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Autore: GoldSaints    01/12/2008    6 recensioni
Dove il buio diventa più fitto, alla Sesta Casa, oltre le colonne e i muri di fumo dell’incenso e della mirra, c’è un portone di legno intarsiato, rinforzato di placche di metallo lavorato e cesellato, di indiscutibile sapore orientale in mezzo a tutta quella Grecia. Oltre il portone, c'è un giardino.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Phoenix Ikki, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sharasojo

 Tingendo di colpo
azzurrità e deliri.
(A.Rimbaud)

 

“Tu sei…”
L’hai indovinata bene, Ikki di Phoenix, un passo dopo l’altro, e sai già che le tue parole non verranno comprese. Ma avanzi e dici, interrompendo ciò che già sai: “Perché sei andato via dai Cinque Picchi?”
“Ikki! Perché mi hai attaccato?”
“Athena ci ha proibito di avvicinarci al Santuario.”
Com’è limpido, ciò che non viene compreso, vero? Sai già che sarà così. Già Shiryu trema. Già senti come ferocemente ti fisserebbe, se non fosse mutilato. Dalle guerre. Dall’onore. Già percepisci sottilissimo rancore. Nato da frustrazione. E tristezza. E…
“Cosa stai dicendo?”
“Athena pensa che i Cavalieri di Bronzo potrebbero essere solo d’impiccio.”
Athena lo pensa.
Lui lo pensa.
Molti lo pensano.
Pensano ad un gioco di cui riesci a malapena ad afferrare la portata al di là delle stelle, Ikki di Phoenix, tu, maturato troppo presto, lo senti quel gioco di chi appartiene ad una sfera al di sopra della tua, quella che la volta che hai provato a camminarci ti sei ritrovato sul palmo di una mano. Quindi taci.
“Non mi dire che vuoi abbandonarla! Ikki! Anche tu sei un cavaliere di Athena! Non vorrai tradirci, vero?”
Ti rivolge l’indice accusatorio contro, già tradito in partenza – lo sente. La voce trasuda indignazione. Shiryu sa essere così ingenuo, così stolidamente ingenuo, come se ogni volta qualcosa di nuovo lo ferisse. Nuovamente, lo stesso, mille volte. Non fa l’abitudine ai perché. E tu chiudi gli occhi, Ikki di Phoenix, ripensando alle stelle che intuisci, molto più in alto di te.
“Non voglio aiutare nessuno.”
“Come? E perché indossi l’armatura?!”
“Sono qui solo come spettatore. Forse questa sarà l’ultima battaglia, una guerra sacra…”
“Non vedi la gravità della situazione! Come puoi dire che sarai solo uno spettatore?!”
Shiryu trema. Trema, dalla rabbia. Trema e si lancia con un braccio in avanti, vuole colpirti – nobile fratello – ma tu ti scosti, provando nulla di più che la sensazione del vento mentre lo schivi. Chissà se provi tenerezza, mentre lo afferri per il bavero della casacca e lo sollevi alla tua altezza, anche se non può vederti. Anche se non può farlo, sogghigni. Anche se non come un tempo. Che la provi o meno, tenerezza rude, tu gli parli fermamente:
“Shiryu… perché tu sei così fiero del titolo di cavaliere di Athena? È per proteggerla? O perché qualcuno te l’ha ordinato?”
Lo lasci andare, Ikki di Phoenix? Sai già che risponderà…
“Ti stai sbagliando! Nessuno mi ha forzato! E Athena non me l’ha ordinato!”
“Quindi… perché?”
“Perché io ho deciso di proteggere Atena, i miei amici, e tutta l’umanità che lei ama!”
Chiudi gli occhi e sogghigni, Ikki di Phoenix, e lui non ti vede ma ti sente.
“Cos’è questa risata?!”
Schivi un altro pugno. Con scioltezza che quasi non desideri. Come vento. La ginocchiata che sferri, pulita e liscia, gli arriva in pieno petto e te lo consegna tra le mani, con cui poi lo scagli lontano. Lontano, Shiryu. Non è il tuo posto, questo. Torna a casa. Qui qualcuno ha preso decisioni troppo grandi che la tua ingenuità non può comprendere. Shiryu che soffre e cerca disperatamente di convincerti con le sue apologie, con le sue dichiarazioni disperate e a voce alta: lui non teme la lotta, lui non fuggirà. Sciocco, Shiryu. Non ha capito che lo sai benissimo anche tu. O forse sì, ma è confuso e non sa più cosa può convincerti. Chiudi gli occhi, Ikki, allora, chiudi gli occhi mentre senti il vento, le stelle le hai viste, chiudi gli occhi e diglielo:
“Anch’io voglio proteggere te, come anche gli altri…”
“Cosa…?”
Guarda altrove, Ikki. Dove ci sono le stelle. Quelle che sai già cosa dicono.
“Proprio così. Tu e gli altri idioti che stanno nell’arena…”
Non ci vai giù leggero, Ikki di Phoenix. Che capiscano come la pensi, e che capiscano tutto quello che vogliono capire. Sapevi già che le tue parole non sarebbero state comprese.
“Gli altri… “ parve distrarsi, il Dragone, ergendosi appena, per poi capire: “Seiya!”
Sempre prima i compagni. Sempre prima di ogni altra cosa. Non guardi il valoroso guerriero cominciare a correre verso l’arena, ti sei già voltato, cavaliere, con un mezzo sospiro, mezzo represso, mezzo chiuso dalla gola, gutturale. E Shiryu lo senti che si volta, fermando passi sicuri per te:“Aspetta, Ikki! Aiutaci!”
Ma sai già cosa rispondere.
Perché è tutto ciò che sarai stasera.
Nemmeno ti volti, volgendo all’orizzonte lo sguardo.
“Non dimenticarti che ho detto che non aiuterò nessuno.”

 
 
 

“Tembu Horin.”
Tutt’intorno era odore di incensi e di mirra. L’illuminato Shaka di Virgo aveva aperto gli occhi e Ikki aveva compreso che tutto quell’azzurro gli sarebbe stato fatale: in realtà, lo sarebbe stato per entrambi.
In quell’azzurrità accecante e bellissima, anche il piccolo Shun scompariva e tutta la sua vita passata si faceva nebbia.
Anche dopo, sul pavimento gelido, senza più alcun senso se non il settimo, aveva pensato che sarebbe stato tutto nebbia, da quel momento in avanti, nella vita come nella morte.
Era stato in quel momento che gli erano girate le palle.
Non era andato al Santuario di Athena per finire lì, come il primo scagnozzo del Sacerdote. Non davanti a Virgo, arrogante divinità splendente, unico avversario che aveva reclamato da lui anche l’ultima goccia di potere e al quale lui, Phoenix, l’aveva richiesta. Non avrebbe strisciato davanti a Virgo, non davanti a lui!
Ed erano state esplosioni di luce allora, ad inondare la Sesta Casa e lui, sciolto in essa, aveva vinto e sconfitto il suo custode, esplodendo il Cosmo con quello di lui.
“Fermati!” aveva gridato Shaka, gli occhi azzurri della dimenticanza spalancati nella luminosità “Ci oscureremo in un mondo di luce!”

 

Un passo dopo l’altro, avanzi, Ikki di Phoenix, poiché avevi promesso che stasera saresti stato qui solo come spettatore, e da dove ti trovi, ai piedi della scalinata, i tuoi occhi non vedono.
La strada è sgombera. C’è tutto il tempo che ti serve. L’hai calcolato da quando hai sentito quella luce dalla sensazione bianca e infinita espandersi in un attacco che ben conoscevi. Contavi.
Non sapevi cosa pensare, in verità, c’era solo quella sensazione che conoscevi bene – perché sei un uomo, Ikki di Phoenix, non certo un ragazzo, e sebbene i tuoi occhi siano ancora grandi, le labbra sono dure, le mani ruvide – di stare sotto ad un cielo troppo grande. Ma non è quello che vai a vedere, Ikki. Per quanto poco tu possa conoscerlo, di tutto ciò che sta sopra di te hai una ben precisa sensazione, e non andrai ad immergerci le mani. No. Tu vai per essere solo spettatore. L’hai detto, a Shiryu.
Forse questa sarà l’ultima battaglia… una guerra sacra…
Il metallo dell’armatura risuona secco sul selciato, appena calpestato di tutta fretta da due guerrieri antichissimi, che corrono sotto la luna per fermare la strage avvertita di lontano. Ma per quello che puoi saperne, Ikki di Phoenix, quei gradini sono stati calpestati da tante altre persone prima di te.
La Seconda Casa ospita un’atmosfera rarefatta in cui ancora vibra l’aria scossa e sconvolta da cosmi poderosi, e un’armatura vuota che brilla di un bagliore innaturale. La guardi mentre passi. Guardi il fiore ai suoi piedi. Prosegui oltre, perché sarebbe profano attardarsi, lo senti dalla tristezza e dall’orgoglio di quel fiore, e tu hai intrecciato molti fiori, con le tue mani ruvide, e ben conosci tristezza e orgoglio. Non vorresti che qualcuno profanasse le tue corone, intrecciate con cordoglio sempre più addolcito negli anni. Volgi lo sguardo subito.
Ma non affretti il passo, Ikki di Phoenix. C’è tempo. Anche quando senti dischiudersi universi di luce. L’hai detto prima a Shiryu, l’hai detto: non sei qui per aiutare nessuno. Non affretti il passo anche se sai cosa sta succedendo. Lo senti con la netta chiarezza di un profumo distinto nella sera: l’odore dolciastro, fresco e denso di magnolia nelle notti di primavera, dopo che la pioggia ha colmato, come fossero un calice da cui bere, i petali morbidi e bianchissimi di una brusca purezza. Altrettanto intenso, senti e cammini senza affrettarti, senza sapere bene che cosa provare, mentre il bianco da lontano ti sfiora, t’illumina, e sai che al centro di quel boato immenso, che alzando il mento vedi prorompere dalla Sesta Casa, ci sono due occhi terribili.

 

Dove il buio diventava più fitto, alla Sesta Casa, oltre le colonne e i muri di fumo dell’incenso e della mirra, c’era un portone di legno intarsiato, rinforzato di placche di metallo lavorato e cesellato, di indiscutibile sapore orientale in mezzo a tutta quella Grecia. Del resto tutta la Sesta Casa lo era.
Il portone, ampio, si apriva sulla parete lunga del Tempio.
Nessuno sapeva dove dava, esattamente. Tutti avevano sentito dire che dava sullo Sharasojo, il Giardino della Vergine.
Chi aveva girato attorno alla Casa, curioso, per scoprire quel luogo, si era trovato ad un tratto, con disappunto, davanti al portone esterno, senza trovare alcun giardino, solo le rocce scoscese del Santuario che davano sul mare, appena prima della scalinata di marmo che portava alla Settima.
Il Giardino della Vergine era un mistero per tutti.
Meno che per Ikki di Phoenix.
Di tanto in tanto Ikki si era allontanato, dopo la battaglia delle Dodici Case, cercando altri luoghi e meno vincoli rispetto a quelli dei suoi amici e fratelli. Non perché non sopportasse la loro presenza, tutt’altro. Ma piuttosto per l’insostenibile insofferenza che lo prendeva spesso, per la necessità di andare sempre oltre e di non poter calcare troppo a lungo lo stesso suolo.
In alcuni casi si era recato da Shaka di Virgo.
Era vero che si erano spenti in un mondo di luce, ma Siddartha Gautama Shakamuni, il Buddha, non aveva l’abitudine di restare troppo a lungo nell’oscurità ed era tornato, facendo in modo che anche la Fenice potesse scegliere il mondo dei vivi, a quelli dell’Ade.
Alla domanda che Ikki gli aveva posto: “Perché mi hai salvato?”, Shaka aveva risposto con un’alzata delle spalle esili, come se non ci fosse una vera ragione.
Poi aveva aggiunto, ad occhi aperti, tingendo tutto per un attimo d’azzurrità e deliri: “Perché per la prima volta nel mio cuore è nato un dubbio. E sei stato tu a far nascere questo dubbio”.
Così era tornato. Senza armatura, ma con il sogghigno strafottente sulle labbra e le mani in tasca.
Come si va a trovare un amico.
Di tanto in tanto.
Shaka lo aveva accolto come se lo stesse aspettando sa sempre, ad occhi chiusi, il volto delicato e sereno, fatta eccezione per l’angolo della bocca, sollevato in un sorrisetto di superiorità.
“Benvenuto, Ikki. Hai ancora il
genmaken facile?”
Ikki aveva risposto con una frecciatina mirata e Shaka non aveva lasciato cadere la provocazione. Così si erano susseguiti più incontri e più duelli verbali.
Man mano, si erano placati, senza spegnersi del tutto.
Un giorno Shaka gli aveva fatto un cenno, e l’aveva guidato verso dove il buio si faceva più fitto, oltre le colonne e i muri di fumo dell’incenso e della mirra.
C’era un portone di legno intarsiato, rinforzato di placche di metallo lavorato e cesellato, di indiscutibile sapore orientale in mezzo a tutta quella Grecia.
Shaka l’aveva aperto e davanti a loro si era dispiegato un giardino, come un tappeto che si srotola, con l’erba alta che ondeggiava al vento, con due soli alberi, alti a carezzare il cielo ombroso, e petali strappati ai rami in fiore che il vento rapiva e portava, come un omaggio, fino al portone del Sesto Tempio.
Ikki aveva avuto come l’impressione che quella porta si fosse aperta sull’India.

 

Sei lì che osservi la luce ed è come se una musica solenne, un requiem ad organi e cori e melodie straniere, sconosciute e tremende, paralizzasse ogni foglia, ma non tu che cammini. Guardi.
Esplode. Tutto.
Qualcun altro piangerebbe.
Qualcun altro urlerebbe il suo nome.
Shaka!
Qualcun altro.
Tu sei solo uno spettatore.
No! Shaka!
Non ci posso credere!
Shaka!
SHAKA!

Non sei qui per aiutare nessuno.
Ignori le voci, la luce e la messa da requiem, e il tuo cuore è di marmo in un petto di marmo.
Vai ad assistere ad un esplodere che è l’universo quando nasce. Quindi vai. Vai ad assistere.
Era questo, che dicevano, le stelle, Ikki di Phoenix? Ce n’erano forse due fisse in cielo, come occhi azzurri della dimenticanza spalancati nel buio, e tu non le hai sapute leggere correttamente. Può essere.
Ma in fondo, pensi, senza piangere, senza gridare il suo nome, ha davvero importanza?
Quel gioco di cui riesci a malapena ad afferrare la portata al di là delle stelle, Ikki di Phoenix, non era il tuo, lo pensavi, non è vero, guardando Shiryu pregarti di correre con i tuoi compagni a sfidarle una per una, disperato e forte nei suoi occhi ciechi?

 

“Devo fare una cosa” aveva detto Shakamuni. “Niente di entusiasmante. Puoi andare a casa se vuoi. Oppure puoi restare”.
Aveva tolto i sandali, lasciandoli sulla soglia, e a piedi nudi era entrato nell’erba.
Ikki non aveva detto niente; aveva osservato quel giovane dagli occhi chiusi senza combatterlo nemmeno dialetticamente, per una volta.
Shaka aveva guardato per terra. Seguendo il suo sguardo, Ikki aveva notato delle zolle smosse, la terra inaridita. L’aveva sentito parlare della stagione delle piogge, che tardava ad arrivare.
“Ma che giungerà. Per quanto si possa rallentare la ruota del Karma, gli avvenimenti che devono avvenire avverranno”.
Ikki aveva aggrottato le sopracciglia. Non aveva capito, subito. Avrebbe capito più avanti, il giorno in cui Virgo, con la stessa serenità di quel momento, avrebbe accettato di morire sotto i salici, per onorare la ruota del Karma, per un disegno più grande.
In quel momento non aveva potuto comprendere quelle parole oscure. Lo aveva visto chinarsi - con quei gesti puliti e delicati, eppure estremamente virili – allungare una mano, elegante, appoggiandola sulla terra nuda. Sembrava un po’ più piccolo del solito, senza armatura, senza posa eretta e senza Cosmo dispiegato. Silenzioso com’era.
Ikki l’aveva guardato chinato sulla terra, con i capelli biondi che ricadevano sul davanti, sul petto, senza che perdesse nulla in dignità.
C’era qualcosa di sacro e ancestrale, in quella scena. C’era così tanta luce da potercisi oscurare dentro. Ed era bellissimo.
“Ma no. Potrei darti una mano, Virgo”.
Che cosa hai fatto domenica, Ikki? Mh. Ho aiutato il Buddha a tenere un orto.
Così lo aveva aiutato: aveva fatto come lui, onorando il Karma e la ruota della stagione delle piogge, dopo aver sparso semi nuovi, chinandosi e unendo le mani su ogni chicco che cadeva tra le zolle.
Aveva alzato lo sguardo su Shaka, in piedi, al centro del suo Sharasojo, che teneva della terra nella mano a coppa.
Il Buddha l’aveva guardata per un attimo.
“E’ finito il tempo delle lacrime” aveva detto, come al terreno “Resta il tempo per la luce. Come in Grecia, così nel mondo”.
La strinse nel palmo, mentre le folate la portavano via, a coprire i semi, poi strinse il pugno, come in un rito. Lo allentò, alla fine, e lasciò andare anche il resto nel vento, a permettere che la ruota del Karma portasse la vita dove c’era stata la morte.

 

Era un gioco grande e superiore a cui hai deciso di assistere, e così te ne fai una ragione, lasciandoti alle spalle una casa vecchia, malinconico mistico rudere di morte, che hai attraversato mentre pensavi.
Forse quelle due stelle come occhi nel cielo c’erano davvero.
Forse il destino si può leggere negli astri fiammeggianti.
Forse il destino si può leggere nel volo degli uccelli, nelle  viscere degli animali offerti in sacrificio.
Forse il destino si può leggere nel numero di gradini che lasci alle tue spalle.
Ma in ogni caso -  pensi, investito da una luce come mai ne hai viste prima -  in ogni caso rimane sopra. Rimane che qualcuno l’ha deciso. Rimane che chi l’ha deciso sapeva i cazzi suoi. Rimane che quelle stelle possono stare dove sono e le puoi interpretare, ma non sai bene a che cosa serve, adesso, mentre vai lì come spettatore del cielo che alla morte di un dio si è oscurato come nella peggiore apocalisse, ma era bello, terribile e bello. Un azzurro gli era stato fatale.
Muovi un passo, allora.
Verso l’esplosione che dilaga davanti a te.
Senza paura, coraggio. Nel fuoco da dove vieni.
L’hai sentita assieme a tutti gli altri, la sua intenzione, Ikki di Phoenix.
Né prima né dopo. Come tutti e basta.
Ma a differenza degli altri, non hai affatto pensato d’intervenire.
Ti pare che una musica solenne, un requiem ad organi e cori e melodie straniere, sconosciute e tremende, accompagni pure te, adesso, perché mentre passi tutto davanti a te salta in aria, in una luce dorata e rovente.
Allora ti fermi e aspetti. Sei serio, Ikki. E sai aspettare.

 
 
 

Un vortice di petali ti accompagna già da un po’, e tu lo segui, Ikki di Phoenix, senza chiedergli niente.
Tanto, facevate la stessa strada.
C’è nell’aria qualcosa di peggiore dell’apocalisse, Ikki.
Qualcosa di peggiore del cielo che si è annerito per un requiem bellissimo ed inquietante, per un dio che si oscurava. Minaccia agitazione e brividi, nei cosmi che risuonano in una tensione crescente. Senti tutto, Ikki di Phoenix, senti le paure e i dolori e le angosce e la dolcezza, e in qualche modo, senza dover guardare le stelle e cercare d’interpretare il loro gioco, chissà come lo sai già, come va a finire.
Non fai nulla.
Cammini e basta.
Non sei lì per aiutare nessuno.
Athena la pensa proprio come te.
Shaka la pensa proprio come te.
Tutti e due hanno i loro piani.
L’ultima battaglia…
Una guerra sacra…
Arrivi dove vuoi, Ikki di Phoenix, arrivi fin dove i petali vengono trascinati dal vento che sentivi mentre glielo dicevi, a Shiryu, che volevi proteggere lui e tutti quanti. Tutti quelli che amavi. Ma Athena li voleva fuori. Athena aveva i suoi piani. Shaka aveva i suoi piani. Le stelle erano al di sopra di loro, il gioco di cui riesci a malapena ad afferrare la portata ancora al di là, quella sfera al di sopra della tua.
La mano su cui corri mentre pensi di scappare in capo al mondo. Così, sei lì solo come spettatore.
Dove il buio diventa più fitto, alla Sesta Casa, oltre le colonne e i muri di fumo dell’incenso e della mirra, c’è un portone di legno intarsiato, rinforzato di placche di metallo lavorato e cesellato, di indiscutibile sapore orientale in mezzo a tutta quella Grecia. Del resto tutta la Sesta Casa lo è. Lo era. Adesso è vuota e distrutta. Molto più in alto, un cielo che alla morte di una dea si oscura come nella peggiore apocalisse. Già un azzurro gli è stato fatale. Senti morte e sangue e l’universo che esplode in pianto, ma tu sei solo uno spettatore in una casa vuota e distrutta. Il portone è ancora lì.
Poggi le mani sul legno. Non hai smesso di camminare né smetterai ora: ti ci vuole un attimo solo. Forzi nella tua mente un silenzio che non esiste, nell’aria densa che assume significato di tenebra, forzi al di fuori voci e cosmi risuonanti in panico e in un solenne coro, tremendo e dolcissimo, struggente come il pianto di una civetta, il lutto della fine dell’uomo. Lo forzi fuori, Ikki di Phoenix. Oltre il portone c’è un giardino.


Devo fare una cosa, ti sei detto. Niente di entusiasmante. Devo aiutare il Buddha a tenere un orto.
Ti sei tolto le scarpe, lasciandole sulla soglia, e a piedi nudi sei entrato nell’erba.
Com’è limpido ciò che non viene compreso, vero? Un gioco di cui riesci a malapena ad afferrare la portata al di là delle stelle, Ikki di Phoenix.
Hai pensato alla stagione delle piogge, che tarda ad arrivare, ma che giungerà. All’incomprensibile ruota del Karma.
Ti sembra di vederlo chinarsi, laggiù, in mezzo ai salici, con i capelli biondi che ricadono sul davanti, sul petto. Ti sembra un po’ più piccolo del solito, senza armatura, senza posa eretta e senza Cosmo dispiegato. Ma tanto hai poco da immaginare, Shaka di Virgo non c’è.
Fai come ha fatto lui, camminando piano nell’erba, fino agli alberi gemelli.
Sai che è morto lì. E’ rimasto qualcosa, sulla terra, come le sue ceneri di fenice che non risorge.
Ti chini e sfiori la terra, unendo le mani come su un chicco caduto tra le zolle.
C’è qualcosa di sacro e ancestrale, in quello che fai. C’è così tanta luce da potercisi oscurare dentro. Ed è tremendo.
Ti sei alzato, tenendo quella terra e quelle ceneri nella mano a coppa. Tenendo Shaka.
Niente di entusiasmante. Devo aiutare il Buddha a tenere un orto.
Lo stringi nel palmo, mentre le folate lo portano via, a coprire i semi che ancora riposano, poi stringi il pugno, come chi sta per piangere e non lo fa, rabbiosamente.
Non piangere. E’ finito il tempo delle lacrime. Resta il tempo per la luce. Come in Grecia, così nel mondo.
Lo allenti alla fine, lasciando andare anche il resto nel vento, a permettere che la ruota del Karma porti la vita dove c’è stata la morte.

 
 
 

NOTE INDISPENSABILI:

1)       Rimbaud leggeva Saint Seiya e il suo personaggio preferito era Shaka.

2)       Noi non abbiamo fatto niente, è tutta colpa dei protagonisti, prendetevela con loro. Ufficialmente sono di un certo Masami Kurumada, ma abbiamo idea che siano abbastanza indipendenti. Lo shonen ai Kurumada non lo include nel prezzo ma noi sì, perché abbiamo cominciato a shipparli, e quindi ormai per il vecchio Masami è troppo tardi.

3)       Ci ha mandato in totale svalvolamento angst una scena che ci era passata inosservata fino a stamattina, nell’undicesimo OAV dell’Hades: mentre Tikyugi ci strazia il cuore, Athena cade a terra nel sangue, Saga grida, i bronze arrancano, tutti piangono e si disperano, tu vorresti solo morire, Ikki comparsa, di spalle, in un posto figo, lasciando al vento una manciata di sabbia. Non avevamo bene realizzato che quel maledettissimo posto è lo Sharasojo, e nonostante il pippone che ha tirato a Shiryu sul non intervenire, la Fenice è lì. A raccogliere le ceneri di Shaka e a spargerle sotto i salici. Lasciamo stare. A quel punto l’abbiamo presa sul personale. Stupida Fenice!

Con affetto, Angst e tanti petali di ciliegio che nessuno ha ancora capito come possano provenire da due salici, ma fanno molto fygo,

LeFleurDuMal e Ren_chan

   
 
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