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Autore: MavStories    22/02/2015    1 recensioni
Phototeller, ossia: date cinque immagini random, inventare una storia. E, se una di queste immagini mostra il Decimo Dottore, allora la storia in questione può prendere qualsiasi direzione :D
Nella New York degli anni '30, un circo arriva in città e la gente inizia misteriosamente a sparire: chi si nasconde veramente sotto il costume da saltimbanco, e che cosa sono le "Piogge Perenni"? Ma, soprattutto: perché il Dottore sta nutrendo una tigre con del fieno?!
Allons-y!
Genere: Comico, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA (molto breve, promesso!): "MavStories" è un duo di ultraventenni (proprio delle vecchie megere) che si firmano con le misteriose (?) lettere M. e V. (la "a" di "Mav" che centra allora? Boh, abbiamo comprato una vocale); "Phototeller", invece, è un progetto... anzi, è un hobby basato sull'esercizio delle 5 immagini.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che, per scrivere questa fanfiction, M. a passato a me, V. (for Vendetta! -?), cinque immagini (mavvà?) totalmente arrandom, e io ho dovuto scriverci una storia: giuro che non l'ho costretta io a mettere una foto del Dottore, ha fatto tutto di testa sua! xD
Ah, ovviamente anch'io, V., ho mandato 5 immagini a M., e giuro che lei non mi ha assolutamente costretta a mettere una foto di Lee Pace: anzi, teoricamente volevo solo metterla in difficoltà, lol. La sua storia su Lee "Thranduil" Pace è Point of View.
E direi che ho scritto più che a sufficienza (mi sa che non ho mantenuto la promessa, sorry)... Allons-y! :D

V.

*   *   *

Raining Dreams Circus

 le piogge della Perenne Fine

 

 

New York, 1938.        
Quando la "Prima Guerra Mondiale" veniva ancora chiamata la "Grande Guerra".

1

“Vuole che il nostro gufo indovino le predica il futuro?”


Sicuro di non aver bisogno di una mano?” 
I novelli coniugi Doherty, immigrati irlandesi, stavano camminando lungo Baxter Street, verso la loro nuova casa: finalmente lo stipendio da barbiere di Lucien Doherty aveva permesso alla coppia di permettersi un’abitazione vera, nel quartiere dove un tempo stavano i Five Points di Manhattan. Lucien e Agnes, la giovane moglie, avevano trascorso le ultime settimane a rimetterla in sesto e ora potevano affermare orgogliosamente che, finalmente, sembrava un posto come si deve, dove poter crescere una famiglia. Quel giorno, per completare l’“opera di ristrutturazione”, Lucien e Agnes avevano comprato la vernice necessaria per ridipingere il vecchio cancello, in modo da iniziare a dare anche al giardino un aspetto accettabile. 

Lucien, un giovane uomo con la corporatura di un fiammifero e un naso piuttosto ingombrante, stava portando entrambi i barattoli di vernice necessari e Agnes l’aveva trovato in difficoltà: il marito non era mai stato un gran sollevatore di pesi e la strada verso casa era ancora lunga.
“Sicurissimo!” rispose Lucien alla domanda della moglie, sollevando ancora di più i barattoli per dimostrare la sua presunta resistenza, anche se con evidente sforzo “ho forse l'aspetto di chi ha bisogno di una mano?”   
“Hai l’aspetto di chi ha bisogno di due mani… Sembri una bilancia sbilenca!" rispose ridacchiando Agnes, una ragazza con la faccia di chi ha sempre voglia di divertirsi.        
“Ti ricordo che questa ‘bilancia’ è riuscita ugualmente a sposare una certa fanciulla col naso a patata… anche se ‘sbilenca’!” ribatté Lucien, con un sorriso che ricordava quello di Dick Van Dyke.
“Il naso a patata?!” esclamò Agnes, fingendosi sorpresa e oltraggiata, portandosi una mano al petto “è questo che noti di tua moglie?! Non la silhouette ammirabile, l’animo gentile, o la luce dei suoi occhi?!”
“Quando la vidi per la prima volta, i suoi occhi erano chiusi perché stava ridendo a qualche battuta: mi son dovuto accontentare ad ammirarle il naso!”  
“Che ragazza poco seria...” aggiunse Agnes, scuotendo la testa.    
“E il marito non è da meno” disse Lucien, facendole l'occhiolino. 

Tra allusioni e battibecchi, quella conversazione si interruppe quando la giovane coppia entrò in una piazza dove alcuni saltimbanchi si stavano esibendo: doveva esserci una specie di fiera perché, mentre una coppia di mangiafuoco mostrava le proprie abilità e un gruppo di circensi vestiti da animali facevano ridere un gruppo di bambini, alcune bancarelle esponevano dolci come focaccine dolci e zucchero filato. Al centro della piazza stava anche una piccola tenda, rossa e oro, da cui ogni tanto entravano ed uscivano clown, giocolieri e altri ancora: l’insegna recitava “Raining Dreams Circus”. Agnes rimase per qualche secondo ad osservare i saltimbanchi che, come i draghi delle fiabe, ululavano al cielo sputando fiamme scarlatte.          
“Vado a prendere dello zucchero filato!” disse Lucien, poggiando a terra la vernice.       
Agnes gli annuì distrattamente, mentre osservava i saltimbanchi travestiti da animali: quello con un costume da asino le si avvicinò ed iniziò a saltellarle intorno, imitando la cavalcatura folle di un somaro. La ragazza rise e, vedendo per terra un cappello in attesa di essere riempito, lasciò qualche monetina. Sollevò poi i barattoli di vernice per andare verso le bancherelle, in modo da raggiungere Lucien, quando l'uomo vestito da asino le si avvicinò e una voce ovattata proveniente da sotto il costume le chiese: “Vuole che il nostro gufo indovino le preveda il futuro, bella signorina?”     
“Oh no, sono a posto così!” rispose Agnes: poteva essere divertente, ma non voleva spendere altri spiccioli per una messa in scena. Inoltre, come le insegnava l’esperienza, se qualcuno la chiamava “bella signorina” significava che voleva qualcosa in cambio: Lucien, ad esempio, l’aveva voluta sposare.    
La ragazza fece di nuovo per allontanarsi, ma i barattoli la rallentavano e l’asino riuscì a bloccarle la strada, mettendosi proprio davanti a lei.      
“È gratis, per le ragazze belle e gentili come lei!” insistette la voce, con fare amichevole.
Agnes fissò quegli occhi d'asino con ancora più sospetto (se il “bella signorina” pretendeva qualcosa in cambio, figuriamoci il “gratis”) ma, pensando che tanto Lucien era a pochi metri di distanza e che nulla poteva accaderle, decise di accettare: le divinazioni le ricordavano quando, da piccola, lei e sua sorella si divertivano a leggere il destino nelle foglie di the.    
L’asino la condusse all'interno della tenda e, dopo aver ragliato un’ultima volta, la lasciò sola. Agnes, prima di guardarsi intorno, poggiò a terra i barattoli di vernice e, quando alzò lo sguardo, non poté fare a meno di indietreggiare di un paio di passi e di aggrapparsi al tendone per non cadere.       
Davanti a lei c’era il vuoto.

2

Le teste degli animali sbucavano dalle finestre e i loro movimenti
facevano dondolare più o meno bruscamente le case

O meglio, un cielo. Un cielo nuvoloso che non corrispondeva per niente a quello fuori dal tendone. Il terreno, poi, terminava improvvisamente a pochi metri da lei, precipitando in uno strabiombo dal quale non si vedeva nemmeno il fondo. Agnes si assicurò di avere i piedi ben poggiati a terra e, cautamente, lasciò la presa: si avvicinò poi all’orlo del precipizio e vide che, sotto di sé, tutto scompariva al di là di una spessa nebbia.  

“No! No… è solo un’illusione, un gioco di specchi…” si disse la ragazza e, anche se il suo cuore le batteva ancora in gola, allungò una gamba per tastare la superficie trasparente che, sicuramente, le stava ingannando la vista… Ma il suo piede incontrò solo il vuoto.       
Agnes riuscì a stento a trattenere uno strillo e ritornò ad aggrapparsi al tendone, chiudendo gli occhi fino a strizzare le palpebre: se quello che aveva appena visto era un trucco, beh, era di sicuro il trucco più impressionante che avesse mai visto!       
Agnes sarebbe rimasta in quella posizione per un sacco di tempo, se ad un certo punto non avesse sentito qualcosa di ancora più incredibile di quello che i suoi occhi avevano appena visto: il barrito di un elefante.  
Probabilmente non avrebbe dovuto stupirsi così tanto, dato che era dentro il tendone di un circo (ma quello era veramente un circo? O anche solo un tendone?), però in quel momento non era nemmeno certa di dove si trovava… E, quando riaprì gli occhi, ne fu ancora meno sicura.          

A causa del piccolo shock prima non le aveva notate, ma il cielo era pieno di case. E, a loro volta, le case erano piene di animali. Animali di ogni tipo: da quelli comuni (cani, gatti, topi, lucertole) ai più esotici (tigri, giraffe, scimmie, persino l’elefante che aveva appena barrito). E le case volavano. O meglio, erano sospese. Anzi, no: erano collegate tra di loro tramite dei cavi, e fluttuavano a pochi metri l’una dall’altra, come se fossero state mongolfiere. Le teste degli animali sbucavano dalle finestre e i loro movimenti facevano dondolare più o meno bruscamente le case che, comunque, non avevano per niente l’aria di voler precipitare.        
“Sto sognando” si disse Agnes.        
“Sono pazza” aggiunse poi tra sé.        
“Meglio andarsene” concluse infine e, risollevati i barattoli, fece per scostare la tenda… per poi ritrovarsi davanti un volto sconvolto: il suo.          
“Uno… specchio?” si lasciò sfuggire la ragazza, in un sussurro. Allungò un dito, esitante, e quello andò a scontrarsi con il naso del suo rifesso.    
“Una… trappola?” si corresse, per poi voltarsi di nuovo verso le “case fluttuanti”: alcune erano addirittura più belle di quella che lei e Lucien avevano così faticato a rimettere a nuovo.         
“Indovinato!” esclamò una voce alle sue spalle.      

Agnes non si era aspettata di ricevere una risposta: si voltò di scatto e fece cadere la vernice a terra, mentre i suoi occhi si focalizzavano su quello stesso asino che l’aveva condotta fin lì.    
Tu!” esclamò, aggrottando le sopracciglia. Notando che la sua voce sembrava più arrabbiata che spaventata, la ragazza si fece un po’ di coraggio.   
“Perspicace” rispose distrattamente l’asino, iniziando a trafficare con gli zoccoli finti all’interno del suo costume “ora, le saranno rivolte alcune domande…” 
Lei vuole fare delle domande a me?!” l’indignazione si aggiunse a quel minestrone di emozioni che Agnes stava provando in quel momento “non pensa che potrei avere anch’io qualche domandina da porle, vero?!”   
L’asino la ignorò completamente e, una volta trovato quello che cercava (un bloc notes e una matita), le chiese: “Professione?”           
“Uscire di qui” rispose Agnes, decisa “la avviso, mio marito mi starà cercando!” 
“Irrilevante” replicò pacatamente l’asino “professione?”    
Agnes sbuffò e si chiese quanto ci avrebbe impiegato la rabbia a scomparire, sostituita dal panico più completo. “Infermiera…?” rispose, esitante, sperando che dire la verità potesse servire a qualcosa: almeno, nelle fiabe la sincerità veniva sempre premiata, e lei ormai era finita in un racconto di Lewis Carroll.   
“Bene” disse l’asino, annuendo “molto bene”.        
“Significa che me ne posso andare?” chiese Agnes.
“No” ribatté l’asino “significa che deve rimanere”. 
A quelle parole un paio di energumeni – uno vestito da gorilla, un altro da leone – apparvero alle spalle della ragazza e la afferrarono per le braccia, trascinandola verso chissà dove.     
Fu allora che la rabbia di Agnes fece posto al panico totale.           

“N-non vorrete scaraventarmi giù, vero?!” balbettò Agnes, dato che il gorilla e il leone la stavano trascinando verso l’orlo del precipizio.  
“Che stupidaggine, lei ci serve” rispose tranquillamente l’asino “chiamate la funivia!”     
Fu il gorilla ad eseguire l’ordine, battendo con il piede su un punto ben preciso del terreno. Agnes sentì da sopra la sua testa il rumore metallico di un meccanismo che si attivava e solo in quel momento si accorse che uno dei cavi che collegava le case fluttuanti si allungava proprio sopra di loro. Da un gruppo di quei mini-zoo volanti si staccò quello che sembrava il vagone di un treno mezzo arrugginito, il quale si avvicinò a loro e si fermò a pochi centimetri dal terreno. Il gorilla e il leone costrinsero Agnes a salire su quella funivia improvvisata e, prima che ripartisse, l’asino ordinò loro: “Portatela dal medico dell’altra volta: non sta combinando granché, e un’infermiera potrebbe andargli comodo!”       
Fu a quel punto che la funivia si mise in viaggio, e Agnes capì che non avrebbe nemmeno potuto tentare di scappare… a meno che non avesse voluto precipitare all’infinito nel nulla. Mentre il suo cervello cercava di pensare inutilmente ad una possibile via di fuga, ignorando la presa fastidiosa del gorilla e del leone, la ragazza si guardò attorno e studiò con più attenzione le case e gli animali che incrociavano durante il tragitto: la funivia infatti, oltre che scricchiolante, era anche terribilmente lenta. Agnes era consapevole di non aver visto molto, nella sua ancor breve vita, ma era certa che alcuni di quegli animali non potevano esistere in natura: alcuni avevano troppe zampe, altri il numero sbagliato di occhi, altri ancora… beh… erano semplicemente troppo strani per essere veri. La confusione affiancò la paura e si disse che, per quel “bella signorina”, stava veramente pagando un prezzo eccessivo. L’angoscia crebbe ancora di più quando Agnes si accorse che non c’erano solo animali (e mostri, e… qualsiasi cosa fossero), ma anche persone: la ragazza riuscì ad intravederne un paio ch cercava di far rientrare dalla finestra un camaleonte che, chissà come, era salito sul tetto. Agnes tentò di non pensare troppo al fatto che il camaleonte aveva due teste.

“C-che razza di posto è, questo?” farfugliò, ma il gorilla e il leone si limitarono a stringerle ancora di più le braccia.           
Alla fine la funivia si fermò davanti alla porta di un cottage fatiscente che puzzava di escrementi. Agnes si sforzò di respirare con la bocca, mentre il gorilla bussava alla porta con una delle sue gigantesche zampe finte. Dall’interno del cottage si udì un sonoro ruggito e Agnes intravide dalla finestra un gruppo di oche correre all’impazzata. Aspettarono per un po’ e, finalmente, la porta venne spalancata: un ciuffo di capelli disordinatissimi si sporse ancor prima del resto della faccia, la quale apparteneva ad un individuo che doveva essere rimasto rinchiuso in quel cottage per un sacco di tempo, dato che non aveva l’aria di qualcuno con le rotelle a posto. L’uomo aveva le sopracciglia sollevate all’inverosimile e stava mostrando all’insolito trio un sorriso a trentadue denti: quando, però, vide chi aveva bussato, non riuscì a nascondere un’espressione delusissima, tanto che la spiga di grano che stava mordicchiando cadde nel vuoto. Agnes ne seguì con gli occhi il tragico percorso e rabbrividì.     

“Oh… siete solo voi” sbottò lo sconosciuto, risollevandosi gli occhiali “ho chiesto a Suzie di venire ad aprire, ma non è molto collaborativa oggi… Non lo è mai, in effetti”.       
“Ti abbiamo portato un’aiutante!” sbottò di malumore il leone, mentre il gorilla spingeva Agnes all’interno del cottage. La ragazza, per non fare la fine della spiga, fu costretta a scontrarsi con l’uomo del cottage, ma fu comunque sollevata di essersi liberata di quei due energumeni.
Well, mi ero preso una pausa dalle companion, ma… Okay” esclamò distrattamente quello, che puzzava di stalla esattamente come il resto della casa. Le tasche del completo marrone che indossava, inoltre, erano piene di fieno e di fili d’erba.      
Il gorilla e il leone si congedarono silenziosamente e ripresero il loro lentissimo e rumorosissimo viaggio sulla funivia, mentre Agnes si chiedeva se quell’uomo avrebbe potuto rispondere alle sue domande: avrebbe anche voluto che conoscesse un modo per scappare ma, dato che sembrava essere confinato lì da un sacco di tempo, scartò con tristezza quella speranza. Si aspettò che l’uomo le rivolgesse la parola di sua iniziativa, ma quello si limitò a chiudere la porta e ad avviarsi verso una delle stanze. Agnes scavalcò un’oca ed evitò un paio di scimmie che avevano già deciso di prenderla di mira con le loro birichinate, quando si accorse che nella stanza, oltre allo sconosciuto, c’era anche una vera e propria tigre.          
“Per San Patrizio!” gridò Agnes, portandosi una mano al cuore. La tigre, in risposta, ruggì: se ne stava sdraiata su un letto a due piazze, con lo stesso atteggiamento di un imperatore sul trono.           
“Suzie, Suzie, sssttt!” la ribeccò l’uomo, avvicinandosi alla tigre come se non fosse per niente pericolosa “se ti comporterai come si deve con la nuova ospite, ti prometto che avrai un po’ di fieno extra!”        
“Ma… ma le tigri non mangiano il fieno!” esclamò Agnes, che si sentì sollevata perché, per la prima volta da quando era entrata nel tendone, era sicura di qualcosa.        
“Sto cercando di abituarla ad una dieta vegetariana!” rispose l’uomo “troppa carne non fa certo bene!”
“… E lei sarebbe un medico?!”        
A quel punto lo sconosciuto sbuffò sonoramente e, per la prima volta, la fissò negli occhi: “No che non sono un medico!”        
“Mi pareva evidente…” commentò sarcasticamente Agnes.           
“Sono il Dottore, piacere!” aggiunse l’uomo, sorridendole “ti stringerei la mano, ma mi sono appena occupato della toeletta delle scimmie!”        
“Mh… Agnes Doherty” si presentò la ragazza, poco convinta “sono finita qui per colpa di un asino”.

3

“Ti stringerei la mano, ma mi sono appena occupato
della toeletta delle scimmie!”

“Gli animali ti portano sempre verso luoghi strani, vero?” notò il Dottore “certo, di solito sono solo conigli in ritardo per un appuntamento, ma…”
“Intendevo dire che era un uomo vestito da asino” specificò Agnes: si poteva sapere con chi stava parlando?! “esattamente come quel leone e quel gorilla!”         
“Oh… Well, gli uomini invece ti portano in luoghi noiosi, di solito. Alle partite di baseball, per esempio”.          
Fu Agnes a sbuffare, questa volta. “Non mi sembra per niente un luogo noioso, questo!”
“Prova a trascorrere una settimana di convivenza forzata con una tigre scorbutica, e poi ne riparliamo” esclamò il Dottore, e a quelle parole “Suzie” iniziò ad agitare nervosamente la coda “e comunque quello non era un uomo, ma un Ferhar”.     
“Un… che?” chiese Agnes, ma a quel punto gli orologi di tutto il cottage suonarono all’unisono e il Dottore saltellò sul posto.       
“È ora di nutrire il cacatua!” disse a se stesso, uscendo dalla stanza. Agnes non sapeva che altro fare, se non seguirlo ed osservarlo mentre prendeva una scala e la posizionava proprio sotto una botola sul soffitto.   
“Che… che cos’è un… insomma, quello che ha appena detto?” ripeté la ragazza.
“Un pappagallo australiano!” rispose il Dottore, salendo sulla scala e aprendo la botola con una sorta di aggeggio rumoroso che sparava una luce blu.  
“No, non il cacatua… quello prima!” 
“Oh… Intendi il Ferhar!” disse il Dottore, mentre entrava nel sottotetto e spariva dalla sua vista. Agnes, dopo un attimo di esitazione, si arrampicò anche lei sulla scala e lo raggiunse mentre apriva un lucernario che lo avrebbe portato sul tetto.        
“Sì… quello” sbottò Agnes. 
“I Ferhar sono alieni!” spiegò (non spiegando chissà che, in effetti) il Dottore, uscendo sul tetto con un balzo. Per fortuna il tetto era basso e Agnes riuscì a raggiungerlo, anche se poi si ritrovò con il fiatone.
“A-alieni?” ripeté la ragazza, prendendo fiato “in che senso?!”      
In quel momento si trovavano entrambi sul tetto, nel bel mezzo del cielo nuvoloso, con un coretto di animali di ogni tipo che costringeva loro ad alzare la voce per farsi sentire.

“Nel senso che non sono di questo pianeta!” rispose frettolosamente il Dottore, mentre cercava di orientarsi con lo sguardo tra le case fluttuanti.
Agnes disse la prima cosa che le passò per la testa. “Dall’accento, sembravano proprio di questo pianeta!”       
“Diresti che gli scozzesi sono di questo pianeta, da come parlano?! No, eppure lo sono!” esclamò il Dottore, sconvolgendole ancora di più le idee “e ai Ferher è stato sufficiente travestirsi da animali per confondersi tra di voi… Rifletterei un po’ su questo, al posto tuo”.   
Agnes intuì che quello doveva essere una specie di insulto, ma in quel momento stava cercando di razionalizzare tutto ciò che le era accaduto fino a quel momento… fallendo miseramente, ovvio.
“Significa che… che… sotto quei costumi sono… alieni?!” disse, e si sentì una completa stupida anche solo a pronunciare una frase simile, figuriamoci a crederci.           
“Esatto” si limitò a dire il Dottore, avvicinandosi ad uno degli angoli del tetto.   
“E… lei ci crede sul serio?!” gli domandò Agnes.       
“Come ti spiegheresti tutto questo, altrimenti?”      
“Beh, io… Aspetti, che ha intenzione di fare?!”     
Il Dottore, infatti, aveva puntato con gli occhi una delle case più vicine al cottage, a circa un metro di distanza da loro, e sembrava sul punto di voler fare una rincorsa.          
“Il cacatua si trova in quella casetta, e non mangia da ore” spiegò lui.         
“N… Non vorrà saltare, vero?”        
“Oh, di più: lo farò!” 
“Ma… ma non ha ancora finito di spiegarmi!” protestò Agnes “non so nemmeno se crederle!”   
“Seguimi, allora! Allons-y!”  
Detto questo, il Dottore con un balzo atterrò sul tetto della casa di fianco, facendo sembrare l’impresa non particolarmente difficile, in effetti… Ma Agnes aveva ancora in mente la spiga di grano di poco prima, che probabilmente non aveva ancora trovato il fondo.   

“Lei è pazzo, se pensa che salterò” borbottò la ragazza, cercando di non guardare giù.    
Il Dottore sorrise spensierato, come a voler confermare l’ipotesi della sua pazzia. “Dovrai farlo, a meno che tu non voglia veramente provare a convivere con una tigre”.         
“L-Lucien mi troverà, a momenti, e tutto si sistemerà!” balbettò Agnes, ma faticava a credere alle sue stesse parole: anche se suo marito l’avesse trovata, sarebbero comunque rimasti prigionieri per sempre… A ben pensarci, sarebbe stato meglio per lui non trovarla affatto.      
“E questo Lucien era con te, nei pressi del circo?” le chiese il Dottore, mostrandosi improvvisamente serio.      
“Sì, eravamo insieme… poi io ho incontrato l’asino, o quel che è, e…”     
“Penso che i Ferher abbiano rapito anche questo Lucien” la interruppe il Dottore, parlando più lentamente “è così che agiscono: aspettano che le coppiette o i gruppi di amici si dividano, e poi decidono il da farsi… Se hanno qualche competenza, gli umani vengono portati qui, dove possono prendersi cura degli animali, o almeno tentare… Altrimenti vengono portati alla Fabbrica”.
“La… Fabbrica?” Agnes non riuscì a dire altro: possibile che avessero preso anche Lucien? Sul serio?!
“È una scuola abbandonata che i Ferher usano per lavorare il materiale che serve per costruire le case, o ripararle” spiegò il Dottore “Tu sei l’unica ad essere giunta qui, oggi, quindi Lucien sarà alla Fabbrica”.    
“N-non gli faranno del male, vero?” 
“Non se sarà utile”.   
Finché era stata lei ad essere in pericolo, Agnes si era trattenuta dal piangere, ma in quel momento non poté impedire ai suoi occhi di inumidirsi. Non le piaceva per niente piangere davanti agli sconosciuti, ma si lasciò comunque cadere in ginocchio sul tetto, iniziando a singhiozzare come una bambina.           
“Siamo prigionieri in questo posto assurdo, e intanto Lucien… Lucien…”           

Il Dottore, con un paio di passi, raggiunse il margine del tetto e si mise seduto, con le gambe penzoloni.           
“No che non siamo prigionieri. Noi non di certo”.   
“Ha parlato quello che dà del fieno ad una tigre…” borbottò Agnes, cercando di riprendersi.    
“È un po’ schizzinosa, tutto qui!” si giustificò il Dottore con un guizzo, poi ritrovò una sorta di serietà e mise gli occhiali in una delle tasche del completo “Ascolta… Sono qui per salvare tutti quanti: gli animali, le persone, tu, Lucien… Anche Suzie, se me lo chiede gentilmente!”        
“Lei… sa come uscire di qui?” chiese Agnes, sorpresa.      
“L’ho sempre saputo, ma prima devo portare tutti quanti dentro il Tardis” rispose il Dottore “pensavo di farlo lentamente, senza dare troppo nell’occhio, ma stare rinchiuso con questo tempo uggioso non fa certo bene al mio umore… Ci vuole un cambio di stile!”         
“E poi… poi salverai anche le persone di… di questa Fabbrica?”
“Yep”.
Agnes, nonostante tutto, gli credette: credergli era l’unica speranza che aveva.    
“Vengo con lei” decise la ragazza, alzandosi in piedi ed asciugandosi gli occhi.   
Il Dottore si irrigidì e la studiò dal basso verso l’alto. “Se mi segui, sarai in pericolo”.     
“Ma potremo salvare Lucien?”         
Anche il Dottore si risollevò. “Forse”.         
“Allora vengo” concluse Agnes, anche se, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. O, in questo caso, circa un metro di vuoto tra un tetto e l’altro.           
La ragazza calcolò la distanza necessaria per la rincorsa e fissò la casa davanti a lei, prendendo un respiro profondo. Un metro non era molto. In poco tempo era stata rapita da un alieno vestito da asino e si era ritrovata in una sorta di zoo volante: era sicuramente in grado di gestire un metro.  
La spiga…     
Agnes scosse la testa e, per la prima volta nella sua vita, comprese perché smettere di pensare poteva essere utile, a volte. Senza rendersene conto appieno aveva già iniziato a correre e, quando stata realizzando che lo stava facendo sul serio, era atterrata sul tetto dell’altra casa.         

“Brilliant!” esclamò il Dottore, mentre la ragazza iniziava a ridere per il sollievo.
“Quindi… quindi…” e giù un’altra risata “quindi… quindi, quelli del circo sono tutti alieni?!”  
“Yep!” rispose il Dottore, e, di riflesso, scoppiò anche lui a ridere.
“Chissà che aspetto hanno, allora… Ahahahaaa!”   
“Ahahahahaaa!”        
“Aahahahahaaa!”      
“Ahah… Fidati, non ti piacerebbe saperlo” si interruppe il Dottore, tradendo all'improvviso un’espressione di disgusto.         
“Ma… E lei come fa a sapere tutto questo?” gli domandò Agnes, dopo aver esaurito la ridarola.           
“Te l’ho detto: sono il Dottore”.       
La ragazza scosse la testa. “Un dottore in… alienologia?”
“Sono il Dottore e basta” tagliò corto lui.    
“E… dà la caccia agli alieni?”          
Il Dottore sollevò un sopracciglio. “Ti ricordo che sei un alieno anche tu”.           
Agnes lo guardò, attonita. “No che non lo sono”.   
“Certo che lo sei”.     
“Ma… sono nata a Carlingford!” ribatté la ragazza “che si trova sulla Terra, per inciso!” 
“E io non sono nato sulla Terra, men che meno a Carlingford, quindi per me sei un’aliena a tutti gli effetti” spiegò tranquillamente il Dottore.    
“Aspetti…” Agnes chiuse gli occhi per un istante “mi sta dicendo che lei è un alieno?!” 
“No, tu sei l’alieno!” la corresse il Dottore.  
“Va bene… riformulo la domanda…” scandì per bene la ragazza, cercando di non spazientirsi “Lei. Non. È. Di. Questo. Pianeta?”      
Il Dottore aggrottò le sopracciglia. “Ti sembro forse un terrestre?!”          
Ad Agnes sfuggì un sorriso. “Veramente… sì”.      
Il Dottore scosse le spalle. “Well… È un errore che commettono in molti”.           
Agnes non sapeva cosa dire: nel dubbio, pensò che fosse il caso di passare oltre. 
“Qual è il passo successivo?” domandò.      
“Nutrire il cacatua” rispose il Dottore “e portare tutti quanti nel Tardis, mentre i Ferher sono occupati con lo spettacolo delle nove!”         
“Nel… che?” lo interruppe Agnes.   
“Lo vedrai” si limitò a dire il Dottore, facendole l’occhiolino “ma prima dovrai saltare ancora un paio di volte!”           
Agnes alzò gli occhi al cielo e iniziò a pregare.        

*   *   *

Il Dottore non stava scherzando quando le aveva detto che, per raggiungere il… qualsiasi cosa fosse, avrebbero dovuto fare ancora qualche salto: anzi, alla fine Agnes ci prese quasi gusto. Ma, quando finalmente furono a destinazione, la ragazza non poté fare a meno di nascondere la sua delusione.     
“Una scatola blu” fu il suo commento “mh”.           
Il Dottore ne fu indignato. “Una scatola?! Senti, irish one, questo è un vero e proprio pezzo vintage! Anzi, per te è fantascienza pura, dato che siamo nel… Ecco, in che anno siamo?”          
“Nel 1938” rispose Agnes, allibita “e mi rifiuto di chiederle perché non lo sa: ne ho abbastanza, per oggi”.
“Sei fortunata a vivere in America” disse sovrappensiero il Dottore mentre, con un ultimo passo, abbandonava l’ultimo tetto di quella camminata insolita ed apriva la sua scatola “vintage”.       
“E questo cosa vorrebbe dire?!” domandò Agnes, seguendolo a ruota.     
“Che non mi farei una scappatella in Europa, se fossi in te” rispose lui, ma a quel punto la ragazza non stava più ascoltando.    
“Oh. San. Patrizio”.   
“Yep”.
“Oh. Santi. Tutti”.     
“Sai, non è una chiesa, ma comunque…”     
“È proprio come il tendone!” lo interruppe Agnes, saltellando intorno a quella che era la console del Tardis “è più grande all’interno!”  
“Sì, è esattamente cos… NO, ASSOLUTAMENTE NO”. 
Agnes si immobilizzò, presa in contropiede da quell’improvviso cambio di voce. 
“Non. È. Assolutamente. Come. Il. Tendone” scandì per bene il Dottore, come se la ragazza avesse appena bestemmiato “quella è una tecnologia primitiva, una specie di teletrasporto di cui nessun fisico andrebbe fiero: pure l’armadio di Narnia è fatto meglio! No no, questa è vera tecnologia Time Lord, e…”      
“… e puzza di stalla” completò Agnes, fingendo di aver capito tutto.       
Certo che puzza di stalla! È piena di animali!” esclamò il Dottore “vedi, vedi?! I castori hanno provato di nuovo a costruire una diga!”   
“È una specie di Arca di Noé” notò Agnes “ma… è sicuro che qua dentro ci staranno tutti quegli animali?! E le persone?”       
“Yep! Sai, è molto più grande all’interno!”  
“Ma, Dottore… perché i Fearer…”  
“I Ferher” la corresse lui.     
“Mh, lo sa di essere pignolo, vero?” lo criticò Agnes, ma il Dottore lo prese per un complimento “comunque, come mai i… Ferher… stanno facendo tutto questo? Perché stanno raccogliendo tutti questi animali? Per farci cosa?”           
Well… Ti direi di metterti comoda, ma è meglio se ti spiego mentre riuniamo tutti gli animali” disse il Dottore “e, sì, anche le persone”.     

Detto questo, si mise a trafficare con la console di quella strana casa, azionando comandi di cui Agnes avrebbe faticato a comprendere la funzione, fino a quando l’ambiente non iniziò a muoversi e la ragazza, sorpresa, fu costretta ad aggrapparsi alla prima cosa che le capitò davanti: il Dottore non l’aveva avvertita che si sarebbero spostati. Non del tutto consapevole di quello che stava accadendo (dato che, agli occhi di un esterno, la cabina blu stava scomparendo per materializzarsi a pochi metri di distanza), Agnes sentì gli animali di tutto il Tardis lamentarsi di quel viaggio movimentato, anche se breve. Poi, mentre raccattavano serpenti, criceti, coccodrilli, dromedari e creature di ogni tipo, il Dottore spiegò alla ragazza che i Ferher si credevano vittime di una profezia (giacché c’è sempre una profezia) secondo la quale, a parer loro, delle “Piogge Perenni” avrebbero finito con l’allagare l’intero universo, portando all’estinzione di ogni creatura vivente. Per questo motivo viaggiavano in ogni angolo delle galassie conosciute, raccogliendo il rappresentante di ogni singolo animale e razza, in attesa di ospitare tutti quanti in una sorta di “terra promessa” che non si era ancora rivelata.           


“Credono fermamente in questa profezia perché il loro mondo d’origine è stato sommerso dalle acque secoli orsono” spiegò il Dottore, mentre teneva sulle spalle un boa constrictor “e non hanno più fatto ritorno da allora: il loro pianeta è di nuovo vivibile, ora, ma non lo sanno nemmeno! E di questo mi occuperò dopo aver recuperato tutti quanti… Questi animali soffrono, al di fuori del loro habitat”.          

“È… è tutto così… incredibile” commentò Agnes, dopo una pausa causata da un paio di iene che avevano iniziato ad inseguirla, ridendo sguaiatamente “ma… come fanno a credere ad una profezia?! Insomma… le profezie non sono vere, no? Sono cose da sciocchi!”    
Incredibilmente il Dottore, che sembrava tutto scienza e logica, non le diede ragione: anzi, distolse lo sguardo da lei con la scusa di separare il boa da un paio di topini. 
“Alcune profezie predicono il vero” disse, con uno strano tono nella voce “ma, sì, quella delle Piogge Perenni è solo una superstizione: ci sono stati dei diluvi, ma non durano mai per sempre. La pioggia viene assorbita dalla terra. L’acqua evapora nell’aria. E tutto ricomincia, ogni volta”. 

A quel punto il Dottore parve riscuotersi da chissà quali pensieri e, frettolosamente, si mise a fare il censimento del Tardis additando uno per uno gli animali presenti. “Zebra-orso-dolpome-rillo-gipeto-koala-truffolo-unicorno-scorpione… NO”.     

“‘No’ cosa?” domandò Agnes, mettendosi subito sulla difensiva. 
“Manca il camaleonte bipenne” la informò il Dottore.        
“Oh… quello a due teste?!” ricordò la ragazza “beh… immagino che non sarà una gran perdita, per l’universo…”           
Il Dottore la fissò con un sopracciglio sollevato di disapprovazione.         
“… Stavo scherzando” si corresse subito Agnes “mentre mi portavano da lei, l’ho visto su uno dei tetti delle case…”           
“Il camaleonte bipenne ha sempre tentato di fuggire” disse il Dottore “probabilmente lo troveremo nei pressi dello specchio che cela l’uscita dal tendone… Dobbiamo sbrigarci, però: lo spettacolo sta finendo”.   
Dopo l’ennesimo burrascoso spostamento, quindi, il Tardis si materializzò sugli unici metri quadrati di terra del tendone, dove una delle teste del camaleonte bipenne si stava ammirando allo specchio: l’altra, invece, era troppo occupata a cercare di mordersi la coda. Agnes ormai si era ritrovata ad accarezzare e prendere in braccio creature di ogni sorta, così non si fece problemi a sollevare con entrambe le mani l’insolito animale. A quel punto, però, il tendone venne scostato ed entrò il Ferher vestito da asino che, nel vedere lei e il Dottore, diede in escandescente.           

“Ma che…?! Come… ?! E… cosa?! Ma…” il somaro spostò lo sguardo verso il cielo nuvoloso e, quando vide che ogni singola casa era vuota, strillò come una donnicciola: “GUARDIE!”  

Le “guardie” in questione erano il gorilla e il leone, che si misero subito in mezzo tra il duo con camaleonte e il Tardis per impedire loro la fuga.      
“Cosa sono quelli?!” domandò il Dottore, indicando i due barattoli di vernice che Agnes aveva scordato.        
“Le sembra questo il momento?!” sbottò la ragazza, che non voleva farsi toccare di nuovo da quei tizi, specialmente ora che sapeva che alieni!      
“Dimmi cosa sono e basta!”  
“È la mia vernice!”    
“Brilliant!” commentò il Dottore e, con uno scatto, afferrò uno dei barattoli, lo aprì con uno scatto e lo versò addosso al leone e al gorilla: intanto l’asino, colto alla sprovvista, pensava a come reagire.
RUN!”         
Il Dottore prese Agnes per mano (quella libera, dato che l’altra stava tenendo il camaleonte per la coda) e insieme rientrarono nel Tardis, finalmente al sicuro.
“E ora andiamo dal tuo Lucian” stabilì il Dottore, mentre Agnes riprendeva fiato e posava il camaleonte sul pavimento.     
“Lucien” lo corresse prontamente la ragazza.          
“Mh, lo sa di essere pignolo, vero?” le fece il verso il Dottore, mentre quella specie di colonna che faceva parte del meccanismo del Tardis si sollevava e riabbassava ritmicamente, conducendoli all’interno della Fabbrica.

4

“Se questo mi fa ridere, deve essere stata una giornata veramente difficile”

Agnes si sporse cauta dall’interno della cabina blu, osservando guardinga l’ambiente. Davanti a lei stava un lungo corridoio che dava su quelle che un tempo erano state aule scolastiche, mentre il fumo di macchinari che da lì non poteva vedere rendeva quel posto abbastanza inquietante. Lucien avrebbe potuto essere ovunque: insieme al Dottore, però, sarebbe riuscita a ritrovarlo più in fretta.
“Qui le nostre strade si divideranno per un po’” disse a quel punto il Dottore.         
“… Come, prego?!” lo ribeccò Agnes.         
“Devo trovare i responsabili di questo posto” spiegò il Dottore “intanto, tu potrai cercare tuo… fratello? Amico? Dama di compagnia?”           
“Marito” precisò Agnes “e… e se mi ritrovo davanti un alieno? Cosa faccio?!”   
“Porta qualcuno con te” rispose semplicemente il Dottore “una iena, magari? Ho notato che stavate facendo amicizia!”       
“… Non puoi prestarmi un’arma, piuttosto?”          
“Non ho armi”.          
“E quell’aggeggio con la luce blu che hai usato prima?!”    
“Non è un’arma, è un cacciavite sonico!”    
“Potrebbe aiutare ugualmente”.        
“Sì, per aiutare aiuta… ma aiuta me” ribatté il Dottore “Well.. a te posso dare questo, però”.     
Da dietro un lupo addormentato il Dottore sollevò il secondo barattolo di vernice, quello che non aveva usato per fuggire dai Ferher.     
“E quello cosa sarebbe?!” chiese Agnes.      
“È vern…”     
“Lo so cos’è” lo interruppe la ragazza “ma che dovrei farmene?!” 
“Poco fa è stato utilissimo!” replicò il Dottore “dice il saggio: ‘Porta sempre un barattolo di vernice con te’”.   
“E lei sarebbe il saggio?!” Agnes sospirò “beh… immagino che dovrò accontentarmi, dato che delle iene non mi fido”. 
“Puoi farcela, irish one” le disse il Dottore, posandole una mano sulla spalla.      
“È che… potrei avere un po’ paura” confessò la ragazza, distogliendo lo sguardo per sollevare il barattolo di vernice.           
“Lo so… e I’m sorry” mormorò il Dottore “I’m so sorry. Ma terrò i Ferher lontano da te, mentre cerchi tuo marito”.           
Agnes sorrise. “Grazie”.        

A quel punto i due uscirono dal Tardis e presero direzioni opposte. Agnes si sentiva un po’ un’idiota, a passeggiare in un edificio abbandonato con un secchio di vernice che le dondolava da una mano, e si chiese se sarebbe riuscita a passare per una che lavorava per i Ferher, se fosse stata scoperta. Cauta, iniziò a sbirciare all’interno delle aule, cercando un volto a lei familiare, e si stupì di vedere che quegli alieni avevano proprio rapito chiunque, senza distinzioni: anziani, bambini, donne con vestiti eleganti, poveracci d’ogni sorta… Avrebbe voluto avvisarli che, presto, sarebbero stati liberi, ma probabilmente non era il caso agitare tutti quanti prima del previsto. Stava ormai gironzolando da un po’, quando raggiunse quella che un tempo era stata la classe 2B. Sotto il numero della sezione qualcuno di piuttosto annoiato aveva aggiunto “or not 2B” e Agnes, inaspettatamente, riuscì a stento a trattenere il riso.    
“Se questo mi fa ridere” si disse “deve essere stata una giornata veramente difficile… E non è nemmeno finita”.           
Agnes continuò la sua esplorazione, quando da uno dei piani superiori dell’edificio sentì dei rumori: qualcuno stava lottando, e sicuramente il Dottore si trovava in mezzo. Per un istante fu tentata di raggiungerlo, ma il pensiero di Lucien la costrinse a ritornare sui suoi passi: aveva imparato che il Dottore sapeva cavarsela da solo, e poi aveva quel suo “cacciavite ionico” con sé, qualunque cosa fos…         
Una mano l’afferrò da dietro all’improvviso e Agnes cacciò un urlo, terrorizzata. Istintivamente la ragazza morse la mano dell’aggressore, sollevò il barattolo di vernice sopra la testa e glielo scaraventò sulla schiena con tutta la forza che possedeva… e, complice l’adrenalina, era veramente tanta.     
“A… Agnes?"


5

“Una mano l’afferrò da dietro all’improvviso e Agnes cacciò un urlo, terrorizzata”

“Lucien!”
Agnes si precipitò sulla figura che ora se ne stava distesa a terra, dolorante, con i vestiti e il volto sporchi di fuliggine.           
“Agnes… pensavo… pensavo ti avessero rapito!” riuscì a dire Lucien, mentre la ragazza lo aiutava a rialzarsi in piedi.           
“Lo hanno fatto, in effetti, ma non è durata molto” esclamò Agnes “ascolta… il Dottore si sta occupando dei Ferher, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte: cerchiamo di radunare più gente possibile e portiamola dentro il Tardis!”           
“Il… Dottore? E… cosa?!” biascicò Lucien, ancora stordito sia per la botta subita sia per quelle parole che non comprendeva.
“Fai come ti dico” tagliò corto Agnes.         
“Già… va sempre a finire così, vero?” commentò Lucien, ma poi fece come la moglie gli aveva detto e, quando condussero tutte quelle persone dentro la cabina blu (con un coretto di “Ooooh! È più grande all’interno!”), Agnes trovò il Dottore in compagnia dell’asino, del gorilla e del leone (ancora sporchi di vernice), insieme ad altri componenti del Raining Dreams Circus… tutti svenuti, dal primo all’ultimo. La ragazza brandì subito il barattolo, a mo’ di arma.  
“Che ci fanno loro qui?!”      
“Tranquilla, li riporterò sul loro pianeta d’origine” la rassicurò il Dottore “esattamente come tutti gli altri. Ma prima…”        
Con un paio di saltelli si avvicinò a lei e a Lucien. “… vi riporto a casa. Meritate di essere i primi”.
Lucien lo squadrò da capo a piedi. “E questo chi sarebbe?!”          
Il Dottore” rispose Agnes, come se questo potesse spiegare qualsiasi cosa.         
Dottore in cosa, esattamente?”       
La ragazza scosse le spalle. “In qualcosa che ti ha appena salvato la vita, credo”. 
“Tu mi hai appena salvato la vita” la corresse Lucien.        
“Mh… Mi prendo volentieri il merito!” esclamò Agnes, mentre osservava il Dottore pilotare la sua “scatola vintage” un’ultima volta.         

*   *   *

Quando le porte del Tardis si riaprirono, Agnes notò che si trovavano proprio in mezzo agli ex Five Points.      
“Io… ti aspetto in casa. Credo” borbottò Lucien, un po’ imbarazzato perché non aveva capito granché di quello che era appena successo.  
“Se vedi un saltimbanco, scappa” gli disse Agnes, dandogli un bacio sulla guancia “a dopo”.     
Lucien si allontanò quindi da quella cabina prodigiosa, mentre Agnes si limitò ad uscire: si rese conto che era ormai notte inoltrata e nessuno era in giro per le strade.    
“Allora… irish one” iniziò a dire il Dottore, appoggiato allo stipite della porta “che cosa farai, ora?”    
“Beh… prima di tutto, dovrei comprare della vernice nuova” improvvisò Agnes, abbozzando un sorriso “e poi… Boh, non so. Cose normali, immagino… Ma, ogni tanto, mi capiterà di pensare a questa giornata, e mi ricorderò che le cose non devono per forza essere normali”.         
“Abbiamo appena fermato degli alieni con della vernice, quindi direi che le cose stanno così” si limitò a dire il Dottore, abbassando lo sguardo.      
“E lei, Dottore? Cosa farà, invece?” gli domandò Agnes.  
Lui si lasciò sfuggire una mezza risata. “‘Cose normali, immagino’… Andrò a… come avevi detto?... a ‘caccia di alieni’!”          
“Ma non è quello che fa, vero?” disse Agnes “no, lei non va a caccia di alieni… Lei li salva”.    
Il Dottore non rispose subito.           
“A volte” disse, infine.         

In quel momento Agnes si rese conto di una cosa: il Dottore viveva sicuramente ogni giorno avventure straordinarie, ma, per qualche motivo, non era felice. C’era una sorta di tristezza latente in lui, una sorta di malinconia rassegnata che nessuno, men che meno lei, avrebbe mai potuto risollevare. Era la stessa rassegnazione di chi sa che presto le cose sarebbero cambiate per sempre e, se qualcuno riusciva a trovare nella fine una sorta di serenità, il Dottore poteva solo tormentarsi.
“Grazie al cielo sono stata una di quelle volte” disse Agnes, sorridendogli “quindi, Dottore, non essere triste… Per favore”.          
Il Dottore accennò un sorriso che non convinse per niente la ragazza, ma fu costretta ad accontentarsi di questo.           
“Addio, irish one” mormorò.           
“Addio, Dottore” rispose lei.
La porta del Tardis, che ora era veramente una sorta di Arca di Noé, si chiuse e, poco dopo, il rumore che per qualcuno era stato così familiare interruppe il silenzio del quartiere: per Agnes non sarebbe mai diventato un’abitudine, ma era certa che non l’avrebbe mai dimenticato. Poi la cabina iniziò a smaterializzarsi e alla fine scomparve, come se non fosse mai stata lì.  
“Per San Patrizio… faceva così ogni volta?!” si chiese Agnes, sorpresa. Poi, senza un vero motivo, la ragazza alzò gli occhi al cielo notturno, senza osservare nessuna stella in particolare, semplicemente guardando l’universo sopra di sé. Fantasticò sul futuro, sul cancello che attendeva di essere verniciato, e sorrise.    

Sì, la vita di Agnes Doherty sarebbe andata avanti, e così anche quella di Lucien… ma, tra le stelle, una canzone stava per giungere alla sua conclusione. La storia, invece, non ha mai fine, o così almeno è stato predetto da un’altra profezia, una di quelle che dicono la verità: ciononostante, questo specifico racconto deve terminare… fiero di aver prolungato, anche se per poco, una canzone che tutti vorrebbero riascoltare.        

 

“But we had the best of times”.

“The best”.

   
 
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