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Autore: ChiiCat92    23/02/2015    2 recensioni
"- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -
Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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- Epilogo -




Le cicale davano il meglio di sé, spandendo nell'aria un concerto di gracchi e stridii che, con il caldo asfissiante, annunciavano alla perfezione un'altra calda, densa giornata di inizio Giugno.

Il condizionatore nella stanza di Roxas era rotto, la sua solita fortuna.

Quando si mise seduto, dopo essere riuscito a staccare le spalle dalle lenzuola roventi, aveva i capelli zuppi di sudore.

Si alzò, cercando conforto per la bocca riarsa nella bottiglia d'acqua che aveva sul comodino, ma era così calda che avrebbe potuto bollirci un uovo.

Si passò una mano sulla faccia accaldata, scostando i capelli bagnati dalla fronte.

Era solo colpa del caldo se si era svegliato così presto, di certo non avrebbe voluto passare le successive sei ore a scuola, ma la prospettiva di lasciare la sua casa rovente era allettante quando un cubetto di ghiaccio sulla pelle. Quanto meno, a scuola, poteva sfruttare la piscina coperta.

Si costrinse ad indossare almeno la maglietta per andare a fare colazione, dato che a sua madre non andava molto bene vederlo girare in casa mezzonudo, anche se solo il gesto di appoggiare sulla pelle calda un tessuto di cotone gli fece venire voglia di urlare.

Trascinando i piedi andò in cucina, dove suo padre sedeva leggendo il giornale. A Roxas per un momento sembrò che le parole stampate sulla carta ondeggiassero e colassero come trucco a causa del caldo.

- Buongiorno Roxy. -

Lo salutò sua madre, madida di sudore perché stava ai fornelli a cucinare la colazione salata che tanto piaceva a suo padre.

Se avesse potuto, Roxas avrebbe risposto con un grugnito, qualcosa come “sgrunf”, perché c'era davvero troppo caldo per impegnarsi a proferire una parola di senso compiuto, seppur così semplice come “buongiorno”.

Si impegnò a proferire un secco “giorno” solo perché non voleva essere sgridato per non aver risposto a sua madre: il caldo rendeva tutti irascibili senza ragione.

Come un zombie sedette a capotavola, sudando solo a vedere il vapore che si alzava dai fornelli.

- Cosa vuoi per colazione? -

- Tiramisù. -

Rispose lui, quasi sovrappensiero.

Non fu solo sua madre a guardarlo come se fosse impazzito, persino suo padre alzò gli occhi dal giornale slavato per rivolgergli un'occhiata perplessa.

- E dove le vado a prendere il tiramisù? -

Ridacchiò lei per tutta risposta, trattando la sua risposta come se si fosse trattato di uno scherzo.

Roxas aggrottò le sopracciglia, scocciato da quel suo modo di prenderla.

Cosa c'era di male a volere tiramisù per colazione?

Non era la prima volta che glielo preparava...no?

Sbuffando dal naso si rese conto di non avere più fame, quindi si alzò, annunciando, lapidario, che sarebbe andato a scuola un po' prima del solito.




Gli occhiali da sole li aveva persi da qualche parte, anche se non sapeva bene dove, e il berretto a scacchi che aveva in testa proteggeva dal sole ma lo faceva sudare come se fosse in una sauna.

La solita sfiga che lo accompagnava gli aveva fatto perdere l'ultimo autobus per la scuola, per cui non gli rimaneva che farsi il tragitto di ottocento metri a piedi, sotto il sole che, seppur ancora giovane, non dava tregua.

Il caldo si alzava dall'asfalto facendolo ondeggiare, e non era difficile avere le visioni.

Cos'era quella creatura nera con gli occhi gialli che si aggirava agli angoli del suo campo visivo?

Faceva davvero troppo caldo.

Lanciando un'occhiata al suo orologio da polso si rese conto che le lancette erano ferme, doveva essersi scaricata la batteria, allora cercò il cellulare nelle tasche del bermuda, ma ovviamente non c'era. Ricordò di averlo visto l'ultima volta sul suo comodino, e lì averlo lasciato anche quando si era vestito per uscire.

La sfortuna sembrava non volerlo lasciare in pace.

Almeno aveva con sé il portafogli.

I suoi occhi blu vagarono lungo la strada alla ricerca di un posto dove rifugiarsi per trovare riparo da quella calura.

Dopo un inverno gelido e una primavera a malapena tiepida, il caldo che quell'estate annunciava non era minimamente sopportabile. Gli ultimi giorni di scuola sarebbero stati difficili da sopportare.

Come in un miraggio vide dall'altra parte della strada un chiosco di limonate, affollato, perché serviva bevande ghiacciate, ma invitante.

Quando era bambino gli avevano insegnato quando si attraversava bisognava guardare prima a destra e poi a sinistra, per accertarsi che non arrivassero vetture in nessuno dei due sensi e evitare di essere investito.

Quella mattina, però, Roxas non lo fece. Non lo fece perché aveva caldo, l'asfalto era quasi appiccicoso, l'orizzonte tremolante e il chiosco della limonata troppo vicino.

Attraversò, e attraversò praticamente con gli occhi chiusi.

L'ultima cosa che sentì fu lo stridore dei freni di un'auto, prima di venire catapultato in un limbo nero senza uscita.




La meravigliosa sensazione di aria fredda che gli colpiva il viso non era minimamente attutita dal dolore che sentiva al braccio e alla testa: era così bello stare al fresco che non gliene importava.

Roxas aprì gli occhi lentamente, mettendo a fuoco quello che aveva intorno.

Si stupì di non essere nella sua stanza, con il suo condizionatore d'aria acceso al massimo. Gli ci volle poco per ricordarsi che era uscito di casa quella mattina proprio perché il condizionatore non funzionava e lui era rimasto a sudare tra le lenzuola fino a squagliarsi.

Per questo, quando vide le pareti bianche di una stanza di ospedale, quasi gli venne un colpo.

Che cosa era successo?

Ricordò di essere sfortunato, quello non poteva dimenticarlo, e subito dopo ricordò anche che aveva attraversato la strada per andare a prendere una limonata e che non aveva guardato né a destra né a sinistra.

Qualcuno doveva averlo investito.

Con la mano sinistra si tastò ovunque, cercando danni irreparabili al suo corpo. Le gambe le sentiva ancora, e anche se la testa doleva sembrava funzionare come prima, ma il braccio destro era ingessato.

Oh, perfetto, si era appena giocato tutta l'estate.

Si tirò su con una smorfia, si sentiva tutto ammaccato, come un frutto troppo maturo che era stato schiacciato in più punti.

Chi era stato l'idiota che l'aveva investito?

La porta della sua stanza si aprì, e la persona che entrò rispondeva alla sua domanda: un ragazzo alto, magro, con una chioma di capelli rossi sparata in aria come se gli fosse esploso un petardo in mezzo, occhi verde smeraldo carichi di preoccupazione, due ridicoli tatuaggi a forma di lacrima rovesciata sulle guance. Era proprio la sua idea di “idiota”.

- Sei sveglio! Grazie al cielo! - il ragazzo non si prese neanche la briga di chiedere se potesse: semplicemente si prese una sedia e si sedette accanto al suo letto come se non avesse fatto altro per tutta una vita - Mi dispiace! Sei spuntato in mezzo alla strada così all'improvviso...! Ho frenato ma non sono riuscito a evitarti. - ogni parola che usciva dalle sue labbra sottili erano fastidiose per Roxas, tanto che non poté fare a meno di rivolgergli una smorfia così risentita che il ragazzo dovette abbassare il capo, colpevole - Ti ho portato...del tiramisù, spero che ti piaccia. -

Gli poggiò sulle gambe un piattino di plastica coperto di carta stagnola.

Gli occhi blu di Roxas si incendiarono d'ira, anche se una piccola, minuscola parte di lui era grata per quel miracolo: tiramisù e una stanza ghiacciata mentre fuori il termometro toccava di 35°, che cosa poteva volere di più dalla vita?

- E secondo te col braccio rotto come faccio a mangiare? -

Sbottò, acido, cercando di nascondere la gratitudine in meandri di risentimento.

- Ci penso io! - il ragazzo si prodigò per imboccarlo, e Roxas lo trovò enormemente imbarazzante, anche se il tiramisù era buono, davvero buono - Io sono Axel. A-x-e-l, got it memorized? - sorrise lui, quando ebbe finito di farlo mangiare, picchiettandosi un dito sulla tempia.

Quel gesto, in qualche modo, lo fece sorridere. Forse perché, insieme con la chioma rossa e lo sguardo convinto, completava il quadretto di idiozia che rispondeva ai canoni di Roxas.

- Io sono Roxas. -

Ci tenne a presentarsi il biondo, senza riuscire a smettere di sorridere per l'assurdità della situazione.

Era uscito di casa per trovare un po' di fresco ed era stato investito da un idiota disattento, però alla fine il fresco l'aveva trovato comunque.

- Oh, lo so. - annuì, come tra sé e sé il rosso, anche se poi si affrettò a precisare - L'ho letto sulla carta di identità che avevi nel portafogli. -

Roxas alzò gli occhi al cielo, sbuffando come un treno.

- Il mi Angelo Custode deve avermi abbandonato, me ne stanno capitando di tutti i colori in questi ultimi tempi. -

Bofonchiò, quasi sottovoce, come se non volesse farsi sentire da Axel, ma ottenendo l'effetto contrario.

- Anche il mio! Ho preso la patente solo da due giorni e la prima cosa che faccio è investire un ragazzino! -

- Siamo proprio sfortunati, eh? -

Si ritrovarono a scambiarsi uno sguardo, un lungo sguardo d'intesa, dopo di che scoppiarono a ridere, come se fossero amici da sempre, come se non aspettassero altro che ritrovarsi, anche in quella strana circostanza, per poter ridere insieme del loro destino.

- Mia madre mi ucciderà appena verrà a sapere quello che è successo. -

- Oh tranquillo, anche mia madre ti ucciderà appena lo verrà a sapere. -

- Diamine, me la dovrei dare a gambe! -

- Eh no, mi hai rotto un braccio, mi sono giocato l'estate per colpa tua! Il minimo che tu possa fare adesso è diventare mio schiavo finché non mi toglieranno il gesso. -

Axel fece finta di sospirare, sconsolato per quella sorte.

- E va bene, ma ti assicuro che come Angelo Custode faccio davvero pena, forse è meglio non averne. -

- Non devi essere il mio Angelo Custode. -

- E cosa vuoi che io sia? -

Di nuovo, gli occhi blu di Roxas si specchiarono in quelli verdi di Axel. Stavolta era uno sguardo attento, preciso, che cercava qualcosa senza però trovarla.

- Il mio schiavo, te l'ho detto. -

Il biondo lo disse con una serietà tale da far scoppiare a ridere Axel, che finse di asciugarsi una lacrimuccia con un dito.

- Che ne dici se cominciamo dall'essere amici? -

- Va bene, te lo concedo. -

E per la prima volta dopo tanto tempo, Roxas si sentì fortunato.

Aveva un braccio rotto, la testa dolorante, l'estate rovinata, ma non aveva mai avuto un amico.




- Pensi che ce la faranno? -

- Non lo so, l'ha appena messo sotto la sua macchina. -

- Però non l'ha ucciso. -

- Ah, sì, che gran consolazione. -

- Hai intenzione di vegliare su di loro? -

- Devo ad Axel ancora un favore. -

- Non mentire, Riku, non gli devi niente. -

- Allora diciamo che lo faccio per un amico. -

- Pensavo che non foste amici! -

- Sora, torna in Paradiso prima che mi arrabbi. -

- Come sei suscettibile. -

- Bhè, sentiamo, tu perché lo fai? -

- Perché credo che Axel non fosse colpevole di niente. -

- Stai infrangendo la Legge, rischi di finire come loro. -

- Bhè? Non sembra essere così male. Hanno entrambi un cuore che batte e la possibilità di essere felici. -

- Forse è questo il vero Paradiso. -

- Già. -

- Non ti da fastidio lavorare con un Demone? -

- E a te non da fastidio lavorare con un Angelo? -

- Rende tutto più interessante. -

- Però sarà difficile proteggerli. -

- Non vuol dire che non ci proveremo, no? -

Ombre invisibili eppure presenti, Sora e Riku lanciarono uno sguardo alle schiene di Roxas e Axel mentre camminavano insieme fuori dall'ospedale.

Roxas si voltò un attimo, come cercando qualcosa dietro di sé.

- Che c'è? -

Chiese Axel, preoccupato, squadrando il nulla alle sue spalle in modo apprensivo.

- Niente, avevo la sensazione di essere seguito. -

- Ah, chi vuoi che segui due persone sfigate come noi? -

- Nessuno, hai ragione. -

E proseguirono insieme, ridendo.




Fine






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The Corner

E così siamo giunti alla fine,
spero che questa storia sia stata di vostro gradimento.
La dedico al mio piccolo amore, nella speranza che le sia piaciuta.
A risentirci!

Chii
   
 
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