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Autore: DonnieTZ    10/02/2015    6 recensioni
[Serie: Law&Order - Criminal Intent
Personaggi: Bobby Goren, Alexandra Eames]
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Ci sono casi che può risolvere, casi per cui troverà un colpevole e sarà reale, concreto, vero. Per i casi irrisolti, per i casi irrisolvibili, ci sarà tempo ogni notte della sua vita.
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Prima al contest "l'unico caso irrisolto" di Graceavery.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexandra Eames, Robert Goren
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Il bancone è stranamente lucido per un posto di questo genere. Il legno riflette le luci tenui che riverberano fin dentro i bicchieri pieni di birra.
Non quello di Bobby, non questa sera.
Perché nel vetro spesso galleggia un liquido ambrato la cui gradazione non sarà mai abbastanza alta da far dimenticare la giornata appena trascorsa. La peggiore della sua intera esistenza, con un solo un pensiero a martellargli le tempie: un caso irrisolto. Peggio, irrisolvibile.
Il grande Detective Goren, il migliore, il più preparato. Bobby sorride, l’amarezza a tendergli le labbra in un ghigno che ha poco dell’espressione contenta e molto dell’aria ferita. Può vedersi, nello specchio alle spalle del barman. Alza il dito, Bobby, e l’uomo riempie nuovamente il bicchiere.
“Pessima giornata?”
“Sì.”
La risposta non esce dalle labbra di Bobby, ma da quelle sottili di Eames, che si avvicina al bancone e prende posto senza emettere altro suono. Non si è accorto del suo ingresso. Come avrebbe potuto?  Tutta la sua concentrazione è risucchiata dall'obiettivo che si continua a prefissare: il fondo del bicchiere.
Bobby non ha intenzione di parlarne o di parlare, nell'accezione assoluta del termine. Non aveva neanche intenzione di farsi vedere in questo stato, a dire il vero, ma Eames è testarda, lo sa. Più di lui nei suoi giorni peggiori.
Passano secondi che diventano minuti. Lunghi e stiracchiati minuti in cui il bicchiere di Bobby si svuota per l’ennesima volta. Tutto inizia a perdere forma e contorno, tutto sfugge, si piega alla sua mente che non smette di elaborare, di riflettere, di pensare.
“Non ha senso.”
La conclusione finale è questa: non ha senso.
Ha rivisto e analizzato ogni indizio, ha avanzato ipotesi, ha fatto quanto in suo potere. Ma il colpevole non è stato trovato. Pare quasi non esista, pare si tratti del destino.
“No, non ne ha.” la risposta di lei.
Finalmente Bobby si gira e la guarda. Eames. Lì, per lui, perché sa quanto sia difficile questo momento. Quello in cui si riemerge dalle profondità e si apre la bocca per ingoiare l’aria che è tanto mancata. Quello in cui i polmoni bruciano espandendosi e premono contro la cassa toracica.
Il dopo.
Mesi e mesi dietro quel caso, a cercare una soluzione, un rimedio, una singola persona da sbattere contro il muro e ammanettare, cui riversare addosso ogni colpa, ogni responsabilità. Mesi interi, lunghi ed estenuanti. E ora è tutto finito, ora è già dopo.
 
L’aria fuori è gelida, ma il cappotto soffoca come una camicia di forza.
“Sicuro di stare bene?”
“Sì, sì, Eames, sto bene.”
Non ha più voglia di ripeterlo, forse perché è una bugia.
“Ti accompagno a casa?”
Scuote la testa, Bobby, sperando basti a lanciare un messaggio silenzioso anche nel buio della notte. Vuole pensare, desidera rivedere ogni questione da capo, perché qualcosa dev’essergli sfuggito. Alza la testa e vede il motel lampeggiare la sua insegna nell’aria umida. Rosso, buio, rosso, buio, rosso, buio…
“Resta con me.”
Vomita fuori quelle parole, senza che la sua volontà abbia voce in merito.
Eames lo fissa e il suo sguardo pare vedere oltre il visibile, in profondità. C’è un’espressione confusa ad avvicinarle le sopracciglia, a tenderle le labbra, a riempirle gli occhi. Le implicazioni sono tutte lì, in quella frase, in quella richiesta che domanda non è.
“Bobby…”
E Goren sputa una risata che è più uno sbuffo, un’ammissione di disfatta. Un suono secco che serve a non farle finire la frase, a non farla parlare, a dirle che la risposta è chiara. Chiarissima.
Si avvia deciso verso la scritta lampeggiante, perché casa è un posto lontano in cui non vuole tornare. Un letto anonimo, pareti spoglie, nessun ricordo, nessuna distrazione, ha bisogno di questo.
“Dove vai, adesso?”
“Devo pensare.” Risponde Bobby, trascinando i piedi sull’asfalto umido.
“Bobby.”
Il suo nome è una mano stretta sul suo cappotto, uno sguardo – l’ennesimo – preoccupato, il viso di Eames che lo scruta.
“Resti o vai?”
Gli esce più dura di quanto avrebbe voluto, questa domanda, così chiude gli occhi un istante, esausto, stanco di essere sé. Cerca di divincolarsi da quella presa salda, ma Eames stringe con più forza il cappotto fra le dita.
E Goren si decide a guardarla.
Perché ha sempre l’aria così decisa? Dove la trova, la forza di andare avanti? È quasi rabbioso quando cala su di lei. Lui, che non avrebbe mai avuto il coraggio di un gesto del genere, prima.
Adesso è dopo, tutto cambia, tutto evolve.
Incontra le labbra, i denti, la lingua. Incontra una certa spaesata resistenza che troverebbe comprensibile se non fosse pieno di alcool e di ossessioni. Una resistenza che incrementa la rabbia che non sembra volersi sopire.
La tiene contro di sé e si sente enorme, troppo grande. Si sente cattivo.
Si separa così bruscamente, in un momento di lucidità estrema cui segue solo un’amarezza impossibile da fermare, un imbarazzo profondo che inghiotte senza pietà.
“Mi dispiace, scusa.”
Le parole si incastrano, incespicano e lui fa lo stesso, mentre si allontana. Vorrebbe correre via, scappare da lei e dall’uomo che è stato nell’attimo appena passato.
 
I soldi che ha poggiato davanti ad un distratto uomo al telefono gli sono valsi una stanza. Il letto al centro è invitante e ripugnante al tempo stesso, ma la testa vortica impedendogli di vagliare la scelta. Crolla sulle coperte impregnate di un miscuglio indefinibile di odori. Lo chiamerebbe degrado se non fosse troppo ubriaco, se le lettere non si ammassassero sulla sua lingua.
Bussano.
Due battiti ravvicinati, secchie e decisi.
“Apri, avanti.”
“Va’ a casa, Eames.”
C’è un secondo di profondo silenzio.
“Apri.”
Un ordine dolce, quasi sussurrato, a cui Bobby risponde facendo leva sui gomiti e poi sulle gambe. Arriva alla maniglia e la spinge con troppa forza. Il legno scricchiola sotto quella presa ferrea, il sorriso di Eames si allarga incoraggiante mentre entra.
Sono soli, nella stanza, a guardarsi. Bobby ondeggia appena, tentando di tenersi in equilibrio nonostante il roteare costante del pavimento, delle pareti, del letto. Eames gli è vicina in due passi e lo sorregge, come se fosse davvero in grado di farlo. Come se lui non fosse doppiamente alto, doppiamente grosso, doppiamente stupido.
Si lascia cadere seduto sul letto dove lei l’ha accompagnato a fatica.
“Mi dispiace, Bobby. Mi dispiace davvero.”
“Lo sapevo… io sapevo che doveva… lo sapevo.”
La mano di Eames scorre sulla schiena di lui che è ancora avvolta dal cappotto ed è una sensazione serena, tranquilla, quella che si irradia a quel contatto. Bobby si rilassa, abbandonando la postura rigida delle spalle, esalando un lungo respiro.
“Sono stato io, è colpa mia.”
“No, non è così.” La risposta di Eames.
“Sono stato io.”
“Bobby, è stato il cancro.”
No, al perspicace detective Goren questa risposta non basta, non è sufficiente, non è fisica e materiale. Il cancro non si può picchiare fino a vedere il sangue, non si può arrestare, non si può sbattere in prigione. Il cancro non è il colpevole, qualcun altro deve pagare.
“Mi dispiace per tua madre, davvero.” Ripete lei.
La mano di Bobby si alza e riavvia i lisci capelli di Eames, portandoli dietro l’orecchio. Non li tiene mai così, lui lo sa perfettamente, ma voleva farlo. Non avrebbe dovuto, forse, ma voleva. Non sa mai bene cosa fare, come muoversi, cosa pensare. È bravo a risolvere i casi, nulla di più. E, ormai, neanche più quello.
L’atmosfera è strana, surreale, qualcosa sfugge alla presa solida della ragione. Eames si avvicina, poggia le labbra su quelle di Goren, carezza la barba ispida appena accennata. In un gesto rapido che pare istintivo si solleva su Bobby e gli è addosso, a stringersi a lui in un gioco di gambe e di braccia e di labbra.
“Alex?”
Lui neanche riconosce la sua stessa voce perché c'è una nota più roca, più profonda. Le sue mani – grandi mani per una donna così minuta – si fanno guidare dalle piccole dita di lei fin sotto il maglione, sotto la maglietta, sulla schiena.  Eames rimuove la pistola e Bobby nota il tremore irrequieto delle sue dita. Non un muoversi timido, ma impaziente e deciso. I vestiti si tolgono con smania: bottoni fuori dalle asole, cinture oltre le fibbie, camicie, pantaloni. Lei procede come in trance, senza dubbi o timori. Bobby, invece, si sente pieno solo di quelli.
Sono sul letto, sono una sull'altro, sono uno nell'altra. Bobby la osserva muoversi su di lui, gli occhi serrati, le mani allungate sul suo petto per bilanciarsi in quell'ondeggiare continuo. Si sente estraniato, distante, ma paradossalmente presente. Sono contraddizioni che non riesce a capire, men che meno a spiegarsi.  Alza le mani ed è nuovamente sulla pelle di lei, i palmi che salgono dai fianchi al seno, stringendo, carezzando. Finché non è tempo per la familiare sensazione di espandersi, di montargli dentro, di premere con forza. E di sfogarsi trovando la sua via fuori dal corpo. Le dita di Bobby affondano nella carne soffice del corpo di  Eames. Gli occhi chiusi con ostinazione in quegli istanti di piacere.
 
Quando il detective Goren si sveglia le tempie pulsano dolorosamente e i muscoli gridano la loro tensione. Apre le palpebre a fatica, ignorando il bruciore diffuso, per notare solo la luce del giorno filtrare dalla finestra. È steso sul copriletto della stanza, ancora vestito dalla testa ai piedi, cappotto compreso. Dev'essere affondato nel sonno appena entrato lì, appena crollato sul materasso.
Si mette seduto, lo stomaco irrequieto, la mente annebbiata.
I fatti del giorno prima lo colpiscono in pieno petto, con forza, ma è abbastanza lucido da distinguere la realtà dal sogno. Il cellulare suona: dev'essere stato questo a svegliarlo.
“Pronto?”
“Ti ho coperto, per oggi.”
La voce di  Eames lo raggiunge attraverso l'apparecchio, insinuandosi nell'orecchio e  più a fondo, nella mente, nei ricordi
Deve averla baciata, nel parcheggio del bar, questo sì.
Si passa la mano sul viso.
Di certo l'ha sognata.
“No, arrivo.”
“Bobby...”
“Arrivo.”
Ci sono casi che può risolvere, casi per cui troverà un colpevole e sarà reale, concreto, vero. Per i casi irrisolti, per i casi irrisolvibili, ci sarà tempo ogni notte della sua vita. 



 

Primo esperimento di questo tipo. Clemenza...
Adoro Bobby, adoro Vincent, e spero di aver combinato qualcosa di buono. 
Spero di avere qualche notizia dagli eventuali lettori. In ogni caso grazie per aver letto!!
DonnieTZ
   
 
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