~ Unione d'amore ~
– Bambini, è ora
di pranzo!
I due ragazzini si
voltarono all'unisono verso casa, puntando quei loro sguardi luminosi
d'eccitazione e divertimento sulla finestra dalla quale la donna si
era appena affacciata a richiamarli dai loro giochi.
Gou, cinque anni
compiuti, richiamò il suo beyblade blu scuro e prese per mano la
sorella, prima di iniziare a correre verso la porta.
Il sole splendeva
radioso sul lungomare, rendendo quell'estate una delle più belle
degli ultimi tempi, ma le risate dei bambini sovrastarono senza
problemi il richiamo dei gabbiani ed il rumore delle onde, prima che
raggiungessero l'ombra dell'ingresso della residenza estiva di
famiglia.
Era una casa grande,
ma sebbene l'arredamento sottolineasse una certa situazione economica
benestante, l'ambiente “asettico” era vivacizzato e
riscaldato dalla semplice presenza dei loro genitori. Non che questi
avessero atteggiamenti chissà quanto esuberanti o mielosi,
tutt'altro. Era semplicemente la loro presenza a cambiare la visione
che avevano i due ragazzini del luogo altrimenti troppo formale in
cui erano andati a passare le loro vacanze estive.
Perché, in fin dei
conti, basta l'amore di una famiglia per scaldare il cuore di un
bambino.
Piombando in cucina,
Keiko, maggiore solo per pochi minuti, andò dritta verso il tavolo
ma si fermò a metà strada, gli occhi scuri sgranati.
– Dov'è papà?
A quella domanda la
loro madre si voltò con una ciotola di insalata fra le mani ed in
volto un'espressione in parte perplessa.
– Dovrebbe essere
ancora di sopra a parlare con il nonno.. – ipotizzò, prima di
abbassare i suoi occhi verde smeraldo sui due bambini e sorridere ad
entrambi con fare incoraggiante – ..perché non andate a chiamarlo?
I due gemelli
annuirono all'unisono e si precipitarono fuori dalla cucina, dando il
tempo alla donna dai lunghi capelli corvini di finire di mettere in
tavola. Keiko, più veloce del fratellino, fu la prima ad agguantare
la maniglia, ma si fermò appena in tempo, ricordandosi le buone
maniere all'ultimo secondo.
Gou le finì
addosso, ma dopo le iniziali proteste si zittì, rammentando le
raccomandazioni di sua madre sul disturbare il loro padre quando
lavorava. Così lasciò che fosse lei a ruotare la maniglia e ad
entrare per prima, seguendola dappresso per fermarsi entrambi appena
oltre la soglia.
L'ampia stanza di
fronte a loro era bianca, illuminata dai raggi che entravano
liberamente dalle ampie vetrate lasciate socchiuse, insieme ad una
leggera brezza che recava con sé l'odore del mare. Al tavolo che
costituiva, anch'esso in vetro, l'arredo principale di quella stanza,
erano accostate una serie di sedie nere e dal taglio moderno, in
mogano e metallo. Su una di queste il loro adorato padre stava dando
segni di insofferenza, intento a parlare al telefono premuto contro
l'orecchio sinistro mentre esaminava una pila di fogli sorretta con
l'altra mano, di fronte a sé.
Quando tuttavia, un
secondo dopo, i suoi occhi di brace si sollevarono da quei documenti
posandosi sui due bambini, l'espressione in parte corrucciata sul suo
viso si distese in una vagamente più sorpresa e rilassata. Quel
genere di espressione che per i due gemelli era fonte di una nuova
luce nella stanza.
– Ora scusami, ma
credo sia ora di pranzo – disse in tono informale al suo
interlocutore, prima di lasciar seguire una pausa e aggiungere –
Sì, certo.. non mancherò – lasciò i fogli sul tavolo per
ravviarsi le ciocche d'argento che gli pendevano sulla fronte, senza
distogliere lo sguardo dai due bambini – Anche a voi.
Quindi riattaccò,
appoggiando il cellulare accanto a sé, prima di lasciarsi sfuggire
un sospiro e abbandonare quello scomodo appoggio per alzarsi in
piedi.
– Ditemi pure –
li esortò a farsi avanti, aggirando quel tavolo per accoglierli.
Era quello il
segnale a cui avevano entrambi imparato a reagire e, come se fossero
due cuccioli appena liberati dal guinzaglio, i due gemelli - fino a
quel momento recalcitranti ed impazienti - si fiondarono sull'uomo di
fronte a loro, abbracciandolo con slancio.
– Papà, papà! –
chiamò Keiko – Sai, ho lanciato Dranzer lontanissimo oggi, fino
alla fine del molo!
– Non è vero, io
ho lanciato Night più lontano! – esclamò contrariato Gou,
imbronciandosi.
– Invece no, sono
stata più brava io!
– Ehi, ehi! – si
intromise l'adulto in tono bonario, sorridendo e posando una mano sul
capo di ognuno ed inducendoli a sollevare di nuovo lo sguardo su di
lui – ..non litigate, lo sapete cosa succederà se la mamma vi vede
– disse loro, smorzando quella discussione sul nascere. Scelse di
cambiare discorso – Non volevate dirmi qualcosa?
– Ah sì! – si
illuminò la femmina, i cui capelli scuri erano sfumati d'argento
sulle punte e sparati in ogni direzione umanamente immaginabile –
La mamma ci ha mandati a chiamarti.
– È pronto! –
esclamò interrompendo di nuovo la sorella, Gou, i cui occhi verde
scuro erano molto simili a quelli della madre, mentre i capelli erano
tali e quali quelli del padre.
Questi annuì e,
sollevandoli entrambi, se ne posizionò uno su una spalla e l'altra
se la tenne stretta sottobraccio, contro il fianco sinistro,
ignorando le proteste divertite dei due gemelli finché non entrarono
tutti e tre in cucina.
Quando li vide
giungere così, la madre abbozzò un mezzo sorriso e sollevò un
istante lo sguardo verde smeraldo al cielo, prima di aprire bocca.
– Kei, mettili giù
o non riusciranno a mangiare nulla per i giramenti di testa.
– Meglio, così ne
rimarrà di più per me – affermò il vice-presidente della
Hiwatari, convinto.
I due bambini
ripresero a protestare a gran voce, facendo sbuffare di divertimento
l'uomo che era il loro padre mentre si arrendeva all'evidenza e li
rimetteva coi piedi per terra. Appena furono libere, le due pesti si
fiondarono ai loro posti, arrampicandosi rispettivamente ognuno sulla
propria sedia.
Osservando la scena
con un mezzo sorriso, Yukiko prese posto accanto a quello che era
divenuto suo marito.
– Buon appetito! –
esclamarono i due piccoli, prima di fiondarsi sul cibo in maniera
diversamente famelica.
Keiko, la più
controllata dei due, mangiava regolarmente con le bacchette un
boccone per volta, mentre Gou cercava di riempirsi la bocca più che
poteva ad ogni morso tenendo la scodella di riso sollevata vicino al
viso e spingendo il suo contenuto con movimenti metodici delle due
asticelle in legno.
– Gou, non
ingozzarti a quel modo – lo redarguì con calma suo padre, prima di
far sparire un gamberetto impanato in bocca.
– E tu, amore mio,
dovresti smettere di riempirti il piatto di gamberi e lasciarne un
po' anche a noi.. – lo riprese ironicamente Yukiko, ben consapevole
di non poter ottenere nessun risultato nemmeno questa volta. Erano
anni che cercava, neanche seriamente, di fargli presente la necessità
di condividere tutto ciò disposto in tavola con i commensali
presenti.
Ci pensarono i due
bambini a sottrarre il bottino al genitore, afferrando ognuno con
movimenti precisi e veloci delle bacchette almeno tre gamberetti a
testa, prima che tutti e tre inscenassero una sorta di 'battaglia
di bacchette' all'ultimo colpo sulla tovaglia.
Scuotendo il capo
con aria sconsolata, la mora si limitò a continuare a mangiare come
se niente fosse, seppur sorridendo fra sé e sé.
Per quanto quella
scena fosse divenuta familiare ai suoi occhi, continuava a sentirsene
incredula per l'allegria e la vivacità che avevano portato i due
eredi dell'impero Hiwatari nelle loro vite. In cuor suo non aveva mai
neanche sperato, in un passato non troppo lontano, che avrebbe
assistito ad una scena del genere. Non quando si parlava di lui.
Di Kei Hiwatari.
L'ampio e luminoso
sorriso combattivo di suo marito era di per sé qualcosa a cui non si
sarebbe mai abituata, lo sapeva. L'aveva saputo sin dal primo momento
in cui gliel'aveva visto in volto.. e ricordava fin troppo bene
quell'occasione, giunta nel giorno più importante della loro vita.
Un giorno che non
avrebbe mai potuto dimenticare.
Un giorno impresso
nella memoria di entrambi, anche di lui.
~
Era trascorso ormai
un anno e mezzo da quel Capodanno in compagnia.
Un anno e mezzo
durante il quale erano cambiate alcune cose, mentre altre erano
rimaste praticamente immutate.
Kei stava rientrando
in casa sua proprio in quel momento e non si stupì del via vai di
servitù a cui si trovò di fronte una volta varcato il portone
d'ingresso. D'altronde, non avrebbe potuto essere altrimenti in una
giornata tanto importante per la sua famiglia.
– Signorino,
dov'eravate finito?
Voltandosi verso
William, il capo-maggiordomo, il dranzerblader si sentì molto più
incline ad ignorarlo, piuttosto che dargli una qualche risposta.
Inarcò tuttavia un sopracciglio nel vedere l'ometto di terza età
tradire un malcelato nervosismo nella posa impettita del busto e nel
continuo movimento degli occhi febbrili per l'ambiente, tenendo
d'occhio quel cameriere con la pila di piattini che si stava
dirigendo verso la porta finestra e quell'altra domestica che stava
premurandosi di dare una mano a portar fuori una serie di bicchieri
di cristallo.
Sospirando
interiormente, rammentò perfettamente di non esser l'unico in ansia
per quel giorno e, dopo aver abbozzato una smorfia relativa all'uomo
di cui gli era appena tornato in mente, aprì bocca.
– Dovevo fare una
cosa. Mio padre a che punto è?
– È di sopra a
provarsi l'abito.
Kei annuì con un
cenno del capo prima di proseguire verso l'ampia scalinata che lo
avrebbe condotto al piano superiore, salendo con passo deciso una
serie di rampe di scale fino a ché non riuscì ad imboccare il
corridoio che gli interessava. Si fermò soltanto quando, giunto di
fronte alla camera da letto del suo unico genitore, ne varcò la
soglia spalancata e si prese un attimo di tempo per cercare con gli
occhi l'uomo.
Lo trovò fermo di
fronte all'alto specchio appeso all'interno del suo stesso armadio a
muro, intento a cercare di aggiustarsi il cravattino sotto al
colletto della camicia immacolata. Cogliendone l'espressione tesa e
concentrata nel riflesso, il giovane Hiwatari si fece avanti di
qualche altro passo, limitandosi a dare uno sguardo sommario al
completo di giacca e pantalone color avorio che aveva scelto e la cui
tonalità chiara era smorzata soltanto dalla rosa rossa appuntata sul
petto, proprio all'altezza del taschino. Quella scena gli fece
nascere un mezzo sorriso in volto.
Erano anni che non
vedeva suo padre così nervoso come in quel momento.
– La tradizione
impone che sia la sposa ad arrivare in ritardo, non lo sposo.
Il signor Hiwatari
si voltò per un attimo a guardarlo con un barlume di sorpresa, ma
l'istante successivo era di nuovo ad armeggiare coi due lembi di
quella stoffa pregiata, per effettuare l'ennesimo tentativo di trarne
fuori un papillon simmetrico.
– Se avessimo
optato per una cerimonia più tradizionale non sarei qui a cercare di
annodarmi quest'affare..
– No, saresti
ancora più in crisi con l'obi del kimono, probabilmente.
– Umphf – sbuffò
suo padre.
Quella reazione,
così simile a quelle che ogni tanto aveva il figlio, gli ricordarono
da chi avesse in parte preso il suo carattere suo malgrado, ed il
pensiero gli fece un effetto strano. Fu come se, per la prima volta,
Kei potesse finalmente sentirsi in qualche modo legato a quella
persona da qualcosa di più di un semplice cognome, e la cosa gli
fece perdere per un momento lucidità. Ci pensò il padrone di casa a
riportarlo alla realtà con la domanda successiva.
– Sei passato in
gioielleria?
Il dranzerblader
annuì con un cenno del capo, infilando la mano destra nella tasca
dei pantaloni per tirarne fuori una scatolina in velluto nera, al cui
interno erano state riposte le fedi nuziali d'oro giallo che il
signor Hiwatari aveva commissionato con ben due mesi d'anticipo.
Avvicinandosi allo sposo, gliele mostrò e il cenno d'assenso greve
di questi fu l'unico segno di apprezzamento per il lavoro del
gioielliere, prima che tornasse ad armeggiare con il cravattino.
Finalmente parve
soddisfatto del risultato finale e fece un passo indietro per
scrutare la sua immagine riflessa con occhio critico, prima di donar
un cenno d'assenso anche ad essa e voltarsi definitivamente verso il
figlio. Solo in quel momento parve rendersi conto della tenuta di
quest'ultimo.
– Vedo che sei già
vestito..
– Io non ho perso
tempo ad infiocchettarmi il cravattino decine di volte – gli
rispose ironico lui di rimando.
– Di sotto come
procedono i preparativi per il ricevimento?
– William ha tutto
sotto controllo.
– Bene –
commentò soltanto il signor Hiwatari, prima di lasciar vagare lo
sguardo per la stanza e poi ripetere allo stesso modo – Bene.
Di fronte al
nervosismo di suo padre, Kei si ritrovò per l'ennesima volta a
sogghignare fra sé e sé e questo gli diede modo di distrarsi dal
proprio stato d'animo che, suo malgrado, era l'esatta copia di quello
di lui. Quando tuttavia il presidente della Hiwatari si mosse,
nel passargli accanto gli posò una mano sulla spalla, stringendo
appena in un unico rapido gesto cameratesco che gli causò un certo
stupore.
– Andiamo.
Seguendolo in
principio solo con lo sguardo, il ragazzo dai capelli d'argento tardò
una manciata di secondi ad andargli dietro, preso alla sprovvista da
quanto appena avvenuto in quella camera. Non rammentò l'ultima volta
in cui suo padre si fosse sbilanciato a quel modo, fatto di per sé
scoraggiato dalla sua precedente determinazione a mantenere con lui
una certa distanza. Da qualche tempo la temperatura s'era fatta meno
gelida fra padre e figlio, causa che era da imputarsi senza ombra di
dubbio all'entrata delle due Natsuki nelle loro vite.
Ed ora, una delle
due sarebbe entrata a far parte ufficialmente della famiglia
Hiwatari.
– Si può sapere
che stai combinando? Esci, siamo in ritardo!!
Yukiko era ferma nel
corridoio, intenta a bussare con una certa insistenza alla porta del
bagno all'interno del quale sua madre si era chiusa da almeno
mezz'ora. Quando finalmente questa si decise ad aprirle, la mora
trasalì: la donna che l'aveva messa al mondo le sfilò davanti in
corridoio, cercando di tener sollevata l'ampia gonna dell'abito
bianco e rosso che aveva scelto per quel giorno così importante. Con
occhio critico la nightblader tentò di capire cos'avesse fatto sua
madre nell'ultima frazione d'ora trascorsa davanti allo specchio, ma
con sollievo concluse che l'acconciatura era tale e quale quella che
il parrucchiere le aveva fissato con litri di lacca spray.
– Oddio, non posso
crederci, è così tardi! Dov'è il velo? Yuki, sei sicura che non
sia il caso di andare con la nostra macchina? Posso guidare,
davvero..
– Mamma!
Il tono fermo con
cui la chiamò fece girare il suo unico genitore su sé stessa
proprio mentre stava imboccando le scale, sortendo l'effetto sperato.
Una volta guadagnatasi la sua completa attenzione, Yukiko sospirò di
rassegnazione, facendosi avanti nel suo completo in giacca e
pantaloni color grigio argento, mostrandole una facciata di calma
assoluta.
– La limousine è
già davanti casa che ci aspetta – le annunciò, prima di sollevare
la mano sinistra e mostrarle così il velo che stringeva
delicatamente – Il velo ce l'ho io e ti consiglio di smettere di
sudare, o rovinerai il tuo bellissimo abito.
La donna assunse una
smorfia d'insofferenza, ma quando poco dopo aprì bocca non fu per
ribattere qualcosa al riguardo, ma per chiederle, con una certa
preoccupazione – Sei sicura che vada bene? Non hai che da dirmelo
se sei contraria a tutti questi cambiamenti, possiamo mettere un
freno a tutto quanto..
– Mamma, ne
abbiamo già parlato – ribatté con fermezza la mora, puntando i
suoi occhi di smeraldo in quelli dell'altra – Niente di tutto
questo mi mette a disagio o altro, e mi sta bene anche il
trasferimento. Ho già predisposto le valige e finirò il trasloco in
un paio di giorni al massimo. Quando sarete di ritorno dalla luna di
miele fra due settimane, sarò già perfettamente ambientata.
Questo, almeno, era
quel che si augurava da due mesi a quella parte.
In realtà non aveva
idea di come sarebbe stato vivere tutti e quattro insieme sotto lo
stesso tetto, seppure si trattasse di un tetto delle dimensioni della
villa della famiglia Hiwatari. La sua nuova famiglia, si ritrovò a
rammentare, seppur con una certa incredulità. Be', almeno avrebbe
mantenuto il proprio cognome, si disse.
La cosa positiva era
che sarebbe stato bello avere Kei così vicino, finalmente.. e forse
avrebbero avuto modo di condividere la stessa stanza, non solo lo
stesso tetto. Il pensiero la fece arrossire meccanicamente, ma un
movimento nel suo campo visivo la fece tornare con un battito di
ciglia alla realtà: sua madre stava scendendo le scale.
– Puoi prenderti
tutto il tempo che vuoi tesoro, davvero – stava dicendo la donna
nel mentre – Sei abbastanza grande da poter decidere da sola cosa
preferisci fare della tua vita, non solo per occuparti dell'azienda
durante la mia assenza..
– Andrà tutto
bene – le rispose trattenendo a stento l'esasperazione e
interrompendola senza remore, affrettandosi a starle dietro.
Quando sua madre ci
si metteva sapeva essere davvero esasperante!
Si accorse di avere
ancora il suo velo in mano quando, giunta al piano terra, cercò di
allungare la stessa verso le chiavi.
– Mamma, il velo!
Vieni qui!
Una manciata di
minuti dopo erano finalmente in macchina, l'una accanto all'altra,
mentre questa faceva rotta verso la chiesa prenotata per la cerimonia
nuziale. Fuori dal finestrino oscurato le case e gli incroci si
susseguirono veloci sotto lo sguardo pensieroso della blader, finché
lo squillo del cellulare della sposa al suo fianco non risuonò
nell'abitacolo.
Yukiko scoccò a sua
madre un'occhiata in tralice, proprio quando l'altra stava
accostandosi l'oggetto all'orecchio.
– Pronto?
Rimase a fissarla
insistentemente per tutta la conversazione, i cui toni lasciavano
intuire che fosse una telefonata di lavoro, sul punto di strapparle
il cellulare di mano quando l'autista annunciò che erano quasi
arrivate da oltre la barriera divisoria. Quando finalmente la signora
Natsuki riagganciò, sembrò notare il cipiglio della figlia e
abbozzò un'espressione fra il perplesso e l'austero.
– Cosa c'è?
– Spegni quel
coso.
Le sopracciglia di
sua madre scattarono verso l'alto e la piega delle labbra si
assottigliò – Ma..
– Niente “ma”!
Dammelo – categorica, Yukiko tese il braccio e la mano aperta in
sua direzione, continuando a guardarla malissimo finché la sposa non
si arrese e le consegnò il cellulare con un sospiro. Facendolo
sparire nella propria borsetta, la mora allora le annunciò
impassibile – Lo riavrai questa sera, al termine del ricevimento.
Sua madre la guardò
ancora per una manciata di secondi con espressione attonita, in un
silenzio assoluto che si protrasse finché la limousine non si
arrestò definitivamente davanti all'ingresso della graziosa chiesa
che era la loro meta ultima.
Poco dopo la
portiera dal lato di sua madre venne aperta e il volto sorridente e
rispettoso dell'autista della famiglia Hiwatari comparve nel vano
dell'abitacolo, tendendo una mano verso la sposa per aiutarla a farla
scendere. Yukiko era già pronta ad offrire il braccio a sua madre,
quando quella finalmente scese dall'auto, e il sorriso che le rivolse
alla vista della sua espressione ansiosa fu incoraggiante e
subitaneamente ricambiato.
Eccola lì, la
felicità e l'emozione di cui era stata testimone fino a ventiquattro
ore prima; ovvero, finché non era sopraggiunto il classico attacco
di panico dell'ultimo minuto. Neanche fosse il primo matrimonio a cui
la donna avesse partecipato in veste di sposa. In teoria, avrebbe già
dovuto essere psicologicamente preparata a fare quel passo.
Sollevando gli occhi
al cielo, la nightblader si sentì grata del limpido color azzurro
ceruleo che le si palesò in risposta. Una giornata di fine maggio
dominata dal bel tempo, il sole che brillava luminoso ed
incontrastato, scaldando l'aria primaverile coi suoi raggi. Una
fortuna insperata, vista la frequenza con cui aveva piovuto nel corso
delle ultime due settimane; un altro motivo per cui sua madre era
uscita di testa la sera precedente.
Non aveva alcun
dubbio: prima quella giornata sarebbe terminata, meglio sarebbe stato
per i suoi nervi.
Ormai il suo livello
di sopportazione era al limite, a giudicare dal lieve giramento di
testa che la colse appena entrata all'ombra della chiesa.
Assistendo alla
cerimonia nuziale, il dranzerblader si ritrovò per l'ennesima volta
a pensare a ciò che si era prefissato di fare di lì a poche ore e
lo sguardo gli ricadde inevitabilmente sulla sua compagna. Era bella,
ovviamente, con quei suoi capelli neri raccolti in una treccia che le
ricadeva morbidamente su una spalla ed il completo color grigio
perla.
Certo, che si fosse
ormai abituato all'idea di averla accanto, di saperla ricambiarlo,
non aveva sminuito l'effetto che gli faceva nemmeno a distanza di
quasi due anni dal loro primo incontro. Per questo aveva ormai preso
la sua decisione.
Quando, poche
settimane prima, ne aveva parlato a suo padre, lo aveva visto
sorpreso sì, ma anche fastidiosamente entusiasta per la notizia.
Ovviamente gli aveva dovuto far promettere di non aprire bocca con
nessuno, nemmeno con la sua fidanzata, proprio perché aveva imparato
a conoscere entrambi in minima parte. Un progetto segreto nelle mani
di Sakura Natsuki rischiava seriamente di finire sbandierato davanti
al diretto interessato senza possibilità di scampo.
Così, con l'aiuto
psicologico dell'Aquila, aveva organizzato tutto.
Non gli restava da
far altro che mettere ciò che aveva pianificato in pratica, dopo
pranzo.
Il pensiero lo rese
talmente nervoso da fargli sudare le mani, cosa che rischiò di
metterlo in difficoltà quando venne il momento di apporre la sua
firma di 'testimone dello sposo' sul documento che
ufficializzava quella nuova unione.
Così attese con
ansiosa pazienza il termine della cerimonia ed accolse quasi con
liberazione le ultime parole del sacerdote, mentre dava il permesso
agli sposi di baciarsi per sancire così quel matrimonio.
Osservando
attentamente suo padre, ne studiò per l'ennesima volta l'espressione
incredibilmente felice ed emozionata insieme, avvertendo a propria
volta sottopelle un'emozione nuova, come un brivido inatteso che si
intensificò e scomparve quando avvertì il tocco delicato di Yukiko
mentre infilava con fare discreto la mano nella sua.
Lui la strinse di
rimando quasi automaticamente, voltandosi a guardarla ancora una
volta senza tuttavia incrociarne lo sguardo di smeraldo per più di
un istante. Ammirandola al suo fianco, così composta eppure
apparentemente vulnerabile, colse su quel viso - i cui tratti
conosceva a memoria - una leggera tensione che egli riconobbe nata da
sentimenti simili ai suoi. Quella consapevolezza inattesa lo indusse
a serrare con più calore, per un paio di secondi soltanto, la
stretta sulla mano di lei, intrecciando le dita con le sue e
sorridendole debolmente quando lei si voltò a cercarlo con lo
sguardo.
Incrociandone quella
seconda volta l'iridi verdi, le notò tinte di un riverbero più
intenso, dovuto ad un sottile strato di lacrime, ed il dranzerblader
avvertì il proprio cuore sussultargli nel petto. No, ormai non aveva
più alcun dubbio.. e non ricordava di essere mai stato così sicuro
di qualcosa come in quel momento.
– I testimoni
accanto agli sposi per le foto – li richiamò la voce di uno dei
fotografi, riportando entrambi al presente.
Riportando lo
sguardo lungo la navata, Kei piegò le labbra in una smorfia alla
vista della moltitudine di parenti e non pressati intorno agli sposi
per rientrare nelle foto commemorative e fare le dovute
congratulazioni per la lieta unione.
– Su, cerca di non
fare il solito musone – gli sussurrò a tradimento la nightblader
l'istante successivo, facendogli inarcare un sopracciglio nel tornare
ad inquadrarla nel proprio campo visivo. Lei ridacchiò, scherzosa,
già facendosi avanti senza per questo lasciargli la mano, così
all'argenteo non rimase altro da fare se non seguirla, senza neanche
fare troppa resistenza.
In fondo, dopo le
foto ufficiali sarebbero finalmente stati liberi di recarsi al luogo
del ricevimento ed una volta lì, lui avrebbe potuto mettere in atto
ciò che aveva in mente. Il pensiero minacciò di farlo irrigidire
mentre ripercorreva mentalmente ogni passo ed ogni preparativo fatto.
Sarebbe dovuta
andare bene.. aveva a disposizione una sola occasione e per la prima
volta in vita sua, provava l'intenso desiderio di fare le cose nel
modo giusto. Certo, senza per questo deviare troppo dalla sua stessa
personalità controversa. La stessa che la moretta, ora al fianco
della sposa ed intenta a sorridere all'obiettivo delle macchine
fotografiche, aveva definito tale, seppur confessandogli che era
merito anche di questa se aveva finito per innamorarsi di lui.
Il pensiero lo fece
sorridere automaticamente, espressione che venne catturata da almeno
un paio di flash.
Con una certa
perplessità, la giovane Natsuki osservò dal basso verso l'alto la
figura del proprio ragazzo, fermo accanto alla sua sedia ed in attesa
di una risposta. Era tutto il giorno in verità che le era sembrato
un po' strano, diverso dal solito, e la cosa aveva iniziato ad
insospettirla un po' quando aveva tardato, due ore prima, a staccare
le mani dal volante una volta spento il motore e posteggiata l'auto
davanti all'ingresso della villa.
Ora, messa di fronte
alla proposta di fare due passi, Yukiko si ritrovò a chiedersi
quando fosse stata l'ultima volta che aveva sentito il suo
dranzerblader prendere quel tipo di iniziative, senza riuscire a
darsi una risposta precisa. Decisamente parecchio, decise in un
battito di ciglia.
Scegliendo di non
stare a sindacare oltre sulla questione e prendendo la palla al
balzo, nella speranza che due passi la aiutassero a far passare quel
lieve senso di nausea alla bocca dello stomaco, annuì con un
semplice cenno del capo prima di sollevarsi in piedi a propria volta.
Abbandonarono il proprio posto al tavolo degli sposi, approfittando
del fatto che i due erano intenti ad occupare la pista da ballo
allestita sul prato lì accanto, per allontanarsi con passo
tranquillo dalla zona adibita apposta ad ospitare il ricevimento.
Percorrendo il
sentiero che conduceva, con un'andatura serpeggiante, verso il
laghetto al centro della tenuta, la mora approfittò del quieto
silenzio sceso fra loro per osservare con rinnovata attenzione il
ragazzo che le procedeva accanto. Per quell'occasione si era proprio
messo in tiro, agghindandosi con un completo di giacca e pantaloni
rigorosamente nero, a cui mancava soltanto la cravatta per farlo
assomigliare ad un agente segreto. All'orecchio aveva un piccolo
orecchino che catturava a tratti i raggi del sole, rivaleggiando con
i ciuffi più chiari della frangia, sparsi in una parvenza di
disordine che si rifletteva nei due bottoni superiori della camicia
slacciati. Lo sguardo puntato in avanti, procedeva con passo
misurato, di una cadenza diversa dalle solite in realtà sebbene non
si potesse dire che fosse in qualche modo rigido.. non ad una prima
occhiata per lo meno, soprattutto grazie alla posa rilassata delle
braccia, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni con una
noncuranza quasi studiata.
L'apparenza ribelle
sottolineata dall'espressione assente che aveva stampata in volto
l'aveva conservata tale e quale al giorno in cui l'aveva conosciuto,
nonostante fosse ormai entrato attivamente a far parte della
direzione dell'Organizzazione Hiwatari al fianco del padre, così
come alla fine era toccato a lei al termine del suo corso di
formazione e del periodo di praticantato concordato con entrambi i
presidenti.
Le cose in ambiente
lavorativo si erano semplificate in un certo senso, ma anche
complicate per altri aspetti e gli affari delle rispettive aziende
erano a volte causa di stress per lei, che si ritrovava a dover
rinunciare al proprio tempo libero più spesso di quel che avrebbe
intimamente voluto. Ormai il tempo che riuscivano a trascorrere
assieme risultava drasticamente dimezzato, nonostante avessero preso
a dormire di tanto in tanto l'una a casa dell'altro e viceversa, a
seconda delle circostanze.
Soffermandosi a
riflettere su quell'ultimo pensiero, la ragazza si ricordò del
prossimo cambiamento in atto nelle loro vite e abbozzò
meccanicamente un lieve mezzo sorriso nel rammentarsi che, arrivati a
quel punto, non avrebbero più avuto problemi sull'incontrarsi alla
fine dell'orario di lavoro. In effetti, stavano per tornare a vivere
sotto lo stesso tetto e, con un po' di fortuna, nella stessa camera,
se aveva fatto bene i suoi calcoli, cosa che le sollevò l'umore di
almeno un metro da terra.
Senza quasi
rendersene conto si ritrovò a fantasticare, immaginandosi la nuova
convivenza in tutto e per tutto tale a quella di una vera coppia,
quando lo sguardo le si posò sullo specchio d'acqua alla loro
destra, poco più avanti. Da quel punto in poi il sentiero si
biforcava, ripiegando da un lato verso alcune aiuole ben potate e
dall'altro in direzione del grazioso gazebo bianco in riva al lago.
Per lei fu quasi
automatico dirigersi in quella direzione, lasciando che le labbra le
si schiudessero in un sempre più fermo sorriso, mentre ad ogni passo
portato verso le sponde i ricordi che custodiva gelosamente in fondo
al cuore riaffioravano uno ad uno.
Era stato sulle rive
di quel laghetto che aveva visto per la prima volta il blader al suo
fianco esprimersi liberamente con la sua bitpower, l'Aquila Rossa, ed
era stato sempre lì che lei gli aveva confessato di invidiarlo,
all'epoca, per l'opportunità di girare il mondo fornitagli dai
tornei mondiali di Beyblade. Era stato lì che aveva iniziato a
sentirsi strana.. diversa, nei suoi confronti, sebbene la
consapevolezza dei suoi sentimenti fosse giuntale diverso tempo dopo,
letteralmente dall'altro capo del pianeta.
E si sentiva un po'
strana persino in quel momento.
Aveva creduto che
quella lieve nausea le sarebbe passata in un baleno appena si fosse
allontanata dal luogo del ricevimento, invece continuava a premerle
fastidiosamente alla bocca dello stomaco, costringendola di tanto in
tanto ad aggrottare le sopracciglia per mantenere il controllo di sé
e sopportare. Con una parte della mente si chiese se non si fosse
presa un qualche virus intestinale, ipotesi decisamente sfortunata
ora che all'azienda era espressamente richiesta la sua presenza di
leader, visti i programmi dei loro genitori per la luna di miele.
Si fermò
sovrappensiero una volta raggiunto il gazebo bianco, persa nelle
proprie riflessioni per il loro avvenire così come i suoi occhi
erano persi a mirare il riflesso sulla superficie del laghetto.
Eppure quel momento non durò a lungo, prima che il dranzerblader la
riportasse alla realtà.
– Yukiko..
La mora si voltò su
sé stessa nel sentirsi chiamare per nome, sgranando parzialmente gli
occhi nel notare il suo ragazzo in piedi a pochi passi da lei, sotto
quello stesso gazebo. Le stava tendendo una mano, fissandola con
espressione tanto seria da farle intuire quanto potessero essere tali
le sue intenzioni. Incuriosita e confusa al contempo, lei si fece
avanti, sollevando la propria mano sinistra per stringere la sua e
raggiungerlo.
Lui la guidò senza
una sola parola al centro di quella costruzione circolare, prima di
fermarsi e porsi esattamente di fronte a lei, cercando e stringendole
ambo le mani. Nel silenzio di quei pochi secondi, la nightblader
avvertì un insolito formicolio dietro la nuca mentre la tensione
iniziava a farsi strada nel suo animo, accentuando suo malgrado il
senso di nausea precedentemente provato.
Eppure lo sguardo
dell'altro era talmente intenso che finì per porre ogni altra cosa
in secondo piano e si ritrovò a trattenere il respiro quando lui
parlò di nuovo.
– Yukiko –
ripeté, con una nuova inflessione nella voce altrimenti impassibile
– ..c'è una cosa di cui devo parlarti.
Il cuore iniziò a
batterle in petto all'impazzata a quelle poche parole d'esordio e,
sebbene il primo impulso d'ella fosse stato quello di annuire, nulla
sgorgò dalle sue labbra quando le schiuse per dire qualcosa, come se
le fosse improvvisamente venuta a mancare la voce. In preda ad una
nuova e inattesa agitazione, la mora avvertì distintamente una
goccia di sudore scivolarle lungo la schiena ma non mosse alcun
muscolo, limitandosi a ricambiare quello sguardo fisso in attesa che
lui continuasse.
La stretta di lui si
accentuò un poco sulle sue mani, prima che tornasse ad allentarsi in
risposta ad una piega vagamente sbilenca delle labbra in
un'espressione nervosa. In quel momento le parve tanto sulle spine da
indurla a chiedersi se avrebbe davvero continuato il discorso oppure
se avrebbe lasciato perdere tutto. La risposta le giunse quando lui
abbassò momentaneamente lo sguardo dai riflessi porpora sulle loro
mani ancora giunte le une alle altre.
– Ci ho pensato..
ci ho pensato parecchio a questo momento – affermò, totalmente
serio, quasi combattuto mentre tornava a sollevare gli occhi su di
lei.
In essi, la mora
colse un nuovo barlume di determinazione che minacciò di farle
perdere l'equilibrio sulle gambe e la indusse a chiedersi con una
parte della mente quando fosse mai diventata così emotiva.
– Ora che le cose
stanno cambiando per le nostre famiglie, credo sia giunto il momento
di fare lo stesso – continuò lui, non lasciandola affatto.
Al ché la mente di
lei iniziò a collegare i vari indizi: la tensione della sua stretta,
la serietà dei suoi occhi, l'atmosfera improvvisamente intima.. e si
sentì terribilmente impreparata, per non dire del tutto inadeguata,
a ciò che stava per ascoltare.
“Aspetta..”
– Quel che vorrei
chiederti..
Una nuova ondata di
nausea le causò un altro giramento.
“Aspetta!”
pensò disperatamente fra sé e sé, piegando le labbra in una
smorfia per trattenere i capricci del proprio stomaco.
– Yukiko – la
chiamò lui di nuovo il blader di fuoco, irremovibile, inducendola a
quel modo a tornare a guardarlo in viso mentre, con sorpresa di lei,
si faceva di un passo avanti oscurando ai suoi occhi la stessa luce
del sole – Vorresti essere mia? Per sempre? A partire da questo
istante?
La ragazza lì per
lì credette che le gambe fossero sul punto di cedere, mentre il
cuore al centro del petto continuava a pomparle adrenalina nelle vene
con un'energia ed una velocità incredibili. Boccheggiò, confusa per
quel che aveva appena sentito distintamente e dopo un istante riuscì
miracolosamente a ritrovare la voce.
– ..cosa mi stai
chiedendo, Kei? – mormorò in un soffio.
Temeva di stare
equivocando ogni cosa, di star capendo male, che fosse solo un
effetto di quel malessere passeggero.
Eppure lui dopo un
primo istante di incertezza tornò a farsi indietro, lasciandole le
mani per far sparire le sue all'interno delle tasche. Quel momento
durò poco ma per tutto il tempo in cui rimase in quella posizione
egli tenne lo sguardo basso. Nel risollevarlo un paio di secondi dopo
tuttavia, in esso la nightblader distinse un nuovo guizzo di
fermezza, proprio mentre il suo ragazzo estraeva da una tasca dei
pantaloni eleganti una scatolina in velluto nero, grande poco meno
del palmo della sua mano. Quando la aprì per porgerle il contenuto,
a Yukiko mancò il respiro.
Quella era una
coppia di anelli in oro bianco.
Kei fu lesto a
prenderla fra le braccia quando la vide barcollare indietro,
afferrandola al volo, prima che andasse a sbattere contro una delle
colonne del gazebo.
– Ehi, Yuki – la
chiamò trafelato, stringendola a sé in un abbraccio che la aiutò a
sostenersi, mentre il suo cuore al centro del petto era preda di un
nuovo sussulto.
Tutto s'era
aspettato tranne una reazione del genere, era persino arrivato a
considerare l'ipotesi di un rifiuto, ma che la sua dolce moretta
avesse un mancamento era stato tutto men che previsto. Preoccupato,
il cuore in tumulto ed il volto ancora accaldato per quanto aveva
appena osato dire ad alta voce, non si rilassò nemmeno quando,
l'istante successivo, lei sembrò riprendersi abbastanza da ritrovare
l'equilibrio e sollevare i suoi occhi verdi su di lui. Incrociandone
le gemme smeraldine, il dranzerblader si ritrovò a sospirare
intimamente di sollievo, prima che quel respiro gli venisse smorzato
in gola un'altra volta.
– Mi stai
chiedendo di.. di sposarti?
– Mh? – quelle
due parole erano giunte talmente flebili ed inaspettate da prenderlo
alla sprovvista, confondendolo in un primo momento sul loro
significato. Solo l'istante successivo, sotto lo sguardo intenso
dell'altra, ricollegò il cervello alla bocca e si ritrovò ad
inarcare un sopracciglio, impacciato come mai prima – Be'.. un
giorno, in futuro.. – gli venne quasi la tentazione di fare
spallucce ma, accorgendosi della piega che aveva preso quel discorso,
con una smorfia si affrettò a rimediare – Ma non è solo questo.
– E cos'altro? –
gli domandò lei in un soffio, serrando la presa sulla sua giacca, in
volto un'espressione confusa.
Kei deglutì, prima
di spiegarsi tutto d'un fiato – Ti sto chiedendo di restare al mio
fianco per il resto della nostra vita, a prescindere da qualunque
celebrazione di fronte a qualsivoglia divinità. Non mi importa di
nessun Dio, l'unica cosa di cui mi importa sei tu e ti prometto.. –
si bloccò un istante soltanto, riempiendo nuovamente i polmoni
d'aria, prima di continuare il discorso che si era preparato giorni e
giorni prima e che aveva finito per imparare a memoria – ..ti
prometto che farò l'impossibile per te. Qualunque cosa, in qualunque
momento; perché ti amo e sei tu l'unica che voglio, l'unica con cui
mi sento davvero a casa..
– Sì – lo
interruppe di punto in bianco lei con quell'unica parola.
Il dranzerblader si
ritrovò a boccheggiare, spiazzato da quell'interruzione non prevista
e, sotto lo sguardo fermo della sua ragazza, non riuscì in alcun
modo a mascherare l'aria interrogativa e confusa che gli trasparì in
volto – ..cosa?
– Sì – ripeté
lei con non meno sicurezza nel tono di voce, assolutamente seria
nell'espressione – Accetto. Accetto tutto, ogni cosa che hai detto
ed ogni cosa che dirai. Scelgo te.. sceglierò sempre te, Kei – la
sentì spostare le mani più in alto, sino a ché non si ritrovò le
sue braccia intorno al collo ed il suo sorriso a pochi centimetri dal
suo volto, tanto vicina da stordirlo – Sei l'unico, lo sei sempre
stato. Quindi, sì.
Il significato di
quanto da lei detto serpeggiò sino alla sua coscienza,
irradiandoglisi poi nel petto in un misto di emozioni tanto intense
quanto differenti l'una dall'altra. Sorpresa, sollievo, ansia,
felicità.. tutte insieme, una dietro l'altra, sovrapposte e distinte
al tempo stesso, lo colmarono tanto profondamente da ovattargli la
mente, rendendogliela insolitamente leggera. Si ritrovò a sorridere
come non gli era mai capitato in vita sua, dimenticando persino la
scatolina in velluto finita sul pavimento in legno lì vicino quando
si era mosso per sorreggerla.
Lei gli aveva appena
detto di sì.
Si chinò a baciarla
con trasporto, seppur lei parve non riuscire a ricambiare del tutto e
la cosa, dopo un paio di secondi ancora lo portò a staccarsi,
cercando con una certa perplessità di capire quale fosse il
problema. Soltanto a quel punto se ne accorse: sembrava pallida,
aveva l'espressione del viso tesa e il sorriso che le delineava le
labbra era sincero ma anche sofferto, a giudicare dalla piega
corrucciata delle sopracciglia scure.
– Cosa c'è? Non
stai bene?
– Non preoccuparti
– gli disse lei, minimizzando e scuotendo addirittura il capo –
..è solo un piccolo giramento – affermò, tentando di esercitare
una pressione delle mani contro di lui per invitarlo a lasciarle un
po' più di spazio, quando tornò a cercarne lo sguardo –
Piuttosto, c'è una cosa che vorrei chiederti..
– Mh? – questa
volta fu il suo turno di assumere un'aria interrogativa, allentando
la presa sui suoi fianchi giusto quel poco che le bastò per reggersi
un po' meglio sulle sue gambe. Ella tenne comunque le mani strette
sulla sua camicia, mentre lui le stringeva di rimando gli avambracci
sotto i gomiti, sostenendola seppur in minima parte in quel modo.
Quando gli sorrise ancora una volta, fece per aprire bocca ma si
bloccò all'istante, tappandosela all'improvviso con una mano.
Un secondo dopo,
sotto lo sguardo sconcertato del dranzerblader, la mora era piegata
sulla ringhiera del gazebo, intenta a rimettere anche l'anima sul
prato verdeggiante sotto di loro.
Pochi minuti dopo,
quando i conati furono cessati e lui poté smettere di tenerle
sollevati i capelli, la fece stendere sulla panca al centro della
struttura circolare, scostandole un paio di ciocche scure dalla
fronte imperlata di sudore freddo.
– Va meglio?
Lei deglutì, gli
occhi chiusi, prima di muovere appena il capo in cenno d'assenso.
Aveva le gote tinte
di rosso e la mano libera, quella che lui in quel momento non stava
stringendo, posata sul ventre, sopra la camicetta bianca. Su quella
stessa mano ora brillava di un riverbero del sole l'anello in oro
bianco che era andato a ritirare quello stesso mattino, la cui
sommità vantava un piccolo smeraldo circondato da un'incastonatura a
forma di cuore ed una serie di diamantini. All'interno ci aveva fatto
incidere il suo nome.
– Mi spiace.. ho
rovinato il momento – si scusò lei, abbozzando un lieve mezzo
sorriso contrito.
Kei negò subito,
finendo per sbottare – Se stai male non devi sforzarti.
– Sto bene.. ho
soltanto un po' di nausea – affermò lei, schiudendo nuovamente le
palpebre e sollevando l'iridi su di lui, sedutole vicino. Non riuscì
ad evitarsi tuttavia, sotto il suo sguardo disincantato, di
capitolare con un sorrisetto nervoso – ..e un paio di giramenti di
testa forse.. ultimamente mi devo essere stancata troppo, credo sia
per questo che mi sono presa qualcosa.. in questi giorni faccio più
fatica del solito ad alzarmi dal letto.
Il dranzerblader
fece spallucce, seppur rimanendo pensieroso – Possibile –
affermò, lasciando intercorrere una breve pausa prima di lasciarsi
andare ad un commento che non ammetteva molte repliche – Be', in
ogni caso penserò io a tutto finché non starai meglio, tu riposati.
La vide sorridergli
riconoscente e lui si ritrovò a ricambiare quel lieve sorriso, prima
di far spaziare lo sguardo purpureo per il parco, avvolto in un
tripudio di colori dovuti alle aiuole in fiore lì disseminate.
Nel silenzio che
seguì non riuscì a scacciare del tutto il senso di preoccupazione
per quella che era ora a tutti gli effetti la sua fidanzata e
compagna, ritrovandosi a rimuginare sulle sue condizioni di salute.
In fin dei conti, non poteva essersi trattato di qualcosa che aveva
mangiato, lui stava benissimo e non aveva mai avuto problemi, in
precedenza, coi cuochi della tenuta.
Scoccandole un'altra
occhiata, si soffermò a fissare la sua mano sinistra ancora posata
indolentemente all'altezza del ventre e dopo un attimo finì per
inarcare un sopracciglio.
“Un momento..”
Nausea.
Giramenti di testa.
Stanchezza.
Un'improvvisa
tensione gli irrigidì ogni muscolo, mentre quell'ipotesi gli
affiorava alla mente, ingombrante ed inattesa.
– Tesoro... –
esordì, facendole sollevar di nuovo le palpebre per incrociarne lo
sguardo, non riuscendo in alcun modo a mitigare l'ansia che stava
minacciando di attanagliarlo alla gola – ...quando è stato il
tuo.. – incespicò persino nelle parole, cosa che lo costrinse a
deglutire, prima di riformulare la domanda – ..quando hai avuto le
tue cose l'ultima volta?
La vide inarcare un
sopracciglio, prima che le sue labbra si schiudessero di getto. Non
ne uscì niente comunque, una risposta inesistente mentre i suoi
occhi si perdevano in un punto impreciso della tettoia sopra le loro
teste.
Nella pausa di
silenzio che seguì Kei non distolse mai lo sguardo dalla sua donna,
tanto concentrato da non respirare nemmeno, finché lei non tornò a
posare gli occhi e l'attenzione su di lui. Le labbra le tremarono
quando finalmente tornarono a schiudersi.
– ..non lo so.. –
mormorò in un soffio – ..io non me lo ricordo.
E il dranzerblader
sentì le probabilità che si stesse sbagliando sgretolarsi nella
propria mente.
~
Quando, poco tempo
dopo, avevano avuto i risultati degli esami del sangue, ogni altra
possibilità era già stata scartata da giorni. La conferma dello
stato interessante della giovane Natsuki non fece altro che fornire
il pretesto ai loro genitori di fare ritorno in anticipo dalla loro
Luna di Miele per dar modo così alla madre di sbizzarrirsi e dare di
matto - in senso buono - alla sola idea di un nipotino.
Kei, ritrovandosi il
referto fra le mani, l'aveva guardata un paio di volte e poi, senza
alcuna apparente emozione, le aveva semplicemente annunciato –
Andremo a vivere da soli.
– Da soli? –
aveva ripetuto la mora, confusa ed inquieta.
Lui aveva annuito –
Soltanto noi due. Nessun altro.
Dopodiché si era
voltato in parte verso la finestra accanto alla quale era stato
appoggiato ed a quel punto lo aveva visto, quel suo sorriso, appena
accennato eppure traditore di una serenità che non ricordava di
avergli mai visto. Ed allora aveva finalmente capito quali fossero i
reali sentimenti del suo fidanzato al riguardo.
Gli stessi che gli
aveva visto esternare in quel giorno di sole, quando lei aveva
accettato di legarsi a lui e che ora gli vedeva ogni giorno in volto
da quando, cinque anni e quattro mesi prima erano venuti alla luce
Keiko e Gou. Ah, e ovviamente si erano sposati ed avevano utilizzato come fedi nuziali gli anelli che Kei aveva fatto fare quella volta.
Ora, seduti a tavola
tutti e quattro assieme, erano per lei il suo tesoro più grande; la
cosa più importante. La sua preziosa famiglia.
Il motivo per cui
lavoravano entrambi così duramente ogni giorno.
– Mamma, mamma! –
la chiamò la sua bambina, facendola fermare a metà strada dal
lavello.
– Sì, piccola
mia?
– Mamma, papà,
raccontateci una storia! – esclamò lei con quello sguardo vispo ed
impaziente che assumeva ogni volta esponeva una richiesta.
– Sì,
raccontateci di quando vi siete conosciuti – saltò su Gou a sua
volta, guardando suo padre con espressione supplichevole.
I due genitori si
guardarono e Yukiko si ritrovò a sorridere nuovamente, prima di
sollevar lo sguardo al soffitto al pensiero di quante volte i gemelli
avessero avanzato loro quella richiesta negli ultimi tre mesi.
– Prima aiutiamo
la mamma a sparecchiare – sentì dire a Kei, prima che a quelle
parole seguissero un paio di esclamazioni non troppo entusiastiche
d'assenso.
Sistemati gli avanzi
nella ciotola del loro gattone, Kija, i piatti e le ciotole vuote
vennero ben presto fatti sparire in lavastoviglie grazie alla
cooperazione di tutti e, dieci minuti dopo, i piccoli Hiwatari erano
già seduti in salotto ad aspettare con malcelata impazienza che i
loro genitori si degnassero di onorare la loro parte dell'accordo. Fu
Kei ad iniziare stavolta, prendendo posto fra le due pesti e
lasciando giungere la sua voce calda e pacata sino alla
vice-presidentessa della N.C., ancora intenta ad asciugarsi le mani
in cucina.
Fermandosi un attimo
sulla soglia, Yukiko non si sorprese di distinguere un bagliore
argenteo con la coda dell'occhio.
“Quella storia
sono più bravo a raccontarla io” le giunse di lì a poco alla
mente, ironica, una voce maschile che ben conosceva.
Voltandosi a
guardare il suo migliore amico, Yukiko sbuffò divertita e sarcastica
al tempo stesso.
– Prego,
accomodati Night – gli disse, con un cenno della mano verso il
salotto.
Il bitpower le
sorrise divertito di rimando, accanto alla proiezione in forma umana
dell'Aquila Rossa, anch'essa lì accanto alla soglia della cucina.
“Stanno
migliorando ogni giorno di più” commentò la bitpower di
Dranzer con un sorrisetto orgoglioso “Presto vi chiederanno di
partecipare a qualche torneo..”
“Lo spero”
sbottò Night con una nota saccente, scoccandole un'occhiata in
tralice “Mi mancano un po' i vecchi tempi.”
Yukiko abbozzò un
mezzo sorriso che aveva una punta di nostalgia al pensiero degli
incontri e delle avventure affrontate con il suo beyblade, ma quando
l'istante successivo le giunse la voce squillante del suo piccolo Gou
ogni sentimento di quel genere svaporò, come se non fosse realmente
esistito, mentre tornava ad osservare quella che era la sua adorata
famiglia.
– A me non
troppo.. – ammise, tutto sommato, prima di aggiungere con una punta
di ironia – ..una vice-presidentessa, madre di due gemelli, non ha
molto tempo da dedicare ad altro che non sia il presente.
Night non le rispose
subito, limitandosi a guardarla con quei suoi occhi di ghiaccio ed un
sorriso che, per contro, era latore di un calore ed un affetto
evidenti.
“In questo
caso, credo di aver proprio fatto un buon lavoro” commentò ad
un certo punto con ben poca modestia, suscitandole una nuova
perplessità.
– Modesto come
sempre – non mancò di rimbeccarlo, dando luogo ad uno scambio di
battute che era ormai divenuta tradizione.
Si sorrisero di
nuovo, prima che i due bitpower raggiungessero gli altri, giovando
dell'impossibilità momentanea dei due bambini di vederli.
Kei dal canto suo
non le parve così entusiasta di quell'entrata in scena e ne ebbe la
conferma quando spostò lo sguardo a cercarla, incrociandolo pochi
istanti a seguire. Al vederlo con quel sopracciglio inarcato ed una
silenziosa domanda nello sguardo, la mora gli rivolse un sorriso che
voleva essere incoraggiante e scettico al contempo.
Un sorriso che lui
ricambiò con uno più discreto ma latore dello stesso messaggio.
Sì, pensò a quella
vista lei, se non fosse stato per i loro bitpower forse le cose non
sarebbero andate a finire così.
Forse avrebbero
finito per odiarsi, invece di innamorarsi.
Eppure, malgrado
tutti quei 'se' e 'forse', erano riusciti comunque a
raggiungere il loro personale “lieto fine”.
O lieto inizio,
a seconda del modo in cui si preferisce vedere le cose.
..a happy ending!
[ANGOLO AUTRICE]
Avevo promesso che sarei tornata di sicuro ed eccomi qui!
Sì, alla fine ho scritto questa one-shot, proprio pensando a chi ha letto la mia precedente fanfic e dopo un paio di riletture, soddisfatta di quel che mi è uscito, ho deciso di pubblicarla. Mi mancavano Yuki e Kei, lo ammetto, e spero di non essere l'unica a pensarla in questo modo <3
In ogni caso, la serie è ufficialmente chiusa ^_^ spero che questo Epilogo piaccia ed invito chi non ha ancora avuto occasione, nel caso fosse curioso, di passare a leggere la fanfic a cui fa seguito: Unione d'affari. Sì, insomma, per avere le idee un po' più chiare magari! XD
Come volete, a me basta che mi diate un parere su questa cosa!
Nel mentre vi saluto e vi rimando alla prossima, ringraziandovi anticipatamente per qualunque cosa vogliate dirmi su questa cosa, che siano impressioni, complimenti o critiche. Tutto è ben accetto!
A presto!
Kaiy-chan