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Autore: Water_wolf    27/02/2015    5 recensioni
ATTENZIONE: Seguito di "Sangue del Nord" e "Venti del Nord".
Percy Jackson? Scomparso? Alex, Astrid ed Einar non riescono credere alle loro orecchie. Eppure, è proprio Annabeth, arrivata al Campo Nord da Long Island, ad annunciarlo. Chiede aiuto: forse il suo fidanzato è stato portato in Norvegia. Nel frattempo, Gea sta risorgendo e ci sarà bisogno di tutte le forze disponibili per salvare il mondo… e non solo da lei.
«Dimmi, Leo. Cosa faresti tu al posto mio?»(…) «Non lo so» ammisi. «Forse scapperei, o cercherei di sdrammatizzare con qualche battuta idiota. Dopotutto è quello che ho sempre fatto.» «Ma non questa volta, vero?» (…) «No. Forse perché so che questo posto mi avrebbe dato qualcosa di più… una nuova casa, uno scopo. Ma che dico, io non sono adatto a fare questi discorsi tragici» dissi, tornando a sorridere.
Le stelle bruciavano la notte sopra di noi. Nuotavamo nell’inchiostro che, forse, qualcuno avrebbe usato per scrivere la nostra storia. Eravamo giovani ed eravamo folli ed eravamo felici. || C’era qualcosa di magico, nella durezza che assumeva ogni profilo durante la tempesta.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio, Piper McLean, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Let it snow
♦Astrid♦
 
La radio era accesa, ma la si poteva a stento definire rumore. L’abitacolo era invaso dal silenzio. Non che io non stessi simpatica a Dana, o viceversa, solo… A dire la verità, non ero a conoscenza del perché non stessimo chiacchierando e nemmeno mi interessava.
Cercai di concentrarmi sulla musica – era persino il mio genere, Dana doveva aver sintonizzato la radio su una frequenza che potesse piacermi; santa donna – come facevo di solito per distrarmi, ma non funzionò. Mi misi a fissare la gente fuori dal finestrino.
Prendere l’autobus. Salutare il fioraio amico di uno dei tuoi genitori. Leggere un libro su una panchina. Portare a passeggio il cane. Attività banali, quotidiane e magari noiose per qualsiasi mortale, ma una manna dal cielo per ogni semidio.
Spiai la mamma di Alex attraverso lo specchietto retrovisore. Mi era piaciuta subito, anche solo perché suo figlio era Alex e le andava tutta la mia stima per averlo cresciuto così bene. Non ero ancora riuscita a capire perché non mi odiasse, però, e provai a capirlo attraverso le piccole zampe di gallina attorno ai suoi occhi.
Certo non era più una ragazzina, ma invecchiava con classe. Era un peccato che si fosse innamorata di Odino, invece che di un mortale onesto, perché se lo sarebbe meritato.
Sospirai, appoggiando la testa contro il vetro del finestrino. La morte faceva schifo. Era un pensiero banale, soprattutto per una figlia di Hell, ma, davvero, la morte faceva schifo. In quella frase misera era riassunta una verità universale.
Durante la nostra esistenza su questo pianeta, ci si creava delle certezze. Per esempio: gli hamburger dei fast-food erano cibo spazzatura, però erano tremendamente buoni. O: non importava quanto i film horror fossero prevedibili, si gridava a ogni colpo di scena. Una delle mie riguardava mio padre e dichiarava fermamente che io odiavo lui, e lui odiava me. Adesso, me l’aveva portata via.
La morte rendeva tutti perfetti, riusciva a cancellare i peccati di ogni uomo. Di un tiranno potevi dire “era crudele”, però subito veniva fuori “ma aveva una visione politica che, letta in un altro modo, poteva essere considerata buona”. La morte tirava fuori i “ma”. Quando mio padre era vivo, ero sicura di odiarlo. Ora, non facevo che ricordarlo per le cose buone che aveva fatto.
Mi tornavano in mente memorie che credevo da tempo dimenticate, come le torte che infornavamo insieme dopo una gita nel bosco, o io che tentavo invano di insegnarli a intrecciarmi i capelli.
Che ne era della bambina che andava a letto senza cena perché il padre si era scordato di cucinarle qualcosa? Della stessa ragazzina che aspettava ore davanti al cancello della scuola, ma che doveva tornare a casa da sola ogni volta? Di tutte quelle insulse, minuscole cose che erano nulla, ma facevano male lo stesso?
Non avevo mai perdonato niente a nessuno. Però, se pensavo alle volte che Rupert mi aveva ricoperto di insulti, aggiungevo subito che magari aveva assunto un po’ della droga che spacciava, o che non lo intendeva veramente. Quando ripensavo alle volte che era quasi arrivato alle mani, notavo che si era fermato prima di colpirmi.
Scuse su scuse, “ma” e “ma” e “ma” e “ma”. La verità era che i morti non si possono incolpare di nulla, non importava quanta merda avessero gettato sui vivi. E anche se non volevo perdonare mio padre, lui si era fatto uccidere e, ancora una volta, mi stava costringendo a fare qualcosa che non mi andava. Sempre a dettare legge come un despota, persino ora.
Mi arrabbiavo con me stessa perché mi stavo dimostrando di una tale debolezza che il solo pensiero mi faceva andare il sangue alla testa. Mi sarebbe piaciuto molto potere affermare “mio padre è morto. Bene. Passiamo avanti, la prossima notizia sarà più rilevante, spero” con tutta la spavalderia di cui disponevo, invece stavo crollando.
La bambina che piangeva Rupert chiusa nell’armadio per non farsi sentire e beccarsi una sgridata era rimasta là, chiusa dentro il guardaroba, seppellita dalle pellicce. Io non ero più una bambina. Eppure...
Avrei dato via un rene, lo stomaco, pur di smetterla di piangere mio padre che padre non era stato. Era più una presenza che aleggiava in casa, infestando l’ambiente con ricordi felici che avevano un sapore amaro e memorie tristi che avevano il gusto salato delle lacrime. La mia era una casa di urla e fantasmi, e non mi sarebbe dovuta mancare mai.
Il ticchettio della freccia inserita mi riportò alla realtà di colpo, così di colpo che sbattei la testa contro il finestrino.
«Al diavolo anche tu, mmfcoso bastardo» brontolai, massaggiandomi il punto dolente.
Sperai che Dana non mi avesse sentito, perché non credevo le sarebbe piaciuto venire a sapere quanto vasto fosse il mio vocabolario edizione Scaricatore di Porto 2010.
«Ci siamo quasi» mi informò, rimanendo però concentrata sulla strada.
La cute mi pulsava ancora un po’. «Mh-mh» dissi.
L’ispettore Simpatia von Aue si era recato personalmente a casa Dahl, ieri, e mi aveva comunicato che mi sarei dovuta presentare in commissariato per la deposizione ufficiale entro la settimana e, inoltre, avrei dovuto dichiarare che il defunto fosse proprio mio padre – come se ci fossero dubbi a riguardo – e quindi fare un salto in obitorio.
«Perché?» avevo domandato.
Con un’alzata di spalle, il poliziotto aveva risposto: «Pura prassi. Formalità varie. Scartoffie. Le chiami come vuole, signorina Jensen.»
Avrei dovuto pagare da me il funerale, ma dato che non disponevo di sufficiente denaro, Alex e Dana si erano coalizzati contro di me e mi avevano costretto ad accettare il loro aiuto finanziario. Avevo optato per la cremazione, la soluzione più economica, nonostante il figlio di Odino mi avesse guardato come per ricordarmi che i nostri eroi veniva bruciati su una pira. Non mi era uscito di commentare “altro che eroe, lui brucerebbe solo all’Inferno”.
Dana parcheggiò proprio davanti alla centrale di polizia, spense il motore e scese per prima. La visita di oggi era all’obitorio. Rimasi da sola in auto, sprofondata nel sedile del passeggero. Sospirai. Poi, aprii la portiera e affiancai la mamma di Alex e salii i pochi gradoni che introducevano all’ingresso.
Non mi preoccupai di seguire i discorsi, mi limitai a ripetere a pappagallo nome, cognome, età e blablabla vari a chi me lo avesse chiesto.
Un medico legale nel suo camice bianco ci invitò a salire con lui in ascensore, così avremmo evitato di farci due piani scale, seppure in discesa. Aveva una pancetta da birra, peli bianchi che gli spuntavano dalle orecchie e un viso che si poteva definire solo con due aggettivi: smorto e grigio. Dal momento che non avevo afferrato come si chiamasse, lo ribattezzai Mai ‘Na Gioia. Nessuno mi avrebbe potuto dire che non gli calzasse a pennello.
Mai ‘Na Gioia ci condusse per lunghi corridoi vitali quanto lui, dopodiché si fermò davanti a una porta a vetri, digitò un codice e quelle scorsero, permettendo l’accesso.
«È il terzo tavolo» esordì, la voce grigia quanto lui. Non gli feci notare che mio padre non era un tavolo. «Fate pure con comodo, io non interferirò. Se volete uscire, fatemi un cenno.»
Mai ‘Na Gioia si piazzò dietro di noi e si fuse con l’ambiente. La mamma di Alex mi mise una mano sulla spalla e mi invitò gentilmente a procedere. Passammo davanti al primo tavolo, al secondo, ci fermammo al terzo.
Dicevano sempre che i morti sembravano dormire. Non ero d’accordo. Mio padre giaceva sulla schiena, coperto da un lenzuolo bianco dai piedi alle spalle, dove due cuciture iniziavano e scomparivano sotto il tessuto. Aveva un colorito bianco-giallogno, i lineamenti distesi e la mani stese accanto al corpo, immobili.
Non sapevo cosa mi fossi aspettata, ma non era quello. Era così… pacatamente anormale. Rupert che non stava mai fermo, che doveva sempre avere qualcosa tra le mani – soprattutto se aveva bevuto o se era fatto –, che dormiva in un grumo di coperte con una gamba da un lato e l’altra chissà dove, che appariva corrucciato anche da addormentato. Non era mai stato così immobile in vita sua e non sapevo perché e semplicemente c’era qualcosa che non andava e forse non conoscevo abbastanza bene la morte e
Un fiotto di bile mi ostruì la gola di colpo. Mi scostai la mano di Dana dalla spalla
(Dèi vi prego non voglio vomitarle addosso)
Un cestino, un cestino, un cestino, un cestino! Ce n’era uno in quella dannata stanza?
(Cazzo, dai, sul pavimento no)
Non riuscii più trattenere i conati e aprii la bocca.
La mamma di Alex gesticolò freneticamente per attirare l’attenzione del medico legale, e anche il mio corpo gridava uscire uscire uscire.
 
 
Mi sciacquai la bocca più volte tenendo aperto il rubinetto del lavandino nei bagni delle donne. Mi buttai dell’acqua fredda anche sul viso, dopodiché mi asciugai faccia e mani con la carta igienica, tamponandomi le tempie.
Aprii una porta a caso e mi sedetti sulla tavoletta del wc. Mi presi la testa tra le mani, sperando che smettesse presto di pulsarmi. Non mi andava di far aspettare Dana, soprattutto perché si sarebbe preoccupata ancora di più.
Sbuffai. Un ciuffo di capelli si sollevò in aria e mi ricadde tra gli occhi, incastrandosi con le ciglia. Sgomberai la mia mente da ogni pensiero, felice o triste che fosse, e ridussi la mia attività celebrale al minimo, sperando che in questo modo mi passasse il mal di testa.
Non alzai il capo, quando un rumore di tacchi riempì l’ambiente, ma lo feci quando Dana bussò sulla porta aperta del bagno.
«Come ti senti, Astrid?» mi domandò, tenendo la voce bassa.
«Mhpf» sbuffai. «Bene, suppongo. Per fortuna non avevo mangiato molto, questa mattina.»
E menomale che Alex non è qui. Sarebbe andato in panico e mi avrebbe soffocato con le sue attenzioni, pensai. Avevo preso una decisione giusta, quando gli avevo chiesto di rimanere a casa, oggi.
«Sicura?» Dana mi toccò la fronte, sentendo se era calda, e iniziò a frugarsi nella borsa. «Mal di testa? Vuoi qualcosa? Sì? Ho una bustina di Oki, ma non so se è indicato a stomaco vuoto…»
«Va bene così, davvero. Mi passerà in fretta» la fermai, bloccando quel flusso continuo di domande fatte tutte di seguito senza riprendere fiato.
Riluttante, la mamma di Alex smise di affannarsi alla ricerca dell’Oki. Era strano e al contempo carino vederla in piena attività protettiva, mi dava un’idea di come doveva essere stato averla come madre. Era una sensazione che scaldava il cuore.
Dana si inginocchiò davanti a me, cercando di catturare il mio sguardo sfuggente. «Astrid, tesoro» mormorò. «Mi dispiace così tanto.»
Lo disse in modo talmente sincero che mi brillarono gli occhi. «Grazie» sillabai, perché non volevo che la voce mi tradisse.
Prese ad accarezzarmi il ginocchio con la mano. «Oh, cara. Sei così bella, Astrid, lo sai, vero? E così forte.»
Mi scappò da ridere. «Forte?» ripetei, alzando lo sguardo su di lei. «Ma se non faccio altro che piangere da giorni per una persona che detestavo. Non dovrei provare niente e, invece, sono qui, seduta su un cesso in un fottuto bagno pubblico, che combatto per non scoppiare in singhiozzi ancora una volta.»
«Al contrario di quel pensi, sei molto forte. Credimi» ribatté, senza vacillare. «L’importante non è trattenere le lacrime. L’importante è raggiungere un punto d’arrivo, rialzarsi e ricominciare d’accapo. Il dolore si vince resistendo, non negandolo. Concediti di soffrire, ogni tanto, Astrid.»
Mi sarebbe piaciuto replicare che non la pensavo in quel modo, che si sbagliava, ma non mi venivano le parole.
«Posso abbracciarti?» mi uscì invece.
Incominciavo a vedere sfocato e il labbro inferiore mi tremava.
Dana annuì e aprì le braccia. «Vieni» mi invitò, dolce.
La abbracciai di slancio, stringendola forte e inspirando il suo profumo benigno di mamma. Rimasi impassibile per una manciata di secondi, poi la mia faccia si contorse e scoppiai a piangere rumorosamente, senza badare a fermare lamenti e mozziconi di frasi senza senso prima che uscissero dalla mia bocca.
Probabilmente le inzuppai la camicia di muco e lacrime, ma a Dana non sembrava importare. Continuava a massaggiarmi la schiena e a mormorare “così, così”, coccolandomi come se fossi sua figlia.
Così, così, seguii il suo consiglio e, per una volta nella vita, mi lasciai andare completamente.
 
 
La notte, feci un incubo. Sognai gli Dèi che combattevano Ymir. Odino era in prima linea e brandiva la sua lancia, affiancato da Baldr, che brillava intensamente, e Thor, i cui capelli mandavano scintille elettrostatiche. Non mi sorpresi, invece, di non scorgere Loki.
Ma pure Eir si stava dando da fare, dimostrando che anche le donne sapevano il fatto loro. Emanava potere persino con i capelli corti sporchi, scarmigliati e con alcune ciocce intrise di icore dorata, anzi, forse intimidiva di più così, se si considerava lo sguardo acceso, gli occhi smeraldo grandi e decisi, un mezzo sorriso di divertimento che le incurvava le labbra.
Smisi di contemplare la fierezza della dea, cercando di svignarmela dal posto il più in fretta possibile. Avevo già avuto il mio incontro ravvicinato con il Padre dei Giganti del Ghiaccio e mi era bastato.
Come se non l’avessi pensato, mi sentii puntati i suoi occhi sulla schiena. Riluttante, girai lentamente la testa. Il suo sguardo mi trafisse. Le mani presero a tremarmi, per il freddo o il terrore o entrambi. Non riuscivo a cessare di fissarlo, ero come inchiodata lì, una statua di piombo.
La sua voce rimbombò nella mia mente. «Vi troverò e vi schiaccerò tutti quanti, piccoli mezzosangue» disse. «Aspettatemi.»
Mi svegliai di soprassalto, il fiato corto per la paura. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, inspirando ed espirando, inspirando ed espirando. Quando riacquistai la calma, mi sistemai meglio sotto le coperte e riaprii gli occhi. Il mio cuore perse un battito.
Vi troverò.
Le pareti della stanza degli ospiti risplendevano di una luce bianca, fredda, che si rifletteva sullo strato di ghiaccio che le aveva ricoperte all’improvviso.
Vi schiaccerò.
Anche le mie lenzuola erano rigide e ricoperte di brina e cristalli di ghiaccio. Iniziai a tremare. I brividi mi scuotevano tutta, mentre facevo scivolare le gambe fuori dal piumone. Le punte dei miei piedi erano livide e congelate.
Tutti quanti.
Le mie urla echeggiarono nella notte.
Aspettatemi.

 
koala's corner.
Ed è finita! *fuochi d'artificio scoppiano di qua e di là in colori blu e nero*
Questo è l'epilogo più deprimente che si possa mai leggere sulla faccia della terra, perché Wolfie ha voluto essere tanto cattiva con Astrid, lasciando tutti a bocca asciutta. Tipico messaggio da: "Leggete il seguito o non saprete nulla".
Non posso negarlo, ho convito Ax a scegliere un finale da ansia invece che uno felice e contento. I REGRET NOTHING. Il capitolo si spiega un po' da solo, sono più crudele con voi che con Astrid, credo. Quello che è accaduto è tutto nella norma.
Come sempre, siete i seguaci migliori che potessimo desiderare di avere. Quindi, un grazie enorme a coloro che hanno inserito Dispersi nel Nord tra i peferiti (AliNicoKITE  Amy_demigod  Amy_the_dreamer A_M_N  callie vee canux EleNina266  eltanininfire Fan of The Doors Giotta02  GraceJackson Graeca IlCantoDiLorelei Ilgladiatore999  Kallyope  Kamala_Jackson  Keyla99  kiara00  la ragazza di titanio lililisa_jb69  littleconny  Little_fox love_fire_blade lune rouge Nialls_flowers  Sapientona Xenia Lancaster _Krios_ _psychokiller_ _Selene_Moon_), a chi l'ha posta tra i seguiti (a l e x e y Akasuna No Gray Tokisaki  Amy_the_dreamer CatyFF09 Darkness_Angel DiamanteLightMoon  effe_95 Emmaguendalina Fyamma GossipGirl88  GraceJackson  Halfblood_Slytherin inlovewithLeoValdez  Iulia Nightshade Kamala_Jackson littleconny MadreDeiDraghi moon_26 Morgan_H Pegasusqueen Poseidonson97 sister_of_Percy  swashbuckling_starlight  Vale_Caleo 2000 Vodia _Selene_Moon_ ) e chi l'ha segnata tra i ricordati (Dreamer_10 elimarca01 GraceJackson
).
Un grazie speciale ai recensori, che sono sempre riusciti a ritagliare una finestra di tempo da dedicare a noi e alle nostre storie. We ♥ you so much!
Sono felice che ci siano stati nuovi aggiunti e chi c'è da sempre, invece, non si sia annoiato. Presto vi regaleremo perle della nostra cru dolcezza estrema :3
Per rimanere sempre aggiornati sul corso della saga, vi invitiamo a seguire la nostra pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Cronache-del-Nord/714709385281830 Alla prossima!

Piccoli spoiler: be', la prossima storia sarà ambientata durante MoA e avrete nuovi POV, speriamo possano piacervi tutte le nostri risoluzioni!
  
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