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Autore: Shirokuro    06/02/2015    1 recensioni
{ ene / takane centric; onesided!ene/ayano, implicit!shintaro/ayano; possibile ooc? | one-shot di 1810 parole circa | angst; introspettivo }
Aveva giocato a respirare, contato i secondi che passavano, sbirciato nelle cartelle del ragazzo e quando si ritrovò al centro dello schermo, priva d’espressione e con i pugni virtuali stretti sotto le larghe maniche blu, capì che non aveva senso. Nulla, aveva senso. Effettivamente, così dicendo, qualcosa aveva senso – ovvero, nulla, che a modo suo era una qualche entità astratta la quale in quel momento riusciva a percepire perfettamente.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Ayano Tateyama, Shintaro Kisaragi, Takane Enomoto/Ene
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avrò il coraggio di macchiarmi di rosso come chi si definì Eroe?
   Eccolo di nuovo lì. Respirava pesantemente e s’agitava. Ene non avrebbe saputo dire se dormiva o cos’altro, non riusciva a domandarselo. Non capiva perché vederlo in quello stato fosse tanto doloroso, cosa ci fosse a spingerla a concentrarsi su quell’ombra di vita che sfumava nell’aria viziata della stanza, quel calore che anche se non poteva percepire, sentiva chiaro sulla pelle, sotto la felpa pesante fatta di pochi kabyte, quella cosa difficile a sopportare. Non riusciva a respirare – e lei non aveva polmoni, non più. Se Shintaro si fosse potuto destare dal suo stato comatoso autoindotto forse, anche se era una speranza troppo piccola per esser vista come possibilità, anche lei avrebbe dimenticato quello che avevano entrambi ignorato. «Noi non abbiamo nulla in comune», diceva il ragazzo corroso dall’afa e l’aria sempre più densa – oramai la si poteva fendere con ogni singolo movimento della mano, la si poteva sentire spostare con l’orecchio solo scostando, e di poco, la testa.
   «Non capisco cosa vedesse in te» sussurrò una volta, per la soddisfazione di dirglielo, mostrandogli la sua espressione più feroce, congiungendo le lunghe maniche del capo virtuale, ma lo fece con una voce talmente bassa che a stento si udì lei stessa. Voleva gettare tutto indietro, i loro litigi, i momenti felici, le scoperte spiacevoli, le lacrime segrete di Ayano, l’opprimente sensazione di inutilità che la invadeva e le parole di Shintaro che reinterpretava come proprie. Aveva fatto una promessa ed ogni giorno, sebbene sembrava fosse lo stesso precedente, si ricordava di star fallendo miseramente. Già, non poteva semplicemente andare avanti. Non poteva ed era tutta colpa del diciottenne; qualsiasi cosa accaduta doveva essere a causa sua. Eppure, piangeva come un bambino alcune notti, tra i singhiozzi esalava il suo nome come a chiederle aiuto, abbracciava qualcosa per poi richiudersi su se stesso mimando la perdita di qualcosa. «Patetico» riusciva a dire ogni volta, con rinnovato disprezzo.
   «Ene?» Talune volte, miracolosamente, era lui a rivolgerle la parola.
   «Sì, Padrone?» chiedeva in conferma del fatto che continuasse a respirare, per accertarsi di avere ancora una ragione d’esistenza – una dipendenza che si rinfacciava essere ridicola, che odiava più della sua incapacità. «Invidio il tuo sorriso» soffiava a fatica. Si meravigliava non fosse ancora morto, in realtà. «Vedo cose orribili, sai? Faccio incubi su incubi, eppure tu, ignara, sorridi con quella leggerezza... Come ti invidio, virus».
   Difatti sorrise, la ragazza cybernetica, e lo fece di cuore, emettendo un confuso versetto di soddisfazione. Saperlo addolorato era una cosa che amava, anche se si detestava per star contraddicendo le parole che aveva ripetuto quel giorno con tanta incertezza mentre osservava la sciarpa rossa allontanarsi, prima di muovere i propri ultimi passi. Non immaginava quanto, oh, quanto si sbagliasse, Shintaro! D’altronde, non era altro che un egoista che soffriva di manie di protagonismo, che voleva convincersi di essere quello messo peggio – prima negando e poi disperandosi mentre con le dita creava fastidiose pieghe sulle lenzuola. Non sarebbe bastato dimenticare tutte quelle volte in cui era ad un passo dal gridargli il suo disappunto contro tutto ciò che la circondava per tornare a respirare aria fresca – con lui, non sarebbe mai bastato; sarebbe successo ancora, avrebbe ricordato e sarebbe nuovamente caduta nel baratro di una tentatrice depressione che non poteva permettersi, che sperava di non aver già abbracciato inconsciamente.

   Takane quella volta non voleva saperne di restare in classe – troppo comodo, cavolo, doveva smuoversi un poco o lì, oltre che a viverci, ci sarebbe morta. Era stanca, vero, i corridoi erano gremiti di studenti esaltati, altrettanto vero, ma lei aveva come obiettivo la terrazza della scuola – solitamente deserta. Lo diceva anche il medico, che l’aria fresca le faceva bene, no? Fare qualche scalino, per quanto terrificante paresse, non fu un grande ostacolo. Passo dopo passo si rendeva sempre più conto della facilità con cui sembrav’affrontare le temibili scale che la mattina odiava e che adesso trovava quasi rilassanti, con le cuffie serrate nella mano e la radio accesa. Le cose vanno fatte con calma per riuscire ad apprezzarle, la nonna ha ragione. Appena raggiunse la porta in cima alle rampe – con orgoglio, superate –, l’aprì lentamente. Lo scricchiolio acuto conquistò i suoi timpani, piantandoci violentemente una bandiera di fitte rapide e microscopiche dentro al padiglione auricolare, ma che, dopo qualche secondo, riuscì a liberare con sollievo. Fu in quel momento che udì qualcuno piangere.
   Si guardò attorno spaventata – solo il giorno prima aveva visto un film sugli zombie, uno di quelli che riusciva a terrorizzarla –, cercando una fonte materiale da attribuire a quell’innocente lamento e vide qualcuno seduto. Era una ragazza, abbracciava con un braccio le proprie ginocchia e con la mano libera stringeva la sciarpa rossa e da lì si poteva pensare che stesse cercando di strapparlo con la forza di quelle sole dita. Anche se il volto era coperto dai capelli castani, Takane aveva capito che si trattasse di Tateyama Ayano – anche con incredulità; era strano, non l’aveva mai vista piangere ed aveva pensato che non fosse in grado di versare lacrime, eppure stava assistendo lei stessa a quello spettacolo. Deglutì, mentre spostava lo sguardo sul cielo azzurro d’estate e non sapeva nemmeno per quale ragione lo stesse facendo; non avrebbe certo sollevato l’umore evidentemente a pezzi dell’amica stando ferma lì od andandosene. Si mosse a piccoli passi verso la figura che, avvertita la sua presenza, aveva smesso di tremare per qualche istante.
   «Ayano–?»
   «Faccio pena?»
   La domanda prese di sprovvista la mora. La voce dell’altra sembrava così ferma e decisa, nonostante fosse tanto flebile e strozzata; in realtà, non provava pena quanto curiosità nei confronti di tutto ciò. In quel silenzio che aveva creato non rispondendo, nell’atmosfera disturbante della seconda stagione, dalle cuffie s’udiva una canzone a basso volume, distorta forse dalla situazione. L’aveva già sentita un milione di volte, non era per niente adatta alla situazione, ma rendeva ancora più evidente il disagio che provava. Chissà se anche la sciarpa rossa sentiva quel pezzo rock ed avesse smesso di tremare per questo. Proprio mentre stava prendendo fiato per rispondere, dopo qualche tempo, Ayano alzò la testa e nonostante gli occhi ancora lucidi e le ciglia appesantite dalle lacrime ancora incastrate fra loro, sorrideva. «Devo sembrare proprio una stupida,
eh?» Occasione perfetta.
   «Ma no! Però dimmi, che c’è Ayano? Per caso è colpa di Shintaro? Se è così lo concio per le feste!» disse corrugando la fronte, sporgendo leggermente il busto verso la figura che ancora abbracciava le proprie gambe, sorpresa. Dopo qualche secondo, accennò una risata.
Per fortuna. Anche Takane si concesse di sorridere, ora sollevata. «No, non è Shintaro». Scosse la testa, asciugandosi goffamente le ultime lacrime. «Be’, sono successe delle cose che mi hanno confusa, tutto qui. Non mi piace perdere il controllo della situazione» spiegò vagamente. La più grande si inginocchiò incurante davanti a lei. Non mentiva, eppure era ovvio ci fosse qualcosa che la turbasse più di quanto volesse dar a vedere.

   «Non sei l’unico ad essersi preoccupato per qualcuno!»
   Shintaro dormiva profondamente. Ene non si era mai resa conto del silenzio che c’era in quella stanza, prima di allora. Aveva giocato a respirare, contato i secondi che passavano, sbirciato nelle cartelle del ragazzo e quando si ritrovò al centro dello schermo, priva d’espressione e con i pugni virtuali stretti sotto le larghe maniche blu, capì che non aveva senso. Nulla, aveva senso. Effettivamente, così dicendo, qualcosa aveva senso – ovvero, nulla, che a modo suo era una qualche entità astratta la quale in quel momento riusciva a percepire perfettamente. «Ho sonno» commentò, ancora a voce. Limitarsi a pensarlo non rendeva abbastanza bene la sua noia, credeva. Se avesse provato a immergersi anche lei in quelle memorie, sarebbe stato meno doloroso? Avrebbe mantenuto fede alla promessa che fece ad Ayano il giorno in cui morì? Prendersi cura di quell’hikikomori malriuscito era veramente un’impresa, nella quale fallire era quasi più rassicurante del riuscire a compierla. Che poi, se lo ricordava più il suo profumo? Non le si era mai avvicinata più di tanto, fisicamente, non si era mai immersa nell’odore che emanava quella ragazza all’apparenza tanto vivace. Socchiuse le labbra realizzando che di lei non ricordava nulla se non un colore distintivo dal quale poi si diramava istintivamente l’immagine di una memoria perduta. La sua voce era molto confusa, sovrapposta dalla propria che non faceva altro che emularla nel tentativo di non perdere almeno le parole che le permettevano di rimanere in quel dannato monitor senza impazzire totalmente. E lui? Quella sua ossessione lo legava ancora a quelle informazioni concrete che lei aveva lasciato andare? Sentiva ancora il calore degli abbracci che gli dava per ogni stupidaggine od il sapore della sua pelle al contatto con le labbra? Tutte quelle piccole cose che lo rendevano migliore e più vicino alla ragazza di quanto lei non fosse e non era mai stata, ancora le sentiva chiaramente come non fosse trascorso un solo secondo da allora? «Anche io! Anche io mi sono preoccupata! Ed a differenza tua, mi sono resa conto che qualcosa non andava, tu l’hai solo ignorata, quella parte di Ayano anche se...» era comunque qualcosa che la rendeva la persona meravigliosa che era.
   Quello, invece, non uscì mai dalla sua bocca. Non era giusto, vero? Anche lei, anche la piccola Ene, il virus che cercava di tenere in vita l’essere umano di nome Kisaragi Shintaro, la ragazza cybernetica che seguiva i movimenti ansiosi di Kisaragi Momo che si era imposta un obiettivo simile al suo, la coscienza della vecchia Enomoto Takane, anche lei voleva essere un eroe. Voleva solo servire a qualcosa, essere qualcuno di importante per colei che l’aveva spinta a vivere come né Kenjiro né Haruka erano mai riusciti a fare. «Anche io volevo indossare il rosso come Ayano!» Improvvisamente, una sciarpa rossa si materializzò attorno al collo alto della felpa, soffocandola per qualche secondo.
   Nonostante la sorpresa che lasciò trasparire avvicinano le dita all’immagine del capo scuro, iniziò a piangere. Una lacrima, due lacrime, tre lacrime. Non emetteva alcun suono. Quindi è a questo che mi sono ridotta? Uno stato di totale disperazione, nel quale inconsciamente faceva affidamento sulle sue stupide possibilità da creatura artificiale, imitando quello che apprezzava come un pappagallo verde. «Ho sonno» ripeté sottovoce, stringendo la finta lana che l’avvolgeva con la mano. Non sentiva nulla al tatto, tanto meno qualcosa che le ricordasse Ayano. Eppure le bastava.

   Lo schermo scuro. Stand-by. Accese il terminale lei stessa. Vagò con lo sguardo per quel poco che il campo dello schermo le permetteva, lentamente, stranamente pigra. Si sentiva pesante. Dopo qualche minuto a galleggiare nello spazio di pixel, una volta a testa in giù, una volta ad occhi chiusi, un’altra ancora non ricordava come si era abbandonata, notò che mancava qualcosa all’appello. Il letto c’era, le coperte disfatte erano lì, il coniglio del moro pure, ma Shintaro non era nella stanza. «Però non è giusto, Padrone.
   «Così mi lasci indietro anche tu, uh uh».

 
Soundtrack(s); I Am (Hilary Duff), Abstract Nonsense (Amatsuki), Rage On (OLDCODEX). Credo che se qualcuno mi chiedesse il motivo di tutto ciò, non saprei rispondere. Avevo pensato alle parole che avrebbe potuto dire Ene, ai suoi pensieri, a tutta la fan fiction in sé, ai suoi possibili risvolti. Poi qualche giorno fa mi sono messa a scrivere e sono arrivata a questo. Non dico non mi piaccia, semplicemente... è curiosa, no? Non vedo la persona che volevo descrivere ed al contempo sono convinta ci sia. Non so perché, né come sia possibile.
Voglio raccontare una cosa, comunque, tanto per guadagnare tempo ed allungare le note. Mi è successa oggi e non c'entra proprio niente. Durante la ricreazione c'era questo mio amico che è un cretino e bambinone assurdo che si siede su di me ed inizia a farmi il solletico ai polpacci. Ragazzi, io sono ipersensibile, fisicamente, e sono incline al pianto. Nonostante lo spingessi e gli urlassi addosso, continuava e mi sono ritrovata ad un certo punto che non riuscivo a respirare ed il cuore ha smesso di battere. Mi sentivo letteralmente morire. Poi non ricordo bene cosa è successo, so solo che mi sono ritrovata a piangere e che la prof mi ha portata al piano terra a prendere qualcosa alle macchinette (e mi è giunto all'orecchio che durante la mia assenza hanno iniziato a dire cose tipo "eh per un po' di solletico", "Farouk seconda" - che poi lasciatelo in pace Farouk, porca puttana, è sensibile e voi dei coglioni -; auguro a tutti di prendersi uno spavento come il mio). Prometto che la prossima volta che solo prova a farmi il solletico, gli tiro un calcio sugli stinchi, uno in culo e poi miro dritto alle palle. Mi sono spaventata come mai, cielo, credevo sarei seriamente potuta morire.
Bene. Questa cosa nasce dopo che ho fatto una cosettina sul mio quaderno (also questa qui) che avevo fatto nella noia più totale, così, ma l'idea nacque. Ma poi venne fuori questa (madonna, mi accorgo di essere migliorata e meno male), quest'altra, ancora questa, e nel progettare il tutto ho iniziato ad abbozzare i risvolti che sarebbero potuti essere presi in considerazione (tipo). Alla fine mi sono trovata con un sacco idee da scartare e la sconvolgente scoperta del fatto che shippo Ene ad Ayano come non ci fosse un domani. Pensavo a qualcosa di più esplicito, che avrebbe un po' richiamato il rapporto di queste due. Ed invece mi vedo qui con una one-shot fatta di Ene che disprezza Shintaro (mi faccio schif, santo cielo, io li shippo un sacco 'sti due, come ho fatto) e per quel poco che Ayano appare è bho a me pare talmente tanto OOC-- e poi, anche questa volta, ho messo robe stupide qua e là, riferimenti. Ok, con calma. Direi proprio di spiegare certe frasi che a rileggere ora mi sembrano un poco indecenti.
quella cosa difficile: "cosa" ed "afa" sono in italic perché sono la stessa cosa. Mi piace mettere riferimenti dispreggiativi nei confronti dell'afa, odiandola. Saperlo addolorato era una cosa che amava: il motivo per cui ho scritto una cosa simile non è perché Ene trova nel dolore di Shintaro la propria felicità, ma perché in quei momenti rafforzava la propria idea, ovvero che lei e lui sono uguali. per tornare a respirare aria fresca: ha una duplice interpretazione. La prima, è che Shintaro apra gli occhi e si decida ad uscire, quindi, convincerlo della sua follia . la cui conseguenza sarebbe che anche lei possa uscire. La seconda, che si liberi di un peso che lei paragona all'aria chiusa della prigione del ragazzo, la sua stanza, quindi che, liberandosene, perdonate l'evidente ripetizione, questa diventi leggera e fresca. Anche se forse più vaga e poco chiara, la seconda è più corretta a mio parere, ma chissà. uno di quelli che riusciva a terrorizzarla: mi immagino che l'unico film sugli zombie che abbia mai spaventato Takane sia Zombi 2. Non ho idea del perché, ma è divertente. D'altronde, non fa nemmeno tutta questa paura. seconda stagione: alcuni mi dicono che l'anno comincia con l'inverno, altri che con la primavera e per come la vedo io, la prima stagione è la seconda citata. Quindi, la seconda stagione dell'anno è l'estate. i movimenti ansiosi di Kisaragi Momo che si era imposta un obiettivo simile al suo: voglio solo dire che mi rendo conto esca fuori all'improvviso, ma dovevo cagare la mia principessina! pappagallo verde: allora, questo è un riferimento a Gino Strada ed al suo ononimo libro (per l'appunto, Pappagalli verdi). Non l'ho ancora letto, ma i pappagalli verdi a cui si riferisce in realtà erano mine, BOOM. Insomma, quello che volevo intendere era che Ene crede di imitare quello che ama, distruggendolo al contempo. Uh, dimenticavo. La promessa che Takane ha fatto ad Ayano, credo si capisse ma fosse mai, è quella di prendersi cura di Shintaro al posto suo.
Poi una nota sul finale. Anche questo, ha più significati. Direi, anzi, che è a libera interpretazione. Io ho trovato due possibili chiavi di lettura: uno il suicidio di Shin (quindi il "mi lasci indietro anche tu" è riferito al fatto che sia lui che Ayano - ed anche, forse, Haruka - se ne sono andati, lasciandola indietro) o che lui sia uscito dalla stanza, solo che questa volta, non l'ha portata con sé. Se qualcuno trova altre intepretazioni, è libero di prenderle come "corrette".
Crrrredo di aver detto tutto. Ok, grazie per aver letto la fan fiction, le inutili note d'autrice, spero l'abbiate gradita e saluto Tarta perché lei merita, ci si sente!
   
 
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