, gli occhi blu ceruleo che saettavano di qua e di là, ora su una strada ora sull'altra.

Avrebbe potuto rimanere lì tutta la notte a valutare i pro e i contro della sua scelta, senza riuscire comunque a scegliere.

Affidarsi al caso e alla fortuna non gli sembrava intelligente. L'unica arma di cui disponeva era la ragione.

Ripeté ancora una volta nella sua mente entrambi i percorsi da seguire, come farebbe uno stratega in battaglia, e dopo lunghi, estenuanti minuti di riflessione optò per la strada più lunga.

Con la sua sfortuna avrebbero potuto aggredirlo anche lì, alla luce, però sulla via si affacciavano molti più edifici, case, negozi, café, il che significava una più alta probabilità di riuscire a ricevere aiuto nel momento del bisogno.

Respirò profondamente. Aveva preso una decisione, e sperò con tutto il cuore che non fosse l'ennesima scelta sbagliata.

Non avendo niente con cui ripararsi dall'acqua, prese a correre passando da un balcone all'altro, e dove non ce n'erano aumentava l'andatura.

Cominciava a pensare che con tutta quella pioggia si sarebbe sbiadito e avrebbe perso tutti i suoi colori. Già i biondi capelli gli sembravano spenti e tristi quando vedeva il suo riflesso nelle vetrine.

La città era silenziosa, assonnata e, a parte qualche pirata della strada che puntualmente riusciva a bagnarlo passando a tutta velocità in una pozzanghera, non sembrava esserci nessuno in giro.

Ma certo, chi sarebbe stato così stupido da uscire con quel brutto tempo?

Ormai tutti dovevano essere al calduccio nelle loro case, sotto le coperte con una bella tazza di té fumante tra le mani.

Roxas si augurò che anche eventuali malintenzionati la pensassero allo stesso modo e che fossero tutti lontani dalla sua traiettoria.

Il freddo era pungente e non dipendeva solo dall'acqua che ormai gli filtrava nelle ossa con un lento stillicidio. Non sentiva più le mani, anche se le teneva sotto le ascelle.

Sentiva già un brutto raffreddore aggredirgli i polmoni e si chiese quanto tempo ci avrebbe messo la febbre per costringerlo a letto.

Almeno quella era una fortuna nella sfortuna: qualche giorno accoccolato tra le coperte gli avrebbe anche fatto comodo.

In ogni caso, il Karma avrebbe trovato altre strade per punirlo se avesse voluto.

Starnutì e tirò su col naso. Non aveva mai sentito così freddo in vita sua.

La strada si vedeva appena attraverso la tenda spessa dell'acqua che continuava a cadere senza sosta. Per piovere così ininterrottamente qualcuno doveva proprio essere arrabbiato ai piani superiori.

Roxas non era un tipo religioso, aveva scelto di credere solo a ciò che poteva vedere, e non vedeva nessun intervento divino in quello che gli capitava ogni giorno, anzi!

Se mai un Dio fosse esistito non doveva stargli molto simpatico, quindi perché fingere che per lui lo era?

Forse fu quel pensiero a distrarlo dalla strada e a fargli prendere in pieno una mattonella rotta.

In corsa, non poté fermarsi, e il piede incastrato lo strattonò malamente all'indietro, facendolo ruzzolare per un paio di metri.

Il dolore si accese alla caviglia, così forte che per un attimo credette di essersela rotta.

Ringhiando tra i denti, si tirò indietro, sotto una pensilina dell'autobus, per valutare i danni all'asciutto...o in un posto meno bagnato.

Già a prima vista si poteva vedere il gonfiore crescente.

Ottimo!” gli riuscì di pensare quando il dolore fu abbastanza tenue da ridargli le facoltà cognitive.

Si massaggiò l'articolazione dolorante cercando di non sobbalzare e tremare per il dolore.

Forse non era rotta, ma era una bella distorsione.

E per arrivare a casa c'era ancora un po' di strada.

Di imprecare non aveva più la forza né la voglia. Poggiò la testa contro il palo gelido della pensilina e si chiese cosa sarebbe successo se fosse semplicemente rimasto lì, senza muoversi.

Forse i suoi tornando a casa si sarebbero resi conto della sua assenza e avrebbero provato a chiamarlo. Non era proprio sicuro della fine che aveva fatto il suo cellulare, disperso da qualche parte nelle tasche zuppe dei pantaloni. Con ogni probabilità era ormai fuori uso e i suoi non sarebbero riusciti a contattarlo.

E poi?

Mentre i suoi pensieri tendevano verso le peggiori ipotesi e si malediceva per non aver preso la strada breve, un rumore come un fruscio lo fece sobbalzare.

Per un attimo credette di aver sentito male, d'altronde con lo scroscio incessante dell'acqua qualsiasi suono veniva attutito o distorto.

Aguzzò lo sguardo, gli occhi resi grandi da una scarica improvvisa di adrenalina, ma attraverso il tessuto spesso della pioggia non si intravedeva niente che non fosse solo un'ombra tremolante e indistinta.

Si tirò su lentamente, cercando di caricare il peso del corpo sulla caviglia sana, mentre l'altra gli mandava una saetta di dolore che gli strappò un gemito.

Forse aveva sentito male.

Ci stava anche credendo e si stava tranquillizzando...quando quel rumore si ripresentò, più forte di prima, accompagnato da un basso lamento.

Dire che gli schizzò il cuore in gola sarebbe un eufemismo, dato che per poco non dovette sputarlo per la violenza con cui aveva cominciato a battergli in gola.

Le iridi cerulee percorsero ancora una volta la strada, fin dove era possibile vedere senza essere ingannati dalle distorsioni create dall'acqua.

Non c'era niente, non doveva esserci niente.

E non poteva neanche scappare con la caviglia ridotta in quel modo. Al massimo avrebbe potuto zoppicare via nella speranza che la persona dalla quale provenisse il lamento fosse ridotta peggio di lui.

Pensaci Roxas” si disse, per tranquillizzarsi, visto che la sua coscienza era sparita o non voleva dargli più nessuno consiglio “Se fosse una persona ferita? Se avesse bisogno di aiuto? Potresti aiutarla!”

Ma dato che non aveva avuto molta fortuna con le opere caritatevoli, si diede subito dell'idiota e riservò un metaforico manrovescio al suo cervello: non prendere iniziative, stupido!

Respirò a fondo, ancora una volta, e provò a muovere un passo. Il dolore esplose subito, enorme e sconvolgente. La caviglia gli faceva troppo male!

Intanto, quel suono lamentoso raggiunse ancora una volta le sue orecchie. Ora era più che certo che si trattava di qualcuno perché, attraverso l'acqua scrosciante, poteva intravedere un corpo accasciato a terra, nero ed enorme. Doveva appartenere a qualcuno di veramente gigantesco.

Continuava in modo incessante, la persona o la cosa nella pioggia, a lamentarsi. Anche se, per quanto ne sapeva Roxas, potevano anche essere parole che semplicemente a causa dello scroscio dell'acquazzone non riusciva a capire.

L'unica cosa certa, e la constatò con orrore, era che quel lamento sembrava di colpo essersi fatto più vicino.

Sentì il cuore semplicemente esplodere in petto e una goccia di sudore freddo scese lungo la schiena. O si trattava di gocce di poggia? Non avrebbe saputo dirlo, tanto era bagnato e terrorizzato.

Quando un lampo illuminò la strada a giorno, Roxas si rese conto dell'entità della sua sfortuna.

Evidentemente alla fine ce l'aveva fatta: la sua sfiga aveva attirato una creatura ultraterrena!

Fantasmi, alieni, chupacabra: da quando era così sfortunato si aspettava quasi tutti i giorni di incontrare almeno una di quelle creature, e quel momento era infine giunto!

Quella che vide, illuminata fugacemente da quel lampo, era una creatura alata, accovacciata sull'asfalto, le spalle nude su cui come vivi si dibattevano, animati dallo scrosciare della pioggia, lunghi capelli rosso fuoco.

Il volto scarno si alzò su di lui che si ritrovò a fissare grandi occhi verde brillante, così chiari da sembrare pezzi di vetro trasparente, circondati da aloni colanti di trucco nero pece.

Sulle guance, appena sotto quegli occhi quasi spiritati, aveva due segnetti anch'essi neri, simili a lacrime, impressi a fuoco nella carne.

Se solo quella vista fosse bastata di per sé a terrorizzarlo, la creatura non avrebbe avuto bisogno delle gigantesche ali da corvo che le spuntavano direttamente dalle scapole.

Roxas, con quel poco di biologia che sapeva, intuì con l'istinto che quelle ali non erano frutto di un trucco cinematografico: erano talmente saldate alla schiena dell'essere e fuse con la sua pelle nuda e leggermente accapponata per il freddo che anche non volendoci credere ci avrebbe creduto comunque.

La pelle era così diafana e candida, almeno a contrasto con le penne da corvo delle ali, che sembrava altrettanto fragile e se Roxas non fosse stato troppo impietrito per scorgere i dettagli, forse si sarebbe accorto che sottopelle si intravedeva il sottile quanto intrigato reticolo di vene, nel collo e nei polsi.

Quello che vide in quel flash, in ogni caso, gli bastò per capire che sarebbe stato meglio avere un'arma con cui difendersi, o un posto in cui scappare. E non non aveva nessuno dei due.

Il lampo si spense così come si era acceso e, piombato nel buio, Roxas desiderò ardentemente trovarsi da qualche altra parte.

Come in una macabra partita a “un, due, tre, stella”, quando un altro lampo squarciò il cielo e la strada tornò illuminata, il ragazzo vide che la creatura era un po' più vicina.

Si trascinava con braccia stanche, le mani dalle lunghe e sottili dite tese verso di lui, così spaventato da non sentire il rombo del tuono che era seguito al lampo.

Scappa, corri!” gli urlò la ragione, o forse solo l'istinto di sopravvivenza.

E fu proprio quello che fece, anche se la caviglia gli faceva male da impazzire.

Se la diede a gambe, supportato dall'adrenalina, zoppicando quando il dolore era troppo forte per consentirgli di sostenere un'andatura normale.

Lui aveva preso la strada lunga perché sarebbe dovuta essere quella più sicura!

E invece aveva avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con...con...con cosa?

Un uomo-uccello? Una chimera? Un'arpia? Che razza di creatura era quella?

Il cuore gli martellava in petto e si sentiva quasi ubriaco di adrenalina.

Si voltò giusto un attimo indietro per capire se la creatura lo stesse inseguendo o meno, ma a parte un mantello d'acqua non scorse nulla.

Casa sua era proprio lì di fronte!

Cominciò a sentire addosso una patina di sollievo che cresceva, avvolgendolo, ad ogni passo che faceva.

Quasi buttò giù la porta quando le arrivò davanti: tanta fu la foga con cui piombò sulla maniglia, infilando furiosamente le chiavi che intanto aveva recuperato dalla tasca della giacca.

Il silenzio confortante e il caldo asciutto del piccolo appartamento ebbero il potere di farlo sentire meglio.

Che era successo? Niente, aveva avuto di certo un'allucinazione dovuta alla stanchezza.

Sembrava tutto passato e anche il suo battito cardiaco era decelerato sensibilmente.

Tolse subito le scarpe fradice di pioggia e le lasciò all'ingresso insieme alla giacca.

Mentre percorreva il corridoio sfilò anche i calzini bagnati.

I suoi non erano in casa, sarebbero tornati di lì a qualche giorno. Aveva l'appartamento virtualmente tutto per sé ancora per un po'.

Ora che non doveva più scappare per salvarsi la pelle (ammesso che fosse mai stato in pericolo), si rese conto di quanto gli facesse male la caviglia.

Si tuffò a letto con una smorfia e si guardò la povera, gonfia articolazione.

Era senza dubbio una bella slogatura, gli avrebbe fatto male per giorni, ma poco importava ora che era a casa, no?

Forse per la stanchezza, forse per la scarica di adrenalina che l'aveva lasciato stremato, presto cominciò ad assopirsi.

Era stanco, infreddolito e con una caviglia offesa: chi poteva negargli il riposo?

Mentre si addormentava, i capelli bagnati inzupparono il cuscino, ma lui non se ne curò affatto.

 

A svegliarlo nel bel mezzo della notte non fu tanto il fatto che si sentiva tutto acciaccato e infreddolito a causa dei vestiti bagnati che gli si erano asciugati addosso, né l'ennesimo lampo seguito dal tuono che aveva attraversato il cielo tagliandolo in due.

No, a svegliarlo era stata la chiara, precisa e intensa sensazione di essere toccato da mani gelide.

Quello l'aveva fatto quasi sobbalzare e sbarrare gli occhi nel buio della sua stanza.

Convinto che fosse stato solo un brutto sogno, si volse su un fianco, cercando nuovamente di recuperare il sonno. Ma quel movimento non scoraggiò il personaggio del suo mondo onirico, che tornò a toccarlo facendolo rabbrividire.

Forse doveva solo aprire un attimo gli occhi, dissipare il sogno, e tornarsene a dormire.

Così fece, anche se con molto sforzo.

Aprì gli occhi, aspettandosi di sentir sfumare quella sensazione.

Ma Roxas era sfortunato.

La sensazione, invece di sparire, si intensificò e trovò la sua fonte in due mani dalla carnagione candida, bianca più del latte, che gli massaggiavano piano la caviglia slogata.

Il tocco di quelle mani faceva sparire dolore e gonfiore e Roxas si sentiva, paradossalmente, sempre meglio.

Però, quando i suoi occhi blu caddero sulla persona a cui appartenevano quelle mani, per poco non gli venne un infarto.

I capelli rossi erano asciutti e tirati su in una piega assurda che contrastava la forza di gravità; gli dava le sembianze di un istrice.

Dargli, proprio dargli, perché ora che lo aveva vicino, Roxas si rese conto che aveva spigolosi lineamenti maschili sotto quella pelle color della neve, così com'era maschile il petto nudo.

Era la creatura alata!

A conferma di questo, quando dalle proprie labbra sfuggì un urlo di terrore, l'essere si tirò indietro in un frullio di piume e penne nere che gli scompigliarono i capelli biondi.

Roxas si sentì spacciato e si accucciò in un angolo del letto usando il cuscino come protezione (che genio, un cuscino come arma! Allora sì che sarebbe sopravvissuto!) mentre l'essere si pigiava contro la parete dalla parte opposta della stanza.

Il ragazzo si accorse di non riuscire a smettere di fissarlo, ma sentiva anche che la caviglia, schiacciata sotto il peso del corpo visto che ci si era praticamente seduto sopra, non gli faceva più alcun male.

- Puoi vedermi? -

Mormorò l'essere, aggrottando le sopracciglia dritte e rosse tanto quanto lo erano i capelli.

- Vuoi uccidermi? -

Fu la domanda che invece gli porse, spontaneamente e con un'irreale dose di tranquillità, Roxas, ancora immobile nell'angolo del letto.

- Ovvio che no. - rispose la creatura, accigliandosi come se l'avesse appena insultato, e in maniera piuttosto pesante anche - Ti ho curato la caviglia, mi sembra. -

Come se l'effrazione non fosse di per sé un reato grave, un po' come lo stalking dato che non solo lo stava guardando dormire ma lo stava anche toccando.

Eh, d'altronde gli aveva curato la caviglia, questo lo sollevava immediatamente dalle accuse di tentato omicidio.

Roxas stava per porgergli un'altra domanda, probabilmente legata al paio di ali nere che la creatura aveva sulla schiena, quando lui, muovendosi anche abbastanza velocemente, schizzò sul letto e gli fu ad un palmo di distanza prima che lui potesse rendersene conto.

I suoi occhi spaventosamente verdi, più verdi di qualsiasi altra cosa avesse mai visto in vita sua, si puntarono proprio su di lui, scrutandolo con intensità.

- Puoi vedermi quindi! -

Pazzo psicopatico, certo che posso vederti!” si ritrovò a pensare il ragazzo, ma era obbiettivamente troppo preso a fissare le sue ali.

Solo in quel momento si accorse che una era piegata in modo innaturale e che del sangue fresco inzaccherava le piume nere altrimenti lucide come inchiostro appena steso.

- Sei ferito. -

Gli uscì dalle labbra, quasi in maniera inconscia, come se non avesse in camera sua una creatura alata infilatasi lì nottetempo che gli aveva guarito la caviglia slogata solo con il tocco della sua mano.

- Non è niente. -

Rispose in fretta l'essere, tirandosi appena indietro, cosa che però non impedì a Roxas di scorgere la sua espressione sofferente.

- A me sembra che sia rotta. -

Costatò il ragazzo con una certa freddezza.

Magari era ancora addormentato e quello era un sogno, perché mai quindi insistere e dare di matto quando aveva la calda, sconfortante sensazione che la creatura non se ne sarebbe andata finché non avesse voluto da lui quello per cui era venuta?

- Ho detto che non è niente. -

Un pizzico di rabbia si dipinse sul bel volto dell'essere e Roxas aggrottò le sopracciglia.

Aveva fatto arrabbiare quella sottospecie di mostro o era solo troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di cure mediche? O veterinarie?

Il cervello del ragazzo cominciava ad andare in tilt.

- Okay, scusa. -

Era come mettere le mani avanti in un misero tentativo di non essere aggredito. Anche se, se davvero quella creatura era venuta per fargli del male, se la stava davvero prendendo comoda.

Voleva farlo rosolare nel terrore?

Lui scrollò le spalle come a dire che aveva appena dimenticato tutto l'accaduto. Che sollievo.

- Ti fa ancora male la caviglia? -

Perché prendersi la briga di accertarsene! Tanto tra poco l'avrebbe mangiato, o peggio! Forse gli piaceva che le proprie vittime fossero nel pieno delle loro forze prima di cominciare il banchetto.

- No, è completamente guarita, grazie. -

L'irrazionale modo che aveva Roxas di rispondere con cortesia all'essere era qualcosa che non riusciva a controllare, come quando si strizzano gli occhi durante uno starnuto: un riflesso incondizionato e inconscio che quasi lo snervava.

La creatura fece un piccolo sorriso, con quelle belle labbra color pesca, che rivelò appena una fila di denti bianchi, dritti e perfetti che nascondeva in bocca.

- Mi chiamo Axel. -

Chi te l'ha chiesto?” brontolò il cervello di Roxas, che però non tardò a rispondere allo stesso modo.

- Io sono Roxas. -

- Oh, lo so. -

Un altro sorriso, stavolta carico di parole non dette di cui il ragazzo per un attimo ebbe paura.

Che cosa gli stava nascondendo?

Certo il cuscino non era granché come scudo, per questo aveva afferrato, durante quel breve scambio di battute, il libro che stava leggendo dal comodino: 700 pagine di dolore, nel qual caso si fosse abbattuto sulla sua testa. Anche quello non era il massimo, ma molto meglio del gentile ripieno piumato del cuscino.

- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -

Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì.

Il pensiero non fece altro che farlo rabbrividire e per un momento la paura fu sovrastata dall'impotenza.

- Certo, mi sembra legittimo. - annuì il rosso, con la cascata di capelli rossi che aveva in testa che brillava quasi di luce propria. O era un cerchio dorato appena sopra la chioma che li faceva rifulgere? No, i suoi occhi si stavano ingannando. - Io sono il tuo Angelo Custode. -

In un primo momento, Roxas fu anche felice di avere da lui quella spiegazione, con tutto che si trattava di qualcosa di improbabile, impossibile, e suonava tanto di presa in giro. Dopo di che si accigliò con un'espressione arrabbiata: ma che razza di Angelo Custode gli avevano dato? A guardarlo sembrava più un Demone, seppur bellissimo, che un Angelo! Con quelle grottesche ed enormi ali nere, poi!

- Mi stai prendendo in giro. -

Esordì, calmo, anche se un vago tremolio nella sua voce poteva sentirsi a miglia di distanza.

Non sapeva bene per cosa si sentisse preso in giro, se per il fatto che fosse un Angelo Custode o che fosse il suo Angelo Custode.

- No no, sono serio. - cose che fece credere a Roxas che lo stava davvero prendendo in giro - Sono il tuo Angelo Custode. -

- Gran bell'Angelo che sei, allora! - a quel punto, che cosa aveva da perdere? Se poteva prendersela con qualcuno per tutte le cose brutte che gli capitavano giornalmente, perché non sfogare la sua rabbia proprio con la persona, o entità, che aveva il compito di proteggerlo e custodirlo? - Non sai fare il tuo lavoro o cosa? Lo sai quante me ne sono capitate? Lo sai?! -

Gli puntò un dito contro, scordandosi completamente con chi stava parlando, quanto fosse assurda la situazione, e lasciando il libro da una parte: tanto non gli sarebbe servito comunque.

Axel sembrò incassare la testa tra le spalle e prendere quella ramanzina molto sul serio, come se qualcuno gli avesse già detto e ridetto quelle parole, ma che sentirle dire da lui gli facesse per la prima volta, davvero male.

Il ragazzo non si sentì in colpa, almeno finché il rosso non parlò, con la voce rotta da una commozione che non aveva nome.

- Scusami. Ci ho provato ad essere un buon Angelo Custode, ma è davvero difficile. Ogni volta prendevi la decisione sbagliata, e io non potevo fare niente per impedire che ti succedessero tutte quelle brutte cose, sono stato pessimo, è vero. -

Lacrime d'oro, d'un tratto, presero a scendere sul bel viso del presunto Angelo. Non appena le vide, Roxas sentì una morsa stringergli il petto con tanta forza che quasi gli si mozzò il fiato in gola.

- Ehi! - saltò giù dal letto senza neanche pensarci, corse da lui e gli si inginocchiò il più vicino possibile, quanto il suo istinto di sopravvivenza gli concesse di fare - Sei grande e grosso, non ha senso mettersi a piangere così, non credi? -

Ma mentre le lacrime gli rigavano il volto, Roxas lo vide rimpicciolire, no, anzi no, non “rimpicciolire” ma “ringiovanire”.

Dopo pochi minuti, il ragazzo che aveva dimostrato almeno tra i venti e i venticinque anni, ne mostrava come minimo dieci in meno.

Roxas avrebbe voluto tirarsi indietro per lo sgomento, ma qualcosa gli impose di rimanere lì, a fissare quello che ormai era diventato un bambino di dieci, undici anni.

- Oh, dannazione. - mormorò l'Angelo, asciugandosi con il dorso della mano le lacrime dorate. Quando i suoi occhi verdi incrociarono quelli di Roxas cercò di rivolgergli un debole sorriso. - Ho perso molte energie curandoti, e il mondo umano non è il massimo per la mia salute. Ma starò meglio domani, non preoccuparti. - anche la sua voce era giovane, più acuta e soave di poco prima, e Roxas si chiese se dovesse preoccuparsi per lui o per se stesso: stava forse impazzendo?

Si allontanò appena e prese un profondo respiro, guardando Axel dritto in faccia.

- Va bene, senti...io non ci capisco ufficialmente più niente. Puoi anche dormire qui se ti pare. -

- Quindi posso rimanere? -

Con quel visino infantile e dolce chi potrebbe dirgli di no? Anche se attanagliato dalla paura e dalla confusione, Roxas fu costretto ad annuire. Costretto, perché si sarebbe sentito un mostro a lasciare in giro durante un temporale come quello una creaturina all'apparenza così mite. E poi gli aveva curato la caviglia.

- Mettiti dove vuoi... -

Ma evidentemente Axel non era un tipo di quelli che lasciava finire di parlare prima di agire. Infatti la prima cosa che fece, facendo frullare le ali nere che avevano un vago sentore di umido sulle penne, si accomodò senza troppi complimenti sul letto, usando la micidiale arma-cuscino per poggiarvi sopra la testolina rossa.

- Buonanotte. -

- Buonanotte...? - mormorò Roxas, un pugno stretto per la rabbia e una vena che gli pulsava sulla fronte per il furore a stento trattenuto - ...di certo non dormirai nel mio letto! Sparisci! -

Seguì un breve inseguimento, che vide la camera devastata dai colpi involontari delle ali dell'Angelo, e quelli più che volontari di Roxas che era riuscito a prendere nuovamente possesso del cuscino.

 

Tre secondi. Era il lasso di tempo necessario perché il cervello di Roxas si rimettesse in funzione dopo quella notte così agitata.

Tre secondi per rendersi conto di essere ancora nella sua stanza, ancora avvinghiato al cuscino, in maniera quasi spasmodica, ancora con i vestiti della sera prima che ormai gli si erano asciugati addosso.

Tre secondi immerso in un non-pensiero in cui la sua mente vagò un po' qua e un po' là, sfiorando tutto con gli occhi ancora appannati della mente ma senza soffermarsi su niente.

Ma erano sempre e solo tre secondi. Passarono molto in fretta.

Roxas tornò consapevole tutto d'un colpo di quello che era successo solo poche ore prima e la sua reazione spontanea e forse involontaria fu quella di saltare in piedi e sbarrare gli occhi, in posizione di difesa.

Di Axel, però, nessuna traccia.

Fece scivolare lo sguardo nei quattro angoli della sua stanza, cercando la figura dinoccolata dell'Angelo su ogni parete. Sembrava quasi che fosse stato fagocitato dal disordine di vestiti lasciati ad ammucchiarsi sulla sedia, o dalla pila enorme di libri di scuola accasciati in un angolo sotto il letto.

Se non era lì, allora non c'era mai stato, no?

Stava quasi per bollare tutto come un sogno, un brutto sogno dovuto a qualcosa che aveva visto, o pensato di vedere, tra le ombre distorte create dal temporale quando con un piede scalzo calpestò una penna nera.

Era lunga almeno quanto la sua mano e lucida come se ci avessero spennellato sopra della vernice non ancora del tutto asciutta.

Roxas saltò indietro su un piede solo, come se temesse che quella penna innocua potesse invece essere un'arma, e si rese conto che stava caricando l'intero peso del corpo sulla caviglia che doveva essere slogata.

Forse aveva potuto sognare di vedere l'Angelo, ma sognare di essere caduto ed essersi slogato la caviglia? Diventava un sogno ben più audace. Ne conseguiva che qualcuno doveva avergliela curata, e allora l'Angelo doveva essere stato davvero nella sua stanza.

Con il cuore in gola realizzò che, almeno al momento, la creatura che si spacciava per il suo Angelo Custode non era lì, e la cosa non poteva che farlo sentire meglio.

Poi il suo naso colse l'odore di uova fritte, bacon, spremuta d'arancia appena fatta e crêpes dolci. Non era un goloso, né uno che amava particolarmente mangiare, ma conosceva gli odori, tutti, soprattutto quelli che non aleggiavano spesso in quella casa: sua madre era una pessima cuoca.

Lanciò un'occhiata alla sveglia sul comodino e si rese conto di aver appena saltato la scuola: le nove e un quarto, ci avrebbe messo un'ora buona per raggiungere l'istituto, e questo se si fosse preparato in fretta e furia e non avesse fatto colazione.

Se nessuno era venuto a svegliarlo urlando perché aveva dormito troppo, voleva dire che i suoi non erano rientrati. Forse il loro incontro di lavoro era durato più del previsto e si erano dovuti fermare per la notte.

Fatte tutte queste conclusioni gli venne spontaneo chiedersi, non senza rabbrividire: “Ma allora chi sta cucinando?”

Mise da parte il cuscino, scostò con lo sguardo il libro, ma trovò un paio di grosse forbici da cucito sotto il mare di cartacce sparse qua e là sulla sua scrivania. Forse le aveva lasciate lì sua madre, forse le aveva prese lui per fare chissà cosa chissà quando, in ogni caso quelle sì che erano un'arma.

Le tenne in mano come se fossero un coltello e non un paio di forbici e si sentì quasi sicuro di quello che stava facendo mentre apriva piano la porta della sua stanza e avanzava a passi misurati verso la cucina.

L'odore era talmente forte e talmente buono che il suo stomaco reclamò: non puoi uccidere il cuoco dopo aver fatto colazione? Qualsiasi cosa abbia preparato sembra delizioso!

Rimase incollato con la schiena alla parete per tutto il tragitto, ignorando le lamentele dello stomaco affamato, fin quando, cautamente, non sporse la testa per sbirciare oltre la porta della cucina.

La scena di per sé sarebbe stata comica se non gli avesse provocato un'immediata pelle d'oca su tutto il corpo.

Finché era buio, pioveva, i lampi e i tuoni imperversavano e lui era stanco, debole, acciaccato e bagnato, la scusa dell'allucinazione-sogno-visione-parto-della-sua-mente poteva reggere: l'Angelo non era mai esistito e mai poteva esistere.

Ma adesso che lo vedeva alla luce del giorno, con il sole alto che filtrava dalla finestra spandendo luce sulle ali elegantemente ripiegate contro la schiena, i capelli rossi legati con un elastico che aveva di certo rubato in bagno, il grembiule di sua madre addosso mentre armeggiava con gli utensili da cucina come se non avesse fatto altro nella sua vita, Roxas capì che quello che aveva vissuto non era stata un'allucinazione-sogno-visone-parto-della-sua-mente.

Era tutto reale.

Reale come le uova e la pancetta che l'Angelo stava cucinando, reale come le crêpes dolci già servite sulla tavola apparecchiata per due, reale come il succo di frutta fresco che gocciolava appena spremuto da una brocca. Non erano più solo odori, erano corpi fisici che lui poteva vedere, toccare, e volendo anche mangiare (a patto che avesse intenzione di mettere in bocca qualcosa che era stato cucinato da un Angelo).

Lui dovette sentire la sua presenza, perché si voltò tutto contento, con un sorriso ebete che Roxas avrebbe voluto volentieri cancellargli dalla faccia a colpi di forbice.

Il bambino disperato e in lacrime che c'era stato solo qualche ora prima, adesso era stato sostituito da un giovane uomo, avvenente quanto basta per essere irreale, con un'aureola opalescente che galleggiava a qualche centimetro dai capelli rosso fuoco.

- Buongiorno. Hai dormito bene? - il ragazzo si accigliò quanto basta per fargli assumere un'espressione quasi minacciosa. E le forbici nelle sue mani, ancora strette come se fossero un coltello, non erano di certo rassicuranti. - Oh, suvvia, posale, non ho intenzione di farti male né tanto meno tu puoi farne a me. -

Stava per chiedergli come mai tutta questa sicurezza, tutta questa boria, quando si rese conto che aveva ragione: non avrebbe potuto fargli del male, era troppo più grande e grosso di lui, lo sovrastava in ogni modo possibile e immaginabile, se anche gli si fosse avventato contro per disperazione, avrebbe finito col soccombere.

Sulla prima parte della sua frase, il fatto che non volesse fargli del male, aveva delle riserve, per questo non lasciò andare le forbici, e anzi le strinse più forte mentre si sedeva a tavola.

- Allora, ho preparato tutte le cose che ti piacciono, da cosa preferisci cominciare? -

Il fatto che Axel si muovesse in quel modo aggraziato con pentole e padelle gli fece venire i brividi, sembrava...sembrava che fosse stato lì più e più volte.

Gli mise nel piatto tutto quanto poteva mettergli, come se avesse paura che non si cibasse abbastanza, ed ebbe anche il coraggio di rivolgergli un buffetto sulla testa come farebbe un genitore.

Roxas non poté che rabbrividire e strinse con più forza le forbici sotto il tavolo.

- Insomma...tu sei vero. - cominciò, mentre l'Angelo, come se niente fosse, si sedeva di fronte a lui, poggiò sulle gambe un tovagliolo e cominciò a mangiare la sua porzione di colazione. Gli annuì per tutta risposta e cominciava con metodo a tagliare pezzi di pancetta. - E...cos'è che ci fai qui? -

Per qualche secondo, Axel rimase immerso nel suo tagliare, come se fosse qualcosa di estremamente importante, dopo di che alzò i grandi occhi verdi su Roxas che si sentì fremere per la loro bellezza.

- Voglio essere sincero con te. - lo indicò con la forchetta come se ci fosse pericolo che si stesse rivolgendo a qualcun altro - Mi hanno licenziato. Non avevo dove andare, e sono venuto da te. -

- Ti hanno licenziato? - il ragazzo alzò un sopracciglio, confuso - Che lavoro facevi? -

- L'Angelo Custode, no? -

No, quello era troppo.

Roxas si alzò, massaggiandosi gli occhi con indice e pollice. Axel lasciò che lui metabolizzasse l'informazione, perché sapeva che sarebbe successo. Infatti lui tornò a sedersi e lo guardò fisso in volto, non senza aver preso un respiro per calmarsi.

- Fare l'Angelo Custode è un lavoro. -

- Sì. -

- E ti hanno licenziato. -

- Sì. -

Annuì Axel, con un'espressione un po' contrariata sul volto.

- Che cosa hai fatto per farti licenziare? -

- Oh ecco... - il fatto che l'Angelo si fosse appena appena allontanato dal tavolo, e di conseguenza dalla portata delle forbici di Roxas, fece pensare al ragazzo che stava per dirgli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto - ...hai presente tutte quelle brutte cose che ti stanno capitando ultimamente? -

- Se intendi la mia sfiga nera, sì. -

E la mano si strinse convulsamente contro il metallo delle forbici.

- Uhm...magari potrebbe saltare fuori che è la conseguenza del mio licenziamento. -

Roxas, inaspettatamente, mantenne il sangue freddo.

Respirò a fondo, socchiude gli occhi, contò fino a dieci.

Sua madre gli diceva sempre che bisogna contare fino a dieci prima di dire qualcosa che non si pensava realmente.

- Ti hanno licenziato. E io adesso sono sfigato, mi stai dicendo questo? -

- Bhè...non c'è più nessuno che ti custodisca...di conseguenza sei esposto a correnti negative di energia...quella che tu chiami “sfortuna”. -

- Non c'è nessuno che mi custodisce... - riaprì gli occhi per guardare quelli di Axel - ...vuol dire che non ho più un Angelo Custode. Perché? -

- Ehm...uhm...ecco...forse, potrebbe darsi, che non ci sia nessun altro Angelo Custode disponibile per te, a breve termine almeno. -

- Sì, ma...perché? -

Le domande incalzanti di Roxas facevano sudare Axel, grondare anzi, non sudare; grondava sudore come se fosse sotto torchio del suo diretto superiore e questo faceva ben credere al ragazzo che si stava avvicinando al nocciolo della questione.

Se si fosse messo a piangere come la sera prima, l'avrebbe come minimo preso a sberle. Non si sarebbe fatto impietosire dalle lacrime!

- Bhè, un po' la serie di scelte sbagliate che hai preso di tua spontanea volontà, un po' quelle che ti ho fatto prendere io involontariamente...una serie di fattori. -

Il biondo dovette respirare a fondo per non dare di matto.

Erano tante informazioni quelle, tante e difficili da digerire.

Nuovamente si passò la mano sugli occhi, massaggiandoli. Sentiva il cervello indolenzito nello sforzo di capirci qualcosa.

- Spiegati. Che intendi per “scelte sbagliate”? Tutti quanti sbagliano. -

L'Angelo si accarezzò la nuca, come a disagio, o forse stava solo ponderando adeguatamente sulle parole da dirgli per essere il più semplice possibile.

- Hai presente quella vocina dentro la tua testa che ti dice “non lo fare” o “fallo”, cose così? Quella che voi umani chiamate “coscienza”. Non è altro che il tuo Angelo Custode che cerca di darti un consiglio sulla situazione. -

Lentamente, Roxas cominciò a unire i pezzi, e il puzzle gli sembrava via via sempre più chiaro. Poteva quasi sentire una connessione tra il licenziamento di Axel e il momento in cui aveva smesso di percepire “la vocina dentro la sua testa” e aveva cominciato ad essere perseguitato dalla sfortuna.

- Vai avanti. -

Visto che l'Angelo esitava.

Lo vide agitarsi appena sulla sedia, le ali ebbero un leggero fremito.

- Okay. Vedi, molte scelte che devi fare giornalmente non hanno bisogno di un'intromissione da parte del tuo Angelo Custode, cioè, non sarebbe molto sensato se ti consigliassi di mangiare una brioche o un cornetto la mattina, non so se mi spiego. - Roxas annuì, fin lì era abbastanza chiaro, anche troppo - Noi ci occupiamo delle scelte importanti, per essere un supporto verso la “retta via”, come quando senti forte lo stimolo di taccheggiare un negozio e alla fine non lo fai perché qualcosa dentro di te ti ha consigliato di non farlo. Robe così, che potrebbero influire molto negativamente o molto positivamente sull'andamento della tua vita. Se un Angelo riesce nel suo intento e il suo protetto prende la scelta più giusta, meno dannosa o che porta ad un risvolto migliore, allora viene premiato con delle piume bianche. I migliori Angeli Custodi hanno ali completamente candide, anche se cominciamo tutti con le ali nere. -

Il fatto che Axel avesse il piumaggio completamente color petrolio e che stesse provando a nasconderlo mentre Roxas lo guardava con occhi critici fece capire al ragazzo che c'era dell'altro sotto. Come se non bastasse di per sé tutto quello.

Allora era proprio vero che era sfigato.

- Va bene. Ho capito. E poi? -

Cominciava a perdere la pazienza per il semplice fatto che sentiva a pelle che gli stava nascondendo una buona metà del racconto, e la cosa non gli piaceva.

- Poi...se il protetto, nonostante tutta la buona volontà dell'Angelo continua a prendere scelte...non proprio così giuste, allora viene licenziato. -

Lo sguardo blu di Roxas trafisse quello verde smeraldo di Axel, tanto che rabbrividì.

- Non posso essere un caso così disperato. Sì, okay, ho sbagliato tante volte... - e nel dirlo l'Angelo rabbrividì nuovamente, come se sentisse tutto il peso di quegli sbagli sulle proprie spalle - Però non ho mai fatto del male a nessuno, non ho ucciso e non sono un criminale! Allora tutti gli assassini? Gli stupratori? Gente che prende davvero scelte sbagliate? Qual è la punizione? -

Axel sospirò, scuotendo la testa.

- Sei umano, è normale che tu mi faccia un discorso del genere, però vedi, lassù ragionano in modo differente, i nostri metri di giudizio non sono universali. Non verresti mai giudicato insieme con un assassino o uno stupratore, come dici tu. Vieni giudicato solo con te stesso, o almeno con quello che di buono potresti essere o saresti potuto essere. E al momento risulti essere un caso disperato. -

Di nuovo, Roxas ebbe la sensazione che gli stava nascondendo dell'altro, ma già quello che gli aveva detto era sufficiente per avere una crisi di nervi, per cui tacque i suoi pensieri e rimase immobile, il metallo freddo delle forbici come unica consolazione.

- Quanta colpa hai tu per avermi reso un caso disperato? -

Mormorò dopo un po'. Aveva lo stomaco chiuso, e anche se Axel gli aveva preparato una gran bella colazione all'improvviso non aveva assolutamente voglia di mangiare.

- Un buon 85%. -

Dovette ammettere l'Angelo, era evidente che non poteva mentire, forse poteva tacere certe cose, a meno che non gli venissero chieste direttamente, ma mentire...no, non sembrava in grado di farlo.

La pazienza di Roxas cominciava a sgretolarsi, e anche il buon senso. Che cosa avrebbe pensato il “boss” di Axel se ora avesse preso la decisione di gonfiarlo di botte? D'altronde non c'era più nessuna vocina dentro di sé che poteva consigliargli di non farlo, e a dirla tutta ne aveva una gran voglia.

- Spiegami perché sei qui. Perché mi inseguivi ieri notte. -

- Non ti inseguivo. - lo disse in maniera quasi indignata. Che bella faccia tosta! Quello indignato dovrebbe essere lui! - Io sono sempre dietro di te, solo che non puoi vedermi. Da quando mi hanno licenziato mi hanno impedito di stare al tuo fianco, e mi sembra anche ovvio, non sono più il tuo Angelo Custode. Per questo mi sono ribellato. Non potevo sopportare l'idea che tu fossi solo e torturato da influssi negativi. Mi hanno sbattuto in prigione per un po', ma sono riuscito ad evadere, solo che ormai ho quasi perso tutti i miei poteri. Sai, dipendono dal protetto, dalle piume bianche, dalla quantità di “scelte giuste” che si riesce a far prendere e...insomma, debole com'ero ho finito con il precipitare giù dal Paradiso. - e questo giustificava l'ala rotta e sanguinante, nella mente di Roxas dove si stava definendo sempre più quel puzzle strampalato di informazioni paranormali - Dovevo raggiungerti, non volevo altro. Sapevo dov'eri, so sempre dove sei, e anche se ero ferito ti ho raggiunto. Mi spiace di averti spaventato. -

Fosse solo questa la cosa di cui dovresti dispiacerti!” pensò Roxas, la mente in subbuglio come un vulcano attivo.

Considerava ormai l'esistenza di Axel come reale, non plausibile, non possibile, semplicemente reale, cosa che gli permetteva di accettare la sua figura seduta al tavolo a fare colazione con lui.

Ma metabolizzare tutto quel racconto e prenderlo per vero...era tutta un'altra storia.

- Dimmi perché dovrei crederti. E dimmi anche perché, se è tutto vero, non dovrei prenderti a pugni. -

- Lo sai che è vero, lo senti dentro di te. Per il resto...sì, mi meriterei di essere preso a pugni. Non volevo farti soffrire, ma sei...così cocciuto, è difficile farti cambiare idea. Forse non sono stato abbastanza deciso con te...non volevo influenzarti troppo. Questo non è propriamente un pensiero da Angelo, i miei colleghi fanno di tutto per cambiare il modo di essere dei loro protetti, per portarli verso la luce, ma io non sono d'accordo. È per questo, evidentemente, che sono un pessimo Angelo Custode. -

Roxas rimase in silenzio, i sentimenti confusi e ovattati dentro di sé non riuscivano a farlo pensare correttamente.

Per la prima volta da quando era cominciata quell'assurda storia provava compassione e una certa simpatia per Axel, l'Angelo che aveva perso tutto ciò che aveva per dare a lui un po' di libertà.

Riuscì a perdonarlo, anche se non se n'era reso ancora conto, per tutte le cose che gli erano successe, perché in fondo era anche colpa sua se si trovava in quella situazione.

Per un attimo gli sembrò di poter condividere quell'amaro sentimento con lui e lo sentì vicino.

Aveva addirittura lasciato perdere le forbici, poggiandole sul tavolo.

Senza dire nulla, prese la forchetta e cominciò a mangiare le uova, sgranocchiando la pancetta tutta intera, neanche fosse affamatissimo.

- È tutto molto buono, grazie. -

E Axel seppe, in qualche modo, che lo capiva e che forse avrebbe potuto persino perdonarlo.

 

Avere in casa un'altra persona estranea alla famiglia, che fosse un Angelo o meno, metteva a Roxas una certa agitazione.

Non era mai stato un tipo eccessivamente amichevole, né aveva rapporti così stretti da avere la casa popolata di amici. A dirla tutta tendeva spesso a isolarsi, e forse era il tentativo di uscire dall'isolamento che gli aveva fatto prendere tutte quelle scelte sbagliate.

Per questo si vergognò del disordine della sua stanza, della polvere sulle mensole, anche del fatto che aveva indosso i vestiti stropicciati del giorno prima. Non che Axel avesse chiesto spiegazioni, comunque.

Sembrava stare a suo agio in mezzo a tutta quella confusione anche se Roxas se ne vergognava. Sapeva dove si trovavano gli oggetti forse meglio di lui stesso, e la cosa lo riempiva di una sottile inquietudine.

Stava a guardarlo proprio per tutto il tempo?

Si chiese se era presente quelle sere in cui, preso dagli ormoni, dal desiderio, da un pensiero fugace, aveva approfittato di se stesso mettendo le mani dove non avrebbe dovuto. Si chiese anche se poteva capirlo e se la storia degli Angeli asessuati fosse vera. Sì, Axel aveva tutti i lineamenti normalmente associati ad un essere umano di sesso maschile, ma allo stesso tempo il suo viso sottile e privo di un qualsiasi accenno di barba gli dava un pizzico di grazia femminile che riusciva a mettere in imbarazzo.

Tutti questi pensieri, formulati mentre sistemavano insieme la sua stanza, lo fece irrimediabilmente sprofondare nel silenzio.

Forse Axel doveva esserci abituato, d'altronde nessuno parlava mai con lui, che lo vedesse o no, e sembrava averci fatto il callo. Però adesso era diverso, e la strisciante curiosità tutta umana che aveva nel petto si fece largo senza che potesse farci niente.

- A cosa pensi? -

Tre parole che ebbero il potere di far cadere dalle mani di Roxas la maglietta che aveva appena finito di piegare. Forse arrossì appena mentre rispondeva:

- Niente di particolare. -

- Non è vero, conosco quella faccia. Vuoi farmi una domanda, una serie di domande. -

- Capirai che avere un Angelo in camera non è proprio una cosa di tutti i giorni. -

Poteva sviare la sua attenzione su altre domande, domande meno imbarazzanti, domande che esulavano dalle cose che faceva di notte, sotto le coperte, solo con se stesso.

- Fammi tutte le domande che vuoi, se posso rispondo. -

- C'è qualcosa a cui non puoi rispondere? -

Axel ridacchiò sommessamente, senza mai staccare gli occhi dalla biancheria che stava piegando, un po' come faceva sua madre, anche se lei non aveva le ali e non era un Angelo.

- A domande sulla morte, per esempio, o sull'Aldilà. Normalmente gli Umani non possono vedere gli Angeli, ma quando capita abbiamo un certo protocollo da seguire. -

- Anche se ti hanno licenziato e con me non avresti più niente a che vedere? -

- Ma certo, rimango pur sempre un Angelo, io! -

Roxas aggrottò le sopracciglia ripensando a quella volta che, in tv, aveva sentito di quella donna che parlava col proprio Angelo Custode, che le aveva mostrato il Paradiso, che le aveva fatto vedere com'era dopo la morte. Si chiese se avesse mentito o se il suo Angelo avesse fatto uno strappo alla regola, come Axel, con la sua sola presenza, stava facendo con lui.

Scrollò le spalle, cercando di non far trapelare nessuno di quei pensieri dagli occhi blu così sinceri, più di quanto volesse.

- Perché riesco a vederti? -

Era di certo la prima domanda per importanza e curiosità dopo il voler sapere che cosa aveva dalla vita in giù, anche se era coperto solo da quello che sembrava essere un tessuto bianco e drappeggiante, come quelli degli Angeli di pietra nelle cattedrali.

- Ci sono due casi in cui un essere umano può vedere gli Angeli, o solo il suo Angelo Custode, uno è il mio caso: i miei poteri sono terribilmente deboli, riesco a malapena a nascondermi agli altri umani; tu sei stato il mio protetto da quando sei nato e di conseguenza hai una sensibilità maggiore alla mia presenza, per questo puoi vedermi. Il secondo caso è che l'Angelo, di sua spontanea volontà, si mostri al protetto per una qualche sua inclinazione religiosa, spirituale o mentale molto molto particolare. Di solito avviene perché dall'alto sono arrivati ordini ben precisi. -

“Dall'alto”, Roxas rabbrividì al solo pensiero. Chissà se avrebbe potuto rispondere a domande su quello.

- Quindi...devi essere messo molto male. -

- Un po'. Mi indebolisco ogni giorno che passa. -

- Che ti è successo ieri notte? Perché sei tornato...bambino? -

Lui sembrò contrariato a quella domanda, forse avrebbe preferito che non gli fosse posta...per orgoglio o chissà cos'altro, valli a capire gli Angeli!

- Le lacrime d'oro degli Angeli sono pura energia, se piangiamo ne perdiamo parecchia. Non è bello far piangere un Angelo, sai? - cos'era? Lo stava forse incolpando? Ma se aveva fatto tutto da solo! Però si tenne per sé tutte quelle rimostranze, imbronciandosi appena. - Per fortuna è un'energia che con una notte di riposo si può recuperare, altrimenti sarei rimasto bambino. -

- E adesso che sei stato licenziato e sei per giunta scappato di prigione che cosa ti capiterà? -

- Niente di buono. -

Fu la risposta, per niente soddisfacente, che diede. Ma da come si rabbuiò in volto e gli diede le spalle era chiaro che non voleva parlarne. Che non fosse pronto ad affrontare l'argomento? O voleva solo evitare che si spaventasse? Perché l'espressione sul suo volto era da mettere i brividi.

- La tua vita è in pericolo? Verranno a cercarti? -

- No, non posso morire. Ma sì, è probabile che verranno a cercarmi. -

E la cosa non sembrava renderlo felice...in realtà non rendeva felice neanche Roxas. Ci mancava solo che nella sua stanza si radunasse un esercito di Angeli arrabbiati, magari meno gentili di Axel.

- Gli Angeli possono essere cattivi? -

Più che per lui, temeva per se stesso. Era egoista da dire e da pensare, ma era anche così spontaneo che Roxas non se ne sentì in colpa.

Potevano metterlo in mezzo in ragioni ultraterrene quando lui a malapena riusciva a capire cose terrene? O il fatto che Axel gli fosse apparso e ora ci stava parlando lo rendeva irrimediabilmente complice di qualcosa che ancora non capiva?

Il rosso pensò su alla sua domanda. Ormai era chiaro a Roxas che non poteva mentire, non a lui almeno, e questo gli rendeva difficile rispondere senza dargli informazioni sconvenienti: meno sapeva, meglio era. Ma questo, ovviamente, il ragazzo non poteva saperlo, anche se aveva una leggera impressione.

- Bhè, l'ultimo Angelo cattivo ha ricevuto una punizione eterna, quindi no, Angeli cattivi, nel stretto senso del termine, non ne esistono. Però la nostra è una...chiamiamola società piramidale. Ci sono Angeli, Arcangeli, Angeli Custodi. Rispondiamo tutti alla stessa persona, però c'è chi di noi è più importante nella gerarchia interna. I miei superiori diretti sono gli Arcangeli, che sono un po' come...sentinelle, poliziotti, mi spiego? E a volte possono essere...poco carini. - Axel parve accarezzare con lo sguardo qualcosa sul suo braccio ma agli occhi di Roxas la sua pelle nuda rimaneva perfettamente liscia e compatta, bianca come la neve appena caduta - Non sono cattivi, fanno solo in modo che tutti rispettino le leggi. Sono...severi, ecco. -

- Posso scommettere sul fatto che questi Arcangeli presidiano la prigione da cui sei scappato, non è vero? -

Come prima, forse sentinella del suo disagio, Axel andò ad accarezzarsi la nuca, con gli occhi verdi che quasi scintillavano di ricordi, più o meno dolorosi. All'improvviso Roxas si chiese quanti anni avesse, e se questo avesse davvero importanza.

- Sì, hai indovinato. -

E dal brivido che ebbe, Roxas fu sicuro che stava parlando di una persona precisa, di un Arcangelo che suscitava in lui ricordi non proprio piacevoli.

- E se dovessero trovarti? -

Per far credere ad Axel che non avesse capito che ormai si parlava di una sola entità, parlò al plurale, e la cosa sembrò rasserenare l'Angelo e sospirò.

Prima di rispondere piegò un altro paio di magliette che poi infilò nell'armadio.

- Verrei punito per essere scappato, in primo luogo, poi per essermi fatto vedere da te, anche se non sapevo sinceramente che potessi vedermi, poi per averti parlato e dato queste informazioni...e verrei probabilmente rispedito in prigione in attesa di un processo. -

- Ci sono processi anche... - avrebbe voluto dire “in Paradiso”, ma non voleva crogiolarsi nell'idea che esistesse, quindi riformulò la frase prima ancora che gli uscisse dalle labbra - ...da dove vieni tu? -

- Oh sì, abbiamo un tribunale. Il nostro mondo somiglia in molte cose a quello degli uomini. C'è una cosa, però, in cui siamo profondamente diversi. -

- Cosa? -

Perché all'improvviso Roxas sentiva freddo? Sembrava che la temperatura della stanza si fosse abbassata di dieci gradi. Trattenne il respiro, non voleva avere la certezza di quel freddo respirando: se così fosse stato, il suo fiato si sarebbe condensato nell'aria.

- Noi non possiamo provare sentimenti. -

L'unica reazione di Roxas fu un lieve inarcamento delle sopracciglia. Non sembrava molto propenso a credergli...ma ormai aveva creduto a tutto, tanto valeva accettare anche questo.

- Non potete provare sentimenti? E allora come fate ad avere a cuore la protezione degli esseri umani? -

- Se fossimo coinvolti emotivamente rischieremmo di non svolgere bene il nostro lavoro. Siamo stati creati per questo, per difendervi il più possibili da correnti negative che potrebbero portarvi allo sfacelo spirituale. Per questo non abbiamo bisogno di sentimenti, così possiamo guidarvi senza farci influenzare da nulla. -

- Ma...tu hai pianto, questo non è un sentimento? E sorridi, e ti arrabbi... -

Stavolta quelle sopracciglia scure si aggrottarono dando a Roxas un'espressione confusa e un po' infantile.

- È normale che tu non capisca. Per gli esseri umani i “sentimenti” sono molto legati alla fisicità, espressi da risate, lacrime, urla. Ma le vostre emozioni vengono più dal profondo, da quello che chiamate “cuore”, e ridere, piangere, urlare sono solo manifestazioni. Potresti essere felice senza però ridere, o triste senza piangere: proveresti comunque quell'emozione. Capisci che intendo? -

Gli occhi blu di Roxas si riempirono di qualcosa simile alla tristezza, e Axel capì che lo stava compatendo e che, di conseguenza, aveva capito eccome.

- Sì, credo di sì...anche se ti mostri felice questo non vuol dire che tu lo sia davvero... -

- Bravo. - il sorriso che gli rivolse suonò più falso di tutti gli altri, o almeno fu l'impressione che diede al ragazzo - Conosciamo i sentimenti e le loro manifestazioni, perché non potremmo trattare con gli umani se non li conoscessimo, però non possiamo provarli. Alcuni di noi evitano di lasciarsi andare al riso e al pianto, di solito si tratta di Angeli di alto rango che non hanno alcun motivo di assumere atteggiamenti umani...anche perché, come nel caso delle lacrime d'oro, imitare un umano è distruttivo per il nostro essere. I Custodi sono più...diciamo inclini a lasciarsi andare, anche perché lavoriamo a stretto contatto con voi. Un po' ci contagiate. -

Roxas fece una smorfia, si sentì all'improvviso come se fosse un germe di qualche tipo, o un parassita. Una creatura inferiore di fronte a quell'Angelo di rara bellezza che gli stava raccontando cose per cui avrebbe potuto essere punito.

Che motivo aveva di farlo?

Sì, era stato il suo Angelo Custode, ma ora non aveva più alcun legame con lui, e se era vero quello che diceva, cioè che non poteva provare alcuna emozione, che cosa lo spingeva a stare lì in quella stanza, in quella casa, quando le sue ali avrebbero potuto portarlo ovunque?

Forse non era così libero come credeva che fosse.

Cercò di tenere per sé tutti quei pensieri, ma era inevitabile che filtrassero attraverso il suo sguardo sincero, e Axel che l'aveva visto nascere e crescere sapeva addirittura meglio di lui come pensava, come rifletteva, solo che era abbastanza discreto da non dire niente.

- Sei venuto a salutarmi o cosa? Penso sia chiaro che la prima cosa che faranno sarà cercarti qui da me, lo sai vero? -

Il rosso annuì, piano, mentre finiva di sistemare.

- Sì, lo so. Come so che dal momento in cui ho lasciato il Paradiso avevo già alle calcagna qualcuno per riportarmi indietro. Non avrò altre occasioni per vederti, quindi alla fine sì, sono venuto a salutarti. -

Roxas sgranò appena gli occhi.

- Ma puoi fuggire, trovare un altro posto in cui andare. Non ha senso che aspetti qui che ti vengano a prendere! -

- Non ha senso scappare, invece. Dovrei farlo per tutta l'eternità, e più a lungo sto lontano dal Paradiso, più debole diventerò. Non voglio essere uno spirito inquieto e rimanere sulla Terra per sempre. Sono nato per essere un Custode, se non posso fare quello per cui sono nato, tanto vale rimanere chiuso in prigione. -

- Non ti faranno mai più custodire nessuno dopo di me...? -

A quella domanda, l'esitazione di Axel fu chiara come il sole anche per Roxas che riusciva a stento a capire come funzionava quella creatura. Non sapeva come e cosa rispondere, più che a qualsiasi domanda che gli avesse posto fino a quel momento.

Rimase a lungo in silenzio, senza quasi respirare (sempre che lui avesse bisogno di farlo), finché non gli tornò la voce che sembrava aver perso.

- Quello che ti dico...spero che non andrai a spifferarlo a nessuno. Ti conosco e so che non lo farai. -

Certo, mi prenderebbero per pazzo.” fu il sottile, tagliente pensiero di Roxas, che in qualche modo Axel riuscì a interpretare solo guardarlo, e di sfuggita per giunta.

- Tu...sei più vecchio di quanto credi. La tua anima ha attraverso ere, saltando da un corpo all'altro, morendo e nascendo, soffrendo, vivendo, tornando alla luce ogni volta con rinnovato vigore. L'anima è immortale, anche se il corpo non lo è. E da quando quella tua piccola anima ha preso vita per la prima volta, molti, molti millenni fa, io le sono stato accanto. Sono sempre stato al tuo fianco e ti ho accompagnato da una vita all'altra, provando e riprovando a farti prendere le giuste scelte. Poco fa ti ho detto che non c'è nessun altro Angelo Custode disponibile per te...non mentivo. Noi nasciamo insieme con l'anima del nostro protetto, e gli rimaniamo accanto per tutta l'eternità. Un Angelo Custode che perde il suo lavoro bhè...è destinato a non essere più niente. -

- E che ne sarà di me, allora? -

Ancora un'esitazione. Ecco cos'era che non voleva dirgli.

- Sarai sempre più influenzato dall'energia negativa che impregna il mondo degli Umani, prenderai scelte che ti porteranno sempre più su infime strade, finché forse perderai la voglia di vivere. Allora anche la tua anima finirà con l'essere niente, nulla. Un oblio totale. -

- Morirò. -

Sussurrò il ragazzo, il cui cuore ora palpitava tanto forte in petto da fargli male. Troppo male.

Ora aveva paura della creatura che si era presentata a lui come un Angelo. Forse l'aveva preso in giro, forse non era affatto quello che diceva. Era una creatura foriera di sventura, né più né meno di quella che l'aveva perseguitata in quell'ultimo periodo della sua vita.

Si chiese se averlo incontrato era un segno che aveva cominciando a scendere quella china pericolosa di cui lui lo stava avvertendo, e se la sua presenza fosse dovuta alle influenze delle energie negative che, in qualche modo, ora percepiva come reali, proprio sulla pelle, come un vento gelido che lo faceva tremare.

- Ci sono cose peggiori della morte. Come ti ho detto, l'anima è immortale, ripete a ciclo infinito nascita e morte, reincarnazione, la chiamate voi umani. Purtroppo però continuando così non ci sarà più alcuna rinascita. Non succederà dopo questa vita, né nella prossima. Tu ti dimenticherai di questo incontro, ti creerai una scusa, una spiegazione che per te giustifica tutto quello che ti ho rivelato oggi. Con il tempo il tuo cervello rigetterà ogni mia singola parola e immagine, e non avrai alcun ricordo di me. Sarai solo sfortunato, più degli altri, ma ti dirai che è solo sfortuna. Poi chiuderai gli occhi e ti risveglierai nella prossima vita completamente inconsapevole che le cose cominceranno da dove le hai lasciate. L'oscurità ti sta reclamando, anche in questo momento. -

Un brivido di freddo percorse la schiena di Roxas, così gelido, terribile, pesante e strisciante che per poco non si chiese se fosse un serpente vivo a salirgli sulle spalle.

Già in quel momento la sua mente stava tessendo una serie di spiegazioni plausibili per tutto quello che aveva appena finito di ascoltare. Voleva credergli, ma non gli credeva, sapeva che era la verità, ma bollava tutto come una menzogna.

Un'emozione contrastante che lo lasciava confuso, dolorante, come se gli avessero dato un colpo in testa e lui non riuscisse a mettere a fuoco chi l'aveva aggredito.

Il suo Angelo Custode era venuto a dirgli addio, a metterlo in guardia o la sua presenza era un ultimo, disperato tentativo di salvarlo di se stesso?

Gli occhi verdi di Axel, vetro duro incastrato nel viso dolce ed elegante, non davano una risposta, erano anzi pozzi in cui annegare: un mare di domande in cui non poteva nuotare.

Tremava tutto, inerme come un bambino, esposto alla verità-menzogna di cui Axel era portatore.

- E cosa...cosa devo fare? Cosa posso fare? -

- In realtà...niente. Non avrei dovuto raccontarti questa storia, né dirti nulla su di me o sul mio mondo. Ho fatto un grave errore. Devo andarmene. -

Axel si allontanò, il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi, facendo apparire come reale la sua presenza in quella stanza.

Roxas reagì d'impulso.

Forse stava per prendere la peggiore decisione di tutte, quella che quasi sicuramente l'avrebbe portato nel buio e nell'oscurità di cui aveva parlato l'Angelo.

- Non andartene. -

Anche se non si toccavano, anche se c'era tutta una stanza a dividerli, fu come se Roxas avesse afferrato il braccio di Axel con una mano, tanto si sentiva tirato, trascinato, incatenato a quel misero umano.

- Devo. Prima me ne vado, prima ti dimenticherai di me. Potrai tornare a fare una vita normale. -

- A questo punto la mia vita non è più normale. Non puoi andartene. Se è vero che non hai dei sentimenti, allora perché mi hai raccontato tutto? Non è perché poi me ne dimenticherò, non è per questo! Vuoi proteggermi? Vuoi mettermi in guardia? Non puoi essere così egoista da lasciarmi qui, mentre sprofondo nel buio! Perché? Dimmelo! -

- Perché sono innamorato di te. -

 

Il tempo per una creatura immortale non si può misurare né avvertire, lo scorrere dei minuti, delle ore, dei giorni, decantano lentamente in secoli e millenni con la stessa velocità con cui si passa dell'acqua da un bicchiere all'altro. Ma per gli umani è ben altra storia.

Il momento subito successivo a quello in cui Axel gli aveva detto quelle cinque parole gli sembrava infinito e benché il tempo per lui stesse scorrendo velocemente, dentro si sentiva come se le sue lancette biologiche si fossero fermate per sempre: l'ora era la stessa, identica, di quando le aveva sentite.

Rimase immobile, come di pietra, mentre fissava quel volto apparentemente innocuo. E invece, quella maschera di dolcezza e bellezza aveva nascosto così a lungo quelle parole solo per tirarle fuori adesso, quando entrambi meno se lo aspettavano.

Nessuno poté dire o fare niente, neanche Axel che avrebbe quanto meno voluto chiedere scusa, perché un tonfo ovattato che probabilmente veniva dal balcone interruppe la magia infinita di quel momento.

Nel silenzio vuoto della stanza, Roxas riuscì a sentire il frusciare di ali che richiudevano e l'anta della portafinestra che veniva aperta dall'esterno come per incanto.

In quel momento si rese conto che era rimasto imbambolato a fissare Axel per un quarto d'ora intero e che gli facevano male i polmoni: tanto aveva a lungo trattenuto il fiato!

- Dobbiamo andarcene, alla svelta! -

Il rosso si lanciò verso di lui e lo afferrò per il polso.

Non c'era traccia sul suo viso dello sconvolgimento che invece era dipinto ad arte su quello di Roxas.

Forse era vero che non poteva provare sentimenti. Ma allora come poteva amare?

- Dove...dove andiamo? Perché? -

Confusamente, Roxas provò a divincolarsi da quella stretta, ma la mano dalle dita lunghe e sottili era incredibilmente forte e lui non poté che seguirlo placido fino alla porta di casa che l'Angelo subito spalancò.

- Perché lui è qui. -

- Chi è lui? -

La risposta gli arrivò una manciata di secondi dopo che Axel l'aveva spinto fuori casa. Un turbine di piume bianche e candide si alzò alle loro spalle. Roxas provò ad allungare il collo per vedere chi era stato a causarlo e i suoi occhi incontrano un paio di pupille che parevano oro, ora fuso e vivo. Quelle gemme brillanti erano incastonate su di un viso spigoloso quanto inespressivo, incorniciato da lunghi capelli color zaffiro. Sarebbe stato un volto perfetto, come quello di una bellissima statua di marmo, se non fosse stato per la grossa cicatrice a X che gli solcava la carne proprio in mezzo agli occhi.

La differenza tra quell'Angelo e Axel era chiara come il sole e come il giorno: di statura molto più imponente, alto, dinoccolato e fiero, quest'Angelo aveva l'imperturbabilità del potere dipinta sul volto, la consapevolezza della propria forza, delle proprie capacità, nel solo gesto di sorreggere con una mano un'enorme e quanto mai poco rassicurante spadone. Vestito in bianco candido, l'Angelo aveva ali che rifulgevano di splendore proprio: un bianco che non era solo e unicamente bianco, ma che aveva le mille sfumature di una perla e dell'oro insieme. Dello stesso colore indefinito era la veste che indossava, che aderiva perfettamente al suo corpo slanciato.

Roxas ebbe la netta, precisa sensazione che fosse paurosamente potente, sensazione che derivava dalla pelle d'oca che sentiva su tutto il corpo, e provò subito un timore riverenziale che riuscì ad associare solo a quell'emozione conflittuale che si prova quando si entra in una chiesa gotica particolarmente piena di statue ed effigi che sembrano seguire tutti con i loro occhi di pietra.

Non ci fu bisogno che l'Angelo pronunciasse alcuna parola per far venire a Roxas lo spasmodico bisogno di fermarsi e inchinarsi al suo cospetto, ma Axel lo trascinava con tanta forza che non poté fare altro che seguirlo.

Agli occhi di chi lo guardava, Axel era invisibile, per cui Roxas sembrava solo istericamente intento a scappare da qualche parte, trascinato da una forza che nessuno poteva vedere. Meno che meno la figura alata dell'Angelo dietro di loro era percepibile a occhio umano.

Il ragazzo riuscì a chiedersi se per caso riuscisse a vederlo perché era sotto l'influenza di Axel, ma impegnato com'era nella fuggire quel pensiero svanì nell'immediato.

Per quanto volesse chiedergli chi e cosa fosse quell'Angelo armato, al momento era chiaro che seminarlo era l'urgenza maggiore.

Axel correva veloce, troppo veloce per le gambe umane, praticamente ogni due o tre passi si sollevava da terra con un movimento leggero delle ali nere, cosa che faceva quasi perdere a Roxas il contatto con il terreno. La ferita non era ancora guarita del tutto e non poteva librarsi in volo, ma era ovvio che, senza il peso del biondo, forse ce l'avrebbe fatta.

Il ragazzo avrebbe voluto dirgli di lasciarlo andare, di salvarsi la pelle almeno lui, però non sembrava intenzionato a lasciarlo ed ebbe ancora più paura della figura che avanzava solennemente, non disturbata da cose o persone, appena dietro di loro.

- Di qua! -

Sarebbe stato inutile chiedere “dove?”, perché Axel lo strattonò con talmente tanta forza che non ebbe bisogno di controllare il proprio corpo.

Sentì solo che dalle sue labbra uscì un “ouf!” per la violenza con la quale era stato sbattuto contro un muro.

Solo allora alzò gli occhi. Il rosso era schiacciato contro la parete, le mani giunte come in preghiera e mormorava qualcosa con tanta intensità che le sopracciglia dritte si erano unite dandogli un'espressione concentrata e quasi sofferente.

Qualsiasi cosa stesse facendo, Roxas la sentì addosso: tutto il corpo gli formicolava, come se migliaia di piccoli ragni gli si stessero arrampicando addosso.

Inorridì al solo pensiero e si trattenne dall'urlare. Avrebbe voluto contorcersi e spazzarsi di dosso quella sensazione con le mani, anche se sulla pelle non vedeva niente.

Qualche secondo dopo intorno a loro si espanse un'aura delicata, color pesca, che li avvolse completamente come una coperta.

Quando l'Angelo armato passò di fianco a loro...neanche si accorse della loro presenza: tirò dritto come se fossero invisibili, così Roxas si chiese se non lo fossero davvero.

Rimasero avvolti in quell'aura per un tempo che al ragazzo parve interminabile, dopo di che, visibilmente esausto, Axel si accasciò a terra, ansimante e coperto da un velo di sudore gelido.

Roxas non poté che inginocchiarsi accanto a lui e passargli un braccio intorno alle spalle per aiutarlo ad alzarsi.

- Tutto bene? -

- S-sì. - rantolò lui, sembrava che gli costasse uno sforzo immenso parlare - Ho dovuto nasconderci a lui, e ho sprecato un sacco di energie. -

Tutto il suo corpo tremava e Roxas aveva l'impressione che stesse ringiovanendo a vista d'occhio.

Prima che potesse rendersene davvero conto, tra le braccia aveva un ragazzo della sua stessa età.

- Basta una notte di riposo hai detto, no? - non sapeva perché, improvvisamente, sentiva un nodo alla gola così stretto che non riusciva a respirare. I suoi occhi correvano lungo il corpo all'apparenza fragile di Axel, si riempivano di lui e quel nodo si stringeva, si stringeva tanto da fare male. Ma lui non sapeva, non sapeva perché. Axel annuì, non aveva la forza di parlare. - Chi era...chi era quel...quello... -

Non sapeva neanche come dirlo. Al solo ripensare a quell'essere, i brividi tornarono a percorrergli la schiena, così forti che non poté non tremare tutto.

L'Angelo si allontanò appena da Roxas, raddrizzò la schiena e si resse in piedi da solo, rivolgendogli un sorriso di ringraziamento...un sorriso devoto, che nascondeva ancora quelle parole che gli aveva detto prima della fuga.

- Era un Arcangelo. - la voce più giovane di Axel faceva una certa impressione, forse in un altro contesto Roxas avrebbe riso. Era più carino, forse perché faceva tenerezza, con quei verdi occhi così grandi e profondi da brillare e i capelli rosso fuoco tirati su a spazzola. Il ragazzo non poté non chiedersi se le pettinature stravaganti andavano di moda nel mondo degli Angeli. - Il più potente tra gli Arcangeli, tra l'altro. -

- Te l'hanno messo alle calcagna? -

Axel scosse la testa, desolatamente.

- No...è qui di sua spontanea volontà. - sembrò che cercasse per un attimo una similitudine con il mondo umano per far capire a Roxas chi era quell'essere - È il braccio destro del boss, si occupa lui della prigione. È anche il migliore tra gli Angeli Guerrieri. Non deve aver preso molto bene il fatto che sono riuscito ad evadere... -

Un'altra serie di brividi percorse la schiena di Roxas.

- Ti darà la caccia finché non ti avrà preso, vero? Non c'è nessun posto dove possiamo nasconderci. -

- Sono contento che tu sia così intelligente. -

Ma quella frase aveva il suono di una condanna.



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The Corner

Premetto che non sarà una storia lunga, avrà un massimo di 4 capitoli (se tutto va bene) quindi non temete: niente storie incompiute.
La dedico tutta alla mia Roxas A. Destiny che è il motivo per cui ho ricominciato a scrivere, e per regalarle un lieto fine. <3

   
 
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