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Autore: TaliaAckerman    30/01/2015    2 recensioni
[Revisione in corso]
Il secondo atto della mia personale saga dedicata a Fheriea.
Dal terzo capitolo:
- "Chi hanno mandato?- mormorò Sephirt dopo essersi portata il calice di liquido rossastro alle labbra. – Chi sono i due maghi?
- Nessuno di cui preoccuparsi realmente. Probabilmente due che dovremmo avere difficoltà a riconoscere. Una ragazzo e una ragazza, lei è quasi una bambina da quanto l’infiltrato mi ha riferito. Credo che ormai l’abbiate capito: non devono riuscire a trovarle.
- E come mai avete convocato noi qui? – chiese Mal, anche se ormai entrambi avevano già intuito la risposta.
Theor rispose con voce ferma: - Ho un incarico da affidarvi"
Se volete sapere come continua il secondo ciclo di Fheriea, leggete ^^
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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27








«Hiexil è nelle mani dei Ribelli».
Jack proferì quelle parole cupamente, squadrando gli altri presenti come a valutarne la reazione. Gala, da parte sua, avvertì semplicemente una sorta di sgradevole calore stringerle lo stomaco; le accadeva spesso, ultimamente, o almeno tutte le volte in cui una brutta notizia le si parava davanti. Negli ultimi tempi ce n’erano state parecchie.
Vide Jel, accanto a lei, farsi ancora più scuro in volto di quanto già non fosse, mentre alcuni fra i presenti si lasciavano sfuggire un’imprecazione, divisi fra lo sgomento e la rabbia.
«Com’è possibile?» domandò duramente un uomo alto con cui la strega non aveva ancora mai parlato. «Come?»
In effetti, pareva incredibile. Gli uomini che li avevano attaccati non potevano essere più di un centinaio, come potevano aver preso il controllo di una città come Hiexil?
«Io l’ho vista» spiegò Jack scuotendo la testa. «Ci siamo spinti fin troppo avanti per inseguire quei bastardi. Eravamo così presi dalla caccia che non ci siamo resi conto che si stavano dirigendo là volutamente
Fece una pausa, e Gala vide la sua mascella contrarsi in un’espressione quasi rabbiosa.
«Vedendo da lontano le barricate abbiamo pensato di essere in vantaggio: eravamo certi che tra guardie e i soldati che erano stati dislocati lì qualcuno avrebbe dato l’allarme e, quando abbiamo visto decine di uomini schierarsi e tendere gli archi, ne abbiamo avuto la conferma. Solo che non hanno mirato contro i Ribelli, ma contro di noi».
Qualcuno trattenne il fiato.
«Avevamo i cavalli. È stato un miracolo che non ci abbiano massacrati».
«Quanti uomini abbiamo perso?»
«Cinque» rispose Jack guardando Az negli occhi. «Più i caduti in battaglia, che mi dicono siano parecchi».
«Circa cinquanta uomini, signore» confermò l’unica guaritrice presente, che solo allora Gala riconobbe come la giovane che Jel aveva aiutato circa un’ora prima.
«Maledizione…» mormorò Jack passandosi una mano sugli occhi.
Gala si rese conto di essere impallidita. Cinquanta morti… tra di loro avrebbe potuto esserci anche lei, non fosse stato per l’intervento di Jack. L’uomo l’aveva tratta in salvo appena un attimo prima che il Ribelle con cui stava combattendo la trapassasse da parte a parte. In quel momento la ragazzina si era trovata a sentirsi così prossima alla morte che, nel ritrovarsi seduta in groppa alla cavalcatura di Jack, non aveva nemmeno avuto la forza di ringraziarlo. Il comandante le aveva gridato qualcosa – presumibilmente una presa in giro, o un rimprovero – ma in mezzo al fragore lei non ne aveva colto l’esatto significato. Jack aveva cavalcato fino ad un luogo sicuro, lontano dalla battaglia, l’aveva fatta scendere e intimato di rimanere al proprio posto. Quella volta lei aveva ubbidito: gli doveva la vita, il minimo che poteva fare era attenersi ai suoi ordini.
«Ma come diavolo hanno fatto a conquistare la città?» l’amara domanda di Caley riportò bruscamente la strega alla realtà. «Non possono disporre di così tanti uomini…»
«È proprio questo il punto» spiegò uno degli uomini che avevano affiancato Jack nell’inseguimento. «Crediamo che Theor abbia puntato tutto su questa mossa. Mentre una piccola parte dell’esercito del Nord ci teneva occupati per impedire l’arrivo di rinforzi a Hiexil, ha mobilitato il grosso delle su truppe sulla città. Ci siamo cascati come degli idioti…»
Jel guardò Jack come aspettandosi che smentisse tutto, e per un attimo anche Gala sperò che fosse così. Ma Jack scosse la testa.
«È l’ipotesi più probabile» affermò con voce stranamente ferma. «Theor ha calcolato tutto».
«Mio dio…» commentò preoccupato uno dei capitani. «E gli abitanti, gli Ariadoriani? Che ne hanno fatto?»
«Dubito che abbiano sterminato l’intera popolazione, se è questo che intendi» rispose Jack tetro. «Immagino abbiano seguito il solito stile: impiccare qualche guardia, malmenare chi cerca di ribellarsi e confinare la gente in casa. Per ora spero almeno che la situazione rimanga stabile».
«Il confine nord è perduto, dunque» sentenziò qualcuno in tono grave. «Con Hiexil sotto il loro controllo non abbiamo speranze di mantenere la pace in queste terre. Abbiamo troppi pochi uomini, dovremo richiedere l’invio di nuove forze da Tamithia…»
«Ci siamo lasciati fregare da un maledetto traditore» concluse un altro con odio. «E ora siamo messi ancora peggio di quanto già non fossimo prima».
Anche se forse avrebbero voluto, sia Jel che Gala ebbero il buon senso di non aprir bocca per replicare.
«Hanno concentrato la maggior parte dei loro uomini a Hiexil» obiettò Az a bassa voce. «Dovranno spostare le truppe da lì se vogliono continuare la campagna».
«Resta il fatto che una delle maggiori città del Nord dell’Ariador è nelle loro mani, ora» ribatté Jack stancamente.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Caley chiese: «Quindi… quali sono gli ordini?»
Jack sospirò, poi si rialzò e decretò: «Invia un corvo a Tamthia e uno a Città dei Re. Scrivi che Hiexil è nelle mani dei Nordici e che abbiamo bisogno di altri uomini. Si fa sul serio, ora».
Mentre i presenti si rialzavano per tornare alle proprie solite mansioni, Gala vide Jel rialzarsi e avvicinarsi al comandante.
«Jack, aspetta».
No… Non vorrà chiedergli il permesso di ripartire proprio ora…
«Non ho tempo, Consiglieri. Di qualunque cosa si tratti, ne parleremo dopo che avrò sistemato il campo».
«È importante» insistette Jel, e Gala in effetti non poté dargli torto. Loro non avevano più nulla da fare lì, la guerra non era attualmente la loro priorità. Dovevano solo riportare le Pietre a Grimal una volta per tutte…
«Ci basta la tua autorizzazione a ripartire» continuò il mago in tono serio. «Ormai credo che tu abbia constatato di poterti fidare di noi. Tu hai dei doveri… beh, anche noi».
Jack guardò prima lui, poi Gala. Sembrava indeciso, forse scocciato; alla fine disse lentamente: «Sentite… sappiate che la cosa non mi piace, non mi piace per niente. Ma d’altra parte… se qualche pezzo grosso venisse a sapere che ho trattenuto contro la loro volontà due Consiglieri in missione… sarebbe un bel problema».
Gala rimase in silenzio, sul filo della corda. Se fossero riusciti a partire subito, prima che la situazione lì a Nord degenerasse del tutto… Quando vide Jack tornare verso il tavolino di legno nel centro della tenda avvertì un lieve tuffo al cuore. L’uomo aveva afferrato il sacchetto delle Pietre – che per tutto quel tempo era rimasto lì, dimenticato – e lo consegnò a Jel.
«Credo che tu abbia ragione. Dovete andare» affermò, e Gala lo ammirò non poco per il tentativo di sorriso che cercò di mettere in atto. Lui e Jel si strinsero la mano.
«Vi auguro tutta la fortuna possibile» rispose il mago sinceramente, e Gala meccanicamente annuì. Jack si voltò verso di lei e allungò una mano. «Non… non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita» balbettò imbarazzata affrettandosi a stringerla».
«Non ne avresti avuto bisogno» replicò lui con un’alzata di spalle. «Non avrei mai potuto lasciar morire un’apprendista esperta…»
Chiedendosi come potesse quell’uomo non abbandonare l’ironia nemmeno in un momento come quello, la ragazzina sorrise suo malgrado.
«Ora se non vi dispiace vi devo lasciare. I vostri cavalli…» s’interruppe. «In verità non ho più idea di dove siano. Non importa. Prendete quelli che volete, noi ne abbiamo fin troppi. Per chiunque tenti di ostacolarvi, dite che avete avuto il mio permesso».
Si bloccò ancora un istante all’entrata della tenda.
«Addio» disse dopo poco, poi uscì.
Jel e Gala si scambiarono un’occhiata significativa, entrambi grati per la fortuna avuta. Erano sopravvissuti alla battaglia e si erano guadagnati la fiducia di Jack anche senza aver bisogno di raccontare tutta la storia della missione e delle Pietre. E ora potevano riprendere il viaggio.
Gala si lasciò guidare da Jel fra le file disordinate di tende, e lasciò anche che fosse lui a convincere un paio di soldati a permettere loro di appropriarsi di un paio di cavalli. Mentre con un pizzico d’ansia la strega si guardava intorno, vedendo attorno a sé un ambiente ancora piuttosto devastato, realizzò che un po’ le dispiaceva aver abbandonato i cavalli di Kor. Dopo tutto li avevano accompagnati in così tante disavventure in quelle ultime settimane…
Dopo pochi minuti si ritrovò in sella ad uno dei due esemplari – un bogiart dell’Haryar color rossiccio – e ai due giovani bastò un’occhiata per decidere di ripartire.
Attraversarono l’accampamento, trottando davanti ai soldati e alle guaritrici stupefatte, e in men che non si dica si ritrovarono fuori, fra i prati sterminati. Lo sguardo di Gala fu attirato da una sottile linea di fumo, appena visibile in lontananza, a ovest; con una stretta allo stomaco il suo pensiero volò a Hiexil: i Ribelli dovevano aver appiccato fuoco alle barricate difensive durante l’assalto alla città.
Una grossa lacrima si stacco dalle sue ciglia, una lacrima per tutte le persone innocenti che probabilmente in quel momento si trovavano imprigionate nella città. Avrebbe voluto versarne altre, ma in quel momento non ci riusciva. Era incredibile: nel momento in cui aveva appreso di avere l’occasione di recarsi immediatamente a Città dei Re la sua mente si era momentaneamente bloccata. Avrebbero trovato l’ultima Pietra. L’avrebbero recuperata e portata al cospetto del Re, insieme alle altre. E allora, finalmente sarebbe potuta tornare a casa.
La ragazza era ben conscia del fatto che a Grimal non avrebbe più trovato Camosh ad aspettarla. Non avrebbe più potuto contare su di lui.
Non aveva ricevuto la notizia certa della sua morte, eppure era sicura che il suo tutore non sarebbe mai più tornato. Non avrebbe potuto terminare di insegnarle ciò che sapeva sulla Magia. Non avrebbe più potuto prendersi cura di lei. Ma in qualche modo Gala se la sarebbe cavata. Aveva Jel, aveva ancora la casa dei suoi genitori, dopo tutto. Doveva solo portare a termine la missione, poi sarebbe riuscita a vedere le cose con chiarezza.
Di fronte a quella prospettiva, l’idea della conquista di Hiexil da parte dei Ribelli pareva un poco più accettabile. Una volta che il Consiglio avesse potuto contare sul potere delle Pietre, le Cinque Terre – o meglio, quattro più il Bianco Reame – sarebbero state in vantaggio. Avrebbero potuto contare su un’arma in più.

Quello che non potevano sapere era che presto anche Theor avrebbe avuto dalla sua parte qualcosa in più.


TAMITHIA, ARIADOR

Hareis avanzava lentamente sul terreno reso rigido dal freddo mattutino, il lungo mantello bianco dei Ribelli che strusciava leggermente sull’erba gelata. Nonostante il cuore in gola, continuava a procedere con calma: era di fondamentale importanza che non desse troppo nell’occhio, era importante che non si facesse riconoscere per quello che era… nonostante in quel momento desiderasse come non mai gettare all’aria ogni prudenza e mettersi a correre verso la propria meta. Ma Theor si fidava di lui, da quando Mal Ennon era morto lui era diventato il suo braccio destro. Non poteva deluderlo.
Aveva ricevuto la notizia della morte di Sephirt una decina di minuti prima. In realtà non era venuto a galla alcun nome, ma dalla descrizione che gli uomini di Tamithia gli avevano fornito aveva capito che non potesse trattarsi che di lei. Lo aveva sconvolto, anche se tentava di non darlo a vedere. Durante l’intero viaggio che aveva condotto per l’Ariador aveva sperato con tutto se stesso che la donna fosse riuscita a cavarsela, ma evidentemente era accaduto il contrario. Non aveva nemmeno idea di chi fosse stato veramente a ucciderla, ma la cosa non gli importava. Desiderava solo vederla, accertarsi che fosse davvero morta, anche se la cosa probabilmente lo avrebbe distrutto.
Raggiuse la fossa comune di lì a pochi minuti.
L’idea di vedere il cadavere della donna che amava lo portò a trattenere un conato di vomito.
I corpi degli sconosciuti vengono lasciati lì per una settimana protetti dall’incanto Fledia, gli aveva spiegato la guardia cui aveva chiesto informazioni. Sapete, per i parenti o i conoscenti che potrebbero reclamarlo. Se nessuno riconosce il cadavere entro quel tempo si procede alla sepoltura. Personalmente Hareis pregava con tutto se stesso che l’incanto Fledia fosse stato applicato a dovere, mantenendo integro il corpo com’era al momento del decesso. Se non altro avrebbe potuto rivedere il suo viso un ultima volta.
Lo sguardo dell’uomo non si soffermò sui pochi corpi stesi nella fossa, ma raggiunse immediatamente quello che cercava: una figura smilza, affusolata, i capelli rossi sparsi malamente sul terreno. Era lì. Immobile, fredda.
Hareis rimase per qualche istante a fissarla, la mandibola serrata in una morsa che contenesse almeno in parte il proprio dolore.
Non gliel’aveva mai detto.
Non ne aveva mai nemmeno fatto cenno. Dopotutto, lei era sempre stata così presa dal proprio dovere e dall’attrazione per il suo mentore Mal… forse era stato meglio così. Hareis aveva smesso di nutrire speranze nei suoi confronti da anni, ormai, e tenendo la cosa nascosta forse aveva solo evitato una gigantesca umiliazione.
Eppure, ora che lei non c’era più sentiva di aver commesso una terribile omissione. Un senso di vuoto aleggiava nel suo animo.
Si chinò, preparandosi a veder sfumare anche le proprie ultime, disperate illusioni. Sapeva che le guardie dovevano aver già controllato in ogni modo possibile se fosse realmente morta, ma lui non vi avrebbe creduto appieno fino al momento in cui l’avesse appurato di persona. Piano, col cuore in gola, appoggiò l’orecchio sul petto della donna e attese. Non sentì nulla.
No! imprecò sottovoce serrando i denti. Eppure, qualcosa lo spinse a rimanere immobile, ad attendere ancora. Trattenendo il respiro, tentando di non emettere alcun suono.
Fu proprio un istante prima che – rassegnato – risollevasse il viso e si rimettesse in piedi, che lo udì. All’inizio pensò di esserselo soltanto immaginato. Poteva essere qualunque cosa, un qualunque rumore esterno.
Era finita, doveva piantarla di sperare e decidersi a caricare il corpo per riportarlo ad Amaria. Poi lo udì di nuovo: un suono caldo, flebile, così inequivocabile.
Non è possibile…
Hareis acuì le proprie percezioni. E allora l’avvertì.
Un’ombra, un sottile filo, una traccia di potere magico scorreva ancora nel corpo di Sephirt. Ergo in lei rimaneva ancora anche un briciolo di vita.
Il mago che, per la sorpresa, aveva quasi fatto un balzo all’indietro, si affrettò ad appoggiare il palmo della mano destra sulla fronte della strega. Se davvero la sua sensazione era fondata, per prima cosa doveva tentare di stabilire un contatto con lei, per capire quanto in là si trovasse in quel momento Sephirt. Non era la prima volta che tentava di cimentarsi con un incantesimo della Magia Antica, nello specifico con la lettura della mente: per tre volte nella sua vita aveva cercato di liberarsi da ogni pensiero ed emozione per violare quelli di una mente estranea, fino a quel momento nemici, e l'ultima lo aveva fatto con successo. Aveva letteralmente frugato fra i pensieri e i segreti dell’uomo che stava interrogando, ricavando peraltro informazioni vitali, ma tutto ciò ad un prezzo altissimo.
Lo sapeva bene: praticare un qualunque incanto risalente all’età antica della Magia costava a chiunque lo mettesse in atto uno sforzo e un dispendio di energie piuttosto consistente. Ma quella volta doveva tentare a bruciapelo.
Chiuse gli occhi, ben sapendo che leggere la mente di Sephirt non sarebbe stato esattamente una bazzecola. Immobile, emettendo respiri profondi e regolari, fece tutto ciò che Theor in persona gli aveva insegnato.
Quando alla fine le sue palpebre si sollevarono, il corpo della strega stesa accanto a lui era sparito; in verità, erano spariti anche il terreno, la fossa, gli altri cadaveri. Lui non poteva vederli. Una confusa nebbia perlacea lo avvolgeva, nella quale potevano distinguersi, sbavate, immagini più o meno chiare. Doveva trattarsi degli ultimi ricordi di Sephirt.
Hareis avrebbe desiderato ardentemente scoprire chi l’avesse ridotta in quello stato, ma non era lì per quello. Rimani concentrato.

«Sephirt. Puoi sentirmi?»

Nessuna risposta.
Solitamente, i soggetti le cui menti venivano possedute da individui estranei potevano comunicare in svariati modi, anche a parole se il grado di controllo era leggero, con leggeri suoni se aumentava, quando esso era quasi completo solamente tramite impulsi di energia magica. Dato lo stato di profonda incoscienza nel quale Sephirt era sprofondata, Hareis aveva il sentore che per comunicare con lei avrebbe dovuto spingersi molto più a fondo.
Ma c’erano complicazioni. Spesso la presa di potere su una mente estranea causava conseguenze drastiche, un repentino squilibrio. A volte le vittime perdevano la capacità di parlare, in alcuni casi qualunque tipo di percezione. E se la persona in questione non fosse stata in grado di sostenere un simile stravolgimento l’incantesimo avrebbe anche potuto ucciderla. Ma Sephirt era una donna forte, la strega migliore che lui avesse mai conosciuto, e avrebbe retto.

«Sephirt. Se ci sei ancora, da qualche parte, dammi un segno».

All’inizio non avvertì alcuna reazione ma poi, proprio mentre l’ansia si faceva strada in lui mettendo a repentaglio la sua concentrazione, percepì la Magia della strega farsi un poco più consistente. Un’intensificazione correlata al suo battito cardiaco.

«Sai chi sono io?»

Un altro battito. Sapeva chi era. Un passo alla volta, richieste semplici. Poteva farcela.

«Pensi di riuscire a tornare?»

Quella volta non ci fu risposta, ma Hareis capì perfettamente. Se l’era aspettato.

«Pensi di riuscire a resistere?»

L’aumento della sua energia fu così repentino da risultare oltremodo eloquente, e Hareis sorrise fra sé e sé. Sephirt non avrebbe mollato.
Un’ultima cosa…

«Mi dispiace per Mal».

Non era una domanda.
Hareis aveva cercato di trattenersi, ma non c’era riuscito. Quella era la verità. Lui e Mal Ennon non erano mai stati veramente amici, ma Hareis aveva sempre provato per lui una grande ammirazione. E l’uomo aveva sempre avuto l’incommensurabile merito di essersi preso cura di Sephirt, portandola a divenire ciò che era ora.
La strega non diede più segni di vita, ma il Ribelle ritenne di aver sentito abbastanza. Ritornò alla realtà e in meno di un istante lo avvolse la stessa violenta nausea che ben ricordava. Per un attimo le sue gambe cedettero e lui si lasciò scivolare sull’erba. Non aveva mai letto la mente di qualcuno per così tanto tempo, era al limite del sentirsi stremato.
Ansimando un poco alzò lo sguardo verso Sephirt, questa volta con un briciolo di speranza: la donna era ancora viva. Svenuta, lontana… ma viva. Theor o qualcun altro ad Amaria avrebbe trovato il modo di riportarla indietro.
Pensò in fretta ad un modo per trasportarla fino al luogo dove aveva lasciato il proprio cavallo, al limitare nord della città, e alla fine decise di passare dall’esterno. Non aveva alcuna intenzione di attirarsi addosso domande e inquisizioni da parte della guardie cittadine.
Sollevò con delicatezza il corpo esanime della strega e se lo caricò in spalle; era esile e leggera come un fuscello.
Percorse la strada che lo separava dal suo cavallo come in un sogno, senza prestare attenzione a ciò che gli passava davanti agli occhi. Si era recato alla fossa comune con l’aspettativa di ritrovarsi davanti un cadavere, ma così non era stato, e lui era infinitamente grato per questo. Non sapeva ancora quali fossero le possibilità effettive di rivedere la vera Sephirt – era lontana, ormai, aggrappata alla vita per un soffio, con quel poco di Magia che le era rimasta – eppure rimaneva speranzoso. Oltre a Theor aveva avuto modo di conoscere maghi estremamente esperti fra i Ribelli: c’era Wesh, il nervoso e inflessibile consigliere principale, c’erano Raek e il Custode Ryeki.
Quest’ultimo in particolare, data la sua infinita conoscenza delle arti della Magia Antica, rimaneva la sua più grande fonte di fiducia. Scosse la testa, improvvisamente infastidito. Sapeva bene di non poter ignorare i sentimenti che aveva sempre provato per Sephirt, ma ora doveva darci un taglio. Non poteva permettersi di dimenticare chi fosse, e quale ruolo giocasse all’interno della rivolta. Morto Mal e con Sephirt ormai praticamente fuori gioco, la cerchia dei più fidati uomini di Theor era più ristretta che mai. Ferlon era lontano, impegnato a guidare le truppe sul fronte sud-orientale, e anche molti dei nuovi consiglieri erano ormai sul campo di battaglia.
Ad Amaria rimanevano Wesh e i non magici Nax e Levinia. Nax era un uomo di mezza età, Nordico ma dalle origini ariadoriane, Levinia era più anziana, sulla sessantina. Era l’unica donna – eccetto Sephirt – ad aver fatto parte del consiglio ristretto di Theor.
Quanto ad Astapor Raek, per quanto ne sapeva Hareis era partito dalla capitale un paio di giorni dopo di lui, alla volta di Città dei Re. Il motivo era molto chiaro: recuperare l’ultima Pietra, la Pietra del Nord, per impedire che quei due maledetti inviati del Gran Consiglio prelevassero anche quella. Per la verità, nemmeno Hareis stesso sapeva con esattezza dove si trovasse la Pietra Bianca all’interno della capitale; quella era una faccenda che riguardava solamente Theor e Astapor Raek.
Caricò la strega sul proprio cavallo, Januche, poi vi montò a sua volta. Lasciò che la schiena della donna svenuta ricadesse sul proprio petto e afferrò le briglie passandole le mani sotto le braccia; non avrebbe corso il pericolo di venire sbalzata a terra durante il tragitto. Hareis sapeva che gran parte delle truppe nordiche, guidate proprio da Ferlon, aveva lasciato il confine per dirigersi a sud e sferrare un attacco alla città di Hiexil, quindi pensò fosse meglio girare alla larga da quei territori. Non voleva correre il rischio di passare troppo vicino a qualche campo di battaglia. Era riuscito a viaggiare relativamente tranquillo fino a quel momento e, ora che aveva l’urgenza di riportare Sephirt a casa, preferiva continuare così.
Resisti. Vivrai, te lo prometto.







NOTE:

Salve gente, spero il capitolo vi sia piaciuto. Non è esattamente quel che si dice un capolavoro e ho anche impiegato parecchio a scriverlo.. In effetti è stato parecchio impegnativo.
Era da mesi che avevo idea di introdurre la faccenda lettura-della-mente ma non avevo ancora avuto modo di approfondirla. Da quello che è il risultato mi pare di aver dato un'idea abbastanza peculiare a quello che mi ero immaginata, spero condividiate ;)
Come sempre ringrazio Arya373 che ha recensito lo scorso capitolo e chiedo a tutti di lasciarmi un parere, se possibile.
Ciao, un bacio a tutti i lettori.
  
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