Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |      
Autore: Michan_Valentine    18/02/2015    2 recensioni
Cloud è sempre fuori casa, impegnato con le consegne. O forse no? Dopotutto il biglietto che Tifa ha trovato nei suoi pantaloni sembra raccontare tutt'altra storia...
[Seguito di "Happy Birthday, Marlene!"]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Materia Arancione'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tifa salì le scale e si diresse canticchiando nella stanza dei più piccoli, cesto fra le mani. Spinse con il fianco e spalancò la porta, indugiando sull’uscio in contemplazione del disordine: giocattoli sparsi, biancheria gettata a terra e lenzuola aggrovigliate ai piedi del letto. Scosse la testa, il sorriso dipinto sulle labbra: erano piccoli e carini, sì; ma restavano due demoni del caos col visino d’angelo!

Sospirò, poggiò il cesto a terra e si diresse alla finestra. Ne spalancò le ante e si affacciò brevemente. I suoni di Edge l’investirono, famigliari. Il brusio delle persone, il rombo dei motori, il battere degli operai che lavoravano nel cantiere lì di fronte. Inspirò a fondo e godé del sole che le baciava le gote, le palpebre socchiuse; dopodiché fece dietro front e raccolse gli indumenti da terra, gettandoli nel cesto dove facevano bella mostra i suoi reggiseni. Già che c’era radunò anche i giocattoli e li ripose accuratamente nella scatola di legno che Barret aveva riportato a casa dopo l’incontro ravvicinato –e altamente mortale- con un pattino abbandonato in prossimità delle scale. E il pavimento era ancora ammaccato, lì dove l’omaccione era capitombolato…

Rifece anche i letti e proseguì nel giro di “raccoglimento panni sporchi”, certa che entro sera la stanza dei più piccoli sarebbe tornata nelle medesime condizioni in cui l’aveva trovata. E anche peggio, visto che Yuffie aveva preannunciato di far loro visita nel pomeriggio –e quindi a un’ora random della giornata, possibilmente la più improbabile. A quel pensiero tremò, ricordando quanto accaduto al compleanno di Marlene. Forse era il caso di farle deporre armi e Materia fuori da casa, considerò; ma anche così dubitava di poter prevenire i danni della ninja.

Percorse il corridoio in tutta la lunghezza e raggiunse la stanza di Cloud. In quei giorni era stato parecchio assente e anche quella mattina, dopo l’annuncio della ninja, il fattorino era saltato in sella alla Fenrir ed era uscito di corsa per fare le consegne. Scosse la testa e sbuffò. Sì, come no. In realtà se l’era solo data a gambe prima che potesse restare coinvolto in qualcos’altro d’assurdo. E in questo Yuffie era decisamente una calamità peggiore di Sephiroth!

Poggiò il cesto a terra e spaziò con lo sguardo nella stanza. Era abbastanza in ordine, salvo per gli indumenti malamente gettati sulla spalliera della sedia. Il letto era sfatto, ma le coperte erano aggrovigliate ai piedi del materasso e non toccavano terra. La luce invece filtrava fioca dalle imposte e l’ambiente era immerso nella penombra. Sembrava la tana di un lupo, considerò. E a ben pensarci non c’era niente che lasciasse intendere che fosse la sua stanza. Eccetto che per i vestiti, naturalmente. Indugiò sull’uscio e si mordicchiò il labbro inferiore. Essere riservato, talvolta distaccato faceva parte del carattere di Cloud, ma ciò a volte la riempiva d’inquietudine. E quella stanza così… così… asettica spesso le faceva pensare a una sistemazione provvisoria. Scosse la testa, si schiaffeggiò le guance con ambo le mani e ricacciò quei pensieri. Erano solo paure infondate, gli strascichi di un passato incerto e doloroso che si erano ormai lasciati alle spalle. Cloud compreso.

Con rinnovata determinazione raggiunse la finestra e la spalancò, affinché la camera arieggiasse. Tornò al letto e si chinò per sistemare il coprimaterasso. Quasi per caso notò la stoffa che spuntava da sotto il letto. Un fazzoletto, probabilmente. Sospirò, allungò la mano e tirò fuori l’oggetto in questione. Batté le palpebre quando invece incappò nello slip di pizzo bianco che stava cercando da giorni: ecco dov’era finito! Arrossì e l’infilò in tasca, mentre i dettagli della notte in cui Cloud gliel’aveva sfilato tornavano a stuzzicarle la memoria. Quando finì di sistemare le lenzuola e la trapunta, infatti, era oramai diventata rossa dalla testa ai piedi. Afferrò anche il cuscino, lo sbatacchiò per bene come se in quella maniera potesse scacciare anche le caldane e lo rimise al suo posto, sulla testiera del letto.

Si diresse alla sedia e divise gli indumenti di Cloud in due gruppi: quelli da piegare e quelli da lavare. Sistemò i primi e li impilò ordinatamente sulla sedia; dopodiché si premurò di svuotare le tasche dei rimanenti, così da porli in lavatrice senza intoppi. Come da manuale rinvenne fazzoletti, Gil e un pezzo di carta a righe piegato in due che sapeva tanto di appunto. Forse qualcosa d’inerente alle consegne. Anche se Cloud non aveva un blocco note di colore rosa. Batté le palpebre, interdetta; e l’aprì senza neanche pensarci. La calligrafia non era del fattorino in questione. Era tonda, leggermente inclinata. Femminile. E il foglio recava scritto a chiare lettere il seguente messaggio:
 
Ci vediamo al solito posto.
Il cuore mi batte forte al solo pensiero d’incontrarti.
Non farmi aspettare. Potrei interpretarlo come un ripensamento.
E voglio che le cose fra noi siano perfette. So che lo desideri con tutto il cuore anche tu.
Tua appassionata,
R.B.
 
Tifa schiuse le labbra e mancò un battito. Possibile che…?! Ingollò a vuoto e sentì una morsa stringerle lo stomaco. Subito dopo un brivido le attraversò il braccio, suggerendole di stringere le dita e di ridurre la nota abbandonata a carta straccia. Trasse un profondo, lungo respiro e si costrinse a riacquistare un minimo di calma. Non poteva essere. Di sicuro c’era un’altra spiegazione. Insomma! Era di Cloud che si stava parlando! Del ragazzo che si esprimeva meglio a spadate che a parole. Quello che aveva baciato il mago anziché la principessa perché al Gold Saucer stava morendo d’imbarazzo. E che per dirle che voleva baciarla più spesso aveva fatto tutto un giro di parole che nemmeno la Death Race dei Chocobo!

Non fece in tempo a pensarlo che dal piano inferiore sentì lo scampanellio che solitamente preannunciava l’ingresso dei clienti nel Seventh Heaven. Solo che il bar era chiuso e soltanto una persona aveva libero accesso a quell’ora del giorno: il fedifrago Cloud Strife! O Barret di ritorno dalla gita coi più piccoli; ma dato che c’erano i più piccoli, sempre pronti a pronunciare il fatidico “altri cinque minutiiii”, ne dubitava fortemente. Piegò il foglietto rosa e l’infilò rapidamente nella tasca da cui l’aveva estratto. Allo stesso modo ripose gli indumenti sulla spalliera della sedia così come il proprietario li aveva lasciati e tornò al cesto dei panni sporchi. Dalla tromba delle scale proveniva rumore di passi. Afferrò il cesto, appannò la porta della stanza e si allontanò alacremente lungo il corridoio, cercando di fare meno rumore possibile.

Compì solo pochi passi che si trovò di fronte il fattorino/fedifrago di cui sopra. Cloud sobbalzò, occhi grandi e labbra dischiuse, come se avesse appena visto un fantasma. Tifa lo fissò di rimando per qualche istante, sulla sommità delle scale; poi distolse lo sguardo e si sistemò nervosamente i capelli dietro l’orecchio.

“Ehi.” esordì invece Cloud; e l’ex Soldier si lasciò scappare un sospiro “Mi hai spaventato, sai? Non ti ho sentita arrivare. E per un attimo ho creduto di fare la fine di Barret. Hai notato che il pavimento si è ammaccato lì dov’è atterrato?”

Annuì distrattamente.

“Credo che si sia fatto più male il pavimento, in effetti.” soggiunse –e tralasciò di nominare i loro poveri e non più immacolati padiglioni auricolari, che fra urla e bestemmie erano quelli a esserne usciti peggio “Così… sei tornato.” osservò poi; e tornò a puntarlo “E io ti avrei spaventato. Addirittura. Mi sembri un po’ nervoso.”

Era una sua impressione o fra le ciocche bionde del suo –e mentalmente sottolineò suo- chocobo s’intravedevano delle goccioline di sudore? Suo malgrado si ritrovò ad assottigliare le palpebre.

“Tifa.” fece Cloud, tono caldo e tranquillo “C’è qualcosa che non va?” e nel chiederlo sollevò le mani con cautela, in segno di pace.

Ecco! Era prevenuto, altroché! Prima sudava freddo e poi tentava di calmarla a priori come se avesse qualcosa da nascondere! Abbassò leggermene il mento, poggiò la sinistra sul fianco e continuò a squadrarlo dal basso, il cesto dei panni fra il braccio destro e l’altro fianco. L’altro –coscienza sporca Strife- deglutì sonoramente e fece un passo indietro, in direzione delle scale. In effetti era molto probabile che di quel passo facesse la fine di Barret, ma in quel momento era un dettaglio irrilevante. Tanto aveva la testa dura!

Pensò di metterlo al corrente di ciò che aveva rivenuto nelle tasche dei suoi vestiti sporchi. Faccia a faccia col corpo del reato. E solo per ricevere le dovute –sacrosante- spiegazioni che meritava in qualità di futura signora Strife, dato che la sera del compleanno di Marlene era stato proprio il fattorino lì presente a millantare di anelli e proposte varie. Ciononostante, forse per qualche istinto tipicamente femminile, invece di parlare chiaro gli tese una trappola in maniera del tutto automatica.

“E com’è andata la consegna di stamattina? Sei uscito prestissimo e così di fretta. Pensavo che stessi scappando da Yuffie.”

Cloud batté le palpebre e si grattò la nuca, inclinando leggermente la testa.

“Consegna?” fece “Ah, sì. La consegna. Tutto bene. Al solito, insomma. E sì, un po’ Yuffie mi spaventa. Non so Valentine come faccia a restarsene sempre così impassibile e ad averla costantemente attorno.”

Beh, perché a Vincent Yuffie piaceva! Per lei che era una donna risultava addirittura palese. Ma per Cloud certe cose erano di difficile comprensione, dato che in campo sentimentale restava intuitivo come un nano da giardino. E intanto era appena finito in trappola e le aveva mentito, perché poi ad accaparrare scuse faceva pure pena! Altro che consegne, altro che timore di Yuffie. Chissà dove se n’era andato quella mattina! Seguitò a fissarlo, palpebre sottili, rigida sulle sue posizioni di donna indispettita e oltraggiata. Di conseguenza altre goccioline si addensarono sulla fronte di Cloud. Poi, improvvisamente, il cellulare dell’altro squillò.

L’ex Soldier scattò come una molla, forse sollevato dall’improvviso diversivo, recuperò il telefono dalla tasca e diede un rapido sguardo al display. Tifa vide chiaramente i suoi occhi illuminarsi –e no, non per via del Mako. Di rimando serrò la mandibola e s’irrigidì ulteriormente. Vuoi vedere che dall’altra parte della cornetta c’era la fantomatica R.B.?

Cloud l’adocchiò appena e fece un passo avanti, senza accennare a rispondere alla chiamata. Non lì dove c’era lei, almeno. Ignorò la richiesta implicita e non si mosse dalla traiettoria. Così il fattorino sollevò la mano, puntò l’indice lungo il corridoio e chiese timidamente: “Posso?”

Certo.” disse; e si scostò con la rigidezza di una porta blindata, lasciandogli libero il passaggio.

Perfino le sue articolazioni avrebbero potuto scricchiolare come cardini, tanto era contratta. Invece l’ex Soldier le sgattaiolò accanto e si dileguò in breve oltre l’uscio della sua stanza. La suoneria del cellulare s’attutì quando l’altro si richiuse la porta alle spalle; dopodiché tacque, lasciandole intuire che Cloud avesse infine risposto. Aggrottò le sopracciglia. In pratica il suo ragazzo era appena scappato via da lei –con la coda fra le gambe e usando la dissimulazione di un bradipo morto- per parlare in segreto con qualcuno di cui nemmeno conosceva l’identità. E dubitava che si trattasse di lavoro o di qualcuno dei loro amici.

Poggiò il cesto dei panni a terra –prima che potesse usarlo come arma impropria- e in punta di piedi tornò alla stanza di Cloud. Accostò l’orecchio alla porta. Dall’altra parte, la voce dell’ex Soldier perveniva attutita e un po’ monotona.

“Sto arrivando.” diceva “Arrivo. Cerca di mantenere la calma. Forse per te non è importante, ma io non posso permettere che scopra di noi. Non così, almeno.”

Seguì del silenzio, appena interrotto dal suono acuto di una voce che data la distanza e l’ostacolo della porta non riuscì a distinguere. Salvo che per il genere: femminile, ovviamente.

“Sì, le ho con me.” riprese Cloud; e si lasciò scappare un sospiro “No. Nessun ripensamento. Tutto quello che voglio è incontrarti. Sì, certo. Stasera. Glielo dirò di sicuro. Perciò stai tranquilla e aspettami lì. Non fare niente. Niente.”

Altro sospiro.

“Cosa non si fa per amore, eh.” soggiunse Cloud dopo un po’; e le sembrò di percepire una sfumatura più calda, vibrante nel suo tono di voce.

Oltre la porta, Tifa accusò un tuffo al cuore e sentì le lacrime pungerle gli occhi. Si portò ambo le mani alla bocca e represse il gemito che le era salito alle labbra. Dall’altra parte sentì del trambusto, probabilmente cassetti che si chiudevano, ante dell’armadio che sbattevano; ma non vi badò, ormai annegata nello sconforto. Possibile che… Cioè, possibile che il suo ragazzo, Cloud Strife, il fattorino con l’intuito sentimentale di una lampada, l’intraprendenza di un termosifone e la parlantina sciolta di un sasso, si fosse fatto l’amante?! Aveva un che di fantascientifico, altroché! E lei, che tanto pensava di essere più avanti di lui, nemmeno se n’era accorta!

Avrebbe voluto piangere. O in alternativa irrompere in quella stanza e piazzargli una scenata, quantomeno per capire cosa diavolo le stava nascondendo. Anche prenderlo a schiaffi era un’alternativa; e, dopo il suo fatidico duello con Scarlet sulla punta del Sister Ray, Cloud strife era indubbiamente il bersaglio favorito, al momento. Invece quando sentì i passi dell’altro approssimarsi all’uscio, si diede alla macchia. Sgattaiolò lungo il corridoio e tornò al cesto dei panni sporchi, in prossimità delle scale. Lo raccolse frettolosamente e abbassò il capo, immobile. Di rimando i capelli le scivolarono lungo il collo e sulle spalle, coprendole leggermente la fronte e parte del viso. Sentì la porta girare sui cardini e i passi di Cloud avvicinarsi. Quando lo percepì accanto a sé sollevò appena lo sguardo e ne incrociò le iridi brillanti di Mako. L’altro esitò, si morse appena il labbro inferiore, e sperò con tutta se stessa che le dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa! Invece l’ex Soldier proseguì dritto senza nulla aggiungere e imboccò le scale. In spalla teneva uno zaino.

Schiuse le labbra e spalancò gli occhi. Altre volte l’aveva visto allontanarsi con il fagotto, pronto ad andarsene chissà dove e chissà per quanto.  E ogni volta era stato straziante, tirata e fatta a pezzi dall’attesa. Istintivamente si protese da quella parte, come se volesse inseguirlo, allungare il braccio e afferrarlo per impedirgli di andare.

“Cloud!” chiamò; e percepì la sua stessa voce tremare.

Il fattorino arrestò il passo. Si voltò, le pose la mano sulla spalla e la guardò dritta negli occhi dal basso.

“Tifa.” sospirò e scosse la testa “Devo andare.”

Ciò detto tornò a darle le spalle. A bocca aperta e occhi grandi, Tifa lo guardò allontanarsi finché scomparve alla vista. Dopodiché lo scampanellio della porta e il seguente tonfo le lasciarono intendere che l’altro aveva anche abbandonato il Seventh Heaven. E senza colpo accusare! Restò immobile per qualche istante, allibita, oltre che sconfortata: ma che cavolo significava?! “Devo andare”, in tono greve, come se il destino del mondo dipendesse dalle sue scappatelle sottobanco! Digrignò i denti e provò l’impulso di lanciare i panni per le scale. Tuttavia lasciò perdere quando realizzò che raccoglierli sarebbe spettato comunque a lei. Piuttosto strinse i pugni, batté i piedi a terra e mugolò a denti stretti per il nervoso; dopodiché accantonò all’angolo il cesto dei panni e si scapicollò giù per le scale con tutta l’intenzione di acchiappare il fedifrago biondo e costringerlo a cantare. E senza lasciarsi comprare da quegli occhioni grandi e azzurri! Scivolò sui gradini una, due volte, e quasi pensò che sarebbe toccato a lei rinverdire le gesta eroiche di Barret.

Raggiunse il piano di sotto, arrivò alla porta e la spalancò. Ciononostante fu costretta ad arrestare il passo perché sull’uscio c’era un allibito –per quanto uno come lui potesse essere allibito- Vincent Valentine, con la faccia coperta dal collo del mantello, il pugno sollevato nell’atto di bussare e gli occhi colmi di sorpresa. In lontananza il rombo della Fenrir le suggerì che era ormai troppo tardi per usare Cloud Strife come Punch ball.

“Ah.” fece Vincent.

“Ah!” rispose lei; e si accorse che il pizzo degli slip le usciva dalla tasca del pantalone.

Arrossì dalla testa ai piedi, facendo concorrenza al mantello dell’altro, e si affrettò a ricacciare la stoffa lì da dove era uscita, ma più in profondità. Vincent invece girò sui tacchi e fece per andarsene.

“T-ti offro una camomilla!” propose di getto, quasi potesse liberarsi dell’imbarazzo con quel semplice invito “Una bella camomilla. Per calmare gli animi e ragionarci su.” continuò, anche se un simile stratagemma serviva soprattutto a lei.

L’ex Turk voltò appena il capo e l’osservò da sopra la spalla, in silenzio. Beh, almeno si era fermato, considerò. Poi l’altro sospirò e tornò sui propri passi, accettando implicitamente l’invito. Rilasciò l’aria anche lei e abbozzò un sorriso.

La sala del Seventh Heaven era in penombra, dacché chiuso e con le veneziane abbassate. Il che dava all’atmosfera un nonsoché d’intimo, serio e riservato. Un clima che si addiceva particolarmente all’inaspettato ospite. E in effetti gli occhi rossi e calmi di Vincent Valentine risaltavano piacevolmente nella penombra, scrutando tutto con grande attenzione.

Aggirò il bancone, mentre l’altro prendeva posto su di uno degli sgabelli alti, e si diresse alla macchina del caffé. L’azionò, afferrò due tazze dalla catasta lì di fianco e le pose sotto ai beccucci, fintanto che l’acqua andava scaldandosi. Dopodiché recuperò due bustine di camomilla dagli stipi e tornò a fronteggiare il pistolero.

“Che sorpresa!” disse “Mi aspettavo quella scalmanata di Yuffie. E invece arrivi tu. Marlene ne sarà felicissima!”

“C’è molto silenzio, oggi.” osservò l’altro.

Doveva aver intuito che, data l’assenza di schiamazzi e bestemmie, tanto i bambini quanto Barret erano assenti. Non c’era da stupirsene comunque, perché Vincent Valentine era sì di poche parole, ma restava un attento osservatore. Anche se, quando si trattava di se stesso, era cieco e pure sordo. O un rincoglionito di ottant’anni con l’Alzheimer, come diceva Yuffie. Ed era abbastanza sicura che gli avesse appioppato giusto una ventina d’anni in più. Tralasciò quelle considerazioni e sorrise.

“Sì, Barret è rientrato prima per il fine settimana. Così Marlene e Denzel l’hanno praticamente obbligato a portarli al parco giochi.” rise e scosse la testa “Ogni tanto tocca anche a lui! Così io ne approfitto per rassettare casa. Entusiasmante, eh.”

Vincent Valentine non replicò e continuò a fissarla dritto negli occhi, impassibile. Sembrava che le stesse leggendo perfino nell’anima! Arrossì. Istintivamente gli diede le spalle e azionò la macchina del caffè. Con uno sbuffo di vapore l’acqua si riversò dai becchetti alle tazze, gorgogliando appena.

“E c-comunque…” si schermì “Non è come pensi… cioè, , però non è che io… e poi Cloud era solo di passaggio, quindi… lui non…” farfugliò.

Ma poi perché stava giustificandosi?! Cioè, non erano fatti di Vincent se lei e Cloud consumavano o non consumavano il loro amore! Prima che la fantomatica R.B. si mettesse di mezzo, almeno. In ogni caso doveva essere il modo in cui l’altro la guardava a metterla in soggezione. Anche se il diretto interessato nemmeno se ne rendeva conto, probabilmente. Perciò poteva anche smetterla di sentirsi sotto inchiesta per quel paio di slip. Decisamente: le serviva una camomilla per distendere i nervi. E anche un bel bagno caldo non ci sarebbe stato male.

“Tifa…” la voce profonda di Vincent la fece quasi sobbalzare “È successo qualcosa?”

La domanda inaspettata le si piantò nella coscienza alla stregua di un coltello. Oh, accidenti! Perché ogni volta che Vincent apriva bocca se ne usciva sempre con la questione più pertinente e rilevante? Per un attimo l’idea di raccontargli di Barret, del pattino e dell’ammaccatura sul pavimento le sfiorò il cervello, giusto per creare un diversivo e cambiare argomento. Poi, semplicemente, optò per un lungo, mesto sospiro. Inserì le bustine di camomilla nelle tazze d’acqua bollente e tornò a fronteggiare l’amico, ponendogliene una sotto il naso.

“Vincent.” disse “Tu credi sia possibile che Cloud abbia l’amante?”

Il pistolero batté le palpebre e si lasciò sfuggire dalle dita il cordoncino della camomilla. Praticamente un no, se si usava il codice Valentine. Che pressappoco richiama il codice Strife cui era solita. Dicitura ereditata da Yuffie, naturalmente. Si strinse nelle spalle.

“Lo so.” continuò Tifa “Sembra assurdo perfino a me. Ma gli indizi parlano chiaro. Insomma. Dice che esce per le consegne, ma non è vero. Sta via un sacco di tempo e stamattina si è praticamente catapultato fuori di casa! Pensavo che fosse per via di Yuffie… sai, dopo quello che è successo al compleanno di Marlene… ma poi ho trovato quel biglietto nei suoi pantaloni e…”

Scosse la testa, strizzò la bustina della sua camomilla come si trattasse di R.B. in persona e la gettò nel cestino con un gesto secco. E stizzito. Vincent non cambiò espressione, né si mosse.

“Biglietto?” domandò.

“Sì.” arricciò il naso “Di una certa R.B. che millantava di volerlo incontrare non so dove. Sai, perché fra loro tutto sarebbe andato perfettamente!” enfatizzò, sempre più indispettita; e mandò giù un sorso di camomilla.

Quando poggiò nuovamente la tazza sul bancone il pistolero stava frugandosi nelle tasche del pantalone. Pensò che stesse cercando il cellulare nuovo di zecca, quello con l’effige di Cerbero sopra, ma di fatto l’ex Turk non estrasse nulla dagli scomparti, restando a mani vuote… un momento, Vincent Valentine non aveva appena sgranato gli occhi? Sì, insomma, sollevato leggermente più del solito le palpebre superiori. Che significava? Cos’era appena successo? E che c’entrava col biglietto di Cloud? O forse si era semplicemente accorto di aver perso il telefono di cui sopra. In ogni caso lasciò andare la mandibola, che quasi le si dislocò dalla sorpresa, quando il proprio interlocutore sollevò il capo, la fissò dritto negli occhi e con espressione mortalmente seria le disse: “Tifa…” sospiro e crollata mesta di spalle “…devo andare.”

Ciò affermato l’altro si alzò dal banco, le diede la schiena e si avviò all’uscita di gran carriera. Sbaglio o quella era la replica di una scena già vista? E stava a quota due “devo andare”, come se il mondo rischiasse il collasso da un momento all’altro e per un non meglio precisato motivo! Poggiò ambo le mani sul bordo del piano e si protese in avanti.

“Ma… e la camomilla?!” sbottò.

A risponderle fu lo scampanellio della porta e il successivo, lieve tonfo dell’uscio che si richiudeva. Scosse il capo, con gli occhi grandi e la bocca irrimediabilmente aperta. Qualcosa le stava sfuggendo, anche se non sapeva dire di preciso cosa. Innanzi tutto... perché Cloud e Vincent dovevano sempre agire con quell’aura di melodramma appiccicata addosso senza mai prendersi la briga di spiegare un ciufolo a chi gli stava attorno? Doveva pesar loro la lingua, evidentemente. Il sedere no, invece, perché scappavano alla prima occasione disponibile e alla velocità della luce. Chissà, magari se l’era squagliata misteriosamente prima dell’arrivo di Yuffie, col mero timore di finire nuovamente in una situazione assurda. E palpato dalla testa ai piedi. Una cosa era certa: il compleanno di Marlene aveva traumatizzato un po’ tutti. E Cid ancora recriminava per gli squallidi scenari cui era stato costretto ad assistere, con grande pena del suo apparato digerente.

Rimasta sola nella penombra del Seventh Heaven, Tifa sbuffò. Poi agguantò la tazza della camomilla e la bevve tutta in pochi sorsi. Poggiò la ceramica sul bancone e adocchiò quella che Vincent Valentine aveva lasciato sul piano, intonsa e ancora fumante. Fece spallucce, recuperò la seconda tazza e se la portò alle labbra. Aveva davvero, davvero bisogno di calmarsi.
 
***
Schiuse le palpebre e osservò il soffitto, mentre l’acqua le accarezzava blandamente, piacevolmente le membra nude. La schiuma l’avvolgeva, galleggiando, ed emanava una fragranza al sapore di vaniglia. La plafoniera invece donava all’ambiente delle sfumature dorate che rendevano l’atmosfera del bagno ancora più confortevole, filtrando delicatamente attraverso le sue folte ciglia scure. Piegò il braccio dietro la testa e raccolse meglio i capelli sulla nuca, fermandoli con la pinza. Dopodiché si stiracchiò appena, poggiò nuovamente il capo sull’asciugamani a bordo vasca e godé del silenzio e della quiete rimanenti.

Le faccende domestiche sembravano solo un lontano ricordo di quella giornata assurda e quasi rocambolesca. E dire che Yuffie non si era nemmeno presentata a gettar scompiglio! In ogni caso era ormai sera e Barret e i bambini sarebbero tornati presto, probabilmente affamati e ancora eccitati dalla giornata trascorsa insieme al parco giochi. Distese le labbra in un dolce sorriso al solo pensiero di quei due demoni del caos dal visino d’angelo, pronti a raccontarle ogni dettaglio di quella giornata con gli occhi grandi e colmi di entusiasmo.

Poi ricordò che anche Cloud sarebbe tornato per parlarle, come gli aveva sentito dire al telefono con la misteriosa R.B., e si rabbuiò. Non riusciva ancora a capacitarsene. Normale, dato che la possibilità che Cloud avesse l’amante aveva fatto addirittura cambiare espressione a Vincent Valentine! Il quale era anche scappato via, forse per lo shock. O forse perché Sephiroth era tornato in città a rubar cellulari ma nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo anche a lei. Considerò che avrebbe fatto bene a spalancare la finestra e a scrutare attentamente il cielo in cerca di una meteora, così da trarre le conclusioni da sé!  Sospirò.

Ecco, non le andava più di starsene a mollo. Tanto più che aveva ricominciato a delirare. E la pancia ancora le faceva male per tutta la camomilla che aveva bevuto. Poco male, pensò, ne avrebbe approfittato per preparare la cena a Barret e seguito.

Lentamente sollevò il busto, si poggiò al bordo della vasca e abbandonò il suo personale angolo di tranquillità. Recuperò l’accappatoio dall’appendiabiti e se l’avvolse attorno al corpo, detergendo prima le cosce, poi la schiena. Infilò le ciabatte e svuotò la vasca; dopodiché si diresse in camera da letto.  Recuperò biancheria pulita e abiti freschi di lavanderia e li pose sul letto. Poi lasciò cadere l’accappatoio. Lo specchio sull’armadio le rimandò l’immagine del suo corpo nudo. Sottile, eppure tonico, coi muscoli delle braccia e delle gambe che si tendevano sotto la pelle ad ogni minimo movimento. Ciononostante non mancava di curve, anche escludendo la generosa taglia di reggiseno. Chissà come la vedeva Cloud… chissà com’era invece R.B.. Magari era più sottile, più aggraziata di lei, con boccoli castani e splendenti occhi verdi. Quella riflessione la ferì, ma non volle crederlo.

Distolse lo sguardo dalla propria immagine e si rivestì. Poi l’inaspettato rombo della Fenrir irruppe nel silenzio della casa vuota e l’avvisò del ritorno di Cloud, Ciò le strappò il fiato dai polmoni. Anche lo stomaco le si contrasse per il nervosismo, spaventata da quanto l’ex Soldier avrebbe potuto confessarle da un momento all’altro. Non era pronta! Per qualche istante restò immobile, senza sapere cosa fare di preciso, se aspettare, se agire. Infine sollevò il capo, strinse i pugni e inarcò le sopracciglia. Accidenti! I sentimenti erano da sempre stati per lei una questione spinosa, ma la Tifa Lockheart che conosceva –o che voleva essere- non si lasciava sopraffare dalle situazioni. Non senza combattere fino alla fine!

Determinata, abbandonò la stanza da letto, scese al piano di sotto e istintivamente si scrocchiò anche le dita, pronta ad affrontare l’avversario di turno. Concentrata com’era nemmeno badò al vociare di sottofondo. Si pose innanzi alla porta, mani sui fianchi, e aspettò che il fattorino –e truffaldino- facesse il suo ingresso nel Seventh Heaven. L’ingresso si aprì poco dopo, scampanellando, e la ben nota chioma bionda fece capolino da dietro la porta.

“Eccoti!” l’appellò, arrestandone il passo sull’uscio “Ma adesso basta, Cloud Strife! È tutto il giorno che aspetto di capirci qualcosa. Inventi scuse, scappi di casa e mi tieni nascoste le cose. Perciò ora vuota il sacco. E spero per te che si tratti di Sephiroth, di Jenova o di quel bellimbusto impomatato di Shinra Junior! O al limite che tu sia sommerso dai debiti e che debba un mucchio di soldi –e non favori d’altro tipo- alla tua dolce –dolcissima- R.B.! Perché sì, caro mio…. So tutto! E ho voglia d’infilarti quei sacrosanti slip di pizzo bianco in gola!” sputò tutto insieme; e quasi le mancò il respiro.

Intanto era diventata rossa dalla testa ai piedi, un po’ per la rabbia e un po’ per l’imbarazzo. Il diretto responsabile invece la guardò stranito, con le labbra dischiuse e lo zaino sulle spalle –il fagotto del viandante depresso, come lo chiamava lei.  Dietro di lui stavano Vincent Valentine, imperscrutabile come al solito, e la Principessa di Wutai, con gli occhi ancora più grandi e la bocca ancora più spalancata. Di rimando sbiancò prima e implose dentro poi, se possibile diventando ancora più rossa. Gli altri due mica li aveva visti…

“T-Tifa…?” balbettò Cloud; e notò che anche lui s’era fatto di un colore piuttosto acceso “…mi fa piacere che tu abbia ritrovato quanto avevi perso.” commentò poi.

Vincent sospirò e guardò da un’altra parte. Yuffie invece guizzò in avanti, sorpassò l’ex Soldier e si frappose nel mezzo.

“Cazzo, Strife!” commentò poi “E meno male che era importante! E meno male che non potevi rischiare di metterti in ridicolo e di lasciare che lo scoprisse! Lasciatelo dire da una professionista del mestiere: dissimuli e copri le tue tracce meglio di un ninja! E sono ironica. Ironica. Lo sottolineo perché con te non si può mai sapere, signor Spruzzettodisole. Tanto valeva mettere degli striscioni per tutta casa come ha fatto lei per gli slip!”

Tifa chinò lo sguardo e si fissò i piedi. Ok, voleva sprofondare!

“Tranquilla, qui siamo tutti grandi, grossi e vaccinati e sappiamo che porti gli slip anche tu.” soggiunse Yuffie, sventolando l’indice per aria “Pensaci… Sarebbe stato imbarazzante se a portarli fosse stato Strife! O se se si fosse trattato di mutande della nonna. Anche se in quel caso è probabile che Valentine –che è vecchio dentro- avrebbe apprezzato!”

Quell’ultima osservazione strappò loro un sentito e ben sincronizzato: “Yuffie!”

La diretta interessata inclinò il capo e s’infilò il dito nell’orecchio, massaggiandosi il padiglione.

“Che c’è?” fece poi “È inutile girarci attorno e dare sempre la colpa a me. Troppo facile. E poi lo sapete nell’intimo –e in questo caso è più che azzeccato- che ho ragione io. Marcia.” concluse, incrociando le braccia al petto e annuendo fra sé.

Tifa scrollò il capo, le spalle e rilasciò il fiato. La logica di Yuffie era strampalata ma restava inaffondabile. Tanto valeva soprassedere. E poi c’erano cose più importanti di cui discutere, a dispetto della vergogna crescente. Innanzi tutto che ci facevano tutti e tre assieme… e perché perfino Yuffie che era l’ultima arrivata sembrava saperne più di lei a proposito dei loschi traffici di Cloud?

“Fermi un momento. Basta così.” affermò quindi, con rinnovata determinazione; e quasi aggiunse “siete tutti e tre in punizione”, come faceva solitamente con Denzel e Marlene, più Barret quando si metteva a dar manforte ai bambini facendo chiasso a più non posso “Si può sapere che diavolo è successo? È tutto il giorno che vi comportate in maniera strana! Pretendo delle spiegazioni.”

Cloud sollevò lo sguardo e fissò Vincent che ricambiò senza tuttavia spiccicare una parola. Di rimando Yuffie andò con gli occhi al cielo e prese parola per tutti.

“Te lo dico io che cosa sta succedendo.” affermò “Succede che questo qui –questo stoccafisso pallidino…” e per indicarlo quasi infilò un dito nell’occhio di Vincent Valentine “…ha mandato a monte il piano geniale che sto mettendo a punto da un botto –tre anni, ormai, non so se mi spiego, TRE ANNI- e il tutto per un fottuto telefono! Guarda, mi escono le lacrime se solo ci penso!”

“Quello si chiama ricatto.” ribatté il diretto interessato, monocorde e monoespressione.

Piano geniale. È praticamente lo stesso. Perché oltre ad essere vecchio e bacchettone sei pure pignolo. Pi-gno-lo! Pignoooolo!” strillò la ninja, tirandolo per il mantello.

Tifa batté le palpebre, maggiormente confusa da quelle spiegazioni a dir poco caotiche. Ricatto? Perciò la fantomatica R.B. altri non era se non...

“La Rosa Bianca di Wutai, certo!” esclamò; e per poco non si assestò una manata in fronte.

“Presente!” rispose subito la ninja, sollevando il braccio.

“L’ho capito quando mi hai detto di quel biglietto e di R.B.. E poi ho notato che mi era sparito il cellulare. Assieme a quella cosa.” confermò Vincent con una scrollata di spalle.

“Te l’avrei restituito, eh! Non c’era bisogno che scomodassi quel bel culetto! Con qualche selfie interessante, magari. Così nei giorni bui –cioè tutti i tuoi giorni, che, per la cronaca, sono daaaaaaavvero tanti- ti saresti sentito meno solo. Ci avremmo guadagnato entrambi, ti pare?”

L’ex Turk non replicò. La ninja invece borbottò qualcosa a proposito del fatto che lo Stoccafissorosso- come diceva lei- avrebbe dovuto aspettarla al Seventh Heaven come d’accordi, piuttosto che andare a romperle le uova nel paniere –anche se aveva usato parole meno gentili per sottolineare il concetto. E che lo Spruzzettodisole avrebbe dovuto eliminare le prove, invece di restare in linea col perfetto ninja che era –e che per questo al ricatto successivo avrebbe usato dei messaggi che si sarebbero autodistrutti entro pochi secondi. Tifa badò appena a quelle farneticazioni –e al fatto che Vincent e Yuffie fossero arrivati nuovamente insieme a Edge- e si soffermò su un altro, più cruciale dettaglio. Incrociò le braccia al petto, corrucciò le sopracciglia e domandò: “Quella cosa?”

A quel punto Cloud infranse la staticità e le si avvicinò, poggiandole la mano sulla spalla ed esortandola implicitamente ad abbandonare l’ingresso del bar. E il concetto che voleva approfondire.

“Tifa, l’importante è che tutto si sia sistemato, non credi?”

“Stai cambiando argomento.” gli fece notare, incamminandosi.

“N-non è vero.” insistette l’ex Soldier, ma il naso e le orecchie gli erano diventati tutti rossi “E poi non ho ancora capito perché tu te la sia presa così tanto… insomma, che cosa pensavi che fosse successo? Quando stamattina ti ho incontrata per le scale temevo che avresti fatto di me Barret secondo. E sono quasi certo che con un’altra botta ci toccherà rifare il pavimento.”

Stavolta spettò a lei arrossire. Schiuse la bocca per replicare qualcosa, ma finì solo per richiuderla sul labbro inferiore, nervosa e ancora più imbarazzata. Non poteva dirgli che per tutto il giorno se l’era immaginato a fare il cascamorto con… Yuffie! E poco importava che non sapesse che si trattava di lei. A toglierla dall’impaccio ci pensò la ninja di cui sopra, irrompendo nella conversazione col suo noto –e stridulo- tono di voce.

“Eeeehi! Ci siamo anche noi, eh! Ho capito che non vi vedete… ehi, è addirittura un giorno! Ma ciò non vi autorizza a tubare indebitamente con tanto di spettatori! T’ho, mi è già venuto il diabete.”

Cloud si voltò da quella parte e replicò: “Ed è per questo che state andando… vero?”

“Ci sta cacciando. Di nuovo.” ribadì Vincent; e scoccò un’intensa occhiata alla ninja.

“Perché è un tirchio. E bada che la colpa non è mia. No, no. Quindi t’informo che fissarmi in quel modo non serve a niente. In più puoi biasimare solo te stesso, caro il mio vampiro: io Strife ce l’avevo in pugno! Ma tu no, hai rivoluto il tuo cellulare!” sbottò la ninja, mani sui fianchi; poi puntò con l’indice l’ex Soldier e soggiunse “Ma stai in guardia Spruzzettodisole, perché non finisce qui. Hai vinto la battaglia, ma io vincerò la guerra. Le tue Materia saranno mie e nessuno Stoccafissorosso potrà salvar…eeeeehi! Stavo parlando, ioooo!”

Tifa guardò Vincent portarsi via Yuffie e scomparire oltre l’uscio del Seventh Heaven in un turbinio di stoffa rossa. Avrebbe dovuto ringraziare quell’uomo, considerò; e per un mucchio di motivi diversi. Poi le campanelle suonarono e la porta si richiuse con un lieve tonfo, lasciandosi dietro il silenzio. Restò ferma, senza sapere cosa fare o cosa dire, mentre la quiete così faticosamente guadagnata più che sollevarla andava a opprimerla. Di sicuro Cloud si aspettava delle spiegazioni. E sì, aveva pensato in più di un’occasione di metterlo alle strette e anche di prenderlo a schiaffi. E ora che aveva scoperto che si era trattato di un grosso, enorme –mastodontico- equivoco si sentiva una perfetta idiota. E pure in colpa! Chinò il capo e si passò i capelli dietro l’orecchio. Il successivo sospiro di Cloud spezzò il silenzio e la fece quasi sobbalzare. Di rimando s’azzardò a sollevare lo sguardo su di lui e ne incrociò le iridi color del cielo, che la fissavano di rimando con una luminosità che poco aveva a che vedere col semplice Mako. Arrossì.

“Accidenti a Yuffie.” esordì il fattorino, passandosi la mano fra i capelli “Mi ha fatto vedere i sorci verdi, oggi. Nemmeno riesco a capire come gli vengano in mente certe idee… ma ci sa fare, l’ammetto. E per poco non si prendeva le mie Materia.” poggiò lo zaino che aveva in spalla sul tavolo e dal trambusto riuscì a intuirne il rotondo e colorato contenuto “Valentine s’è preso una bella gatta da pelare.” concluse infine Cloud; e tornò a puntarla. Sulle labbra aveva un sorriso appena accennato che riusciva a distendergli i tratti e a dare nuova luce al suo viso.

E dire che aveva pensato che l’altro avesse raccolto in quello zaino l’occorrente per andarsene di casa. Lontano da loro. Lontano da lei. Sentì gli occhi pungere. Di rimando coprì la poca distanza che li separava, allungò le braccia e andò a cingerle attorno alla vita del fattorino. Sprofondò sul suo petto e sentì l’altro trattenere perfino il respiro. Poi la mano di Cloud le passò fra i capelli, calda e rassicurante.

“Tifa…?” domandò, incerto.

Scosse il capo. Non voleva farlo preoccupare.

“Che sciocca.” fece “In questi giorni sei stato talmente impegnato… e poi ho letto quel messaggio, ho visto quello zaino… pensavo che saresti andato via per mai più ritornare. E senza dire una parola.” confessò tutto di un fiato “E sì, lo ammetto. Ti avrei allungato volentieri qualche ceffone. Perché pensavo che almeno avresti dovuto dirmelo in faccia. E sarebbe stato meglio che fare niente. Perché il silenzio, l’attesa e la solitudine sono avversari che non si possono prendere a pugni.”

Il silenzio seguì le affermazioni, ma la stretta delle braccia di Cloud si fece più stretta. E accorata.

“Tifa… abbiamo vinto quegli avversari tempo fa.” disse improvvisamente –dolcemente-  l’altro “E mi dispiace per averti fatto preoccupare. Non volevo. È che non sono bravo con le parole…” continuò, distaccandosi appena e frugando nelle tasche alla ricerca di qualcosa che non riuscì a capire “Sono stato via in questi giorni per un motivo e sinceramente avevo in mente tutto un discorso e una situazione diversi, ma… ecco, forse il momento giusto è proprio questo, perciò…”

Tirò fuori una fascia sottile d’oro bianco su cui spiccava un piccolo brillante.

“…mi piacerebbe chiarire e mettere un punto fermo a questa situazione. Che ne dici?”

Questa non se l’era aspettata. Non dopo ciò che era successo. Il cuore prese a scalpitarle nel petto e sentì mancarle il respiro, mentre andava dalla faccia rossa di Cloud all’anello che stringeva fra le dita, aspettando forse che allungasse l’anulare in risposta. Si portò ambo le mani alla bocca, invece, e per lunghi istanti lo puntò dritto negli occhi in un misto fra l’incredulo e il commosso. Dall’altra parte, Cloud deglutì e continuò a fissarla come se avesse un cappio alla gola. Infine cacciò un urletto stridulo e gli saltò al collo, lasciando che l’altro le mettesse l’anello al dito.

“Sì. Dico di sì, altroché!” affermò; e calò sulle labbra dell’ex Soldier.

Cloud schiuse la bocca e l’accolse in un contatto più profondo. Allo stesso modo le lasciò scivolare la mano lungo la vita e la strinse maggiormente a sé, così che le forme dell’uno aderissero alle forme dell’altra in un perfetto incastro. Proprio allora la porta si spalancò scampanellando e Marlene fece il suo ingresso di corsa, seguita a ruota da Denzel. Aveva gli occhi grandi, luminosi e l’aria entusiasta.

“Cloud!” esclamò la bambina, facendo sobbalzare ambedue loro “Non ci crederai mai, siamo diventati famosi! La nostra immagine è sul palazzo di fronte. Ed è gigante!”

“Gigantissima!” sottolineò Denzel, con aria divertita stampata in faccia.

Tifa batté le palpebre, senza capire. Cloud invece s’irrigidì, si distaccò e corse fuori dalla porta, quasi dimentico di cosa stessero facendo l’istante prima. Interdetta e un po’ delusa per l’essere stata interrotta sul più bello, seguì i bambini e uscì anche lei. Innanzi al bar s’era radunata una discreta folla e perfino Barret se ne stava lì col naso per aria, a rimirare il palazzo in costruzione dirimpetto.

“Strife, cos’hai fatto di male per meritare questo?” domandò l’omaccione; e diede una pacca sulle spalle al diretto interessato, ormai bianco in viso.

Sollevò lo sguardo e vide quanto era proiettato sui teli che coprivano le impalcature del cantiere di fronte. Quella cosa che l’altro aveva tentato strenuamente e inutilmente di nasconderle, anche a costo di ruzzolare giù dalle scale: l’immagine di Cloud Strife, l’ex Soldier, il membro di Avalanche che aveva combattuto contro la Shinra e l’eroe che aveva sconfitto Sephiroth, che stringeva un orsetto al petto e giocava col servizio da tè giocattolo di Marlene. In una rappresentazione fedele e gigantissima, proprio come aveva detto Denzel. Decisamente, pensò mentre cercava di non scoppiare a ridere: Cloud aveva vinto la battaglia… ma Yuffie si era indubbiamente aggiudicata la guerra!

“Io quella ninja l’ammazzo.” fu il commento del diretto interessato; e Tifa rise, rise per quella giornata assurda, per quell’immagine che trovava assurdamente tenera e carina. E per quell’assurda paura di perderlo che non aveva più alcun motivo d’essere.
 
Saaaaaalve! °A° Dopo un po' rieccomi con una storiella assurda. Lol. Non ha nessuna pretesa, perciò se vi sembra brutta... lo è senza dubbi. xD Anche perché la stesura di questa One-Shot è stata sfortunata, dato che si è protratta nel tempo. Ho dovuto interromperla più volte e ogni volta riprendere il filo è stata dura. Senza contare che l'ho scritta sempre con uno stato d'animo diverso. °A° E molti non erano propriamente i più adatti. Ma che ci volete fare? ^^' Sono ostinata e ho voluto finirla lo stesso. E sì, ho avuto anche la faccia tosta di pubblicarla. °A° Mi sto allenando, da questo punto di vista. Lol. Perciò via col lancio di frutta e verdura marce! *w* Io tenterò di schivare! xP
A parte tutto, spero che qualche piccolo sorriso sia riuscito a strapparlo e che nel complesso la narrazione non risulti troppo "scattosa". O sottotono. ^^' Per chi avesse letto "Happy Birthday, Marlene!", dico solo che c'era ancora qualche parentesi da chiudere. E per questo ne ho approfittato in questa One-Shot! xD Spero abbiate apprezzato. =w= Per il resto, la saga di "Materia Arancione" non è ancora chiusa, sappiatelo! *w* Nella prossima avventura vedremo i nostri eroi Vincent e Yuffie alle prese con Rufus Shinra, Reno, Rude e un Chocobo. oo E naturalmente con un'altra, fantastica Materia imprevedibile! xP Ok, ora smammo. oo Alla prossima! *w*
CompaH
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Michan_Valentine