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Autore: Water_wolf    15/02/2015    4 recensioni
{ Partecipante al contest "Child!Characters" indetto da gnarly sul forum di EFP }
Di quando un piccolo Stiles si perse nella riserva di Beacon Hills e si ritrovò a bere cioccolata calda in compagnia di Derek Hale.
Per un momento, Stiles si chiede se una strega particolarmente brutta possa assomigliare al ragazzo là seduto, perché è sicuro che lo sguardo penetrante, scocciato e di palese odio istantaneo che gli sta rivolgendo ora ha qualcosa di non-umano.
♣♣♣
«Mi hai appena
ringraziato
Genere: Generale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Sceriffo Stilinski, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome dell'autore su EFP e sul forum: Water_wolf (entrambi)
Titolo della storia: Di cioccolata calda, case di marzapane e Derek Hale
Fandom: Teen Wolf
Rating: Verde
Coppia: per quanto possibile, Stiles/Derek e Stiles/Lydia
Avvertimenti e Note: Nessuno.
NdA: Sono piuttosto eccitata, perché questa è la mia prima fic in assoluto in questo fandom. E io amo amo amo Teen Wolf.  ah, i weekend trascorsi ignorando i compiti e facendo maratone di episodi! Anyway, ho cercato di rimanere abbastanza fedele ai personaggi, perché l’IC è il sale della vita. Il titolo fa schifo. Mi sono immaginata un piccolo Stiles già innamorato di Lydia, stile crush eterna. Però shippo Sterek fino alla morte, e Derek non poteva mancare. La mamma di Stiles, invece, diciamo che l’ho relegata in una clinica perché 1) non abbiamo molte informazioni sul suo conto e quindi 2) è possibile che sia in una clinica specializzata per la sua malattia; infine 3) è tutto funzionale allo svolgimento della trama. Cora è più grande di Stiles, ma fingiamo che non sia così, perché altrimenti mi si incasinano tutte le età ^^ Quindi: Stiles ha un po’ più di sette anni – un’età in cui i genitori sono ancora i migliori e in cui “diventare grandi” sembra una gran figata –, Derek è sulla quindicina – ma prima di tutto ciò che è successo con Paige –, mentre Cora ha 5-6 anni. Tutte le informazioni riguardati le età dei pg le ho trovate su Teen Wolf Wiki. Mi è piaciuto davvero molto scrivere questa fic e, nonostante sia consapevole che non è uno dei miei capolavori, non punto alla vittoria del contest – essere riuscita a pubblicare qualcosa nel fandom è già un traguardo. Enjoy! ♥
Beta-reader: /

 

 
Di Cioccolata Calda, Case di Marzapane e Derek Hale

 
 
Se c’è una cosa di cui Stiles è sicuro in quel momento, è che non vuole mettersi a piangere davanti ai gradini d’entrata della scuola.
Sarebbe giusto, in effetti, anche per un ragazzo della sua età – a sette anni e mezzo si è già quasi uomini fatti, no? – scoppiare in singhiozzi in una giornata triste così, in un momento di disperazione così.
Perché, invece, Stiles non è sicuro che suo padre si ricorderà all’improvviso di venire a prenderlo, che si sia davvero dimenticato del loro Giorno Speciale o che, invece, sia successo qualcosa di importante e sia costretto a rimanere alla stazione di polizia fino a tardi. Peggio ancora, non sa se è accaduto qualcosa di terribile alla mamma, in clinica.
Fatto sta, però, che lì, del suo papà, non ce n’è nemmeno l’ombra e lui non sa che fare. Ed è risaputo che, quando la situazione è disperata, si piange.
Non può nemmeno chiamare Melissa, la mamma di Scott, perché non possiede un cellulare né ha abbastanza spiccioli in tasca per usare il telefono pubblico. Il suo migliore amico, tra l’altro, è a casa con la febbre e quindi Melissa non è venuta a scuola a prendere entrambi, come fa di solito.
L’ultimo bus si è già allontanato da un pezzo, perché Stiles ha lasciato che partisse senza di lui, nella speranza che suo papà arrivasse subito nonostante il ritardo fino ad allora accumulato.
Però, si dice Stiles, la strada di casa la conosci e puoi tornarci da solo. Si sofferma a pensare agli stupratori, ai galeotti, ai rapitori di bambini e –  soprattutto – ai mangiatori di bambini di cui gli è stato raccontato, ma scaccia tutta quella brutta gente determinata a fargli del male dalla testa e incomincia a camminare, prima che perda il coraggio faticosamente racimolato.
Si sistema lo zainetto sulle spalle, al cui interno matite colorate, pennarelli non funzionanti, righello, squadra, forbici e colla escono dai loro astucci e contenitori e si mescolano tra loro.
E pensare che, quel venerdì, Stiles ha ricevuto i complimenti dalla maestra perché lui e Lydia sono stati i primi a finire gli esercizi assegnati.
Stiles sospira.
Sarebbe stato davvero un Giorno Speciale perfetto, quella volta. Lui e papà l’hanno deciso dopo aver scoperto che la mamma aveva una malattia grave e incurabile, che il venerdì sarebbe diventato la migliore giornata della settimana: finiva la scuola – e questa era già di per sé una buona notizia –, papà sarebbe venuto a prenderlo davanti ai gradini d’ingresso e insieme sarebbero andati in giro come una vera squadra padre-figlio.
Di solito, si infilavano nel Dunkin’ Donuts di strada, sceglievano due ciambelle – tre, nei Giorni Speciali davvero fantastici – dalle glasse più sgargianti, si sedevano a un tavolo vicino alla finestra e papà gli permetteva di bere un sorso del suo amaro caffè da poliziotto-supereroe di Beacon Hills.
Stiles sospira ancora. Non si sentirebbe così male, se non fosse un venerdì, un Giorno Speciale.
Non incontra nessuno sul marciapiede inondato dalle foglie autunnali. Le troverebbe divertenti, in altre circostante, ma non quel giorno. Quel giorno non c’è spazio per i pazzi tuffi sui cumoli di fogliame marcio o le corse nel bosco con Scott, a fingere di essere chissà chi e di fare chissà cosa ridendo come dei matti.
Stiles si ferma all’improvviso. La scorciatoia che taglia nel bosco! Perché non gli è venuto in mente subito? Forse lo sforzo di essere bravo quanto Lydia gli ha consumato tutto il cervello che aveva.
Rallegrato dall’idea improvvisa – di Lydia o della scorciatoia, non importa –, gli spunta un sorriso sul suo viso da mezzo uomo ancora paffuto. Si mette a correre, attraversando in fretta il cortile sul retro di una casa, e raggiunge una delle entrate segrete per la riserva di Beacon Hills. Secondo i suoi calcoli, incontrerà il sentiero che hanno tracciato lui e Scott molto presto, da quel punto, e arriverà a casa alla velocità del suono.
L’autunno, dentro il bosco, è molto più di ciò che traspare dai giardini ben curati dei vicini e dai marciapiedi. Là dentro, l’autunno significa alberi vanitosi che vogliono provare più pellicce invernali, una sola o tutte insieme, e cappotti color oro, giallo, arancione e ocra, ma sono così presi da tutta la scelta che gli offrono le foglie che, alla fine, non prendono una decisione abbastanza in fretta e rimangono spogli. Solo i pini trovano il mantello adatto, perché a loro piace il classico verde cupo e così vestiti restano per tutto l’anno.
Sono le prime settimane di novembre, ma già Stiles pensa al Natale, anche se l’impegno degli alberi autunnali per farsi notare non gli dispiace affatto. La natura si rinnova pure in quella stagione, anche se, rispetto alla primavera, in modo più inquietante; nessun albero rischia di morire per il gelo, ad Aprile.
Forse si sofferma ad ammirare troppo a lungo le foglie che ancora sono aggrappate ai rami, perché d’un tratto è già buio e la scorciatoia lampo non ha portato Stiles a casa sua. L’ha portato davanti a un’altra, alta e austera, grande e di legno.
Stiles riesce a non scappare via proprio per questo, perché è di legno, invece che di zucchero e marzapane, come quella della strega nella favola di Hansel e Gretel. Sui gradini della veranda, difatti, non c’è una vecchina malvagia mangia-bambini, bensì un ragazzo.
Uno di quelli grandi, che vanno già alle Superiori, fanno i bulli, fumano, hanno la barbetta e altri peli, e possono guardare il fondoschiena delle ragazze senza che quelle ti considerino un piccolo pervertito. Quello, in specifico, ha occhi e capelli scuri, neri come i vestiti che indossa.
Per un momento, Stiles si chiede se una strega particolarmente brutta possa assomigliare al ragazzo là seduto, perché è sicuro che lo sguardo penetrante, scocciato e di palese odio istantaneo che gli sta rivolgendo ora ha qualcosa di non-umano.
Il ragazzo si alza, muove qualche passo sulla coltre di foglie marcie. «Che vuoi?» gli domanda, brusco, ergendosi in tutta la sua stazza da grande.
«Niente» risponde Stiles, la voce stranamente acuta. «Stavo solo ammirando le foglie.»
Fa un passo indietro, retrocedendo. Il ragazzo non sarà una strega, ma è ugualmente inquietante. E sicuramente altrettanto cattivo.
In un angolino della sua mente, in uno dei recessi più tenebrosi della sua testa, Stiles formula il pensiero che, forse, anche lui mangia bambini cotti in un forno gigante che nasconde in quell’enorme casa alle sue spalle. Magari, continua imperterrita la sua immaginazione macabra, conserva le dita del malcapitato in frigo e le sgranocchia come snack per merenda o spuntino di mezzanotte.
«Be’, va’ ad ammirale da un’altra parte» ribatte l’altro.
Si gira, risale la veranda e apre la porta. Sta per rientrare, quando Stiles alza la voce e ammette: «Veramente mi sono perso!»
Il ragazzo si blocca e si volta lentamente, molto lentamente, come se si stesse sforzando di mantenere all’interno del corpo la sua natura malvagia. Apre la bocca, e Stiles gli vede già sulle labbra rosee – l’unica punta di colore nella sua figura – le parole “be’, va’ a perderti da un’altra parte”.
È sicurissimo che finirà così, quando sulla soglia compare una donna. Assomiglia al ragazzo, per cui, probabilmente, è sua madre, anche se non porta addosso l’oscurità del figlio. Indossa abiti semplici, da casa: jeans, una casacca acquamarina e un cardigan di lana abbinato. È un’adulta, ma non ha ugualmente lo stile e la classe di Lydia Martin. Be’, nessuno ha lo stile e la classe di Lydia Martin.
«Chi è, Derek?» chiede la donna.
Il ragazzo scrolla le spalle con noncuranza. «Uno che si è perso ammirando le foglie.»
Fa per entrare, ma la madre blocca il suo tentativo di svignarsela. Stiles non può vederlo in faccia, ma è sicuro che stia fumando di rabbia. Ben ti sta, pensa, gongolando internamente.
«Sei il figlio di Stilinski, vero?» gli grida la madre, facendogli cenno di avvicinarsi.
Lui non si muove, ma annuisce due volte e dichiara fiero: «Mi chiamo Stiles. Mio papà è lo sceriffo della città.»
La madre del ragazzo più grande gli sorride come sanno fare solo le mamme. Come sa ancora farlo la sua, nei giorni migliori. «Sì, lo so, piccolo» replica. «Ti va di entrare?»
Piccolo? pensa Stiles, ma poi riflette: Se c’è lei nei paraggi, suo figlio non può inghiottirmi in un sol boccone. Sposta il peso da una gamba all’altra, abbassa lievemente il capo. «Posso davvero?» domanda, giusto per essere sicuro.
«Sì, ma certo» lo rassicura la donna, invitandolo ancora una volta ad entrare. «Io e Derek non ti mangiamo mica.»
Stiles deglutisce. Dopodiché, si fa forza e avanza verso madre e figlio, sale i gradini della veranda e li raggiunge. Il ragazzo vestito da corvo, Derek, può finalmente sgattaiolare via, mentre sua mamma avvolge un braccio attorno alle spalle di Stiles e lo conduce all’interno della casa. Stiles sbuffa di piacere; non si è reso conto di avere freddo fino a quel momento, quando il calore l’ha invaso.
«Ti va una cioccolata calda?» gli chiede la mamma di Derek, ma non aspetta che lui risponda. «Oh, sì, porta pure la cartella in cucina» continua. «Puoi fare i compiti sulla tavola, se ti va. Oppure un disegno.»
Stiles annuisce a tutto ciò che dice, servizievole, e si lascia condurre nell’ampia ala della casa destinata alla preparazione dei pasti. Poggia lo zainetto a terra e si arrampica su una sedia dalle gambe più lunghe del normale, simile a quelle dei bar. A capo tavola, una bambina osserva attentamente ogni sua mossa. Dev’essere la sorellina di Derek – hanno gli stessi occhi e tratti del viso –, anche se i suoi capelli sono più tendenti al castano che al nero.
«Ciao» la saluta, sorridendole. «Sono Stiles.»
«Ciao. Sono Stiles» ripete a macchinetta la piccola.
«Ah-ah. Stiles è un nome da maschio. Tu sei Cora» la corregge sua madre dai fornelli.
«Tu sei Cora» ripete Cora.
La donna sbuffa. «Scusala, Stiles. Sa parlare benissimo, ma, a volte, si diverte a fare il pappagallo e non la smette più» gli spiega, aprendo un’anta e andando alla ricerca del preparato per la cioccolata.
«Fa niente» risponde Stiles.
Quel giochetto lo faceva anche lui, quando era più piccolo, e dava parecchio sui nervi a suo padre. Secondo lui, invece, favoriva la memorizzazione. O, comunque, non lo infastidisce nemmeno adesso.
«Più, niente» si affretta a dire la bambina.
Visto che hanno smesso di parlare e non può più fare il pappagallo, Cora ritorna alla sua occupazione di prima: studiare Stiles in ogni dettaglio. Per un po’, Stiles la sfida a seguire tutti i movimenti che compie con le braccia, le mani e le dita. La bambina non perde un colpo, però, e dopo poco si sono già annoiati entrambi.
«Ti piace disegnare?» le chiede allora.
Il volto di Cora si illumina come se avesse appena detto “ti regalo un unicorno”. «Disegnare» ripete, imprimendo la parola di estasi e desiderio.
Stiles le rivolge un ghigno complice. «Sì, disegnare» conferma, lasciandosi trascinare dall’entusiasmo della sorella di Derek.
Tira fuori tutto il materiale necessario – matite, pennarelli, fogli bianchi – e lo ammucchia sul tavolo della cucina. Cora si eccita ancora di più alla vista di tutto quel ben di Dio. Arraffa un pennarello dopo l’altro con le sue manine grassocce e si ficca in bocca quello fucsia, iniziando a ciucciarlo. Stiles fa una smorfia di orrore, cercando di non farsi notare dalla madre di Derek. Intanto, giura solennemente che non toccherà mai più nella sua vita quel pennarello bavoso.
Le consegna un foglio, che Cora incomincia subito a pastrocchiare. In men che non si dica, l’ha già riempito di tutti i colori possibili ed esaurito ogni spazio bianco disponibile. Stiles le cede il suo foglio, dove ha abbozzato l’alettone di una macchina. È da un po’ che gli frulla in testa quell’idea – una macchina da corsa ad uso della polizia, così, in caso di emergenza, suo papà ci metterebbe un nanosecondo a raggiungere il colpevole e sbatterlo in galera. Dopotutto, anche Batman ha la sua Batmobile.
«Ah, è pronta!» esclama la madre di Derek.
Riempie tre tazze di cioccolata calda fumante e ne piazza due sotto il naso di Cora e Stiles. L’odorino che proviene dalla cioccolata fusa è talmente invitante che Stiles abbassa le palpebre e la assapora ad occhi chiusi.
«Gradisci della panna montata?» gli domanda la donna, che sta già prendendo il tubetto dal frigo.
«Sì» risponde lui, forse troppo in fretta. All’ultimo, si ricorda le buone maniere e aggiunge: «Grazie. Lei è molto gentile, Mamma di Derek e Cora.»
Lei ride. «Ti prego, Stiles, chiamami solo Talia» dice, facendolo arrossire un po’.
È sollevato, quando può dedicarsi unicamente a spazzolare la sua cioccolata calda con panna montata. Se non ci fosse quest’ultima, il sapore non sarebbe così buono: il cacao troppo amaro l’avrebbe stufato dopo le prime cucchiaiate, ma così, con la panna che si scioglie lentamente e addolcisce il gusto intenso del cioccolato, andrebbe avanti fino a scoppiare. Stiles decide di non soffermarsi troppo ad analizzare la bontà del dolce perché, altrimenti, gli ritornano in mente Hansel e Gretel, la casetta di marzapane e Derek in versione strega maligna.
Purtroppo per lui, Talia alza la voce per farsi sentire al piano di sopra e chiama: «Derek! Vieni giù a fare merenda!»
«Non ho fame!» risponde lui. La sua voce giunge soffocata, ma ugualmente scocciata.
Talia mette le mani chiuse a pugno sui fianchi. «Posso sentire che menti fin da qui, lupacchiotto!»
«Mamma!» protesta sonoramente Derek. «Ti ho ripetuto centinaia di volte che non puoi chiamarmi così!»
«Allora scendi!» replica lei.
«Lupacchiotto» aggiunge Cora.
Si sente un sonoro sbuffo dal piano superiore, e poi il rumore di passi del ragazzo che scende le scale. Quando arriva in cucina, con un’aria truce stampata in faccia, Stiles soffoca la sua risata in un sorso di cioccolata. Adesso, l’idea che Derek, un grande delle Superiori, possa mangiarlo in sol boccone si sovrappone a quella di lui versione bebé cullato fino ad addormentarsi da Talia che lo chiama “lupacchiotto”.
«Che c’è?» sbotta il ragazzo, incrociando le braccia e appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta.
Sua madre alza il mento e indica la sedia accanto a quella di Stiles. «Siediti a tavola, su» gli ordina, per nulla impressionata. «Ho preparato la cioccolata calda.»
Brontolando, Derek ubbidisce. A differenza di Stiles, lui la prende liscia, e la beve in fretta e furia, nonostante sia bollente. Stiles formula una nuova ipotesi: non è una strega, bensì un drago sputafuoco, e il calore non può nuocere a un drago.
«Posso andare, ora?» chiede, già alzandosi.
Talia indica il suo viso. «Ti sei sporcato là. Pulisciti, almeno.»
In effetti, è vero: Derek ha uno sbuffo marrone di cioccolata lungo tutto il labbro superiore, a mo’ di baffo. È così ridicolo, assieme al nomignolo “lupacchiotto”, che Stiles non riesce a trattenere una risata.
Derek si pulisce lo sbaffo con la mano in un solo movimento secco. Non smette di fissarlo in modo truce, come se stesse decidendo se può fare gli esperimenti di anatomia sugli umani al posto che sulle rane.
Stiles si fa piccolo piccolo e prega qualunque Dio disposto ad aiutarlo di concedergli una grazia. Evidentemente, Cora è una dea, perché sceglie il momento perfetto per pigolare: «Gara di disegno con Stiles e Derek.»
Derek guarda sua sorella come se fosse un mostriciattolo che si ciba di caccole del naso.
«Oh, sì, ottima idea, Cora» approva Talia, e provvede a distribuire a tutti un foglio bianco. Aspetta finché Derek non raccoglie con difficoltà una matita scura, prima di esclamare: «Via!»
Stiles è a metà del suo progetto riguardante la Dadmobile, quando Cora alza le mani e strilla: «Finito!», trapanando i timpani di tutti.
Stiles sbircia il disegno di Derek, ma non ne capisce il senso. Sono solo linee viola a spirale, molto marcate, con scarabocchiato attorno le parole “alfa”, “beta” e “omega”. Il ragazzo, però, se ne accorge e lo incenerisce con lo sguardo.
«Io direi che Cora è la vincitrice, no?» li interrompe Talia, puntando l’indice sul disegno della più piccola. «Lo trovo magnifico.» Guarda Derek. «E illuminante.»
Suo figlio assottiglia lo sguardo, poi studia lo scarabocchio di sua sorella. Ci sono lui e Stiles che si tengono per mano, identificati dai loro nomi in stampatello, i quali volteggiando sopra le loro teste. I due si trovano tra fiori alti quanto loro, alberi più bassi dei suddetti fiori, e sotto un Sole che è più piccolo delle loro teste. Il cielo è una striscia azzurra di appena un paio di centimetri.
«Molto bello» si complimenta Stiles, mentendo spudoratamente.
«Già» dice Derek tra i denti. «Bellissimo. E illuminante
Sua madre gli sorride. «Credo che anche Laura la penserebbe allo stesso modo» prosegue. «A proposito, sai dov’è finita? È già piuttosto tardi.»
«Tardi?» si intromette Stiles, di colpo teso. «Forse dovrei tornare a casa. Mio padre si starà preoccupando…»
«È vero» conferma Derek, sorridendogli in modo inquietante. «Stiles dovrebbe tornare a casa.»
Talia si mordicchia l’interno della guancia, annuendo piano. «Sì, avete ragione entrambi. Derek, accompagnalo tu. È troppo buio per un bambino della sua età.»
«Non sono un bambino» borbotta Stiles.
L’idea di tornare a casa con Derek lo alletta quanto cenare con una scatoletta di aringhe andate a male.
«C’è tanta brutta gente in giro» obietta Talia. «Poi, ormai è buio.»
Derek ha gonfiato i muscoli sotto la felpa nera e si è irrigidito accanto a lui. «Devo proprio?»
«Sì» replica sua madre, glaciale, non lasciandogli spazio per protestare.
Tutti e tre insieme sistemano il materiale da disegno dentro la cartella di Stiles, in silenzio. Prima che qualcuno dei due lo possa vedere, Stiles fa scivolare il pennarello fucsia nelle mani di Cora, che afferra subito il concetto e lo nasconde sotto il tavolo.
Talia si raccomanda che facciano in fretta, abbraccia Stiles e lancia un’occhiata penetrante al figlio. Non appena sono fuori dalla sua portata e dal suo calore, tra Stiles e Derek cala il gelo più totale. Non si parlano, non emettono un suono, non si sfiorano neanche di striscio. In effetti, c’è parecchio spazio tra loro, tra le loro mani, come una zona di sicurezza.
Stiles è costretto a riconoscere che, senza l’aiuto e la buona vista di Derek, non sarebbe mai riuscito ad uscire dal bosco con le sue sole forze. Appena arrivano nel suo quartiere, Stiles si sente così sollevato che gli si stampa un sorriso ebete sulla faccia e gli scappa un “grazie”.
Derek si ferma di botto e gira la testa di scatto, tanto che le sue vertebre scricchiolano una contro l’altra. «Che hai detto?» gli chiede, a metà tra lo scioccato e l’arrabbiato.
«Ehm…» balbetta Stiles, che non è più sollevato. «Io… ecco… solo…»
«Mi hai appena ringraziato?» incalza Derek, gonfiatosi come un palloncino.
«S-sì» butta fuori Stiles. «Ma se preferisci posso non farlo, o dire altro. Oppure sto zitto. Basta che non mi picchi.»
Oh, cavolo. L’ha detto per davvero. Basta che non mi picchi. Oh, Dio. Stiles arrossisce fino alla radice dei capelli.
Derek sbuffa. «Meglio se chiudi quella tua boccaccia» dice, lapidario, e riprende a camminare.
Stiles non si azzarda a sentirsi sollevato, quando arrivano davanti al suo portone e citofonano. Il suo papà lo abbraccia non appena lo vede, stringendolo a sé, quasi soffocandolo. Lo rimprovera, lo stritola di nuovo, e solo allora si accorge di Derek.
«Derek Hale» dice, sollevando entrambe le sopracciglia.
A spizzichi e bocconi, Derek gli racconta tutta la storia, a disagio come mai prima d’ora. Ha lo sguardo basso, la voce tremolante e non riesce a stare fermo al suo posto. Anche lui teme l’ira di suo papà, il super sceriffo di Beacon Hills.
«Io… Devo andare» conclude infine, voltandosi e quasi scappando via. Quasi.
Suo papà lo osserva andarsene incuriosito tanto quanto Stiles, poi scrolla le spalle, sospira e chiude la porta dietro di sé.
«Strano ragazzo, quello» commenta, sedendosi sul divano in soggiorno.
«Già.» Stiles lo raggiunge e sprofonda tra i cuscini accanto lui. «Sua madre lo chiama lupacchiotto.»
Scoppiano a ridere in simultanea.
 
*
 
Stiles si ricorda tutto all’improvviso.
Gli alberi vestiti d'autunno, la casa nel bosco, Talia e Cora, il disegno… e, soprattutto, il ragazzo seduto sui gradini della veranda. Ora Derek Hale è in piedi, è ancora più grosso e più scuro di quando era un adolescente, ma rimane pur sempre lo stesso di prima.
E se Stiles collega tutto ciò che sa alle informazioni ricavate su internet, e se, poi, le somma allo strano comportamento di Scott… Rabbrividisce.
Forse, invece che alla fiaba di Hansel e Gretel, avrebbe dovuto pensare a quella di Cappuccetto Rosso e il Lupo.

 
  
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