B'jour!
Per festeggiare
il compleanno del nostro Sassy-rama preferito, voilà un breve racconto horror
senza tante pretese, frutto della mia insonnia cronica!
Vi avverto
subito che mi sono presa alcune licenze poetiche, così da rendere più
accattivante la trama, sebbene come al solito abbia sempre dato spazio alla
regola della verosimiglianza.
Buona lettura
dunque!
E ...
Happy B-day Tobirama!
H.
P.S. Buon
Capodanno cinese! Anno della capra!
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Kuchiyose
"Non omnis moriar"
(Orazio, Odi III, 30, 6)
Un conto è vedere, un conto è credere a ciò che si vede.
Il primo è obbligatorio, il secondo facoltativo.
Ma è quest'ultimo ciò che definisce la nostra realtà.
***
"Zucchero?"
"Due
zollette, per favore. Quanto tempo abbiamo?"
"Fino al
prossimo cliente, ergo dai cinque minuti alle due ore."
"Grazie
davvero per aver risposto alla mia chiamata e aver organizzato questo incontro.
Significa molto per me."
"Mi hai
dato altra scelta?"
"Cerca di
capire: sono trascorsi dieci anni da allora. Dieci dannatissimi anni in cui non
è saltato fuori niente. Niente di niente. Buio totale. Zero, nisba, nada. E'
vero, provasti ad aiutarci quella volta, però non ti credettero e sbagliarono
perché sul serio eri tu l'unico in grado di risolvere quell'enigma. Insomma, un
testimone oculare! Ma quando incominciai a ricostruire da solo quanto accaduto,
tu nel frattempo eri sparito. Ho impiegato un'infinità di tempo, risorse ed
energie per rintracciarti. Adesso che ti ho ritrovato, devo sapere la
verità!"
"La
verità! Molti la cercano, pochi sanno accettarne il peso! Anche al tempio mi
chiedevano di raccontare loro la verità, per poi accusarmi di calunnia, di
frode, di ..."
"Immagino
quanto sia stata dura per te vivere lì, lontano dal mondo e dalla tua famiglia,
ciononostante - ..."
"Tu non
hai alcuna idea di quel che ho passato!"
"Per
questo hai fatto perdere le tue tracce?"
Silenzio.
"Conosci
tu il vero motivo per il quale, quella stessa notte, venni affidato al
tempio?"
***
L'una e mezza
di notte.
Tobirama
giaceva insonne nel suo letto, rigirandosi inquieto e non trovando requie in
qualsiasi posizione egli adottasse.
Le luci
rossastre dei lampioni filtrate dalle tende socchiuse creavano una penombra
malaticcia, distorcendo e dilatando i contorni della sua ben nota cameretta.
Nelle stanze accanto, i suoi fratelli minori Kawarama e Itama dormivano il
sonno del giusto, le loro innocenti testoline cullate da dolci sogni di
zucchero, seta e piume. I loro genitori erano usciti da molte ore assieme ai
vicini di casa, i signori Uchiha. Izuna, il figlio più giovane di quest'ultimi,
per l'occasione s'era deciso di lasciarlo pernottare da loro e in quel momento
se ne stava accoccolato sul futon accanto al letto di Tobirama.
Le due meno un
quarto del mattino.
Il quindicenne
si coricò su di un fianco, sospirando profondamente. La testa gli girava, la
sua vista oscillava instabile e s'ingarbugliava in bizzarri e vorticosi
arabeschi, provocandogli fastidiose vertigini pure da sdraiato. L'albino sbuffò
la sua frustrazione, abbracciando energico il cuscino per poi disertarlo
indispettito e sistemarsi prono.
Chiuse gli
occhi.
Niente, non
s'addormentava.
Una molesta
scarica elettrica, come uno spasimo da crampo, percorse improvvisamente
l'intera sua colonna vertebrale, propagandosi fino alla gamba destra
dell'adolescente che, soffiando il suo malessere, cedette alla fitta e scalciò
involontariamente. Resistendo all'impulso di ripetere con l'altra gamba,
Tobirama si rigirò supino in un balzo, arruffandosi snervato i capelli in
battaglia.
Le due e cinque
del mattino.
Non riusciva
proprio a dormire.
Il ragazzo
prese a tamburellare le dita sul suo ventre, socchiudendo gli occhi gonfi e
ipersensibili, praticando quegli esercizi di meditazione e di rilassamento
appresi per combattere la sua fastidiosa (e alas ricorrente) insonnia. Inspira,
trattieni l'aria per due secondi, espira e ripeti quattro volte
"Rilassati, rilassati, rilassati, rilassati!" Ma la sua
mente traditrice se ne infischiava, ribellandosi e al posto di astrarsi, si
concentrò con maggiore alacrità sull'indefinita ansia (o aspettativa, chissà)
che lo teneva sveglio, facendolo rimuginare incessantemente su quanto avvenuto
di recente. I suoi pensieri s'amalgamavano in un mostruoso blob, trasformandosi
in una valanga d'illusioni ottiche diversissime, quasi reali, un collage
vivente, un'incalzante sequela di grottesche dissolvenze senza filo logico
eppure impossibile d'annientare.
Le due e
venticinque del mattino.
Aggrottando la
fronte, di nuovo Tobirama tentò di tenere ferme le palpebre indisciplinate, per
non dover più assistere a quell'ubriacante maelstrom di luci ed ombre che gli
vorticava dinanzi, sul soffitto per la precisione.
Le due e
quaranta del mattino.
Quand'ecco, che
il vortice cessò di scombussolarlo, concentrandosi in un punto preciso cioè il
piccolo lampadario fino a fondersi con esso e facendolo crollare
all'improvviso a qualche spanna dai piedi dell'adolescente, il quale scattò
seduto boccheggiando, la fronte madida di sudore.
Le tre meno
dieci del mattino.
Tobirama si
lasciò cadere sul materasso, imprecando tra i denti. Lanciò un'occhiata
malevola ad Izuna che, ignaro di tutto, seguitava a dormire indisturbato, la
bocca lievemente schiusa e un'espressione serafica dipinta sui lineamenti
rilassati. Afferrata la sua torcia d'emergenza, l'albino aprì allora il libro
da poco iniziato, Needful Things di Stephen King, il suo
autore preferito. Nonostante la natura orrorifica del romanzo, il mero fatto di
leggere aveva sempre placato la difficoltà del Senju ad addormentarsi. Eppure,
in quella notte, anche quel rimedio pareva destinato a fallire miseramente: le
parole, già di loro stampate piccole e con spazi minimi tra le righe, gli
ballavano davanti agli occhi, confondendosi in un'unica grande macchia nera
ondeggiante. Tobirama s'arrese e spense la torcia, riponendo deluso il libro
sul comodino. Forse, cogitò tuttavia testardo, una bella tazza di latte caldo
avrebbe sortito l'effetto sperato. Silenziosamente, facendo attenzione a non
svegliare Izuna, s'accommiatò da quella tortura di letto, dirigendosi verso la
cucina.
Le tre del
mattino.
La casa giaceva
in un'oscurità e silenzio pressoché tombale. Si presentava perfino troppo
ordinata, quella notte, per essere abitata da sei persone, tra cui quattro
irrequieti e caotici adolescenti maschi. Più gli ospiti, ovviamente. Aperto il
frigo, Tobirama si servì generosamente dal cartone del latte, ficcando la tazza
nel microonde e fissandola infelice mentre girava in tondo su se stessa. Quando
scadde il tempo impostato - tin! - egli la ritirò, chiudendo lo sportello col
gomito.
Fece appena in
tempo a berne un sorso, che i suoi occhi assonati ma vigili si spalancarono
terrorizzati. Cacciando un poco dignitoso urletto, il ragazzo abbandonò la
presa sulla tazza, la quale cadde rumorosamente, riversando il suo candido
contenuto per terra.
"Deficienti!
Per poco non mi facevate schiattare di paura!", esclamò adirato Tobirama,
appoggiando la mano là dove il suo cuore batteva impazzito. "Vi paiono ore
da rincasare? Eravamo preoccupati marci per voi!", berciò, afferrando dal
lavello la spugna e nettando vigorosamente il pavimento sporco.
"Scusami,
fratellino, non l'abbiamo fatto posta. Non pensavamo d'impiegarci tutto questo
tempo", fu il sentito mea culpa di Hashirama, mentre, inginocchiatosi
accanto al più giovane, lo aiutava a raccogliere i cocci della tazza.
"Vero, Madara? Digli anche tu come ci siamo persi!"
L'interpellato
in questione, un giovane moro della medesima età di Hashirama, annuì
lentamente. "Siamo stati trattenuti", precisò, scostando una sedia
dal tavolo e accomodandovisi.
"Da
chi?", domandò incuriosito Tobirama. Era risaputo che i due morosetti (ormai
la loro relazione era di dominio pubblico in tutto il condominio, il quartiere,
la scuola) avessero la tendenza di girovagare per i fatti loro peggio dei
vagabondi, più che altro per sbaciucchiarsi senza che la gente li sghignazzasse
dietro. Ciononostante, non s'erano mai comportati così, sparendo per ore e ore
senza notificare nessuno. Beh, quasi nessuno. A lui avevano confidato, il
giorno prima, dove sarebbero andati quella sera.
E di fatti, il
castano replicò confuso: "Non hai detto ai nostri genitori di venirci a
cercare presso il ponte? Li stavamo aspettando lì, in caso non fossimo tornati
in tempo!"
"Sicuro
che li ho avvertiti, ma non è colpa mia se non m'hanno voluto ascoltare!",
protestò vivacemente il quindicenne. "Adesso che però siete tornati,
potrete spiegarglielo voi di persona!"
I due
diciottenni si guardarono lungamente. "Immagino di sì", convenne
piano Hashirama, lo sguardo sempre puntato su Madara. Poi, rivolgendosi al
minore: "Ci dispiace davvero per tutti i problemi creativi. Non accadrà
mai più, promesso!"
"Lo spero
bene! Altrimenti, i vostri papà v'ammazzano!"
Entrambi i
ragazzi più anziani scoppiarono in una fragorosa risata, la quale tuttavia
suonava strana, quasi fredda e meccanica, come se non appartenesse a loro.
"Oh, non ce ne sarà bisogno!", l'assicurò Hashirama, prendendo posto
accanto al meco. "Piuttosto, non ci prepareresti un caffè?"
Tobirama si
trattenne da spalancare la bocca, decisamente sorpreso da quella richiesta:
"Alla tre e un quarto del mattino?"
"Siamo
intirizziti!", si lagnò il castano, sfregandosi le braccia
melodrammaticamente. "Inoltre, non abbiamo più bisogno di dormire! E a
quanto vedo, neppure tu hai tanto sonno!"
L'albino si
diresse verso la credenza, sbuffando. Morte e dannazione, perché quei due
marrani finivano ogni volta per schiavizzarlo? "D'accordo, ma non
prendeteci l'abitudine!", li avvertì, tirando fuori le tazzine e lo
zucchero, aspettando che l'acqua bollisse. Quand'ecco, che il suo viso
alabastrino s'illuminò. "A proposito! Questo pomeriggio è venuta Mito a
portarvi gli appunti di scuola, così non rimarrete indietro con le lezioni! Che
gentile da parte sua!"
"Già,
molto gentile!", ripeté sarcastico Madara.
"Eddai,
non fare lo stronzo! Era davvero in ansia per voi!", lo rimbeccò
prontamente Tobirama, conscio tuttavia della tacita e sospettosa gelosia che
l'Uchiha nutriva nei confronti della compagna di classe.
Hashirama si
mise in mezzo, calmando i due litiganti. "Via, via, non arruffate le
penne. E non t'angustiare, Toby, ci prenderemo cura di Mito, vedrai!", gli
promise sorridendo. Bevve un sorso della bevanda scura servitagli nel
frattanto. "Buono come sempre. Grazie mille, fratellino!", disse,
afferrandogli la mano e stringendola con delicatezza, accarezzandogli in
seguito il dorso col pollice.
Appoggiando la
sua tazzina semivuota, Madara gli chiese bizzarramente cortese: "Puoi
riferire ad Izuna, che da ora in avanti dovrà arrangiarsi da solo coi compiti
di fisica?", e detto questo s'alzò, ben presto imitato da Hashirama.
"Un
momento! Ve la filate all'inglese in camera vostra senza aiutarmi a
ripulire?!", esclamò contrariato il quindicenne, arrossendo
d'indignazione. "Che facce toste!"
Il castano
proruppe in un risolino divertito, scompigliando i capelli del minore.
"Nah, andiamo incontro ai nostri genitori! Qualcosa mi dice, che anche
loro si sono persi ...", asserì birbante, lanciando una significativa
occhiata al meco. "Portati bene, eh!", si congedò da Tobirama,
dandogli una cameratesca pacca sul braccio.
"Ahia,
scemo!"
"Hasta
luego, pidocchio!", lo salutò sfottitore il moro, scansando la spugna
gettatagli dall'inviperito albino, il quale li accompagnò fino alla porta,
chiudendola non appena le loro ombre scomparvero dal muro delle scale e il loro
allegro cicaleggio venne inghiottito dal silenzio d'un condominio dormiente.
La quiete
ritornò nella casa e Tobirama giudicò saggio dirigersi subito in cucina, per
riassettarla prima che rincasassero i suoi genitori e i signori Uchiha. Anche
se, a confronto della bravata compiuta dai loro figli più grandi, due tazzine
sporche di caffè sarebbero certamente passate in secondo, no, terzo piano.
"Già in
piedi?", sbadigliò alle sue spalle un assonnato Izuna, grattandosi la
zazzera arruffata.
"Non avevo
sonno", gli spiegò concisamente l'albino, apprestandosi a pulire. "Tu
che ci fai in piedi?"
"Stavo
uscendo dal bagno, quando ti ho sentito parlare con qualcuno. Ho pensato
fossero i nostri genitori, però non li vedo ...", gli raccontò,
ispezionandosi attorno perplesso.
Il suo coetaneo
scosse il capo in diniego. "Stavo chiacchierando con Hashirama e Madara;
li hai persi per un soffio!"
Izuna strabuzzò
gli occhi. "Come? Sono tornati? Davvero?"
"Sì e come
ti ho detto, hai mancato di salutarli per tanto così!", ribadì scocciato
Tobirama. "Se ti fossi svegliato prima ..."
"Ma dove
sono adesso?"
"Stanno
andando incontro ai nostri genitori, così almeno m'hanno raccontato ...",
fece spallucce il ragazzo. "Dunque, dov'è il detergente liquido?",
cogitò ad alta voce.
Colmando
velocemente le distanze, l'Uchiha più giovane lo acchiappò per il braccio,
costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. "Come sarebbe incontro
ai nostri geni- ..."
Izuna non
terminò mai quella frase.
La porta si
spalancò all'improvviso e i due quindicenni non ebbero neppure il tempo di
battere le ciglia, che la madre di Tobirama aveva ghermito quest'ultimo per le
spalle, scuotendolo violentemente. "Come facevi a saperlo? Parla,
disgraziato! Come facevi a sapere dove fossero finiti?"
Dalle scale
incominciarono a provenire simili rumori di passi altrettanto forsennati,
increduli, avvicinandosi minacciosi come una tempesta da monsone.
"Sono
stati gli stessi Hashirama e Madara ad avermelo confidato! E' la verità! E ve
l'avevo anche detto, ma voi non mi credevate!", pigolò confuso l'albino,
non comprendendo il motivo dell'estrema agitazione della genitrice.
"Non
mentirmi, piccolo demonio! Come l'hai scoperto?! Da chi l'hai saputo?!"
"Ma
allora, non vi hanno spiegato il motivo per cui s'erano allontanati? M'avevano
assicurato, i bugiardoni, che vi sareste incontrati a metà strada e che vi
avrebbero delucidato tutto!"
La signora
Senju per poco non collassava davanti all'adolescente, tanto il volto aveva
assunto un'inquietante tinta cinerea.
"Guarda,
mamma!", insistette Tobirama, onde persuaderla definitivamente della sua
buona fede. "Erano qui, seduti a questo tavolo, neanche cinque minuti fa!
Chiedilo ad Izuna! Ci ha sentiti parlare e ... e ... le tazzine! Non vedi?",
disse, porgendole quella da cui aveva bevuto il fratello maggiore. "E'
vuota! Non ha rimasugli di zucchero, perché ad Hashirama il caffè piace
amaro!" e pigliando quella dell'altro diciottenne. "Mentre quella di
Madara - osserva bene! - non solo ha dello zucchero attaccato al fondo,
ma è anche rimasto del caffè perché a lui dà fastidio la polvere che vi si
deposita ...", deglutì ansiosamente, prendendo fiato. "Ti giuro che
non sto mentendo! Erano qui, li ho visti! Mi avevano istruito d'indicarvi il ponte,
giacché sospettavano che avrebbero impiegato molto tempo a ritornare a casa! Si
erano persi! Però adesso non importa, visto che ... Mamma?", s'interruppe
l'albino, osservando stranito sua madre, la quale aveva raddrizzato
meccanicamente la sua postura, un'espressione indecifrabile dipinta sul volto
pallidissimo e tirato. "Mamma ...? Mamma, che succede?", tremò
impercettibilmente il ragazzo, sopraffatto dall'atmosfera d'un tratto pesante,
mefitica.
"Anise?",
la chiamò dall'ingresso suo marito Butsuma. "Anise, che facciamo? Cosa
dico agli Uchiha? La polizia ..."
La donna
squadrò prima il secondogenito, poi Izuna e infine ancora il figlio. Pareva in
stato catatonico. Respirava appena.
"Anise!"
Tobirama si
sentì nuovamente afferrato per il braccio, ma questa volta per essere
trascinato fuori dall'abitazione, scendendo in fretta e furia giù per le scale,
senza che nessuno gli avesse concesso il tempo di capire che cosa avesse detto
di sbagliato, senza la possibilità d'accommiatarsi dai suoi fratellini né di
salutare Izuna, che gli era corso dietro di riflesso finché Butsuma non l'aveva
bloccato ...
***
"... come
ben sai, non feci mai più ritorno in quella casa", concluse il Tobirama
venticinquenne il suo racconto, contemplando stancamente la propria tazza di
caffè. "Né rividi i miei fratellini e genitori."
Lui e il suo
interlocutore s'erano ritirati nell'ufficio privato dello studio fotografico in
cui lavorava come commesso. Essendo la maggior parte dei clienti in pausa
pranzo, nessuno li avrebbe disturbati per un po'.
"Mia madre
mi caricò in macchina con solo il cappotto addosso e le scarpe, niente
valige, guidando spedita fino al tempio. Non fiatò per tutto il tragitto.
Giunti infine a destinazione, ci fece annunciare da una miko al sacerdote, al quale
raccontò l'intera vicenda fino all'ultimo dettaglio, soffermandosi in
particolare su quanto le avevo riferito, o meglio, ciò che io sostenevo essermi
stato detto dai nostri fratelli maggiori. Il sacerdote mi guardò a lungo e
dichiarò che aveva compreso la nostra situazione. Dopodiché mia madre si
congedò da lui, lasciandomi lì al tempio. D'altronde, o quello o la clinica
psichiatrica."
Uchiha Izuna
abbassò il capo, ricacciando indietro il groppo in gola formatovisi. Malgrado
fossero trascorsi dieci anni da quella notte maledetta, il suo indelebile
ricordo ancora lo torturava. "Sospettava forse che tu li avessi uccisi?
Visto che eri l'unico, che sapeva dove fossero stati occultati i
cadaveri?", domandò solamente quando giudicò la sua voce abbastanza salda,
da non tremare dall'emozione a stento contenutavi. Il pianto inconsolabile dei
suoi genitori. Le luci blu della polizia. Suo fratello immobile nel loculo
dell'obitorio. Il funerale. E la rabbia nei confronti di chi tuttora non aveva
pagato per quel crimine orrendo.
Continuando a
tenere abbassato il capo, l'albino rispose incolore: "Lo ignoro" e
sorseggiò piano il suo caffè. "Da quel momento in poi, vissi al tempio.
Benché non avessi alcuna preparazione in materia, i suoi visitatori mi
consideravano in tutto e per tutto un kuchiyose geki, uno sciamano
che poteva evocare e interagire coi morti. Venivano a frotte per consultarmi,
talvolta in privato talvolta in pubblico, per conoscere la sorte ultraterrena
dei loro cari o per disfarsi di fantasmi persecutori. Era un infinito
tormento", gli confessò, nascondendo gli occhi con una mano. "Alcuni
spiriti si presentavano benevoli e se indugiavano sulla terra era per poter
terminare, ciò che in vita avevano lasciato in sospeso. Emanavano calore e
malinconia. Come i nostri fratelli", e qui Tobirama abbozzò ad un triste
sorriso, il quale scomparve immediatamente, ingoiato da un'espressione di
pietra. Il suo corpo prese a tremare. "Ma erano una rarità. Il più delle
volte m'imbattevo in spiriti talmente malevoli, pregni di odio, rabbia e sete
di vendetta da gelarmi il sangue. Mi sentivo risucchiare via il respiro dai
polmoni. Specie, quando i sacerdoti del tempio m'imponevano di ... di
permettere loro di ..."
Scattando in
piedi, Izuna lo raggiunse, circondandogli consolatorio le spalle con un
braccio. I kami soli conoscevano quali terribili esperienze il giovane uomo
doveva aver affrontato al tempio, costantemente perseguitato dai volti esangui
e deformati di fantasmi ghignanti e ostili, lottando ogni istante per non lasciarsi
sopraffare dalla loro energia maligna. Si ricordava, nel corso delle sue
ricerche, di alcuni angoscianti video su YouTube, dove venivano filmati alcuni
casi di possessione spiritica. Ancora rabbrividiva al pensiero. Il moro si
morse colpevole il labbro inferiore, rimpiangendo di non essersi informato
prima sulla sorte dell'allora quindicenne, fallendo d'aiutarlo.
"Per
questo motivo", riprese l'albino il discorso dopo un lungo silenzio
"alla prima occasione scappai dal tempio. Me ne andai lontano, cambiando
spesso città e sostenendomi con anonimi lavoretti part-time. I primi anni li
vissi nel terrore che mi riconoscessero e mi riportassero al tempio, là dove mi
attendevano gli spiriti i quali non vedevano l'ora che io, preso dalla
disperazione, mi aggiungessi a loro."
La sottile
cicatrice appena appena visibile dalla manica della sua camicia di cotone
grezzo spifferò all'Uchiha, quanto Tobirama fosse andato vicino a cadere
vittima delle sue stesse visioni.
"E adesso?
Li vedi tuttora?"
La voce di
Tobirama si ridusse ad un rauco mormorio. "Sempre ... Ovunque ... Però
adesso sono io che li controllo, non mi spaventano più come da ragazzo:
infatti, ho imparato a difendermi. Li evoco a mio piacimento; se uno
m'infastidisce, gli posso aizzare uno spirito contro finché non
impazzisce!" Un'acuta risata sarcastica s'inserì sinistramente, raggelando
l'aria e drizzando i capelli sulla nuca del moro. "Potrei quasi definirli
i miei unici amici. Tranne quei due, loro fanno perennemente
ciò che vogliono, non c'è verso di ragionarci assieme. Ma li comprendo",
reclinò empatico il capo il kuchiyose geki, alzandosi dalla sedia e dirigendosi
verso il piccolo lavello per pulire la tazza. "Sapevo che mi avresti
cercato, Izuna, era questione di tempo. Non sei divenuto un detective privato
per combattere la noia, vero? Dev'essere stato frustrante, l'avermi rincorso
per tutto il Giappone."
Il moro tacque,
limitandosi ad assentire.
Da logico
osservatore esterno, egli avrebbe bollato la storia di Tobirama (e quest'ultimo
in primis) come la farneticazione d'un pazzo. Perché il Senju doveva essere
pazzo. Chissà quali sostanze allucinogene dovevano avergli somministrato al
tempio - pensava la parte razionale del moro - per rendere più veritiere
le sue visioni e possessioni! Gli avevano bruciato il cervello, poveraccio. E
lui ci credeva seriamente, era questo il bello!
Ma allora,
anche Izuna s'aggiungeva al club dei folli e magari manco per scherzo, fuori di
menocca lo era sul serio, per aver speso anni a scovare Tobirama, a ricostruire
i suoi spostamenti allo scopo di domandargli quell'unica domanda, che lo aveva
tormentato fin dalla scoperta dei cadaveri del fratello e del suo ragazzo.
"Chi?"
L'albino si
voltò, corrugando disorientato la fronte.
"Chi è
l'assassino?", ripeté feroce l'Uchiha. "Tu li hai visti, ci hai
parlato! Ancora interagisci con loro! Dunque, conosci il nome di chi li ha
rapiti e uccisi dieci anni fa! Perché li hanno assassinati, vero? Non si è
trattato di un doppio suicidio d'amore, come ha stabilito scioccamente la
polizia!", esclamò bellicoso, portandosi davanti al giovane medium, che
supplicò appassionatamente: "Ti prego, Tobirama! Ti prego dimmi come morì
mio fratello! Dimmelo! Ti ricompenserò come vorrai! Ma ho il diritto di sapere!"
Il Senju si scostò
lentamente, avanzando come in trance verso la scrivania.
Silenzio.
"Madara
non doveva morire quella notte. Solo Hashirama. Era lui l'unica vittima
designata", gli rivelò infine, mordicchiandosi il polpastrello del
pollice. Lungo il dito scene una sottile e languida scia di sangue.
"Siccome, però, l'uno non stava mai senza l'altro, ebbene ..."
e lasciò sospesa la frase, preferendola terminare con un significativo svolazzo
della mano, emulando un fittizio sgozzamento.
Ancora
silenzio.
Era una fallace
impressione di Izuna, o la temperatura era notevolmente scesa nella stanza?
"Chi è
stato?"
"Se te lo
confidassi, tu che faresti dopo?"
Izuna strinse i
pugni. "Il nome."
Tobirama,
invece, gli cedette una foto estratta dalle cartelle dei loro clienti.
Strappandogliela
quasi di mano, il detective la studiò snervato: "E' una foto di classe,
per di più di quest'anno! Che accidenti c'entra ...?"
Le parole gli
morirono in gola; similmente, il suo cuore smise di battere per qualche
secondo.
L'insegnante.
Eternamente
diciottenni, Hashirama e Madara circondavano da dietro l'insegnante, uno a
destra e l'altro a sinistra, sorridendole malevoli, come se stessero gridando
trionfi: "Tu ci hai ucciso!"
L'Uchiha
conosceva bene quel volto, troppo bene! Quante volte lo aveva scorto dai
vicini? Nel quartiere? A scuola? Al funerale dei loro fratelli?
"Eggià,
Izuna, è stata proprio lei. Brutta cosa l'amore a senso unico", si
posò una mano sulla spalla del moro, pietrificandolo dalla sorpresa. Un respiro
freddo gli gelò l'orecchio, mentre la voce di Hashirama (una voce che non
sentiva da dieci anni eppure era lui, maledizione, era lui!) gli mormorava:
"L'avevo detto a Tobirama, no?, che ci saremmo presi noi cura di
Mito!"
Il moro ansimò
sconvolto, il corpo paralizzato dalla paura.
"Perciò,
fratellino", proseguì la voce di Madara, la quale non era cambiata
di un accento "non ti preoccupare se, uno di questi giorni, dovessi
mai leggere sui giornali di una certa professoressa Uzumaki morta impiccata in
camera sua!", sogghignò compiaciuto.
Incapace di
sopportare oltre, Izuna si voltò di scatto, pronto a fronteggiare gli spiriti
dei due scomparsi. "M-Madara ...? Sei ... sei tu?"
" Sì, fratellino ...?"
Il giovane uomo sbiancò fino al cadaverico, le vene
dei polsi che gli tremavano.
Dietro a lui, con la mano appoggiato sulla sua
spalla, Tobirama gli sorrideva a trentadue denti, imitando perfettamente le
espressioni facciali del fratello defunto. Emanava perfino il suo stesso odore.
"Perché anche se ci denunciassi, chi ti
crederebbe? Ha-ha-ha!!"
"Hashirama ...?!"
I bulbi oculari del kuchiyose geki si presentavano
interamente bianchi, senza iridi né pupille.
"Ha-ha-ha!!
Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!!"
Il mondo prese a girare vorticosamente,
trascinandosi seco l'Uchiha nel buio inchiostro dell'incoscienza.
"Ha-ha-ha!!
Ha-ha-ha!!"
***
Quando Izuna rinvenne, si trovava al pronto
soccorso. Stando al referto medico, lo avevano scovato delirante nell'ufficio
di uno studio fotografico, invocando il fratello e altre due persone, che
nessuno era stato in grado di contattare. Firmando contro la volontà del medico
le carte per il rilascio, il giovane detective era corso allo studio, chiedendo
del loro commesso.
Lo guardarono dispiaciuti.
Controllò l'indirizzo dove, stando ai suo colleghi,
risiedeva il Senju. Il moro trovò il monolocale desolatamente vuoto.
Di Tobirama, ovviamente, nessuna traccia.
Quattro giorni dopo aver assistito alla possessione
spiritica, l'Uchiha apprese per caso dal telegiornale della morte di tale
Uzumaki Mito, professoressa al liceo K ----, la quale si era impiccata in
camera sua. I vicini commentarono che, di recente, la donna aveva sofferto di
gravi attacchi d'ansia e paranoia, sostenendo d'essere costantemente pedinata,
malgrado non fosse mai riuscita a provare alcunché.
Izuna avrebbe dovuto sentirsi vendicato, ma non
provò alcuna soddisfazione nella morte dell'assassina del fratello.
Fece fagotto e partì.
Avrebbe rintracciato di nuovo Tobirama.
Non importava come, dove e quando, ma non gli
sarebbe mai più sfuggito.
Per nulla al mondo avrebbe rinunciato all'ultimo
legame terreno che ancora lo univa a Madara.
Forse - costatò ridacchiando, mentre saliva sulla
corriera per Osaka - forse in tutta quella vicenda l'unico vero pazzo era lui.
~ THE
END ~
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Riuscirà Izuna a mettere le zampe su Tobirama? Boh,
chi lo sa! XD
Comunque, la morale della storia è: "A Madara
piace possedere i corpi dei Senju". Punto.
Scherzi a parte, non potevo a lungo resistere alla
tentazione di scrivere di un Tobirama medium, visto che proprio lui ha
inventato il Kuchiyose (da qui il titolo della storia) Edo Tensei,che evoca
appunto i defunti! Inoltre, il suo nome stesso ha la parola "Porta"
(Tobira) e in questa fic è appunto la "porta" tra i vivi e i morti.
Gli do sempre il tormento nelle mie fic, ma è perché lo adoro. Gli altri miei
personaggi preferiti di "Naruto" possono confermalo (leggasi:
Itachi).
Secondo le leggende giapponesi sui fantasmi, per
loro il tempo appare distorto rispetto ai vivi, ecco perché Hashirama e Madara
ci hanno impiegato tutto questo tempo sia per contattare Tobirama la prima
volta, sia per vendicarsi su di Mito.
E a proposito di lei, avete letto bene? Sul serio
Hoel ha scritto di una Mito assassina? Ebbene sì. E non se ne pente. Il
mio non è bashing, è che per una volta la voglio vedere "cattiva" e
non la solita vittima nel triangolo Hashi-Mada-Mito. Ecco. Eppoi, un pelino mi
sta antipatica lo ammetto ...
Spero che la OS vi sia piaciuta! Al prossimo
aggiornamento, ciao!