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Autore: Tigre Rossa    17/02/2015    2 recensioni
' “Sherlock . . . ”
Gli occhi di John sono fissi dentro i miei, così oscuri da sembrare quelli di un’altra persona. C’è paura, là dentro. Disperazione. Dolore. E qualcosa che non riesco, che non voglio leggere.
Moriarty mi sorride, e il suo sorriso è simile a quello di un serpente prima di morderti.
Scuote la testa divertito, mentre gira attorno a John come un lupo attorno alla sua preda.
“Troppo tardi, Sherlock. Questa volta, sei arrivato davvero troppo tardi.” sussurra, e la sua voce ha qualcosa di demoniaco, di innaturale, ed è fredda come il pugnale che stringe tra le mani e che fa scorrere distrattamente lungo il corpo di John.
Lui resta immobile, mentre Moriarty ride, una risata che sa di morte.
“Adesso faremo un piccolo esperimento.” mormora Moriarty, trafiggendomi con quei suoi occhi maledetti ed avvicinandosi ancora di più a John, che sembra fatto di ghiaccio “Vediamo quanto in fretta un angelo può trasformarsi in un demonio, se gli viene tolta la sua luce.”
E poi, prima che io possa fare qualsiasi cosa, Moriarty pugnala John.
Urlo, urlo disperato, tentando di fermarlo.
Ma è tutto inutile.
John Watson muore per l’ennesima volta di fronte ai miei occhi.'
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The reason
 
 
Oh, this night is too long
Have no strength to go on
No more pain I'm floating away

Through the mist I see the face
Of an angel, calls my name
I remember you're the reason I have to stay

 
-Pale, Within Temptation
 
 
Una goccia.
Due gocce.
Tre gocce.
 
Accostato alla finestra, tento di non pensare e di seguire con lo sguardo le piccole gocce che scorrono, fredde ed insensibili, lungo il vetro appannato, simili a lacrime evanescenti.
Mi arrendo subito e sospiro, mentre un lampo illumina la stanza e poco dopo un tuono scuote le pareti dell’appartamento.
Questo rumore fa tremare, per un attimo, anche le deboli fondamenta del mio palazzo mentale, che mi chiama a sé per l’ennesima volta.
Ormai succede da anni; basta una minima cosa, e io vengo trascinato qui, in questo posto che credevo perfetto, un rifugio sicuro ed eterno, e che adesso sembra quasi diventato un manicomio. Niente è più al suo posto. I ricordi, le informazioni, le immagini, gli odori, le parole girano così, come detenuti senza meta, occupando ogni stanza, ogni corridoio, ogni angolo, e trascinandomi con loro nei meandri di questo palazzo ormai senza luce né ragione.
Tento di resistere, di controllarmi, di riprendere il controllo, ma è tutto inutile. Vengo sopraffatto da tutto questo, ogni singola volta, e per quanto tenti di lottare resto intrappolato qui, simile ad un prigioniero disperato, mentre il passato mi stringe sempre più stretto a sé con le sue catene.
 
“Sherlock!”
No, di nuovo no, ti prego . . .
Mi tappo le orecchie, tentando disperatamente di allontanarmi, di non permettere a quel ricordo, quel terribile ricordo, di avvicinarmi di nuovo, ma non serve a niente.
“Sherlock!” è la voce di John che mi chiama, terribile richiamo dal sapore amaro “Sherlock!”
Stringo i denti, tentando di ignorare il dolore lancinante che il mio nome, pronunciato come una supplica, mi infligge, e tento di allontanarmi, ma le mie gambe sono immobili, congelate, morte.
Quando inizio a distinguere la figura evanescente che si sta manifestando davanti al mio sguardo sconvolto, cerco di chiudere gli occhi, ma sono attirati come calamite verso quell’illusione da cui non riesco e non riuscirò mai a liberarmi.
John è lì, immobile, ferito profondamente e con le mani legate. Steso per terra accanto a lui, il cadavere di Mary è macchiato dal suo stesso sangue.
“Sherlock . . . ” Gli occhi di John sono fissi dentro i miei, così oscuri da sembrare quelli di un’altra persona. C’è paura, là dentro. Disperazione. Dolore. E qualcosa che non riesco, che non voglio leggere.
Qualcuno mi afferra da dietro e mi immobilizza, nonostante i miei vari tentativi di liberarmi.
Faccio per parlare, ma quando un’altra figura si affianca a lui la mia voce resta imprigionata nella mia gola.
Moriarty mi sorride, e il suo sorriso è simile a quello di un serpente prima di morderti. I suoi occhi brillano di una luce divertita, una luce malvagia. Sembra fatto d’ombra, e di fiamme, e di inferno.
Scuote la testa divertito, mentre gira attorno a John come un lupo attorno alla sua preda.
“Troppo tardi, Sherlock. Questa volta, sei arrivato davvero troppo tardi.” sussurra, e la sua voce ha qualcosa di demoniaco, di innaturale, ed è fredda come il pugnale che stringe tra le mani e che fa scorrere distrattamente lungo il corpo di John.
Stringo i pugni, incapace di muovermi, di respirare, di pensare. Tutto quello che riesco a fare è tenere i miei occhi fissi su John, come lui aveva fatto quando mi era buttato da quel maledetto tetto, anni prima.
Lui resta immobile, mentre Moriarty ride, una risata che sa di morte.
“Adesso faremo un piccolo esperimento.” mormora Moriarty, trafiggendomi con quei suoi occhi maledetti ed avvicinandosi ancora di più a John, che sembra fatto di ghiaccio.
Le mani mi tremano e i miei occhi iniziano ad appannarsi, come se fosse scesa una lieve nebbia a coprirli. L’unica cosa che riesco a distinguere sono quegli occhi blu, gli occhi di John, che sembrano invocare il mio nome a gran voce.
“Vediamo quanto in fretta un angelo può trasformarsi in un demonio, se gli viene tolta la sua luce.”
E poi, prima che io possa fare qualsiasi cosa, Moriarty pugnala John.
Urlo, urlo disperato, tentando di liberarmi da quelle braccia che mi trattengono, cercando in tutti i modi di intervenire, di fermarlo.
Ma è tutto inutile.
Il pugnale entra ed esce dal suo corpo più e più volte, troppe per tenerne il conto, macchiato del suo sangue scarlatto, fino a quando John si accascia a terra come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili.
I suoi occhi cercando un’ultima volta i miei, e restano fissi su di me, che grido disperato il suo nome e tento di raggiungerlo, fino a quando la luce che li illumina non svanisce, lasciando solo vuoto e freddo.
John Watson muore per l’ennesima volta di fronte ai miei occhi.
 
Un altro tuono scuote l’aria e mi allontana di colpo da quell’illusione.
 
Sono accovacciato per terra, con la testa fra le mani e le guance umide di lacrime.
I singhiozzi scuotono ancora il mio corpo, e non riesco a fermarli, come non riesco a fermare i sensi di colpa.
Sono dieci anni che questo ricordo, il più terribile racchiuso nel mio palazzo mentale, mi tortura e mi trascina con se nel buio, nel dolore, nel rimpianto.
Basta qualsiasi cosa, ed ecco che ritorna, l’incubo peggiore di tutti, il dolore più forte di tutti.
Ritorna John, con i suoi occhi blu fissi nei miei, ferito ed alla mercè di un pazzo.
John, che è stato catturato da Moriarty per colpire me, per ferire me, per annientare me, per l’ennesima volta.
John, che è stato rapito con sua moglie, poco dopo aver stretto la sua bambina appena nata tra le braccia.
John, che è stato picchiato, torturato, e che ha dovuto assistere all’uccisione della dolce Mary.
John, che è morto di fronte ai miei occhi, senza che io potessi fare nulla, con ancora l’eco del mio nome sulle sue labbra.
John, che . .
 
Una lacrima scivola lungo il mio viso.
E poi una seconda.
E poi una terza.
 
Sono passati dieci anni da quella notte, la notte in cui ho perso la persona che amavo di più al mondo.
Ho ucciso Moriarty con le mie stesse mani, dopo.
Ho ucciso tutti i suoi collaboratori, primo tra tutti il suo compagno, Moran, colui che mi aveva tenuto fermo mentre assistevo impotente all’assassinio del mio John.
Ho stretto il corpo di John tra le mie braccia per ore, piangendo tutte le lacrime che non avevo mai pianto in vita mia, osservando il suo viso senza vita, i suoi occhi vuoti ancora fissi su di me, le sue labbra che non avrebbero mai più pronunciato il mio nome.
Quando sono riuscito a staccarmi da lui, sono andato a prendere sua figlia in ospedale, dal quale suo padre e sua madre erano stati portati via poche ore dopo la sua nascita.
Ho organizzato il funerale di John, e quello di Mary.
Ho preso la bambina con me.
E ho tentato di andare avanti, nonostante tutto questo dolore.
Ma è così difficile.
Così dannatamente difficile.
 
“Ti brucerò. Ti brucerò il cuore.”
 
L’aveva detto, Moriarty.
Aveva detto che l’avrebbe fatto.
Credevo che fosse impossibile, ma a quanto pare mi sbagliavo.
 
Lui ha ucciso John.
Lui ha strappato via da me l’unica persona che io abbia mai amato.
Lui mi ha bruciato il cuore.
Lui mi ha tolto la mia luce.
 
E ora, io non sono più niente.
 
Se solo potessi lasciarmi andare.
Se solo potessi raggiungerlo.
Questo dolore . . . questo dolore è troppo forte.
Non posso sopportarlo.
Non posso.
Ci provo da anni, ma è impossibile.
 
In questi momenti, non posso fare a meno di chiedermelo.
Che senso ha continuare a vivere, farsi coraggio, trascinarsi in questa vita vuota, senza senso, restare in questo mondo che non mi appartiene più, adesso che tutto ciò che avevo mi è stato strappato via?
 
Che senso ha restare?
 
 “Zio Sherlock?”
 
Una voce mi fa sobbalzare.
Alzo di scatto la testa e mi volto verso la piccola figura che mi ha chiamato.
Una bambina dai corti capelli biondi e due grandi occhi blu.
 
La figlia di John.
 
Dopo la morte dei suoi genitori, è stata affidata a me, visto che non aveva parenti in vita. Beh, a dire il vero c’era Harry, ma i suoi problemi con l’alcool hanno spinto i servizi sociali ad affidare la piccola a qualcun altro.
E quel qualcun altro sono io.
Non so come o perchè, ma mi hanno ritenuto idoneo all’affidamento e così per dieci anni ho cresciuto la piccola Angel Watson qui, nel mio appartamento a Baker Street.
Ho tentato di farle da tutore, di allevarla, di farla stare bene, di proteggerla.
Non sono mai stato bravo con i bambini, anzi, non li ho mai sopportati, ma con lei è diverso. Troppo diverso.
 
Mi alzo e tento di nascondere i tremiti del mio corpo con un sorriso appena accennato, mentre cancello con le dita i segni che le lacrime hanno lasciato sul mio volto.
Con lei cerco sempre di nascondere quel dolore che mi porto dentro, ma è veramente difficile. Soprattutto quando incontro i suoi occhi, così terribilmente identici a quelli di suo padre.
 
“Cosa c’è, piccola? Stai bene?”
 
Angel si stringe nelle spalle ed abbassa lo sguardo a terra.
Ha l’aria spaventata, e questo mi turba; nonostante la sua età, è una bambina veramente coraggiosa. Ha paura di pochissime cose, e quando qualcosa la spaventa tende a nasconderlo ed ad affrontarlo.
 
“Ho avuto . . . ho avuto un incubo davvero brutto.” spiega, senza guardarmi negli occhi. “E poi, non sono più riuscita ad addormentarmi. Forse sono i tuoni, o il film che abbiamo visto prima di andare a letto, non lo so . . .”
Sospiro e mi avvicino a lei, per poi passarle una mano tra i capelli in un gesto rassicurante.
Ecco, in questo momento mi ricorda di nuovo John.
Nei primi tempi, non riusciva a dormire a causa dei suoi incubi ricorrenti, ma non voleva mai ammetterlo. Girava per l’appartamento, con lo sguardo perso nel vuoto e la pistola stretta tra le mani, come a voler ottenere una qualche rassicurazione da quel oggetto così familiare. Quando lo sorprendevo così, negava tutto fino allo sfinimento. Non voleva ammettere questa sua debolezza.
Allora, mi mettevo a suonare il violino, con la scusa apparente di non avere più sonno. E osservavo come alle note delicate del mio strumento la calma tornava a riempire gli occhi di John e la loro luce, che sembrava oscurata da una nebbia, riprendeva a splendere sempre più luminosa.
 
John . . .
 
“Puoi . . . puoi restare con me, zio?” la voce di Angel, tremula, esitante, mi riscuote “Fino a quando mi addormento, almeno. Resti con me?”
La sua richiesta, sussurrata come una preghiera, mi tocca nel profondo.
Le accarezzo la guancia ed annuisco, cercando di rassicurarla almeno con lo sguardo, visto che la voce non riesce a liberarsi dalla prigione che è diventata la mia gola.
L’accompagno nella sua cameretta, la vecchia stanza di suo padre, e mi siedo sul bordo del letto mentre lei si infila nuovamente sotto le coperte.
Rimaniamo così per un tempo lunghissimo, lei con gli occhi chiusi e la mano stretta attorno alla mia, e io con gli occhi fissi sui suoi capelli biondi e sul suo viso rotondo.
 
Mi piace osservarla, anche se fa male.
Nei suoi tratti infantili, nel suo sorriso luminoso, nei suoi occhi profondi, riesco a scorgere di nuovo John, il mio John, che si rassicurava ascoltando le note del mio violino, che seguiva incantato le mie deduzioni, che aveva una fiducia smisurata in me.
Dio, le assomiglia così tanto.
Sembra quasi che una parte di John viva ancora in lei, nei suoi occhi blu.
Credo che sia solo lei la ragione per cui non sono ancora impazzito.
Lei, e quei suoi occhi così identici a quelli del mio John.
 
Sento la stretta attorno alla mia mano farsi più leggera e il respiro della bambina diventare sempre più regolare.
Aspetto un altro po’, e poi mi libero delicatamente dalla sua mano e mi alzo dal letto.
Attento a non svegliarla, le poso un bacio delicato sulla fronte e mi dirigo verso la porta della camera.
Prima di uscire, però, mi fermo e mi volto un’ultima volta verso di lei, e resto ad osservarla mentre, addormentata, mormora qualche parola nel sonno, come faceva suo padre.
 
Sospiro.
 
Moriarty, quella notte, non ha portato via anche Angel. Non so perché, non l’ho mai capito.
Ma, così facendo, ha commesso il più grande sbaglio che poteva fare.
Voleva annientarmi, ridurmi alla disperazione, privarmi dell’unica ragione di vita che avevo.
Voleva togliermi la mia luce per trasformarmi un demone e trascinarmi con lui all’inferno.
Ma, finché ho accanto a me quest’ultima parte di John, io non posso farlo.
Non posso lasciarmi andare, non posso buttarmi a terra ed aspettare che la vita mi scorra davanti, non posso mettere fine al tormento che mi uccide insieme a questa vita.
Semplicemente, non posso.
Perché qui, con me, c’è questa bambina dagli occhi blu con il cuore che batte ancora, e le guance ancora rosee, e lo sguardo ancora pieno di luce.
C’è questa bambina, questo angelo senza ali, la figlia del mio John.
E dipende da me, in tutto e per tutto.
Non ha nessun altro, a causa mia.
Sono tutto ciò che le resta.
E io non posso lasciarla da sola.
Non posso.
 
Lei è tutto ciò che mi resta di John.
Lei è l’ultimo raggio della mia luce, che si ostina a continuare a brillare per non farmi diventare un demone.
Lei è l’unico riflesso di un passato che non potrò mai dimenticare.
Lei è la ragione per cui non posso cedere, non posso lasciarmi andare.
 
Lei è la ragione per cui devo restare.
 
E resterò.
Te lo giuro, John, per lei resterò.
Per lei e per te.

 
 
 
 
 
‘Vi consiglio di leggere questa fic con la seguente musica in sottofondo: https://www.youtube.com/watch?v=pKXYKmM2ALw
  
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