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Autore: AlexEinfall    10/02/2015    4 recensioni
Quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità, quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di bontà, quando è il cacciatore a divenire preda, chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in solitudine.
Dal testo
Sangue. Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma? Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse ai nostri giorni l'obiettivo non è quello di scoprire
che cosa siamo,
ma di rifiutare quello che non siamo.
Dobbiamo immaginare e costruire
quello che potremmo essere.

Paul-Michel Foucault




   Ottantaquattro ore e dieci minuti. Questo il tempo trascorso dal suo risveglio in ospedale. Spencer è seduto sul divano, la testa reclinata e gli occhi chiusi, per cacciare indietro le lacrime. Non è triste o afflitto, malgrado il costante tremore e lo strato di sudore attaccato alla pelle. Tutto ciò che sente è distante, come se la sua mente fosse sospesa nella nebbia. È nella stessa posizione dall'alba, quando Morgan è uscito dal suo appartamento dopo averlo accompagnato dall'ospedale. Si è alzato solo lo stretto necessario e ora stringe il manico di una tazza di the bollente. I medici gli hanno sconsigliato la caffeina, almeno per un po', e lui teme che occorrà molto tempo prima che possa assaporare ancora un caffé.
   Riapre gli occhi, fissando lo sguardo sulla brochure che Hotch gli ha dato in ospedale. Ora è sul tavolino, su una pila di libri, e le sue tonalità accese contrastano con le copertine antiche.
   Prati sempreverdi e attività ricreative - a stretto contatto con la natura - un'oasi di pace.
  Questo dicono quasi tutte le brochure di quei posti, facendoti dimenticare che sono luoghi dove anime perse cercano di uscire dal limbo delle proprie miserie.
   Spencer resta immobile, perché davvero non sa che altro fare. Il ticchettio dell'orologio, un clacson che dalla strada erutta in un suono acuto, la TV a volume altissimo della vicina del piano di sopra...questo tutto ciò che riempie il silenzio. Sembra tutto troppo lento, tutto troppo quieto, e lui non sa cosa dovrebbe fare.
   Ci sono troppe cose da processare, anche per il suo cervello, che ora non è nelle migliori condizioni. Sa che il momento della verità non è ancora giunto e che la sua mente lo sta proteggendo con l'apatia.
   Daniel e ciò che lui ha provato per quello sconosciuto; il terrore di aver perso la testa e aver ucciso persone innocenti; il Dilaudid e le proprie colpe, il proprio abbandono a quella fuga così semplice; quell'uomo misterioso, Lucas Carter, che era stato così vicino a lui, così vicino a sua madre...Il solo pensiero riesce ad accellerargli il cuore.
   Quando Spencer sente suonare il campanello, la tazza di thè gli traballa nella mano e una goccia gli finisce sul dito, ustionandolo. Sopprime un gemito di dolore e poggia la porcellana sul tavolino, affrettandosi alla porta. Ritornare a vivere normalmente in quella casa gli ha causato un certo grado di paranoia.
  Il viso di Morgan gli sorride dallo spioncino.
  «Che ci fai qui?» chiede guardingo. Non ha il tempo di aggiungere altro, che l'agente si è già intrufolato nell'appartamento.
  Sospira, richiudendo la porta.
  «Non sei felice di vedermi?» chiede raggiante Derek, aprendo le braccia tranquillo.
  Spencer annuisce e recupera la tazza dal tavolino. «In realtà stavo per iniziare una pacifica lettura.»
  «Avanti, ragazzino, parlare con un libro non ti servirà!» lo rimbecca. «Ci sono io.»
  Spencer non riesce a impedirsi di sorridere e scuotere la testa, sedendosi sullo sgabbello e trascinandosi davanti la tazza di thé, seguito a ruota da Derek, che gli si siede accanto e lo fissa pieno d'aspettativa.
  «Vuoi chiedermi qualcosa?» domanda Spencer, grattando con l'unghia del pollice la ceramica della tazza. Non sa bene cosa Derek si aspetti che lui dica o faccia. Forse dovrebbe chiedergli scusa, di perdonarlo...non lo sa, e ricorda vagamente il giorno in cui, sul letto d'ospedale, ha farfugliato parole futili, alla ricerca disperata di un perdono che nessuno avrebbe potuto accordargli.
  «A quale domanda hai bisogno di rispondere?» gli rilancia Derek, perché sa che c'è qualcosa che l'altro vuole dirgli, che ha disperato bisogno che gli venga posta quella domanda. Ma lui non è certo di quale si tratti e temporeggia, scrutando il ragazzino che si morde il labbro inferiore e fissa la tazza. «Hei, guardami.» Non avrebbe mai voluto, ma il tono risulta più duro del previsto, e fa sobbalzare Spencer, che gli rivolge uno sguardo incerto. Sembra trattenga il respiro e d'improvviso il linguaggio del corpo muta, rendendolo simile a un accusato.
  Morgan si accorge di questo cambiamento e decide di prendere la palla al palzo. «Non va molto bene, vero?» Fa un cenno alle braccia del ragazzo, che se le stringe al petto, a disagio.
  «Sto bene» dice Spencer, distogliendo lo sguardo. L'ultima volta che un ago è entrato nel suo braccio, è stato all'ospedale. A volte gli sembra di sentirlo ancora, come se lo avessero dimenticato sottopelle. È rimasto in ospedale tre giorni, dando il suo consenso a cominciare la disintossicazione. Ggli sembrano passati anni. Malgrado il peggio sia passato, i dolori e le ferite mentali sono ancora lontani dall'essere un ricordo; è triste, pensa, che una volta lo erano, prima che tutto questo cominciasse.
  «Hey, non devi mentirmi, altrimenti è inutile che sia qui. Credevo ci fossimo accordati su questo.»
  Spencer annuisce debolmente e si massaggia distratto un braccio. Morgan deve attendere ancora prima che il dottore cominci finalmente a parlare. «No, non sta andando molto bene. Ho questi continui sbalzi d'umore, l'emicranea è tornata e...sono tornato da quanto? Otto ore? Cosa dovrei fare non lo so. Non riesco più a pensare, mi distraggo, dimentico quello che stavo facendo mentre lo faccio.» Alza lo sguardo, incerto, ma trova negli occhi dell'amico solo attenzione. «Io non credo di poter ricominciare. Sono stanco.»
  Derek lo osserva, sospendendo ogni giudizio. «Non devi arrenderti, d'accordo?»
  «Io non voglio arrendermi, non posso. Non sto valutando l'idea di farlo. È solo che doverci riprovare è sfinente. Lo sai che la probabilità di una disintossicazione definitiva, in chi ha già intrapreso un percorso e ha avuto una ricaduta, cala drasticamente?»
  «Ragazzo, no» gli dice Derek. «Dimenticati tutto ciò che sai. Lascia stare le probabilità. Sei tu, non un numero percentuale.»
  Il dottore stringe le palpebre e sembra meditare, poi annuncia: «Ho raggiunto un momento di pura felicità. So che non era reale. In realtà, nulla lo era, ma non volevo pensarci. Comunque, è stato il momento più bello che io ricordi. Pensi sia triste, vero?» Non riesce a guardarlo negli occhi. Non può dirgli che in quell'attimo di felicità lui aveva un ago nel braccio e il corpo di Morgan nella mente, un'immagine partorita spontaneamente dalla sua fantasia. Non sa ancora cosa pensarne.
  Morgan interpreta in maniera erronea il suo imbarazzo e una punta di fastidio gli inacidisce il cuore. «Eri con lui?»
  «Cosa?» chiede Spencer sbigottito.
  «Eri con Daniel, vero? Con lui ti sei sentito felice.»
  Spencer si sente offeso senza saperne il reale motivo. Sa solo che il sangue comincia a rombargli nelle orecchie. «Io no-...non voglio parlarne.»
  Derek scende dallo sgabello e afferra la giacca, sotto gli occhi smarriti di Spencer.
  «Cosa fai?»
  Ormai sulla porta, il ragazzo si volta di scatto. «Vado via, dato che non vuoi parlare.» La parte razionale del cervello gli dice che si sta comportando in modo immaturo, ma Derek non riesce a sentirla.
    «Sì, provavo attrazione per lui» sputa fuori Spencer, guardando Derek con concentrazione. «Ho dormito con lui, l'ho baciato e...» malgrado l'ostentata forza d'animo, le guance si imporporano. «Bhe, è questo che volevi sentire?»
  «Ci hai fatto sesso» conclude Derek, una nota di veleno nelle parole, ignorando la sua provocazione.
  Spencer abbassa lo sguardo un attimo, corruga la fronte e stridulo quasi urla: «E allora? Possibile che tu non riesca a pensare ad altro?» Il ragazzo si alza dallo sgabello, facendolo stridere sul pavimento. «Insomma, mi piaceva, ci stavo bene. Parlavamo. Il sesso cosa c'entra?»
  «Tu lo sapevi da prima. Sapevi di essere-»
  «Omosessuale?» sbotta Spencer, gesticolando animatamente. «Oh, ora è tutto chiaro. Sei venuto qui solo per saperlo. Tranquillo, la mia presenza devirilizzata non intaccherà in alcun modo la tua mascolinità. È come pensavo, tu vuoi solo sapere che avermi come collega non ti minacci come uomo, giusto?»
  «Non lo pensi davvero» dice stupito Derek, prima che la rabbia gli incrini il viso. Getta via la giacca per fronteggiarlo e qualcosa, nello stomaco di Spencer, si agita a quella presenza troneggiante di forza. «Tu non puoi davvero pensarlo. Sei solo arrabbiato con te stesso. Perdonati, una buona volta.»
  «C-cosa dovrei perdonarmi?» farfuglia confuso.
  «Di aver commesso un errore, di non aver pensato. Hai agito d'istinto e questo non lo tolleri.»
  «E' ridicolo. Io...l'istinto non c'entra.»
 «Allora cosa?» chiede Derek, aprendo le braccia in un disperato invito. «Qual è il motivo?»
  Spencer non sa davvero cosa rispondere.
 «Sai perché sono venuto qui?» Chiede Derek, avvicinandosi. «Non riuscivo a dormire. Dormo male a causa di una domanda che mi tortura.» Fa una pausa e cerca il suo sguardo, riuscendo faticosamente a incatenarlo. «Mi chiedo perché non me ne hai parlato. Perché hai affrontato tutto da solo? Mi sono detto che sei testardo, che non ti fidi abbastanza né di me né di nessun altro, mi sono detto tante cose. Ma solo tu puoi rispondermi.»
  Il dottore si siede, le gambe gli cedono. Ha la risposta, anche se non sa come interpretarla. Vale la pena divulgare un dato che non si comprende? Ma qui dati e variabili si confondono sullo sfondo e lui si sente confuso. Non gli resta altro che parlare e lasciare il compito dell'interpretazione a Derek.
  «Avevo paura.»
  «Di me?» chiede l'altro incredulo.
  «Non volevo mi guardassi come un colpevole.»
  Derek resta pietrificato, incredulo.
  «Io non ti avrei mai chiuso fuori» dice alla fine, poggiando una mano sulla sua spalla. «Accidenti, ragazzo, farei qualunque cosa per aiutarti.»
   Su quel letto d'ospedale Spencer sembrava solo un essere bisognoso. E tu, Derek, tu volevi solo essere quel bisogno, sentirti ancora il suo bisogno, come quando aveva gli incubi, come quando Tobias lo teneva prigioniero e tu non dormivi alla sua ricerca.
  Reid resta in silenzio, cercando di dominare l'istinto di liberarsi della mano sulla sua spalla. È un gesto così intimo e così tipico di Derek, da raggerarlo. Troppo vicino. Si alza e annuncia: «Ora vorrei restare solo.»
  «No» dice deciso Derek. «Spencer, io resto qui stanotte.»
  Spencer vorrebbe protestare, ma si arrende. «Come vuoi» si volta e si dirige verso la sua stanza, la porta si chiude piano. Derek fissa le proprie mani chiudersi in pugni deboli.
  Cosa devo fare perché tu smetta di nasconderti?
 




Melbourne, Australia

  
   Lucas Carter ha fame, davvero troppa. Si guarda attorno nell'assolata strada, dietro le spalle ancora visibile il tetto luminescente dell'aereoporto. Diciotto ore di viaggio e neanche un misero boccone gli hanno fatto ridefinire il concetto di fame. Ora si pente di non aver mangiato al Cairo, prima di partire. D'altra parte, non avrebbe mai messo le mani su quelle buste scintillanti piene di cibo lucido che le hostess osano chiamare cibo.
  Fa scivolare gli occhiali da sole appena comprati sulla fronte e scruta i dintorni, individuando subito un menù esposto davanti una vetrina. Sorride e risistema gli occhiali, ravvivando i capelli ora biondi. Si massaggia il mento, dove la barba comincia già a ricrescere. Quel nuovo look non lo convince, ma è certo che presto se ne farà una ragione. Infilando le mani in tasca, si dirige alla tavola calda. Un fastidioso campanello annuncia il suo ingresso, ma nessuno si volta a guardarlo mentre si siede ad un tavolino e attende una cameriera.
  Poggia il mento sul palmo della mano, chiedendosi cosà avverrà ora. Una coppietta felice è seduta a qualche tavolo di distanza, ridono dei tentativi del figlioletto di mangiare un grosso panino al tonno. Lucas sorride, nascondendo il disgusto.
  «Salve, signore, posso esserle utile?»
  La cameriera ha una voce cristallina e giovane. Merita di essere osservata, pensa Lucas. Ha grandi occhi verdi e lunghe ciglia chiare, i capelli rossicci raccolti in una coda di cavallo che le da un aspetto ancor più innocente. Lucas sorride in quel modo che riserva solo alle donne.
  «Certo, Lydia» dice, leggendo il nome sulla targhetta.
  La ragazza sorride e le guance si imporporano, mentre risistema un ciuffo dietro le orecchie. Lucas è convinto di aver fatto centro.
  Mentre ordina un panino al prosciutto e un caffé forte, pensa che forse Lydia potrebbe essere un buon inizio per la sua nuova vita. In fondo, lui ora è un ragazzo pieno di vita e sorrisi, pronto a mettere su famiglia, magari. Guarda le strade di Melbourne oltre la grande vetrata e pensa al giorni in cui tornerà da Spencer. Dovrà attendere, uscire dai radar e crearsi una nuova vita di facciata, ma è certo ne varrà la pena.
   Sente già l'acqualina in bocca, ma questa volta non è quel tipo di fame.





Washington, USA

 Washington è sotto la neve, che scende ondeggiando. Le finestre rimandano il bagliore tenue della notte, sotto la luna che crea quell'effetto ottico di irridescenza del nevischio posato sui vetri. Spencer, disteso su un fianco in posizione fetale, finge di dormire, ma gli occhi sono puntati sulla finestra, quel rettangolo d'aria sigillata.
  Stringe un pugno vicino alle labbra e sospira, sentendo il proprio alito caldo raffreddarsi sulla pelle ghiacciata. I piedi nudi sono freddi, ma non li copre. Vuole sentire quella strana sensazione, come se fossero a contatto con un pavimento di ghiaccio secco. Gli piace ricordarsi del proprio corpo, della propria esistenza sospesa. Abbassa le palpebre e scivola in un dormiveglia inquieto, dove le allucinazioni ipnagogiche lo risucchiano nel vortice della surreale fusione tra reale e fantastico.
  L'immagine del corpo di Morgan gli colpisce la mente, improvvisa, ricacciata da un angolo sconfinato del cranio. L'immagine vista nelle ore di allucinante benessere, quando Daniel lo stringeva e lui immaginava le mani del collega, ruvide per aver stretto troppo la pistola, in mesi e mesi di addestramento duro. Allora non si chiedeva il perché, ora la domanda è impellente.
  Morgan? Derek Morgan?
  No, pensa una voce nella sua testa, la sua voce. Non lui. Non potrebbe mai accadere. Ma il confine diventa labile, e la mente precipita nelle nuvole elastiche della fantasia.
  Le mani di Morgan. D'un tratto le sensazioni si rovesciano e le vede, quelle mani forti e scure, stringersi intorno al proprio collo. Si vede nudo lottare su di un pavimento gelido e sporco e gli occhi di Derek incendiarlo. L'aria gli manca, si dibatte, le membra esili ed esposte. È impotente. Si vede sopraffare dalla sua virilità.
  Aria!
  Senza rendersene conto, comincia ad agitarsi convulsamente, scalciando e dimenando le braccia come ad afferrare qualcosa. «No, no!» urla sempre più forte, per sovrastare il silenzio, che gli sembra uscire come fiato dalle labbra.
  «Spencer! Hey, Spencer!» gli risponde una voce. La sua voce. La riconosce ma non riesce a muoversi. Mani gli afferrano le spalle, lo scuotono, e lui riemerge dalle tenebre, aggrappandosi furiosamente alla sua t-shirt.
  Gli occhi sono rossi, iniettati di sangue, il respiro corto che brucia nei polmoni e lo sguardo terrorizzato.
  «Spencer, sono io. Sono Derek» gli dice rassicurante, ma guardandolo con una profonda nota di stupore e sospetto. «Va tutto bene.»
  «Ho bisogno...» prova a dire, ma la gola secca raschia le parole. «Acqua. No...thé.»

  Alle due di notte, Spencer e Derek sono seduti sul divano, quest'ultimo rivolto verso il ragazzino, che tiene le ginocchia unite e il corpo leggermente rivolto nella parte opposta. Il linguaggio del corpo, questa volta, non mente.
  Il dottore stringe tra le mani la tazza di thé fumante, mentre fuori la bufera infuria implacabilmente lenta.
  L'unica luce è la lampada che pende su una poltrona, una luce calda che lascia scivolare strane ombre sul viso del ragazzo, rivelandone le sporgenze e gli angoli. Non si è ancora del tutto ripreso, considera Derek, che ben poche volte lo ha visto così magro e stanco. Una stanchezza che, in questa notte piatta, appare in tutta la sua drammatica insistenza.
  E' una notte in cui tutto si può dire. Il tempo è sospeso, le nuvolette del thé e la foschia della neve nascondono il mondo, chiudendo l'universo nei confini dell'appartamento carico di libri; libri che aprono le finestre di altri universi, tuttì lì sugli scaffali, tutti a portata di mano. L'ecosistema di quelle mura sorregge due uomini, seduti vicini ma distanti, ognuno a combattere con le proprie domande, ognuno potrebbe rispondere all'altro, bastandosi a vicenda. Ma il primo passo è arduo.
  Troppo in sospeso, troppo in gioco, considera Derek, al quale il senso pratico ora viene meno.
  «Le cose tra noi non sono mai andate male» dice, guadagnandosi una rapida occhiata circospetta. «Semplicemente da un po' non andavano. Non abbiamo parlato molto, in questi ultimi mesi.» Si china a cercare il suo sguardo e, quando lo ottiene, dice deciso: «Mi dispiace, Spencer.»
  Il ragazzo tira le labbra in un sorriso e si passa un palmo sulla fronte, risistemandosi un ciuffo ribelle, le sopracciglia aggrottate. Tossicchia nervoso.
  «No-non importa. Capisco» sussura, rivolgendo gli occhi alla catasta di libri sul tavolino. La broschure è ancora lì, ma sembra perdere colore.
  «Cosa?»
  Che non sono così importante. Vorrebbe dire Spencer. Ma sa che si tratta di una riflessione stupida, una di quelle osservazioni da adolescente introverso, da piccolo genio cresciuto troppo in fretta, che si porta sempre dietro gli strascichi di una vita vissuta al margine, solo. Spencer Reid è una di quelle poche persone che sono state davvero sole, perché nessuno poteva capirlo, perché nessuno era al suo passo e lui era sempre lasciato indietro. Scuote la testa, rimproverando se stesso: un adulto non pensa così. Un bambino non avrebbe mai dovuto avere la testa che avevi tu anni fa, quando il gioco più divertente era fantasticare la soluzione di un intricato caso di omicidio plurimo.
   «Hai ragione, abbiamo parlato poco in questo periodo» si costrige a dire, guardandolo fugacemente. «E' colpa mia.» Morgan lo ascolta attento. «Tu mi hai sempre mostrato di non giudicarmi, ma io...io giudico me stesso quando parlo con te. Credevo che non parlandoti dei miei demoni loro sarebbero rimasti affar mio, che avrei trovato la forza di combatterli da solo o che...sarebbero solo scomparsi.» Fa una pausa e rigira la tazza tra le dita, mentre il thé si intiepidisce. Alza uno sguardo ironico sull'amico. «Guarda dove siamo finiti.»
  «Hey, ragazzo, ascoltami» dice Derek, posandogli un palmo sul ginocchio, ma poi ritirandolo subito per non invadere il suo spazio. «Avere delle debolezze è normale, avere paura del buio è solo un modo di essere vivi. Tu non sei come nessun altro, tu sei diverso, ma come credi sia io? Anche io ho paura, anche io sono diverso dagli altri. Questo lavoro...ci rende unici e soli. Non potremo mai toglierci di dosso questa solitudine, ma possiamo cercare di accorciare le distanze. Tu hai me, mi avrai sempre, capito?»
  Spencer ricambia il sorriso aperto di Derek, ma gli occhi si infiammano di lacrime. L'abbraccio viene spontaneo ed è lungo e difficile da sciogliere, mentre il ragazzino piange sulla spalla dell'amico, che con cura gli accarezza i capelli.
  «Tu hai me.»

  Quando Morgan apre gli occhi, il mattino è appena sorto. Vorrebbe strofinarsi il volto con le mani, ma scopre che la destra è bloccata. Spencer è lì sul divano, addormentato contro il suo braccio, il volto finalmente sereno. Vorrebbe restare a guardarlo così a lungo da dimenticare tutto il resto, eppure sa che non è tempo. L'orologio alla parete segna le cinque e mezza e, tra mezz'ora, dovranno partire alla volta del luogo dove Spencer passerà i prossimi tre mesi.
   Delicatamente, gli scuote un braccio, trovandosi quasi ad abbracciarlo. Lui apre piamo gli occhi ancora arrossati e lo guarda confuso. Sul suo volto passa un lampo di sorpresa, poi sostituito da sollievo e infine imbarazzo. Si stacca immediatamente dalla sua spalla e Morgan sente la circolazione tornare normale nel braccio intorpidito.
  «Buongiorno» mormora Spencer, alzandosi sulle gambe incerte. Senza attendere risposta, guarda l'orologio e si volta per dirigersi in bagno. È allora che Morgan gli afferra un braccio, con più forza del previsto. Il dottore si volta e lo guarda confuso.
  «Andrà tutto bene, Spencer» dice Morgan, la bocca ancora impastata. Spencer non risponde, ma dai suoi occhi Morgan capisce che lui non lo crede. Lo attira in un abbraccio, trovandolo stupito e privo di forza per respingerlo. Lacrime involontarie annebbiano la vista del moro, mentre la mano gli carezza la schiena. «Te lo prometto, Spencer, andrà tutto bene. Quando tornerai, io ci sarò.»
 




.........


Note finali: Prima di passare a ringraziamenti che sento davvero di cuore di dover fare, voglio annunciare che la storia non finisce qui. Questa parte della storia sì, per vari e misteriosi motivi (anche per me), credo debba finire qui. Ma...To be Continued! Ovvero, presto ci sarà un sequel, al quale sto già lavorando e che dovrebbe iniziare a comparire molto a breve. Quando scrissi la prima volta questa long, avevo già in mente di continuarla con un'altra long, ma al tempo non ebbi né tempo né ispirazione sufficienti. Ora ho molta ispirazione e un po' più di tempo, quindi...why not? Non mi perdonerei mai se lasciassi la vicenda in sospeso. Dunque, Lucas Carter sta per tornare! Nella prossima storia si parlerà meglio di lui, tirandolo fuori dall'alone di mistero che, suppongo, questa storia lasci; altri nodi verranno al pettine, come il recupero di Spencer, il rapporto con Morgan e il confronto con William Reid.  
 Inserirò il tutto in una serie, tanto per mettere ordine. Se vorrete seguirmi ne sarò infinitamente felice.

Detto ciò, ho altre due cosette da dire.
Una parola speciale per MartiAntares e cam_mi_cam: Siete stata sempre molto presenti e incoraggianti e non avete idea quanto apprezzi la vostra costanza che, in qualche modo, mi ha aiutata a cercare di essere più puntuale. Chiedo perdono per la lunga pausa invernale, grossa parte dovuta alla quasi totale inesistenza di un posto fisso e, di conseguenza, una rete fissa. Spero di risentirvi presto!Ps per MartiAntares: All'inizio mi avvertisti del fatto che lo slash non è il tuo debole e sono davvero molto contenta del fatto che, malgrado grossa parte della storia girasse intorno a una coppia slash, tu abbia trovato comunque qualcosa di interessante e hai deciso che valesse la pena continuare a leggere.
E un grazie sincero a tutti quelli che hanno seguito, inserito tra i preferiti o tra le seguite questa storia. lunablack_21, mrslightwood_, DAlessianaestelle holly, Giulia Who e stydia, i vostri commenti sono davvero molto graditi e questa storia è anche merito vostro.
A presto, spero.
Alex.
:

 








 

  
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