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Autore: Hoel    19/02/2015    2 recensioni
Un conto è vedere, un conto è credere a ciò che si vede.
Il primo è obbligatorio, il secondo facoltativo.
Ma è quest'ultimo ciò che definisce la nostra realtà.
***
[Happy B-day Tobirama!]
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hashirama Senju, Izuna Uchiha, Madara Uchiha, Mito Uzumaki, Tobirama Senju
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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B'jour!

Per festeggiare il compleanno del nostro Sassy-rama preferito, voilà un breve racconto horror senza tante pretese, frutto della mia insonnia cronica!

Vi avverto subito che mi sono presa alcune licenze poetiche, così da rendere più accattivante la trama, sebbene come al solito abbia sempre dato spazio alla regola della verosimiglianza.

Buona lettura dunque!

E ...

Happy B-day Tobirama!

 

 

 

H.

P.S. Buon Capodanno cinese! Anno della capra!

*******************************************************************************************************

 

 

 

 

Kuchiyose

 

"Non omnis moriar"

 (Orazio, Odi III, 30, 6)

 

 

 

 

 

 

Un conto è vedere, un conto è credere a ciò che si vede.

Il primo è obbligatorio, il secondo facoltativo.

Ma è quest'ultimo ciò che definisce la nostra realtà.

 

 

 

 

***

 

 

 

"Zucchero?"

"Due zollette, per favore. Quanto tempo abbiamo?"

"Fino al prossimo cliente, ergo dai cinque minuti alle due ore."

"Grazie davvero per aver risposto alla mia chiamata e aver organizzato questo incontro. Significa molto per me."

"Mi hai dato altra scelta?"

"Cerca di capire: sono trascorsi dieci anni da allora. Dieci dannatissimi anni in cui non è saltato fuori niente. Niente di niente. Buio totale. Zero, nisba, nada. E' vero, provasti ad aiutarci quella volta, però non ti credettero e sbagliarono perché sul serio eri tu l'unico in grado di risolvere quell'enigma. Insomma, un testimone oculare! Ma quando incominciai a ricostruire da solo quanto accaduto, tu nel frattempo eri sparito. Ho impiegato un'infinità di tempo, risorse ed energie per rintracciarti. Adesso che ti ho ritrovato, devo sapere la verità!"

"La verità! Molti la cercano, pochi sanno accettarne il peso! Anche al tempio mi chiedevano di raccontare loro la verità, per poi accusarmi di calunnia, di frode, di  ..."

"Immagino quanto sia stata dura per te vivere lì, lontano dal mondo e dalla tua famiglia, ciononostante - ..."

"Tu non hai alcuna idea di quel che ho passato!"

"Per questo hai fatto perdere le tue tracce?"

Silenzio.

"Conosci tu il vero motivo per il quale, quella stessa notte, venni affidato al tempio?"

 

 

 

***

 

 

 

L'una e mezza di notte.

Tobirama giaceva insonne nel suo letto, rigirandosi inquieto e non trovando requie in qualsiasi posizione egli adottasse.

Le luci rossastre dei lampioni filtrate dalle tende socchiuse creavano una penombra malaticcia, distorcendo e dilatando i contorni della sua ben nota cameretta. Nelle stanze accanto, i suoi fratelli minori Kawarama e Itama dormivano il sonno del giusto, le loro innocenti testoline cullate da dolci sogni di zucchero, seta e piume. I loro genitori erano usciti da molte ore assieme ai vicini di casa, i signori Uchiha. Izuna, il figlio più giovane di quest'ultimi, per l'occasione s'era deciso di lasciarlo pernottare da loro e in quel momento se ne stava accoccolato sul futon accanto al letto di Tobirama.

Le due meno un quarto del mattino.

Il quindicenne si coricò su di un fianco, sospirando profondamente. La testa gli girava, la sua vista oscillava instabile e s'ingarbugliava in bizzarri e vorticosi arabeschi, provocandogli fastidiose vertigini pure da sdraiato. L'albino sbuffò la sua frustrazione, abbracciando energico il cuscino per poi disertarlo indispettito e sistemarsi prono.

Chiuse gli occhi.

Niente, non s'addormentava.

Una molesta scarica elettrica, come uno spasimo da crampo,  percorse improvvisamente l'intera sua colonna vertebrale, propagandosi fino alla gamba destra dell'adolescente che, soffiando il suo malessere, cedette alla fitta e scalciò involontariamente. Resistendo all'impulso di ripetere con l'altra gamba, Tobirama si rigirò supino in un balzo, arruffandosi snervato i capelli in battaglia.

Le due e cinque del mattino.

Non riusciva proprio a dormire.

Il ragazzo prese a tamburellare le dita sul suo ventre, socchiudendo gli occhi gonfi e ipersensibili, praticando quegli esercizi di meditazione e di rilassamento appresi per combattere la sua fastidiosa (e alas ricorrente) insonnia. Inspira, trattieni l'aria per due secondi, espira e ripeti quattro volte "Rilassati, rilassati, rilassati, rilassati!" Ma la sua mente traditrice se ne infischiava, ribellandosi e al posto di astrarsi, si concentrò con maggiore alacrità sull'indefinita ansia (o aspettativa, chissà) che lo teneva sveglio, facendolo rimuginare incessantemente su quanto avvenuto di recente. I suoi pensieri s'amalgamavano in un mostruoso blob, trasformandosi in una valanga d'illusioni ottiche diversissime, quasi reali, un collage vivente, un'incalzante sequela di grottesche dissolvenze senza filo logico eppure impossibile d'annientare.

Le due e venticinque del mattino.

Aggrottando la fronte, di nuovo Tobirama tentò di tenere ferme le palpebre indisciplinate, per non dover più assistere a quell'ubriacante maelstrom di luci ed ombre che gli vorticava dinanzi, sul soffitto per la precisione.

Le due e quaranta del mattino.

Quand'ecco, che il vortice cessò di scombussolarlo, concentrandosi in un punto preciso cioè il piccolo lampadario fino a fondersi con esso e facendolo crollare  all'improvviso a qualche spanna dai piedi dell'adolescente, il quale scattò seduto boccheggiando, la fronte madida di sudore.

Le tre meno dieci del mattino.

Tobirama si lasciò cadere sul materasso, imprecando tra i denti. Lanciò un'occhiata malevola ad Izuna che, ignaro di tutto, seguitava a dormire indisturbato, la bocca lievemente schiusa e un'espressione serafica dipinta sui lineamenti rilassati. Afferrata la sua torcia d'emergenza, l'albino aprì allora il libro da poco iniziato, Needful Things di Stephen King, il suo autore preferito. Nonostante la natura orrorifica del romanzo, il mero fatto di leggere aveva sempre placato la difficoltà del Senju ad addormentarsi. Eppure, in quella notte, anche quel rimedio pareva destinato a fallire miseramente: le parole, già di loro stampate piccole e con spazi minimi tra le righe, gli ballavano davanti agli occhi, confondendosi in un'unica grande macchia nera ondeggiante. Tobirama s'arrese e spense la torcia, riponendo deluso il libro sul comodino. Forse, cogitò tuttavia testardo, una bella tazza di latte caldo avrebbe sortito l'effetto sperato. Silenziosamente, facendo attenzione a non svegliare Izuna, s'accommiatò da quella tortura di letto, dirigendosi verso la cucina.

Le tre del mattino.

La casa giaceva in un'oscurità e silenzio pressoché tombale. Si presentava perfino troppo ordinata, quella notte, per essere abitata da sei persone, tra cui quattro irrequieti e caotici adolescenti maschi. Più gli ospiti, ovviamente. Aperto il frigo, Tobirama si servì generosamente dal cartone del latte, ficcando la tazza nel microonde e fissandola infelice mentre girava in tondo su se stessa. Quando scadde il tempo impostato - tin! - egli la ritirò, chiudendo lo sportello col gomito.

Fece appena in tempo a berne un sorso, che i suoi occhi assonati ma vigili si spalancarono terrorizzati. Cacciando un poco dignitoso urletto, il ragazzo abbandonò la presa sulla tazza, la quale cadde rumorosamente, riversando il suo candido contenuto per terra.

"Deficienti! Per poco non mi facevate schiattare di paura!", esclamò adirato Tobirama, appoggiando la mano là dove il suo cuore batteva impazzito. "Vi paiono ore da rincasare? Eravamo preoccupati marci per voi!", berciò, afferrando dal lavello la spugna e nettando vigorosamente il pavimento sporco.

"Scusami, fratellino, non l'abbiamo fatto posta. Non pensavamo d'impiegarci tutto questo tempo", fu il sentito mea culpa di Hashirama, mentre, inginocchiatosi accanto al più giovane, lo aiutava a raccogliere i cocci della tazza. "Vero, Madara? Digli anche tu come ci siamo persi!"

L'interpellato in questione, un giovane moro della medesima età di Hashirama, annuì lentamente. "Siamo stati trattenuti", precisò, scostando una sedia dal tavolo e accomodandovisi.

"Da chi?", domandò incuriosito Tobirama. Era risaputo che i due morosetti (ormai la loro relazione era di dominio pubblico in tutto il condominio, il quartiere, la scuola) avessero la tendenza di girovagare per i fatti loro peggio dei vagabondi, più che altro per sbaciucchiarsi senza che la gente li sghignazzasse dietro. Ciononostante, non s'erano mai comportati così, sparendo per ore e ore senza notificare nessuno. Beh, quasi nessuno. A lui avevano confidato, il giorno prima, dove sarebbero andati quella sera.

E di fatti, il castano replicò confuso: "Non hai detto ai nostri genitori di venirci a cercare presso il ponte? Li stavamo aspettando lì, in caso non fossimo tornati in tempo!"

"Sicuro che li ho avvertiti, ma non è colpa mia se non m'hanno voluto ascoltare!", protestò vivacemente il quindicenne. "Adesso che però siete tornati, potrete spiegarglielo voi di persona!"

I due diciottenni si guardarono lungamente. "Immagino di sì", convenne piano Hashirama, lo sguardo sempre puntato su Madara. Poi, rivolgendosi al minore: "Ci dispiace davvero per tutti i problemi creativi. Non accadrà mai più, promesso!"

"Lo spero bene! Altrimenti, i vostri papà v'ammazzano!"

Entrambi i ragazzi più anziani scoppiarono in una fragorosa risata, la quale tuttavia suonava strana, quasi fredda e meccanica, come se non appartenesse a loro. "Oh, non ce ne sarà bisogno!", l'assicurò Hashirama, prendendo posto accanto al meco. "Piuttosto,  non ci prepareresti un caffè?"

Tobirama si trattenne da spalancare la bocca, decisamente sorpreso da quella richiesta: "Alla tre e un quarto del mattino?"

"Siamo intirizziti!", si lagnò il castano, sfregandosi le braccia melodrammaticamente. "Inoltre, non abbiamo più bisogno di dormire! E a quanto vedo, neppure tu hai tanto sonno!"

L'albino si diresse verso la credenza, sbuffando. Morte e dannazione, perché quei due marrani finivano ogni volta per schiavizzarlo? "D'accordo, ma non prendeteci l'abitudine!", li avvertì, tirando fuori le tazzine e lo zucchero, aspettando che l'acqua bollisse. Quand'ecco, che il suo viso alabastrino s'illuminò. "A proposito! Questo pomeriggio è venuta Mito a portarvi gli appunti di scuola, così non rimarrete indietro con le lezioni! Che gentile da parte sua!"

"Già, molto gentile!", ripeté sarcastico Madara.

"Eddai, non fare lo stronzo! Era davvero in ansia per voi!", lo rimbeccò prontamente Tobirama, conscio tuttavia della tacita e sospettosa gelosia che l'Uchiha nutriva nei confronti della compagna di classe.

Hashirama si mise in mezzo, calmando i due litiganti. "Via, via, non arruffate le penne. E non t'angustiare, Toby, ci prenderemo cura di Mito, vedrai!", gli promise sorridendo. Bevve un sorso della bevanda scura servitagli nel frattanto. "Buono come sempre. Grazie mille, fratellino!", disse, afferrandogli la mano e stringendola con delicatezza, accarezzandogli in seguito il dorso col pollice. 

Appoggiando la sua tazzina semivuota, Madara gli chiese bizzarramente cortese: "Puoi riferire ad Izuna, che da ora in avanti dovrà arrangiarsi da solo coi compiti di fisica?", e detto questo s'alzò, ben presto imitato da Hashirama.

"Un momento! Ve la filate all'inglese in camera vostra senza aiutarmi a ripulire?!", esclamò contrariato il quindicenne, arrossendo d'indignazione. "Che facce toste!"

Il castano proruppe in un risolino divertito, scompigliando i capelli del minore. "Nah, andiamo incontro ai nostri genitori! Qualcosa mi dice, che anche loro si sono persi ...", asserì birbante, lanciando una significativa occhiata al meco. "Portati bene, eh!", si congedò da Tobirama, dandogli una cameratesca pacca sul braccio.

"Ahia, scemo!"

"Hasta luego, pidocchio!", lo salutò sfottitore il moro, scansando la spugna gettatagli dall'inviperito albino, il quale li accompagnò fino alla porta, chiudendola non appena le loro ombre scomparvero dal muro delle scale e il loro allegro cicaleggio venne inghiottito dal silenzio d'un condominio dormiente.

La quiete ritornò nella casa e Tobirama giudicò saggio dirigersi subito in cucina, per riassettarla prima che rincasassero i suoi genitori e i signori Uchiha. Anche se, a confronto della bravata compiuta dai loro figli più grandi, due tazzine sporche di caffè sarebbero certamente passate in secondo, no, terzo piano.

"Già in piedi?", sbadigliò alle sue spalle un assonnato Izuna, grattandosi la zazzera arruffata.

"Non avevo sonno", gli spiegò concisamente l'albino, apprestandosi a pulire. "Tu che ci fai in piedi?"

"Stavo uscendo dal bagno, quando ti ho sentito parlare con qualcuno. Ho pensato fossero i nostri genitori, però non li vedo ...", gli raccontò, ispezionandosi attorno perplesso.

Il suo coetaneo scosse il capo in diniego. "Stavo chiacchierando con Hashirama e Madara; li hai persi per un soffio!"

Izuna strabuzzò gli occhi. "Come? Sono tornati? Davvero?"

"Sì e come ti ho detto, hai mancato di salutarli per tanto così!", ribadì scocciato Tobirama. "Se ti fossi svegliato prima ..."

"Ma dove sono adesso?"

"Stanno andando incontro ai nostri genitori, così almeno m'hanno raccontato ...", fece spallucce il ragazzo. "Dunque, dov'è il detergente liquido?", cogitò ad alta voce.

Colmando velocemente le distanze, l'Uchiha più giovane lo acchiappò per il braccio, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. "Come sarebbe incontro ai nostri geni- ..."

Izuna non terminò mai quella frase.

La porta si spalancò all'improvviso e i due quindicenni non ebbero neppure il tempo di battere le ciglia, che la madre di Tobirama aveva ghermito quest'ultimo per le spalle, scuotendolo violentemente. "Come facevi a saperlo? Parla, disgraziato! Come facevi a sapere dove fossero finiti?"

Dalle scale incominciarono a provenire simili rumori di passi altrettanto forsennati, increduli, avvicinandosi minacciosi come una tempesta da monsone.

"Sono stati gli stessi Hashirama e Madara ad avermelo confidato! E' la verità! E ve l'avevo anche detto, ma voi non mi credevate!", pigolò confuso l'albino, non comprendendo il motivo dell'estrema agitazione della genitrice.

"Non mentirmi, piccolo demonio! Come l'hai scoperto?! Da chi l'hai saputo?!"

"Ma allora, non vi hanno spiegato il motivo per cui s'erano allontanati? M'avevano assicurato, i bugiardoni, che vi sareste incontrati a metà strada e che vi avrebbero delucidato tutto!"

La signora Senju per poco non collassava davanti all'adolescente, tanto il volto aveva assunto un'inquietante tinta cinerea.

"Guarda, mamma!", insistette Tobirama, onde persuaderla definitivamente della sua buona fede. "Erano qui, seduti a questo tavolo, neanche cinque minuti fa! Chiedilo ad Izuna! Ci ha sentiti parlare e ... e ... le tazzine! Non vedi?", disse, porgendole quella da cui aveva bevuto il fratello maggiore. "E' vuota! Non ha rimasugli di zucchero, perché ad Hashirama il caffè piace amaro!" e pigliando quella dell'altro diciottenne. "Mentre quella di Madara - osserva bene! -  non solo ha dello zucchero attaccato al fondo, ma è anche rimasto del caffè perché a lui dà fastidio la polvere che vi si deposita ...", deglutì ansiosamente, prendendo fiato. "Ti giuro che non sto mentendo! Erano qui, li ho visti! Mi avevano istruito d'indicarvi il ponte, giacché sospettavano che avrebbero impiegato molto tempo a ritornare a casa! Si erano persi! Però adesso non importa, visto che ... Mamma?", s'interruppe l'albino, osservando stranito sua madre, la quale aveva raddrizzato meccanicamente la sua postura, un'espressione indecifrabile dipinta sul volto pallidissimo e tirato. "Mamma ...? Mamma, che succede?", tremò impercettibilmente il ragazzo, sopraffatto dall'atmosfera d'un tratto pesante, mefitica.

"Anise?", la chiamò dall'ingresso suo marito Butsuma. "Anise, che facciamo? Cosa dico agli Uchiha? La polizia ..."

La donna squadrò prima il secondogenito, poi Izuna e infine ancora il figlio. Pareva in stato catatonico. Respirava appena.

"Anise!"

Tobirama si sentì nuovamente afferrato per il braccio, ma questa volta per essere trascinato fuori dall'abitazione, scendendo in fretta e furia giù per le scale, senza che nessuno gli avesse concesso il tempo di capire che cosa avesse detto di sbagliato, senza la possibilità d'accommiatarsi dai suoi fratellini né di salutare Izuna, che gli era corso dietro di riflesso finché Butsuma non l'aveva bloccato ...

 

 

 

***

 

 

"... come ben sai, non feci mai più ritorno in quella casa", concluse il Tobirama venticinquenne il suo racconto, contemplando stancamente la propria tazza di caffè. "Né rividi i miei fratellini e genitori."

Lui e il suo interlocutore s'erano ritirati nell'ufficio privato dello studio fotografico in cui lavorava come commesso. Essendo la maggior parte dei clienti in pausa pranzo, nessuno li avrebbe disturbati per un po'.

"Mia madre mi caricò in macchina con solo il cappotto addosso  e le scarpe, niente valige, guidando spedita fino al tempio. Non fiatò per tutto il tragitto. Giunti infine a destinazione, ci fece annunciare da una miko al sacerdote, al quale raccontò l'intera vicenda fino all'ultimo dettaglio, soffermandosi in particolare su quanto le avevo riferito, o meglio, ciò che io sostenevo essermi stato detto dai nostri fratelli maggiori. Il sacerdote mi guardò a lungo e dichiarò che aveva compreso la nostra situazione. Dopodiché mia madre si congedò da lui, lasciandomi lì al tempio. D'altronde, o quello o la clinica psichiatrica."

Uchiha Izuna abbassò il capo, ricacciando indietro il groppo in gola formatovisi. Malgrado fossero trascorsi dieci anni da quella notte maledetta, il suo indelebile ricordo ancora lo torturava. "Sospettava forse che tu li avessi uccisi? Visto che eri l'unico, che sapeva dove fossero stati occultati i cadaveri?", domandò solamente quando giudicò la sua voce abbastanza salda, da non tremare dall'emozione a stento contenutavi. Il pianto inconsolabile dei suoi genitori. Le luci blu della polizia. Suo fratello immobile nel loculo dell'obitorio. Il funerale. E la rabbia nei confronti di chi tuttora non aveva pagato per quel crimine orrendo.

Continuando a tenere abbassato il capo, l'albino rispose incolore: "Lo ignoro" e sorseggiò piano il suo caffè. "Da quel momento in poi, vissi al tempio. Benché non avessi alcuna preparazione in materia, i suoi visitatori mi consideravano in tutto e per tutto un kuchiyose geki, uno sciamano che poteva evocare e interagire coi morti. Venivano a frotte per consultarmi, talvolta in privato talvolta in pubblico, per conoscere la sorte ultraterrena dei loro cari o per disfarsi di fantasmi persecutori. Era un infinito tormento", gli confessò, nascondendo gli occhi con una mano. "Alcuni spiriti si presentavano benevoli e se indugiavano sulla terra era per poter terminare, ciò che in vita avevano lasciato in sospeso. Emanavano calore e malinconia. Come i nostri fratelli", e qui Tobirama abbozzò ad un triste sorriso, il quale scomparve immediatamente, ingoiato da un'espressione di pietra. Il suo corpo prese a tremare. "Ma erano una rarità. Il più delle volte m'imbattevo in spiriti talmente malevoli, pregni di odio, rabbia e sete di vendetta da gelarmi il sangue. Mi sentivo risucchiare via il respiro dai polmoni. Specie, quando i sacerdoti del tempio m'imponevano di ... di permettere loro di ..."

Scattando in piedi, Izuna lo raggiunse, circondandogli consolatorio le spalle con un braccio. I kami soli conoscevano quali terribili esperienze il giovane uomo doveva aver affrontato al tempio, costantemente perseguitato dai volti esangui e deformati di fantasmi ghignanti e ostili, lottando ogni istante per non lasciarsi sopraffare dalla loro energia maligna. Si ricordava, nel corso delle sue ricerche, di alcuni angoscianti video su YouTube, dove venivano filmati alcuni casi di possessione spiritica. Ancora rabbrividiva al pensiero. Il moro si morse colpevole il labbro inferiore, rimpiangendo di non essersi informato prima sulla sorte dell'allora quindicenne, fallendo d'aiutarlo.

"Per questo motivo", riprese l'albino il discorso dopo un lungo silenzio "alla prima occasione scappai dal tempio. Me ne andai lontano, cambiando spesso città e sostenendomi con anonimi lavoretti part-time. I primi anni li vissi nel terrore che mi riconoscessero e mi riportassero al tempio, là dove mi attendevano gli spiriti i quali non vedevano l'ora che io, preso dalla disperazione, mi aggiungessi a loro."

La sottile cicatrice appena appena visibile dalla manica della sua camicia di cotone grezzo spifferò all'Uchiha, quanto Tobirama fosse andato vicino a cadere vittima delle sue stesse visioni.

"E adesso? Li vedi tuttora?"

La voce di Tobirama si ridusse ad un rauco mormorio. "Sempre ... Ovunque ... Però adesso sono io che li controllo, non mi spaventano più come da ragazzo: infatti,  ho imparato a difendermi. Li evoco a mio piacimento; se uno m'infastidisce, gli posso aizzare uno spirito contro finché non impazzisce!" Un'acuta risata sarcastica s'inserì sinistramente, raggelando l'aria e drizzando i capelli sulla nuca del moro. "Potrei quasi definirli i miei unici amici. Tranne quei due,  loro fanno perennemente ciò che vogliono, non c'è verso di ragionarci assieme. Ma li comprendo", reclinò empatico il capo il kuchiyose geki, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il piccolo lavello per pulire la tazza. "Sapevo che mi avresti cercato, Izuna, era questione di tempo. Non sei divenuto un detective privato per combattere la noia, vero? Dev'essere stato frustrante, l'avermi rincorso per tutto il Giappone."

Il moro tacque, limitandosi ad assentire.

Da logico osservatore esterno, egli avrebbe bollato la storia di Tobirama (e quest'ultimo in primis) come la farneticazione d'un pazzo. Perché il Senju doveva essere pazzo. Chissà quali sostanze allucinogene dovevano avergli somministrato al tempio -  pensava la parte razionale del moro - per rendere più veritiere le sue visioni e possessioni! Gli avevano bruciato il cervello, poveraccio. E lui ci credeva seriamente, era questo il bello!

Ma allora, anche Izuna s'aggiungeva al club dei folli e magari manco per scherzo, fuori di menocca lo era sul serio, per aver speso anni a scovare Tobirama, a ricostruire i suoi spostamenti allo scopo di domandargli quell'unica domanda, che lo aveva tormentato fin dalla scoperta dei cadaveri del fratello e del suo ragazzo.

"Chi?"

L'albino si voltò, corrugando disorientato la fronte.

"Chi è l'assassino?", ripeté feroce l'Uchiha. "Tu li hai visti, ci hai parlato! Ancora interagisci con loro! Dunque, conosci il nome di chi li ha rapiti e uccisi dieci anni fa! Perché li hanno assassinati, vero? Non si è trattato di un doppio suicidio d'amore, come ha stabilito scioccamente la polizia!", esclamò bellicoso, portandosi davanti al giovane medium, che supplicò appassionatamente: "Ti prego, Tobirama! Ti prego dimmi come morì mio fratello! Dimmelo! Ti ricompenserò come vorrai! Ma ho il diritto di sapere!"

Il Senju si scostò lentamente, avanzando come in trance verso la scrivania.

Silenzio.

"Madara non doveva morire quella notte. Solo Hashirama. Era lui l'unica vittima designata", gli rivelò infine, mordicchiandosi il polpastrello del pollice. Lungo il dito scene una sottile e languida scia di sangue. "Siccome, però, l'uno non stava mai senza l'altro, ebbene ..."  e lasciò sospesa la frase, preferendola terminare con un significativo svolazzo della mano, emulando un fittizio sgozzamento.

Ancora silenzio.

Era una fallace impressione di Izuna, o la temperatura era notevolmente scesa nella stanza?

"Chi è stato?"

"Se te lo confidassi, tu che faresti dopo?"

Izuna strinse i pugni. "Il nome."

Tobirama, invece, gli cedette una foto estratta dalle cartelle dei loro clienti.

Strappandogliela quasi di mano, il detective la studiò snervato: "E' una foto di classe, per di più di quest'anno! Che accidenti c'entra ...?"

Le parole gli morirono in gola; similmente, il suo cuore smise di battere per qualche secondo.

L'insegnante.

Eternamente diciottenni, Hashirama e Madara circondavano da dietro l'insegnante, uno a destra e l'altro a sinistra, sorridendole malevoli, come se stessero gridando trionfi: "Tu ci hai ucciso!"

L'Uchiha conosceva bene quel volto, troppo bene! Quante volte lo aveva scorto dai vicini? Nel quartiere? A scuola? Al funerale dei loro fratelli?

"Eggià, Izuna, è stata proprio lei. Brutta cosa l'amore a senso unico", si posò una mano sulla spalla del moro, pietrificandolo dalla sorpresa. Un respiro freddo gli gelò l'orecchio, mentre la voce di Hashirama (una voce che non sentiva da dieci anni eppure era lui, maledizione, era lui!) gli mormorava: "L'avevo detto a Tobirama, no?, che ci saremmo presi noi cura di Mito!"

Il moro ansimò sconvolto, il corpo paralizzato dalla paura.

"Perciò, fratellino", proseguì la voce di Madara, la quale non era cambiata di un accento "non ti preoccupare se, uno di questi giorni, dovessi mai leggere sui giornali di una certa professoressa Uzumaki morta impiccata in camera sua!", sogghignò compiaciuto.

Incapace di sopportare oltre, Izuna si voltò di scatto, pronto a fronteggiare gli spiriti dei due scomparsi. "M-Madara ...? Sei ... sei tu?"

" Sì, fratellino ...?"

Il giovane uomo sbiancò fino al cadaverico, le vene dei polsi che gli tremavano.

Dietro a lui, con la mano appoggiato sulla sua spalla, Tobirama gli sorrideva a trentadue denti, imitando perfettamente le espressioni facciali del fratello defunto. Emanava perfino il suo stesso odore.

"Perché anche se ci denunciassi, chi ti crederebbe? Ha-ha-ha!!"

"Hashirama ...?!"

I bulbi oculari del kuchiyose geki si presentavano interamente bianchi, senza iridi né pupille.

"Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!!"

Il mondo prese a girare vorticosamente, trascinandosi seco l'Uchiha nel buio inchiostro dell'incoscienza.

"Ha-ha-ha!! Ha-ha-ha!!"

 

 

 

***

 

 

 

Quando Izuna rinvenne, si trovava al pronto soccorso. Stando al referto medico, lo avevano scovato delirante nell'ufficio di uno studio fotografico, invocando il fratello e altre due persone, che nessuno era stato in grado di contattare. Firmando contro la volontà del medico le carte per il rilascio, il giovane detective era corso allo studio, chiedendo del loro commesso.

Lo guardarono dispiaciuti.

Controllò l'indirizzo dove, stando ai suo colleghi, risiedeva il Senju. Il moro trovò il monolocale desolatamente vuoto.

Di Tobirama, ovviamente, nessuna traccia.

Quattro giorni dopo aver assistito alla possessione spiritica, l'Uchiha apprese per caso dal telegiornale della morte di tale Uzumaki Mito, professoressa al liceo K ----, la quale si era impiccata in camera sua. I vicini commentarono che, di recente, la donna aveva sofferto di gravi attacchi d'ansia e paranoia, sostenendo d'essere costantemente pedinata, malgrado non fosse mai riuscita a provare alcunché.

Izuna avrebbe dovuto sentirsi vendicato, ma non provò alcuna soddisfazione nella morte dell'assassina del fratello.

Fece fagotto e partì.

Avrebbe rintracciato di nuovo Tobirama.

Non importava come, dove e quando, ma non gli sarebbe  mai più sfuggito.

Per nulla al mondo avrebbe rinunciato all'ultimo legame terreno che ancora lo univa a Madara.

Forse - costatò ridacchiando, mentre saliva sulla corriera per Osaka - forse in tutta quella vicenda l'unico vero pazzo era lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~    THE END  ~

 

 

 

 

*********************************************************************************************************

Riuscirà Izuna a mettere le zampe su Tobirama? Boh, chi lo sa! XD

Comunque, la morale della storia è: "A Madara piace possedere i corpi dei Senju". Punto.

Scherzi a parte, non potevo a lungo resistere alla tentazione di scrivere di un Tobirama medium, visto che proprio lui ha inventato il Kuchiyose (da qui il titolo della storia) Edo Tensei,che evoca appunto i defunti! Inoltre, il suo nome stesso ha la parola "Porta" (Tobira) e in questa fic è appunto la "porta" tra i vivi e i morti. Gli do sempre il tormento nelle mie fic, ma è perché lo adoro. Gli altri miei personaggi preferiti di "Naruto" possono confermalo (leggasi: Itachi).

Secondo le leggende giapponesi sui fantasmi, per loro il tempo appare distorto rispetto ai vivi, ecco perché Hashirama e Madara ci hanno impiegato tutto questo tempo sia per contattare Tobirama la prima volta, sia per vendicarsi su di Mito.

E a proposito di lei, avete letto bene? Sul serio Hoel ha scritto di una Mito assassina? Ebbene sì. E non se ne pente. Il mio non è bashing, è che per una volta la voglio vedere "cattiva" e non la solita vittima nel triangolo Hashi-Mada-Mito. Ecco. Eppoi, un pelino mi sta antipatica lo ammetto ...

Spero che la OS vi sia piaciuta! Al prossimo aggiornamento, ciao!

 

  
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