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Autore: lady dreamer    04/02/2015    4 recensioni
Prendete una giornata di sole, aggiungete un artista concettual-impegnato poco disposto a farsi intervistare - Sherlock - e un giornalista del Times - John - che deve fare un vero e proprio scoop se vuole mantenere il posto di lavoro. Aggiungete un atterraggio inaspettato all'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, una mostra da organizzare, un pazzo criminale sempre in agguato e mischiate energicamente con la promessa di grandi avventure. Salate con inseguimenti e battute sagaci e pepate con relazioni inaspettate. Riversate tutto su un file word e... ecco quello che ne esce fuori!
Genere: Comico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Conan Doyle e BBC. Questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
L'artista moderno, mi pare, lavora per esprimere un mondo interiore;
in altri termini: esprime il movimento, l'energia e altre forze interiori.

Jackson Pollock
 
 
Arte contemporanea
Capitolo I
 

Arte contemporanea. Mah.
Non ti persuade troppo. Non la capisci. Non ti interessa.
È roba pretensiosa, per lo più.
Pensi, almeno.
Mai approfondito più di tanto.
Fino a due giorni fa quando Mike Stamford, il tuo caporedattore, ti ha affidato l'intervista che Sarah, a letto con l'influenza, non può fare...
 
Le interviste già come genere non ti piacciono. Poi farne uscire una decente non è mica facile. I vip dicono tutti le stesse cose rispondendo alle stesse trite e ritrite domande.
Ti tocca studiarti vita, morte e miracoli di chi vai ad intervistare, sperando che abbia commesso qualche passo falso per smascherare i suoi giochi di prestigio.
Tutti hanno degli scheletri nell'armadio, ma bisogna essere abili per tirarli fuori. Perché se non riesci a far ammettere all'intervistato come minimo che è stato bocciato a scuola, che è stato vittima di bullismo o di stalking, che è bisessuale, che ha rubato soldi pubblici o che ha fatto uso di droghe non fa notizia. E il caporedattore ti fa la sua solita predica, che giochi al ribasso, che non avrai mai la promozione, ecc ecc. Tutte cose che questa volta non vuoi sentirti dire.
 
Così hai studiato a fondo il caso del tuo prossimo articolo.
Un artista che spaccia giornali strappati e neon rotti come un capolavoro dall'illuminante titolo: "Opera 235", come se a te dovesse dire qualcosa...
Le sue opere sono stimate con quotazioni assurde che non riesci minimamente a spiegarti, i critici inglesi lo definiscono come uno dei migliori artisti del panorama contemporaneo e manco a dirlo corteggiato dalle testate di tutto il mondo.
Ma lui non rilascia interviste.
Di solito.
Ma sta volta, chissà per quale assurdo motivo, ha deciso di accontentare i piani alti del Times e farsi intervistare, seppure solo per mezz'ora, tra un appuntamento e l'altro, li al 221 B di Baker Street dove è allestito il suo atelier.
 
L'atelier è un insolito spazio espositivo celato dietro un portone d'ingresso stranamente ordinario. L'unica stravaganza è appunto che non ci sono stranezze. Almeno sembra.
Suoni al campanello.

- Chi è? - una voce femminile. Sembra appartenere ad una donna non più molto giovane. La cameriera? La segretaria? Sua madre?

- John Watson.

Sua madre no. Ti senti di escluderlo, mentre dice, con fredda amichevolezza:- Entri, prego.
 
Entri nel pianerottolo. Ci sono diciassette gradini che compongono una scalinata ordinaria, grigia, un grigio scuro, non sapresti dire se grigio caldo o grigio freddo o grigio topo morto o com'altro si dirà nel gergo.
Ti senti un perfetto ignorante.
Di colori, di pittura, di tecniche di espressione artistica in genere... Che cazzo ne sai tu?
Sei rimasto a William Turner. Come spettatore passivo e inesperto ti piacciono i paesaggi, per riflettere se sono in quiete o per riflettertici se sono a soqquadro. Se devi figurarti la tua vita la definiresti un mare in tempesta. O più precisamente una tempesta di Turner. Di quelle che l'acqua si vede che non schizzerà mai fuori dalla tela ma che per un attimo si ha la vaghissima quanto illusoria sensazione che questo possa avvenire.
 
Nasci come reporter di guerra. Sei stato in Afganistan. Tu e i membri della tua troupe vi siete trovati nel bel mezzo di un agguato mentre raccoglievate notizie per il reportage cui stavate lavorando. Carl, il fotografo, è stato ucciso subito, tu e gli altri due uomini della troupe siete stati sequestrati. Quattro mesi di prigionia. Sei vivo per miracolo. Il reportage che avrebbe dovuto renderti famoso non è mai stato realizzato. La Reflex con le foto è stata distrutta, e dopo quei quattro mesi a stento hai avuto la forza di portare la tua ferita alla spalla e la tua zoppia psicosomatica - eccoli gli unici regali di quel periodo - da un'analista.
Non che sia servito a molto, in realtà.
 
Lavori al Times, ma, disgraziatamente, sei l'ultima ruota del carro.
E forse proprio questa dannata intervista potrebbe portarti la notorietà che cerchi... Che cercavi.
In fondo, dopo l'Afganistan non è che ti importi poi tanto. Ti sei riscoperto stanco. Spossato dalle tue passate ambizioni. Riesci a stento a stare dietro ai tuoi ritmi. Riesci a stento a stare dietro ai tuoi sogni... A quelli che un tempo erano i tuoi sogni, ma che ora sono solo degli obiettivi fissati in un momento di esaltazione e che persegui per abitudine. Per spirito di sopravvivenza.
 
Ma davvero è questa la tua vita?
Quello che è rimasto dalla tua vita?
Che disastro...
 
Alzi gli occhi dai gradini della scalinata...ma che cazzo sarebbero quei pezzi di carta che sembrano cascare dal soffitto? Sembra carta da parati sporca e logora che qualcuno si è scordato di far rimuovere prima di riverniciare... Non capisci perché uno sfondato di soldi come dovrebbe essere questo qui si tiene per le scale dello studio quell'obbrobrio scorticato...
Magari ha problemi economici che cerca di camuffare ostentando dei mezzi che non ha più, senza pensare che quel soffitto parla da solo e la dice pure lunga! Questo si che sarebbe uno scoop, eh, John?
 
- Salve - dici, entrando nella stanza d'ingresso.
Ci sono delle poltrone. Una rossa e una nera.
In mezzo ad una stanza verniciata completamente di bianco.
Con - non sai dire esattamente - delle... macchie? Del colore buttato a casaccio? Quantomeno delle cose disarmoniche e presumibilmente casuali buttate sul muro.
Ti avvicini ad una delle pareti. Ma quelli sono...? Buchi? Buchi nel muro?
Ma che... Sembrano fatti con...?

- Una pistola si. Calibro 38.

Ti volti di scatto.
 
Un uomo dal fisico slanciato, anzi, un tipo decisamente alto. Abiti dal taglio elegante: un paio di pantaloni neri, una camicia violacea di seta, con le maniche arrotolate all'altezza dei gomiti - che sdicono notevolmente con la fattura sofisticata dell'indumento.
Dovrebbe essere questo qui il tipo che devi intervistare.
Capelli ricci e scuri, occhi chiari - chiari, poi, ma grigioazzurri? Cerulei? - sembra essere lui.
Fai cenno di volergli stringere la mano, ma non sembra minimamente farci caso, indaffarato com'è a fissarti.

- Come...? - vorresti chiedere spiegazioni su... Su tutto in realtà. Sulle scale, sulla sala, su di lui, se è effettivamente il tipo che devi intervistare. Ma non ti fa parlare.

- Afganistan o Iraq? - chiede, con la sicurezza sfacciata di quelli che tirano coltelli alle fiere. 

- Afganistan... Ma? Come?

Lo sconosciuto ti guarda con uno spropositato senso di superiorità, accomodandosi le maniche della camicia. - È così evidente... - la sua voce profonda è uno sbuffo, un commento annoiato.
 
Non capisci. Semplicemente non capisci. Hai cercato di fare meno pubblicità possibile alle tue disavventure in Afghanistan e anche in redazione lo sanno in pochissimi. Non ti piace dover dar conto delle tue vicissitudini. È stato solo una grave delusione che non ha portato niente alla tua carriera. Ti stupisci che questo qui possa essersi informato e aver scoperto queste cose di te che hai tentato di nascondere. Oppure che l'abbia dedotto... ma da cosa? Non capisci.
 
- Ma dove...? - ti lasci sfuggire, ad alta voce.

L'artista non risponde, alza le sopracciglia e sparisce lungo un corridoio che non sai dove porti.
Sei sconcertato.

- Sherlock è fatto così... - una donna, presumibilmente quella che ti ha risposto al citofono, ti porge la mano, indirizzandoti uno sguardo comprensivo. - Piacere, io sono la signora Hudson, la padrona di casa - le stringi la mano - Lei quindi è Watson?

Annuisci piano. - Si, John Watson, del Times... Sono qui per l'intervista...

- O certo, caro, Mycroft me l'aveva detto.

Corrughi istintivamente la fronte. - Mycroft?

La signora Hudson sorride debolmente. - Il signor Holmes, il fratello di Sherlock. È il suo manager, sicuramente ha parlato con lui per fissare l'appuntamento...

Fai un attimo mente locale. Non riesci a rinunciare ad una vena di ironia. - Ah. Il tipo che due ore fa mi ha sequestrato con una macchina nera per accertarsi che non fossi un pazzo fanatico affetto da disturbi psichici che avrebbe potuto fare del male al signor Holmes?

La signora Hudson sorride con più decisione. - Uhm... Suppongo che sia proprio lui. Ma lo scusi, sa, adotta dei metodi poco ortodossi delle volte, ma fa solo il suo lavoro in fondo, proteggere Sherlock.

Capisci che non dev'essere facile gestire quel tipo che in meno di due minuti è riuscito a capire che ti stavi interrogando sui buchi sulla parete del suo salotto e intuire il tuo passato burrascoso in Afghanistan. E che in più per il lavoro che fa è sovraesposto all'attenzione dei media. Avevi letto che è molto ritroso con i giornalisti, che spesso fa delle uscite infelici ed ha un caratteraccio, ma questo non giustifica che suo fratello per sincerarsi del tuo comportamento ti sequestri. Ne hai decisamente abbastanza di sequestri.

- E ho capito, ma a me stava per farmi prendere un infarto e mi ha pure minacciato di non azzardarmi a far menzione all'incontro sul giornale se no non so che cosa mi avrebbe fatto.

La signora Hudson si limita ad alzare le spalle, evidentemente non troppo scossa da queste rivelazioni. - Sa essere così teatrale quando vuole...

Che questa sia la normalità tra gli artisti? Non riesci a capacitartene. - E me ne sono accorto.

Restate in silenzio. Tu guardi perplesso le pareti e la signora Hudson ti osserva con sguardo compassionevole. - Gradisce una tazza di te?

Declini gentilmente l'offerta. - No, grazie, non si disturbi... Mi dica, piuttosto, lei da quanto conosce i fratelli Holmes?

Ma il signor Holmes junior non dà il tempo alla signora Hudson di rispondere, ricomparendo in salotto con indosso un cappotto nero e sistemandosi intorno al collo una sciarpa blu - Penso che dovremmo andare. - si limita a dire, con quella sua voce quasi baritonale a cui non riesci ancora ad abituarti. E suona come un ordine, non tanto come l'esortazione amichevole che tecnicamente dovrebbe essere.

Strabuzzi gli occhi: - Dove?

Holmes ti guarda come se non sapessi il nome della Regina. Con lo stesso tono sdegnato che dà per scontate cose che non lo sono. - In aeroporto, dove sennò?

Non capisci. - In aeroporto?

- Ma certo, Mycroft non gliel'ha detto?

Fai mente locale. No. Non ti ricordi che si sia fatto menzione ad un aeroporto, ma, oddio, considerata la situazione, è del tutto probabile che, cercando di farti un'idea delle intenzioni di quel pazzo, tu ti sia perso qualche particolare per strada.

- Non c'è tempo, ho una mostra a cui presenziare. Non se ne stia li impalato, si dia una mossa. E alla svelta che l'aereo non aspetta, mio fratello non è riuscito a riservare tutti i posti, quindi stiamo alla merce alle angherie della British Airways.

Ti toccherà fare l'intervista nel tragitto fino all'aeroporto, insomma, ti aspettavi un po' più di tempo e un po' più di calma, ma ok, non puoi farci niente. Dici una parola di saluto alla signora Hudson e gli vai dietro.
 

Lui chiama un taxi. Ci entra dentro e snocciola la destinazione mentre tu ti stai ancora sedendo sul sedile posteriore accanto a lui. Accenna al dover partire. Ma dove può mai andare senza altro bagaglio che quella tela imballata alla bella e meglio in una busta di plastica gialla che accenna a volersi tenere in braccio per tutta la durata del tragitto in taxi?
Mah...

- Cosa c'è in quella busta? - domandi, timidamente.

Holmes ti riserva un altro dei suoi sguardi saccenti. - Un quadro, ovvio.

Ti senti di insistere, nonostante il suo tono indisponente. Potrebbe essere uno scoop, del resto.
- E cosa rappresenta?

Holmes risponde seccamente, guardando la strada oltre il vetro del taxi. - Farebbe meglio a girare alla prossima, arriveremo prima - snocciola al tassista che non accenna a protestare per l'intrusione e si limita a borbottare parole che non cogli ma di cui immagini il senso. Assisti alla scena stranito. Poi Holmes si volta verso di te e, come se niente fosse, risponde alla tua domanda:- Una nuova frontiera dell'arte.

Ci metti un attimo a cogliere il senso della frase, pensando ancora alle intrusioni del tuo bizzarro aspirante intervistato. - Intendo il soggetto che rappresenta...

Holmes si mantiene volutamente suo vago. - Lo vedrà lei stesso.

Non capisci. Vuoi concederti un'esclusiva sul quadro di sua spontanea volontà? C'aveva addirittura già pensato? La cosa ti lusinga non poco. Ma sbagli a mostrare prematuri segni di entusiasmo.
- Quando?

Holmes stoppa velocemente il tuo interesse. - Quando arriveremo.

Annuisci. Del resto, già è inusuale fare un'intervista in un taxi, mettersi anche ad esaminare uno dei suoi assurdi quadri mentre il tassista sbuffa in effetti non è il massimo. Però il tempo incalza.
- Le posso fare le domande almeno? - insisti.

Holmes non si stupisce della tua richiesta, stavolta. - Mi chieda quello che deve, così la facciamo finita presto. - Il dipinto imballato sempre sulle ginocchia, porta le mani sotto al mento, lanciando occhiate di malcelata sufficienza.

- Posso registrare?

Sguardo da: è così stupido che ha bisogno di registrare quello che dico?
Ma fa un cenno con il capo quasi impercettibile, e ti sembra un sì.
Accendi il registratore ma sotto il suo sguardo indagatore non hai il coraggio di tirare fuori dalla tasca dei jeans il foglietto spiegazzato che contiene le domande che ti eri preparato.

Ti schiarisci la voce.
Allora...
- Beh, mi dica di questa mostra da organizzare. - vago, troppo vago - Che cosa bolle in pentola? - ti penti di averlo detto già mentre lo stai ancora dicendo. Vorresti scomparire.

- È un'esposizione di qualche opera in un atelier semisconosciuto ma elegante a cui parteciperà la solita gente noiosa che mio fratello continua ad invitarci. Non capiscono un tubo di arte contemporanea, anzi, forse non ci capiscono niente dell'arte in genere, ma se pagano per i miei quadri io non posso farci niente, non sono tenuto ad accertarmi che capiscano. E se non capiscono... insomma fatti loro, a me non interessa.

- Non pensa che le sue, ma anche le altre per carità, opere di arte contemporanea siano un po' difficili da capire? Per la massa - ti affretti ad aggiungere.

Holmes si limita ad indirizzarti un’occhiata di stizzita commiserazione. - No. Basta osservare ed essere dotati di un cervello che funzioni.

E non lo sopporti. Non riesci a trovare una giustificazione alla sua supponenza che non c’entri con il fatto che lui, con tutti i suoi scarabocchi senza senso, si senta superiore a un qualunque normalissimo essere che non comprende il senso di quei pastrocchi. - E allora mi spieghi che senso avrebbe imbrattare in quella maniera le pareti del salotto... Perché l'ha fatto apposta, vero?

- Oh, com'è perspicace. - ironizza, lanciandoti un’occhiata gelida - Ma è ovvio che l'ho fatto apposta. È un capolavoro! Ci ho messo mesi per farlo, giorni e notti a pensare e progettare e mandare tutto all'aria e ricominciare.

Lo guardi senza comprendere. I nervi sempre più scossi. - Ma che senso ha?

Sherlock Holmes non si scompone affatto. Chiude gli occhi. Il mento elegantemente sorretto dalle mani giunte. - Pollock.

- Pollock?

Alza un sopracciglio, senza aprire gli occhi. - Pollock. Action painting. È ovvio.

Tieni le mani strette l’una nell’altra, tormentandoti le nocche con le unghie, cercando di trattenere l’irritazione. - Ovvio, certo.

Holmes apre finalmente gli occhi, ma non abbandona il suo atteggiamento serafico. E strafottente. - Lei guarda ma non osserva.

Hai sempre odiato quelli che vogliono darti lezioni. Trovi che la loro aria di superiorità sia superflua e finta. - E questo che cazzo c'entra?

- C'entra. C'entra sempre con gente come lei.

Sapevi che quel tipo che sarebbe stato irritante, ma non avresti potuto immaginarlo insolente fino a questo punto. Allenti un po’ i freni. - Gente come me? E come sarei io, sentiamo?

- Lei è un ignorante. Non capisce assolutamente niente di arte...

- Il lettore medio del Times non è tenuto ad essere un esperto d'arte!

- Ecco perché non leggo mai i giornali. Non c'è mai niente di interessante. All'infuori dell'arte è tutto così noioso... Non trova anche lei che la sua vita sia noiosa?

- Ma che ne sa lei della mia vita? Che gliene importa? Si faccia i cavoli suoi.

Il tassista vi lancia un’occhiata visibilmente preoccupata dallo specchietto retrovisore.
Holmes non si scompone. Ti guarda alzando appena le sopracciglia. - Dice così anche alla sua analista?

- La mia anali... - fermi tutti, come... Non è normale, quel tipo alto e pallido che se ne sta placidamente seduto ingolfato in un lungo cappotto nero e che si tiene addosso una busta gialla con dentro una tela, sempre quello di prima che spara ai muri e ci butta il colore a cazzo… Sempre quello che devi intervistare e sembra che lui stia intervistando te… - Che ne sa lei se ho un' analista o no?

- Ce l'ha scritto in faccia. In analisi da mesi senza alcun risultato.

- Lei... - no, John, datti una regolata, non puoi urlargli contro tutti gli improperi che si accavallano nella tua testa - Lei... Non dobbiamo parlare di questo.

Holmes accenna un sorriso sarcastico. - Per una volta sono d'accordo con lei.

- Bene. - sentenzi.

Lui ti lancia una sprezzante occhiata di sbieco. - Bene!

E ne ve state in silenzio, mentre il tassista continua a tenere d’occhio la situazione sul sedile posteriore dove sedete, senza fidarsi del vostro momentaneo stare zitti.
Per quanto possa essere irritante, devi continuare a intervistare quel tipo indisponente.

Rispolveri uno dei grandi classici dell’intervistatore disperato. - Pensa che quella dell'artista sia una figura professionale troppo idealizzata o troppo poco valorizzata?

- Entrambe. Siamo degli esseri umani. Facciamo tutte le cose che fanno gli esseri umani in genere, più o meno. Anche se, parlo per me almeno, io mangio bevo dormo poco, a volte per niente. Mi piace camminare ma a volte sto chiuso in casa per giorni senza uscire, in cerca di ispirazione. E suono il violino, quando mi pare, senza farmi tanti problemi, anche se non sono un asso in questo, devo ammetterlo. Ma mi aiuta a pensare, a scandagliare gli abissi dell'ispirazione per poi tornare a concretizzare tutto. È bene che lei sappia queste cose vista la situazione in cui ci troviamo.

Ma che situazione e situazione? Vuole tirare fuori un violino da quella busta e iniziare a suonare di punto in bianco nel taxi? Ti rassegni a non capire.

Holmes t’indirizza un’occhiata di eloquente supponenza. - Comunque, non intendo cambiare le mie abitudini per lei, queste sono e queste resteranno.

Continui a non capire. Alzi appena le spalle. Non ti interessa. Ti importa molto di più mettere insieme un’intervista decente e avere quella tanto sospirata promozione, che sarebbe anche l’ora.
Sospiri nel modo più impercettibile che riesci.
- Posso farle un'altra domanda?

L’artista non si scompone affatto. - Dica.

Cerchi le parole per articolare una domanda di taglio sartoriale e di stampo intellettualoide. Così magari Holmes la smetterebbe di considerarti un ignorante indegno di intervistarlo. - Lei... - indugi, mentre Sherlock ti guarda fisso negli occhi con quei suoi occhi impenetrabili ed espressivamente introversi. Chi sei tu per guardare dentro quegli occhi e pretendere di comprendere qualcosa della persona che li porta in giro? Ti schiarisci la voce. Lui torna a guardare per un istante la strada di fronte a lui, oltre il poggiatesta del sedile del passeggero. Quasi ti tranquillizza questa rinnovata assenza di contatto visivo. Riprendi coraggio e torni a formulare la tua domanda di prima.
- Questo rapporto tra musica ed arte... Come lo definirebbe?

Holmes non distoglie gli occhi dal punto che fissa oltre il vetro. - Interessante.

Corrughi la fronte. - E poi?

Lui si limita a guardarti nuovamente negli occhi. Alza appena le sopracciglia. - Intrinseco.

- E...?

Le sopracciglia tornano al loro posto, ma il tono del loro proprietario continua ad essere il medesimo. Seccata condiscendenza. - Mi dica cosa vuole che dica, io lo dico e la facciamo finita.

È da più di trenta minuti che hai incontrato quest’uomo e continui a non comprendere. Eppure la metà del tempo l’avete passato a parlare. Certo, bloccati dalle convenzioni che regolano il rapporto tra un intervistatore e il suo intervistato, e il pregiudizio tuo nei suoi confronti e suo nei tuoi non ha fatto partire questa conoscenza sotto i migliori auspici (e non puoi non considerare tra le note a suo demerito la propensione di suo fratello a sequestrare la gente), ma ti aspettavi una risposta diversa ad una domanda così vaga a cui un esaltato come dovrebbe essere lui dovrebbe essere in grado di rispondere in modo eloquentemente forbito e incidentalmente incomprensibile. Volevi una frase intelligente da poter usare come citazione nella didascalia alla sua foto o come occhiello del titolo dell’articolo. Sei un po’ deluso.

- Per carità, è libero di dire quello che vuole.

Holmes non sembra persuaso della tua reazione. - E allora questo è quanto. Non so descriverlo diversamente. Interessante ed intrinseco. È radicato nella natura stessa del sublime. Arte e musica, immagini e melodie, sono intimamente connessi, diversi folgoranti riflessi dello stesso prisma di cristallo che scompone le Arti in quelle che conosciamo. - e d’un tratto parla in modo concitato, ha lo sguardo rapito...finché... - Il plurale forse è improprio.

Se dovessi davvero comportarti coerentemente a quanto il tuo istinto ti spingerebbe a fare, se non lo controllassi, beh, allora dovresti presumibilmente tentare ogni mezzo per ammazzare quel saccente pittore fuori di testa seduto affianco a te in questo dannato taxi. E non puoi. In primo luogo perché non potresti intervistare un cadavere. E non avresti la tua promozione. E se lui morisse, in presenza del tassista testimone, presumibilmente non ci vorrebbe un consultive detective per ipotizzare un tuo coinvolgimento. Così si spiega il tuo far ricorso alle tue basilari conoscenze in campo di auto training. Ti imponi di respirare e di contare fino a dieci cercando di filtrare il tuo evidente sdegno.

- Non sono pagato per aggredirla, ma nemmeno per farmi umiliare da lei!

- Ha finito con le sue inutili domande? Che gliene importa sapere qual è il rapporto tra musica e arte secondo me? Importa a stento a me, che non lo so nemmeno definire bene come vorrei...

La tua obiezione non si fa attendere per molto: - Su questo si sbaglia, è stato fantastico.

Holmes ti indirizza uno sguardo incredulo che per un attimo rispecchia pienamente la tua stessa espressione. Una delle cose che proprio non ti saresti aspettato di fare è metterti a elogiarlo. E non sai se è più strano ammetterlo o intuire l’incredulità negli occhi di Holmes. È un artista saccente e convintissimo di avere sempre ragione… davvero si stupisce che qualcuno glielo riconosca?

Deglutisci. Ti affretti ad aggiungere una qualsiasi altra cosa. - Ma lei resta una delle persone più irritanti che io abbia mai incontrato.

Holmes accenna un sorriso. - Non è il primo che si lamenta del mio carattere, ma di solito la gente si tiene a distanza da me è basta. Non mi dice che sono fantastico nella stessa frase.

Scuoti energicamente il capo. - Allora... No. Io non ho detto che lei è fantastico, ma solo quello che detto prima e dopo di insultarmi.

L’artista alza le sopracciglia, ma il suo sorriso non accenna ad intristirsi. - Ok. Abbastanza nella norma allora.
 

Il taxi è giunto a destinazione. Holmes allunga un paio di banconote al tassista e accenna ad uscire dall’abitacolo. E adesso?
- Siamo arrivati...

Lui esce dalla macchina, con la busta gialla in mano, rispondendoti senza guardarti negli occhi. Ma intuisci senza bisogno di altre prove che il suo sguardo sia corrucciato e vagamente indisponente. - Le piace constatare l'ovvio...

Gli vai dietro. - Ma io non avrei finito...

Questa volta non esita a voltarsi verso di te, ti indirizza un’occhiata significativa:- Certo che non ha finito, mi segua.

Il taxi accenna a partire. - Ma lei non ha delle valigie?

Holmes alza appena le spalle:- Neanche lei le ha.

Non capisci. Mica tu devi partire per organizzare una mostra. - E questo che c'entra?

Lui non si disturba a risponderti. - Comunque penso che Mycroft si sia preoccupato di tutto.

Lui ha preso a camminare in direzione dell’entrata dell’aeroporto. Lo segui. Ve ne state in silenzio per qualche secondo. Fa ripartire la registrazione sul cellulare. - E... Arriviamo alle domande imbarazzanti...

Holmes ti indirizza uno sguardo divertito. - Dubito che possa mettermi in imbarazzo davvero.

Non ti piace fare domande sulla vita privata alla gente, ma si da il caso che lui non sia la gente, ma l’artista super chiacchierato da cui devi ricavare non solo le frasi altisonanti sul valore dell’arte da usare come occhiello dell’articolo, ma anche un titolo scandalistico per fare lo scoop che ti faccia timbrare la pratica della promozione. - Lei ha una relazione?

Holmes non si scompone affatto. - Con una persona intende?

Corrughi le sopracciglia.

- Sono sposato con il mio lavoro, non ho tempo per altro.

Molto diplomatico, glielo riconosci. - E nel passato?

Arriccia lievemente la fronte. - Che gliene importa?

Cerchi di articolare la frase con il massimo tatto di cui disponi. - Ci sono voci su una sua...presunta... omosessualità…

Holmes accenna appena un sorriso. - Non le salterò addosso in aereo se è quello che teme.

Prendi mentalmente nota di quel sorriso. Perché ti ha sorriso? Perché è vero oppure perché lo diverte l’idea che ci sia gossip di questo tipo in giro? Non puoi restare nel dubbio. Tu in quanto John Watson si, sia chiaro, non te ne frega niente. Ma a te, in quanto giornalista in cerca di scoop si, ti interessa terribilmente.
- Quindi non le smentisce?

Alza appena un sopracciglio. - Non le alimento nemmeno.

- Ma lei ha detto...?

Holmes non si spreca neanche a sorridere. - Ironia, mai sentito parlare? - e si dirige spedito verso una stanza privata, ignorando bellamente tutta la gente che, carica di bagagli, aspetta il proprio turno all’accettazione.

Ti si arriccia automaticamente la fronte. Rallenti, indirizzando uno sguardo interrogativo ad Holmes. - Non andiamo al check-in?

Lui non si scompone affatto. - No, io non faccio mai la fila.


Compare la ragazza che ti ha scortato in macchina fino al cantiere abbandonato dove hai incontrato quel pazzo di Mycroft Holmes, armata del suo solito blackberry.

- Da questa parte, signor Holmes... - e vi fa strada entrando per prima in un corridoio oltre una porta su cui è scritto "vietato l'ingresso a non autorizzati".
Ti squadra dalla testa ai piedi con un’espressione di indifferente incredulità dipinta in faccia. - E lei è ancora qua?

Le regali un sorriso forzato. - A quanto pare.

- Prego, per di qua... Ho già consegnato i documenti e fatto imbarcare i bagagli. Il controllo sicurezza ovviamente è superfluo. - si limita ad aggiungere Anthea senza degnarti di un altro sguardo, conducendovi per un’aria dell’aeroporto che non avevi mai visitato, e anzi, che pensi che non sia affatto accessibile ai comuni mortali come te.

Indirizzi uno sguardo vagamente divertito ad Holmes. - Lei potrebbe organizzare un attentato terroristico e nessuno potrebbe fermarla...

Lui non reagisce se non rispondendoti con il suo solito garbo strafottente. - E quindi sarebbe terribilmente noioso. E io evito accuratamente tutto ciò che potrebbe annoiarmi.

Una filosofia di vita che in linea di principio condividi, ma che in pratica purtroppo non è di semplice realizzazione. Tutti vorrebbero poter non fare le cose che li annoiano, ma pochissimi hanno davvero la libertà di scegliere in modo così radicale con un criterio di giudizio così personale e soggettivo. - Anch'io ci provo, ma non sempre ci riesco.

Holmes si ferma a studiarti. - Che cosa l'annoia?

Inclini appena la testa. Interrompi la registrazione. Guardi appena per un millesimo di secondo dritto negli occhi di Sherlock Holmes, per poi distogliere miseramente lo sguardo e continuare a camminare dietro ad Anthea. - Troppe cose perché possa dirle tutte...

L’artista ti segue, e ti affianca velocemente. Sembra incuriosito dalla tua reticenza. - Che cosa non l'annoia allora?

Ti si corruga la fronte. - Non l'annoia sapere cosa m'annoia o non m'annoia?

Holmes alza appena le sopracciglia. - Evidentemente non abbastanza da non chiederglielo.

- Dovrei esserne lusingato?

- Io non prescrivo comportamenti, mi limito ad osservarli.

Accenni un sorriso. - Se non sono troppo noiosi...

Holmes sorride a sua volta. - Ovviamente.

Non capisci da dove sia germogliato questo stralcio di conversazione. È strano.
E non sai perché ma è bello vederlo sorridere.
 

Gli vai dietro. E capisci dove siete. Una sorta di corridoio privato che vi conduce direttamente sull'aereo... ma ste cose non esistono solo nei film di James Bond?
Anthea porge dei biglietti all’artista che continua a portarsi dietro la terribile busta gialla. - Prego signor Holmes... Business class, come desiderava. - e sparisce, silenziosa come era comparsa.

- Ma io... - esordisci.

- Venga non si preoccupi, è tutto organizzato - Holmes individuando il suo posto e vi si va a sedere, mentre tu lo segui imbambolato. Non capisci. Pensi di esserti perso qualche passaggio dell’organizzazione. - Potrebbe mettere questo li nel portaoggetti? Sempre se ci arriva... 
Una hostess arriva sorridente ad aiutarlo con la busta gialla senza rendere necessario il tuo intervento. Così ti limiti a sbuffare. Il signor Holmes ti fa segno di sederti affianco a lui. 

- Ha altre domande? - chiede.

Non capisci. Non dovresti dove sei, ma ti siedi affianco a lui. - A che ora parte l'aereo?

- Non saprei. Suppongo tra mezz'ora.

Fai un breve calcolo mentale. Hai ancora un quarto d’ora forse prima di dovertela necessariamente squagliare dall’areobus. - Ah.

Holmes ti guarda con un’espressione tacitamente sollevata, vista la tua assenza di parole articolate in frasi di senso più compiuto di un monosillabo onomatopeico. - Fine delle trasmissioni allora?

Ti affretti a riprenderti dai tuoi pensieri. Fai ripartire la registrazione. - No. No. Un'ultima cosa... Cosa pensa di William Turner?

Holmes si lascia sfuggire una smorfia. - Turner? È superato ormai.

- Ah.

Ti guarda con un certo divertito disappunto. - Cos'è? Il suo pittore preferito o l'unico che conosce?

Sospiri sonoramente. - Lei mi ha scocciato!

- La British Airways augura buon pomeriggio a tutti i passeggeri del volo, sperando che trascorrano una piacevole traversata...

Holmes continua a non farsi influenzare dal tuo tono irritato e continua a dilettarsi a lanciarti frecciatine. - Chi ostenta alcune conoscenze personali lo fa perché del resto non conosce nulla.

- Io non ostento proprio nulla.

- Cosa penso di Turner? Cosa voleva che le rispondessi?
- Quello che pensa!

Sotto tutti i sedili in caso di bisogno troverete i giubbotti di salvataggio, quelle che sto indicando invece sono le uscite di sicurezza, siete tutti pregati di prestare attenzioni alle seguenti più specifiche istruzioni...

Holmes comincia ad argomentare con la sua voce quasi baritonale con il tono dialettico - dimostrativo con cui pensa di vincere qualsiasi schermaglia verbale. Potrebbe fare il maestro di eristica se non dipingesse quadri strambi e perfettamente inutili e sopravvalutati. - Un pittore di arte contemporanea non può amare Turner. Sarebbe un ossimoro. È come se Joice avesse letto Shakespeare prima di andare a letto per tutte le sere della sua vita.

- Ma non questo può disprezzare tutto quello che piace alle altre persone! Non sono tutti interessati alle sue opere strampalate e concettuali.

Holmes perde un po’ della sua aria serafica da intellettuale. Si altera solo quando si parla di arte, a quanto pare. - L'avevo detto che lei non capisce niente di arte. Ma chi mi ha mandato Mycroft? Un ignorante?!

- ... I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, ci prepariamo al decollo...

Cazzo.
Perché diamine…?
Come hai potuto non…?

- Che cosa?! Io non dovrei essere su questo aereo!

Holmes non si scompone. - Non mi dica che non ha mai volato.

- No. Che c'entra. Si che ho già preso un aereo, non è questo il problema.

Holmes ti guarda come se lui fosse la reincarnazione di Freud e tu uno sciocco qualsiasi. - A no? Pensavo che fosse un principio di crisi isterica da stress dato da una particolare fobia o patolog...

- Ma che patologia e patologia? Semplicemente io non dovrei essere su quest'aereo!

- Negare la patologia è tipico di questi soggetti. Suvvia, signor Trevon, la smetta!

Arricci il naso, gli occhi che lo guardano increduli. - Trevon?! Io sono Watson! John Watson del Times!

Holmes alza lo sguardo fulmineamente. - Lei è un giornalista?

- No, sono la Fata turchina... Certo che sono un giornalista! E devo scendere immediatamente da qui!! - ti alzi in piedi, ma la hostess si affretta verso di voi, mentre Holmes ti trattiene per il braccio costringendoti a sederti nuovamente per evitare che la ragazza si intrometta.

Acconsenti irritato a sederti, mentre l’aereo si affretta a decollare. Ed è Holmes a costatare l’ovvio, per una volta. - Dubito che ci riuscirà.

- Chiami quel suo amabile fratellone e mi faccia tirare fuori da quest'apparecchio!

Holmes ti risponde con un tono irritantemente dissacratorio. - Troppo tardi. È già partito. Mi dia il suo cellulare piuttosto.

- Perché?

- Potrei fare un tentativo.

Glielo porgi. Lui sbocca lo schermo e ci picchietta le dita un paio di volte. Preme il pulsante per spegnerlo e poi lo mette tranquillamente in tasca come se fosse suo.

- Ma cosa...?

Holmes ti indirizza un’occhiata eloquente. - Ovviamente non posso contattare mio fratello, l’aereo è già partito e non voglio precipitare a picco per le interferenze che una telefonata o un messaggio produrrebbero. E inoltre è piuttosto evidente che lei mi abbia intervistato contro la mia volontà, estorcendomi le risposte con l'inganno, e non è affatto giusto che le usi per arricchirsi.

- Ma che dice? Io ho preso un appuntamento con Microft Holmes. Suo fratello mi ha addirittura sequestrato prima di mandarmi al suo atelier.

Alza appena le sopracciglia. - Tipico.

- Ma lei non sapeva dell'intervista?

Una lieve smorfia di disappunto sul volto del tuo compagno di viaggio. - No. E se pure l’avessi saputo, l'avrei dimenticato. Certe cose non hanno posto nel mio palazzo mentale...

- Palazzo mentale?

- Lasci perdere. - liquida in fretta la questione con un gesto della mano e cambia in fretta argomento - Quindi lei non é Victor Trevon?

Sbuffi vistosamente. - Quante volte lo devo dire? No. Non sono questo Trevon! Sono Watson!

- Ok. Ok. Ho capito. Stia calmo.

Questo qui capirà anche di arte contemporanea, ammesso che ci sia qualcosa da capire, ma per il resto deve avere le idee piuttosto confuse, soprattutto rispetto alle scale delle priorità delle persone normali. - Calmo? Calmo? Io dovrei essere in ufficio ad infiocchettare la sua intervista e invece sono qui su un aereo per chissà dove con lei.

- Io non sapevo chi fosse altrimenti non le avrei detto nemmeno buongiorno. Pensavo che fosse il collaboratore che mi doveva mandare Mycroft, quel Trevon. Io non l'avevo mai visto, che ne potevo sapere che mi doveva capitare lei tra i piedi che mi segue e mi fa domande sulla mostra? Era ovvio che lei fosse Trevon!

Lui si imbarca su un aereo con il primo che gli rivolge la parola e sarebbe colpa tua? - Se mi avesse fatto almeno presentare!

- E chi gliel'ha impedito?!

La signora seduta davanti a voi si gira a lanciarvi un’occhiata infastidita.
Ti costringi a respirare profondamente. - Manteniamo la calma.

Holmes non abbandona il suo tono indisponente. - È lei che si agita.

- Appena scendiamo da quest'aereo lei mi ridà il mio cellulare e se quello che ha dichiarato proprio non le piace, sono disposto pure a rifare l'intervista così poi io me ne torno a Londra e lei se ne torna alla sua mostra. E conto che mi rimborsi il biglietto di ritorno, io non ci rimetto visto che è lei che mi ha trascinato su quest'aereo!

Holmes ti indirizza un’occhiata contrariata a appena divertita. - Ma se è lei che continuava a farmi domande equivoche continuando a sbavarmi dietro e flirtare spudoratamente!

Questo è davvero troppo. - Io flirtare con lei?! Ma stiamo scherzando? Io sono etero, è chiaro? Etero.

Lui sorride appena. - Certo, e io sono la regina Elisabetta. 

- Le domande che lei definisce equivoche erano ovviamente per il giornale, il gossip vende più di tutte le rubriche culturali. A me non frega un fico secco di chi e come si porta in camera da letto...

- Solo in camera da letto? Non sarà troppo tradizionalista?

- Lei è la persona più insopportabile che conosca! Mi deve solo ridare il telefono, firmare l'intervista e lasciare in pace per tutto il resto della vita!!

Holmes continua ad essere insopportabilmente divertito dalla tua reazione. - Quando saremo arrivati, ricorda?

Sbuffi.

- Ma si può almeno sapere dove cazzo stiamo andando?!

- A Parigi, ovviamente...      
                


Angolo autrice:
A volte ritornano, no? Ed eccomi qui con questa nuova storia che si configura come long, se a qualcuno importa. 
Ringrazio in anticipo Blue Lady, Marig28_libra e Fiamminga che mi sentono parlare di questa storia da un po', mentre la ideavo, spero di non deludere le vostre aspettative.
E quelle di chi mi ha messo il mio nome della lista degli autori preferiti - colgo l'occasione per ringraziarvi :) - e tutti coloro che vorranno approcciarsi a questa storia.
Spero che a qualcuno piacerà leggerla come a me piace scriverla! 
Per quanto riguarda gli aggiornamenti temo che saranno mensili, ma costanti, non temete, non sparirò nel nulla, studio permettendo.

A presto :)

lady dreamer.
  
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