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Autore: baffesque    18/02/2015    2 recensioni
“Dottore, tu dormi mai?”
“Dormire? Certo che dormo, che domanda, ancora non ho incontrato nessuna specie che non dormisse almeno una volta al mese. Ma questo è noioso, e sai cosa non lo è? I dinosauri! Ah Clara, devi cavalcarne uno, non te ne pentirai!”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Dottore, tu dormi mai?”
“Dormire? Certo che dormo, che domanda, ancora non ho incontrato nessuna specie che non dormisse almeno una volta al mese. Ma questo è noioso, e sai cosa non lo è? I dinosauri! Ah Clara, devi cavalcarne uno, non te ne pentirai!”
 
 
Il dottore odiava dormire. Certo, anche lui doveva arrendersi ai suoi bisogni primari e, di tanto in tanto, riposare quella mente e quel corpo tanto riluttanti a fermarsi, e anche se nei suoi lunghi viaggi aveva imparato qualche trucco utile in merito, una volta tanto doveva darsi tregua. Capitava dunque che prendesse il corridoio del TARDIS che lo conduceva alla biblioteca, desse un’occhiata di sfuggita alla piscina in fondo, e si fermasse a metà. Qualche passo a sinistra ed ecco la porta della sua camera da letto. Il Dottore la fissava sempre accigliato e con le labbra strette, per poi aprirla ed entrarci senza pensare oltre.

La sua camera da letto era ben diversa da come normalmente la si potrebbe immaginare: nonostante l’immenso spazio a sua disposizione, ne aveva scelta una ben striminzita. Aveva piazzato un letticino in un angolo, affiancato da un piccolo baule pieno zeppo di pigiami. Come sempre non avrebbe esitato molto a mettersene uno –i pigiami erano caldi e comodi ed era sempre un piacere indossarli, tranne che d’estate- per poi mettersi sul capo un cappello da notte dalla punta azzurra che gli dondolava davanti agli occhi.

Doveva ammettere che la sua routine prima d’andare a dormire, fino a quel punto, non era tanto male. Il momento in cui esitava arrivava dopo, quando fissava il materasso stretto dalle coperte. Un mugolio allora usciva dalle sue labbra, valutando se, effettivamente, avesse poi bisogno di andare a dormire proprio in quel momento. La vita continuava a scorrere incessante dappertutto e lui cosa faceva? Perdeva così scioccamente tante di quelle occasioni! Quello era, di norma, il momento in cui correva al di fuori della camera, elencando a gran voce mille posti da visitare in quell’esatto istante.

Però, c’erano momenti in cui anche il Dottore era stanco. Momenti in cui gli occhi gli pesavano troppo e gli anni gli parevano più numerosi di quanto ricordasse. Momenti in cui parlare era faticoso e i ricordi non gli davano pace. C’erano momenti in cui chiudeva gli occhi e, semplicemente, si abbandonava al calore delle coperte.
Oh certo, non che il suo personale travaglio finisse lì. La voglia di saltarne fuori era sempre lì presente, perché insomma- non voleva visitare da sempre quel pianeta? E oh oh oh! Ecco quali erano le coordinate per quello spettacolo di galassia! O a proposito di spettacolo, non era in quella notte che andava in scena la prima di Shakespeare? Certo, qualche secolo prima –o dopo? E l’aveva vista già decine di volte ormai, ma perché negarsi un piacere del genere?
Erano quelli i pensieri che, su un primo momento, gli vorticavano in mente negandogli il riposo. Ma come facevano, si domandava mentre si girava e rigirava, gli umani ad addormentarsi? Tante occasioni di cui erano ignari passava fra le loro dita, e loro dormivano ogni notte! Avrebbe dovuto chiedere a Clara –piuttosto, non la vedeva da un po’. Sarebbe dovuto passare da lei e portarla da Shakespeare, magari non proprio in sua presenza, con Martha non stava andando bene l’ultima volta.

Quell’esatto tipo di pensiero segnava una linea di passaggio: quando i puri sproloqui cedevano il passo ai ricordi, quello era il momento che il Dottore temeva, indebolito dalla stanchezza che si faceva ormai inevitabile.
Era il momento del silenzio, quando la sua mente diveniva un fiume inarrestabile di vecchie immagini, annotazioni che secoli prima aveva appuntato nella sua coscienza, e che come sbiaditi fantasmi gli facevano visita prima d’addormentarsi.
Erano il suono di un carillon, lo scintillio del metallo, le grida di un innocente che lo turbavano mentre gli occhi si chiudevano contro la sua volontà.
Era tutto ciò che aveva seppellito per poter convivere con se stesso.

Però, era un po’ come gli aveva detto una volta Dickens. Doveva avere fiducia. Doveva aspettare, e avere il coraggio di andare avanti.
Allora tutto diventava più dolce. Il male a cui aveva fatto da testimone scemava un poco alla volta, e tutto diventava più puro.
C’era poi il suono di una risata cristallina, una chioma bionda colpita dalla luce del sole di giugno, quel paio d’occhi che lo guardavano come se fosse l’unica risposta esatta all’intera esistenza d’ogni essere vivente.
C’erano le battute sciocche e tutto il tempo dell’universo che si piegava dinnanzi a quell’esile figura splendente, perché lei era il suo centro e nient’altro più gli importava.

A volte, quando il Dottore si concedeva di dormire, accadevano piccoli miracoli. Accadeva che le rigenerazioni non avevano più importanza, e non riuscisse più a ricordarsi chi fosse esattamente, e fantasmi del passato lo visitavano con un sorriso rassicurante.

Il mattino dopo non ricordava più nulla, ma non importava. Il Dottore, fra uno sbadiglio e l’altro, riusciva a sorridere un po’ di più al mondo, e questo bastava.
   
 
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