Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar
Ricorda la storia  |      
Autore: Koome_94    02/03/2015    4 recensioni
Francis Blowhole è il più temibile criminale che abbia mai calpestato l'asfalto di New York City.
Folle scienziato senza scrupoli, magnate del traffico d'armi, ossessionato dalla vendetta nei confronti di Skipper e dei suoi tre compagni, dovunque si posi il suo unico occhio color dell'acciaio ogni cosa si piega al suo volere fra dolore e sofferenza.
Almeno fino a quando nella sua vita non irrompe Hans, criminale da quattro soldi che, per ragioni ancora ignote, da Copenaghen è finito in un misero e sudicio appartamento di Hoboken, ben deciso ad aiutare Blowhole nei suoi piani di vendetta.
Ed è così che, fra un disperato tentativo di celare alla sorella le sue losche occupazione e una stoica resistenza alle battutine a doppiosenso di quella piaga di Hans, Francis inizia ad adeguarsi a quella nuova vita colma di disastri e risate represse per mantenere il suo buon nome.
Cosa davvero difficile da fare quando tua sorella ti shippa a morte con il maledetto danese e ti obbliga a scarrozzartelo in macchina in un viaggio di quattro giorni lungo l'interminabile Route 66.
Riuscirà Blowhole a resistere, o esasperato taglierà la gola ad Hans prima di aver raggiunto Doris ad LA?
[Human!AU]
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Blowhole, Doris, Hans
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A











Ancora non riusciva a capire come potesse essere successo.
Insomma, era assurdo e impensabile che lui, proprio lui, Francis Blowhole in persona, avesse potuto accettare di farsi carico di quella piaga sociale di Hans fino a Santa Monica e ritorno.
Come era capitato? Quale strana sostanza stupefacente aveva assunto per arrivare a farsi carico di una simile impresa?
Ah, già. Lo aveva chiesto Doris.
“Eddai, fratellone! Non mi piace l’idea che tu faccia la Route 66 completamente solo, e poi hai bisogno di qualcuno che ti dia il cambio alla guida!” aveva esclamato nel viva voce del telefono una manciata di giorni prima mentre, con il tempismo della Signora con la Falce, Hans spalancava la porta del laboratorio e gli piazzava uno scatolone di provette nuove sul tavolo da lavoro.
“Route 66?” aveva domandato, ficcando il naso dove non doveva come suo solito.
“Vai in California, Doc? Avrei giusto bisogno di un passaggio fino a Santa Monica!”
Francis aveva roteato gli occhi pronto a liquidarlo con un gentilissimo “fatti i cazzi tuoi e non rompere”, ma la sua diabolica sorellina aveva pensato bene di poter parlare per lui.
“Hans, sei tu? Vedi Fran? Hai già trovato il tuo accompagnatore!” la voce squillante della bionda aveva attraversato l’intero laboratorio, e lo scienziato ne era certo, se sua sorella fosse stata lì con loro, l’avrebbe vista seduta sul tavolo a gambe accavallate con un ghigno sadico sul suo adorabile visetto.
Per certi versi si assomigliavano davvero tanto, doveva ammetterlo.
“Bene, non vedo l’ora che arriviate!” aveva esclamato, tutta elettrizzata, dall’altra parte della cornetta.
Blowhole aveva tentato di opporsi a quella tirannica decisione, ma se aveva una debolezza era proprio sua sorella, e aveva quindi finito per capitolare, acconsentendo ad affrontare l’interminabile Route 66 con quella palla al piede a condividere il suo prezioso ossigeno.
Maledetta Doris, prima o poi gliel’avrebbe pagata.
Francis sbuffò e chiuse il bagagliaio con un colpo secco, poi si infilò in macchina e allacciò la cintura, gettando un’occhiata di sbieco al suo compagno di viaggio.
Hans se ne stava stravaccato sul sedile del passeggero, il cappuccio della felpa calato sulla testa e le braccia conserte. Il capo era appoggiato contro il finestrino e un occhio poco allenato avrebbe potuto pensare che dormisse, ma Francis lo conosceva abbastanza bene, ormai, da sapere che quel disgraziato non si sarebbe mai addormentato alla partenza, non se poteva tormentarlo un po’, per lo meno.
- Hey, piaga! – richiamò la sua attenzione alzando appena la voce.
Come da pronostico, il danese voltò il capo verso di lui in un movimento pigro e scocciato.
- Apri bene le orecchie, perchè non ho alcuna intenzione di ripetere. Su questa macchina non si fuma, non si sbriciola, e non si disturba mentre guido. – sibilò mettendo in moto.
Hans portò una mano tesa alla fronte in un impertinente saluto militare, le labbra curvate in un sorrisetto di scherno.
- Agli ordini, Capitano! – ridacchiò nell’accogliere lo sguardo d’odio di Blowhole.
Quello rafforzò la presa attorno al volante e si sforzò di non staccargli la testa ancora prima di partire.
Trasse un profondo sospiro e uscì dal parcheggio, lasciandosi alle spalle i grigi grattacieli di Hoboken.
Ne era certo, si ritrovò a pensare mentre Hans trafficava con la radio alla ricerca di una stazione che trasmettesse musica decente, quel viaggio sarebbe stato il peggiore della sua vita.
 
 








 
Route 66
 
 - Come Farsi Fregare in Quattro Giorni e Quattromilaseicento Kilometri -









 
Day One
 

Il panorama sfrecciava lungo i fianchi della macchina, il cielo terso sopra le loro teste a illuminare la giornata con i tiepidi raggi del sole.
Per grazia divina, dopo le prime due ore di viaggio trascorse a commentare ogni singolo metro percorso, Hans aveva preferito continuare a sonnecchiare ancora un po’.
Francis non aveva nemmeno osato accendere la radio, nel terrore che la musica potesse risvegliare il demone seduto accanto a lui: non avrebbe potuto sopportare la sua irriducibile parlantina per tutto quel tempo.
Lasciò che un grosso furgone bianco lo superasse, poi gettò un’occhiata furtiva al suo compagno di viaggio.
Da quanto tempo se lo ritrovava fra i piedi, ormai? Più di due anni, poco ma sicuro.
“Mal comune, mezzo gaudio”,  si era detto quando, così tanto tempo prima, era andato a cercarlo per proporgli di collaborare con lui nel suo folle piano di vendetta contro quel maledetto Skipper e i suoi tirapiedi.
Dopotutto aveva bisogno di qualche sprovveduto da utilizzare come carne da macello, e Hans sembrava proprio essere l’individuo migliore: era furbo, abituato a sporcarsi le mani in lavoretti poco dignitosi, e la sua ossessione per Skipper lo aveva portato ad accettare immediatamente.
Avevano passato mesi a pianificare ogni cosa nei minimi dettagli e, alla fine, come ogni volta, quello schifoso pallone gonfiato con la sindrome dell’eroe aveva mandato a monte tutto, riuscendo di nuovo a farla franca e mandandoli a tanto così dalla galera.
Ormai non era nemmeno più odio a scorrergli nelle vene, quanto piuttosto una necessità di portare avanti l’unica attività che conoscesse, l’unico sentimento a cui sapesse dare un nome. La sete di vendetta era diventata una routine, così come una routine era diventata la snervante presenza del danese nel suo laboratorio.
Dopo l’incidente di Skipper, Hans aveva pensato bene di dichiararsi suo “compagno di malefatte”, deciso a non mollarlo più finchè non fossero riusciti nell’intento che si erano prefissi.
Proprio non capiva per quale motivo si fosse ostinato a quel modo a voler rimanere al suo fianco, ma il grave era che glielo aveva permesso, abituandosi pian piano alla sua fastidiosissima voce che si annunciava assieme al crash di qualche provetta infranta sul pavimento.
Ancora ricordava con un brivido quella volta che, di ritorno da una trattativa con un cliente di quelli grossi, un mediorientale esigente e poco paziente, avevano incontrato Doris piena di pacchetti e borsine, di ritorno dallo shopping natalizio.
Dopo essergli saltata al collo stringendolo forte come ogni volta, il suo sguardo azzurro si era posato sui capelli scuri di Hans e sui suoi occhi ambrati, per poi guizzare velocemente al fratello, attraversato da una luce che non era stato in grado di interpretare, ma che non prometteva nulla di buono.
Era così che si erano conosciuti, Doris e Hans, in un nevoso pomeriggio di Dicembre davanti a un cappuccino di Starbucks e a una fetta di pumpkin bread, mentre Francis sudava freddo nel terrore che il compagno di malefatte potesse mettere a parte la ragazza della loro occupazione leggermente illegale.
Inutile dire che quel delinquente da quattro soldi e la luce degli occhi di Francis avevano immediatamente fatto comunella.
Insomma, se un tempo vedersi con Doris era un qualcosa di piacevole e atteso, ormai i loro incontri erano diventati qualcosa di strano, data la quantità infinita di domande su Hans che la fanciulla gli poneva sempre.
Mentre il sole si arrampicava senza sosta su per il cielo, Francis si chiese che cosa mai avrebbe pensato sua sorella se avesse saputo che lui e il suo nuovo e adorabile amico europeo erano due malavitosi della peggio specie, impegnati in traffici d’armi e sequestri di persona.
- Quand’è che potremmo permetterci di viaggiare in aereo? –
Sobbalzò, impreparato ad udire nuovamente la voce del danese.
- Lo sai perchè non possiamo prendere l’aereo. – si limitò a replicare, non volendo abbassarsi a concedergli un “non lo so”.
Hans si sistemò meglio sul sedile e si passò una mano fra i corti capelli neri.
- Due anime in fuga dalla giustizia sulla Route 66! Siamo meglio di Bonnie e Clyde, eh, Doc? – scherzò con una risata argentina.
Blowhole sospirò. Era incredibile come quel ragazzo riuscisse a prendere sul ridere anche una situazione incasinata come la loro, scherzando di fronte ad ogni problema.
- A parte il fatto che Bonnie e Clyde erano una coppia... – replicò distrattamente.
- Perchè, noi non lo siamo? – fu la domanda di Hans, schifosamente inopportuna.
L’albino gli rivolse un’occhiata raggelante, ma non fu sufficiente affinchè il sorrisetto svanisse dalle labbra del danese.
Quella faccia da schiaffi si divertiva a lanciargli quelle stupide fracciatine, e a dirla tutta Francis non avrebbe saputo spiegare per quale motivo sopportasse un simile atteggiamento.
Lo faceva e basta e prima o poi, ne era certo, la faccenda sarebbe finita nel sangue.
Si diedero il cambio alla guida dopo pranzo, un hamburger consumato al volo in un fast food senza troppe pretese, e proseguirono per la loro strada con l’acceleratore premuto a tavoletta.
Senza dubbio Hans aveva una guida molto più spericolata di quella dell’albino, e un’innata tendenza a non rispettare i limiti dellla velocità.
- Deficiente, rallenta, o ci ritroveremo la polizia alle calcagna! – si era ritrovato a sbraitare Francis un paio di volte, ma il ragazzo sembrava voler ignorare deliberatamente le sue invettive, l’automobile che continuava il suo folle slalom fra le altre vetture.
- Ma piantala, Doc! Vedrai che non ci beccheranno! – replicava ogni volta, il gomito che sporgeva appena dal finestrino, mentre la radio cantava allegra e le nuvole si rincorrevano in quota.
Erano le otto di sera, quando finalmente si decisero a fermarsi.
- Con tutti i soldi che hai certo che potevamo anche concederci un hotel! – scherzò Hans scendendo dalla macchina e dirigendosi a grandi passi verso l’ingresso dell’ennesimo Motel.
Ne avevano già controllati quattro, ma erano tutti pieni a tappo a causa di un concerto che si sarebbe tenuto in città quella notte.
Blowhole sbadigliò appena strofinandosi la palpebra sfregiata e controllò che la portiera fosse chiusa a chiave, prima di seguirlo fin dentro l’edificio.
- Buonasera! – li accolse la receptionist con un sorriso gioviale.
Francis rispose al saluto con un cenno del capo, per poi appoggiarsi al bancone con un braccio: era davvero stravolto, e la sola idea di dover tornare in macchina gli faceva sentire male a tutte le ossa.
- Salve... Avremmo bisogno di due stanze... – borbottò, mentre Hans accanto a lui arcuava la schiena in un buffo tentativo di stiracchiarsi.
La ragazza arricciò il naso nel controllare il registro, poi levò nuovamente lo sguardo sui clienti.
- Sono desolata, ma ce n’è rimasta una soltanto... Se per voi va bene lo stesso... –
Il danese la interrupe prima che potesse aggiungere altro.
- Doc, se mi fai salire di nuovo su quella macchina muoio. Ti prego, chissenefrega, fermiamoci e basta. – esalò, entrambe le mani a massaggiare la base della schiena.
Blowhole annuì, ma l’espressione imbarazzata sul viso della receptionist fece sorgere in lui un dubbio agghiacciante.
- C’è qualche problema? – domandò, più brusco di quanto non avrebbe voluto apparire.
La giovane si sistemò una ciocca di capelli biondo miele dietro l’orecchio e si morse un labbro.
- Ecco, a dire il vero... Il posto per due c’è, ma... Si tratta di una matrimoniale... – pigolò, dannatamente a disagio.
Vi fu un lungo momento di silenzio durante il quale Hans e Francis si scambiarono un’occhiata dalle mille interpretazioni, poi l’albino, che nel frattempo aveva assunto un inquietante colorito rossastro, esplose.
- Non se ne parla nemmeno! – gridò, leggermente stridulo.
- Doc, ti prego, non ce la faccio più! – replicò Hans, allargando le braccia in cerca di una pietà che sapeva non avrebbe trovato.
L’altro scosse la testa e serrò le labbra, mentre gli ingranaggi del suo cervello vorticavano alla ricerca di una scappatoia.
- Io non ci dormo nello stesso letto con te! – sbottò, mentre la receptionist faceva del suo meglio per non incrociare il suo sguardo.
- Guarda che non ti stupro mica, eh! Non mi permetterei mai di sfiorarti contro il tuo consenso... – cinguettò con un ghigno sbieco e malizioso, come a dire che se gli avesse lasciato via libera avrebbe fatto molto più che sfiorarlo.
La ragazza dietro il bancone si lasciò sfuggire un risolino divertito che si spense nonappena l’occhio plumbeo di Francis si fu posato su di lei come l’ascia del boia si posa su un collo per prendere le misure.
- Non avete una branda aggiuntiva? – domandò, sforzandosi di mantenersi calmo.
La giovane scosse la testa.
- No, mi dispiace... Se vuole un consiglio, però, io non cercherei più avanti. Purtroppo stanotte è così, colpa del concerto, temo non troverete molto di meglio... –
L’albino aggrottò le sopracciglia, la mano stretta a pugno per trattenere la rabbia che quella situazione imbarazzante gli stava facendo montare dentro come lava ribollente.
Gettò una rapida occhiata fuori dalla finestra, dove i lampioni fendevano il buio della notte, poi sbuffò.
- D’accordo. Intanto è solo per una notte. – fece per autoconvincersi.
Salirono in camera dopo cena, le membra che minacciavano di non reggerli un gradino di più.
No, dodici ore di guida ininterrotta non erano state per niente una buona idea.
Fu Hans il primo a varcare la soglia, lo zainetto buttato su una spalla e il passo strascicato.
- Beh, dai, poteva andarci peggio! – considerò, lanciando il suo bagaglio sulla poltroncina sistemata di fronte alla finestra.
Francis lasciò che il suo sguardo vagasse sulle coperte blu oltremare del matrimoniale e si posasse sui due comodini a lato del letto, poi camminò a passo deciso verso la finestra e tirò le tende.
Senza proferire parola, aprì il suo borsone e ne fece emergere i pantaloni del pigiama e una vecchia maglietta sportiva che usava per dormire.
Si sfilò velocemente gli abiti di dosso e indossò i pantaloni, lasciandosi cadere sul ciglio del letto.
Hans, che stava andando in bagno, rimase con la mano a mezz’aria sulla maniglia della porta, la bocca appena socchiusa e le iridi puntate su quella schiena nivea e dalle linee perfette.
Aveva pensato dal primo momento in cui l’aveva visto che Francis Blowhole fosse un bel ragazzo, e quella visione non faceva che avvalorare la sua teoria.
Non era allenato come Skipper, anzi, in linea di massima il suo fisico era relativamente gracile, ma aveva comunque un corpo ben proporzionato e il fascino che emanavano i suoi modi eleganti e misurati era sufficiente per alimentare un genuino apprezzamento.
Per un folle e inebriante momento si ritrovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto poter far scorrere le mani lungo quel petto e posare le labbra su quel collo lasciando qualche segno qua e là, ma presto si riscosse, consapevole che quelle non sarebbero state mai altro che stupide fantasie.
- Hey, Doc! Fossi in te finirei di vestirmi, o potrei anche accantonare quel discorso del consenso... – insinuò per sdrammatizzare, schivando prontamente un cuscino che gli lanciò il compagno di viaggio.
- Fottiti, Hans! – lo raggiunse la sua voce al di là della porta chiusa.
Il biondo infilò la maglietta, si lasciò cadere con la schiena sul materasso e chiuse gli occhi.
Dannazione, che situazione strana.
A cena aveva scritto a Doris per avvisarla che erano ancora vivi tutti e due, ma non aveva accennato all’imbarazzante disposizione della camera. Non sapeva bene perchè, ma l’idea di dorimire assieme ad Hans lo metteva a disagio, come se qualcuno avesse potuto vederli e...
E? Anche fosse stato, che male ci sarebbe mai stato? Il Motel era a corto di stanze e loro avevano dovuto accontentarsi, tutto lì.
Il fatto che il danese continuasse a mitragliarlo di stupide frecciatine a doppiosenso non significava niente, a parte la sua intrinseca stupidità.
Era l’ora di smetterla di comportarsi come una liceale schizzinosa, dopotutto dovevano solo dormire qualche ora, poi sarebbero ripartiti e quella sarebbe stata solo una brutta avventura da dimenticare.
Proprio mentre prendeva quella risoluzione la porta del bagno si aprì con un cigolio, rivelando una gamba.
Lentamente una mano sollevava il pantalone, esponendo la pelle nuda, mentre Hans canticchiava una musichetta da film erotico di serie C e si decideva ad uscire allo scoperto con una risata.
- Ma che cazzo hai addosso? – esclamò Blowhole, cercando di distogliere l’attenzione da quello stupido teatrino.
Hans aggrottò le sopracciglia e tirò i lembi inferiori della maglia del pigiama, che per la cronaca era viola a spiraline giallognole.
- Che c’è, non ti piace la mia sexy tenuta notturna? – mugolò, fintamente offeso.
L’altro scosse la tetsa, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso.
- Mia nonna nella sua camicia di flanella era decisamente più eccitante. –
Gli angoli della bocca del danese si curvarono verso il basso in un’espressione che per un agghiacciante momento gli sembrò spontanea, poi fece spallucce e si infilò sotto le coperte.
- Peccato, speravo di fare colpo. Magari domani provo con un babydoll. – buttò lì, riguadagnando il solito sguardo irriverente.
Francis lo imitò e si mise a letto, stando bene attento a non toccarlo nemmeno per sbaglio.
- Osa solo sfiorarmi e ti taglio la gola. – sibilò come frase di buonanotte.
Il moro roteò gli occhi e si spose appena dalle coperte per raggiungere l’interruttore.
La stanza piombò improvvisamente nel buio, e il più giovane si sistemò meglio, rannicchiandosi su un fianco e dando la schiena a Blowhole.
- Buonanotte anche a te, Doc. – eppure, nonostante il suo solito tono canzonatorio, Francis ebbe l’impressione che non vi fosse allegria in quella frase.
In ogni caso, in meno di due minuti, si erano addormentati entrambi.
Il sonno di Francis fu profondo e senza sogni, come se si fosse immerso in una pozza d’acqua cupa e densa che ovattava i sensi e impediva ogni contatto con l’esterno.
Eppure, verso le tre, qualcosa disturbò la sua quiete.
Vi era qualcosa di vagamente pesante che premeva sul suo petto in un contatto indesiderato, e nel dormiveglia il ragazzo si premurò di scostare quel peso con la mano.
Subito percepì una piacevole sensazione di vuoto e sorrise appena, pronto a rituffarsi nel suo meritato riposo, ma qualcosa andò storto.
Esattamente come prima, quello strano peso tornò a farsi sentire, tanto da indurre l’albino ad aprire un occhio, destatosi ormai del tutto.
Il buio nella stanza non era certo d’aiuto, ma ben presto gli altri sensi vennero in suo soccorso: vi era qualcosa di caldo premuto contro il suo fianco sinistro, e un lieve profumo di cannella gli stuzzicava le narici.
Fu con orrore che comprese che quel peso sul suo petto altro non era che il braccio di Hans, che nel sonno aveva finito per cercare una sorta di contatto con il compagno di stanza.
Scocciato, Blowhole emise un sospiro secco e allontanò il braccio dal suo petto, sistemandosi meglio fra le coperte alla ricerca di una posizione comoda per tornare a dormire.
Pessimo errore.
Nonappena ebbe sollevato di qualche centimetro il braccio sinistro, il danese si rotolò nel letto e approfittò del pertugio che trovò per insinuarsi fra le braccia di Francis e accoccolarsi meglio contro il suo petto.
- Hans, che cazzo fai?! – sibilò, rigido come uno stoccafisso e rosso come il fuoco di un semaforo.
Ma il più giovane non rispose: stava dormendo, e il suo era stato un gesto istintivo e non ponderato, dettato dalla necessità di un contatto che gli trasmettesse calore e sicurezza.
Lentamente, gli occhi ancora spalancati di sorprea, Francis riabbassò il braccio, portando la mano sul capo del compagno senza farsi domande.
Avrebbe potuto scostarlo, avrebbe potuto svegliarlo, avrebbe potuto tagliargli la gola come concordato qualche ora prima, invece lasciò che le sue dita si districassero lentamente fra quelle fini ciocche nere come la notte e gli accarezzassero il capo in movimenti dolci e regolari.
Aveva sempre sospettato che i capelli di Hans fossero soffici, ma mai avrebbe immaginato di trovarli così piacevoli al tatto, come mai avrebbe creduto che il profumo di quell’odiosa cannella che il danese metteva dappertutto potesse risultare così buono e tranquillizzante.
Con calma, il battito del suo cuore rallentò fino a tronare regolare, e i movimenti della mano scemarono fino ad arrestarsi del tutto.
Le palpebre abbassate e la bocca appena dischiusa in un sorriso sereno, Francis si era riaddormentato.
 
 
 
 
 



 

 
Day Two
 

Era come un dito a picchiettargli sulle tempie, quel rumorino fastidioso e ritmico che raggiungeva la sua coscienza come un sorriso beffardo.
“Svegliati” sembrava dirgli “ti sei riposato abbastanza.”
Francis strizzò le palpebre e fece emergere un braccio dalle coperte, cercando a tentoni il cellulare abbandonato sul comodino.
Quando lo trovò mise a tacere la sveglia con una manata e tornò a girarsi dall’altra parte, riportando il braccio al calduccio e stringendolo attorno alle spalle del compagno.
No. Un momento. Cosa?!
Il ragazzo spalancò gli occhi e si ritrovò a una manciata di centimetri da quelle due pozze di caramello che lo fissavano curiose e ancora un po’ stordite dal sonno.
Lasciò che il profumo di cannella lo inebriasse, mentre pian piano le sue guance pallide assumevano un colorito sempre più vivace e Hans prendeva coscienza della situazione arrossendo appena.
Dannazione, con quell’espressione di pura sorpresa sul volto quel maledetto era davvero carino!
Ma presto sulle sue labbra tornò il solito ghigno e il giovane si premette meglio contro di lui, rafforzando la presa sulla sua vita con fare volutamente lascivo.
- Doc, non dovevi taliarmi la gola? Che c’è, hai cambiato idea? – insinuò in un soffio.
Fu questione di un secondo, una reazione che Blowhole non avrebbe mai immaginato di poter avere per colpa di quello lì, e l’idillio svanì in un secondo, come una bolla di sapone che scoppia a contatto con il dito.
- Ma vaffanculo! – sbraitò, spingendolo senza grazia giù dal letto.
Hans piombò dritto sul pavimento con un rumore sordo, biascicando qualcosa di simile a “non hai proprio alcun senso dell’umorismo”, poi si rimise in piedi massaggiandosi il fondoschiena.
- Muoviti, dobbiamo rispettare la tabella di marcia, o da Doris ci arriverò l’anno prossimo... – sbottò senza osare guardarlo in faccia per poi fuggire in bagno e chiudersi la porta alle spalle a doppia mandata.
Hans rimase in piedi con una mano ancora intenta a massaggiarsi un gluteo, negli occhi una luce divertita e le sopracciglia incurvate in un’espresisone quasi compassionevole...
- Povero Doc, forse sto esagerando... – sussurrò fra sé e sé.
Balle, metterlo in imbarazzo era un’occupazione a cui non avrebbe mai rinunciato!
Consumarono la colazione in fretta, e altrettanto in fretta ripartirono, lanciandosi a rotta di collo lungo la polverosa Route 66.
Quel giorno tirava un vento sostenuto da Est e nonostante fosse ancora discretamente caldo, l’aria sapeva far venire i brividi nell’insinuarsi in ogni spiraglio o fessura.
Fu il danese a guidare durante la prima parte della giornata, mentre Francis continuava a tenere lo sguardo ostinatamente puntato fuori dal finestrino.
Stufi della radio, avevano messo su un cd dei Linkin Park che lo scienziato si era portato da New York e che adesso canticchiava sottovoce, assorto in chissà quali pensieri.
Ad Hans piaceva sentirlo cantare: aveva una voce bellissima, limpida ed intonata, un dono che lui, invece, non aveva ricevuto nemmeno per scherzo.
Non che cantasse malissimo, ma di certo era abbastanza sveglio da non mettersi in competizione con l’americano.
Era per questo motivo che, caso più unico che raro, quando Blowhole cantava lui rimaneva in silenzio, rapito da quella voce angelica.
Francis terminò in un sussurro l’ultima nota di Points of Authority e indicò qualcosa fuori dal finestrino.
- Fermati! Facciamo benzina prima di rimanere a secco... –
Hans annuì distrattamente, svoltando verso l’area di servizio.
Quando scese dalla macchina una strana sensazione gli attanagliò le viscere, ma se la scosse di dosso con una scrollata di spalle e prese a trafficare con l’erogatore, fischiettando il motivetto che Blowhole aveva appena smesso di cantare.
- Hey, piaga! – lo chiamò la voce di Francis, sparito poco prima dentro il fast food accanto al distributore.
- Mangiamo qui! –
Il pranzo succulento consisteva in un panino secco ripieno di ketchup e carne stopposa, ma il danese se lo fece bastare.
- Sei silenzioso oggi... – osservò l’albino dopo qualche minuto, facendo roteare il ghiaccio nella sua cocacola.
Hans fece spallucce e mangiucchiò un’altra patatina fritta che sapeva di cartone.
- Non mi sembra che ti dispiaccia... –
Strano. Decisamente strano.
Da quel che ricordava, quella era la prima volta che non gli rispondeva con una battutina sagace. Anzi, sembrava quasi spento, stanco.
Se fosse stato un’altra persona gli avrebbe chiesto se andava tutto bene, ma lui era pur sempre Francis Blowhole, e non batté ciglio quando il compagno di viaggio si alzò da tavola per prendere una boccata d’aria.
Terminò il suo pasto e rispose a un sms di Doris, mentre sull’altra sim ne riceveva uno da Red One: un cliente aveva chiesto un colloquio per la settimana successiva.
Sospirò e passò una mano fra i capelli, per poi rispondere con uno scarno “sono fuori città, pensaci tu”.
Diede una rapida controllata al display, e i venti minuti di quiete che era riuscito a concedersi gli apparvero come un evento funesto.
Perchè Hans non rientrava? Perchè non gli stava scartavetrando le palle come al solito?
Assurdamente preoccupato –un sentimento che non credeva di poter provare per qualcosa che non fosse la riuscita di un suo piano- recuperò il suo borsone e pagò velocemente, fiondandosi fuori dal locale giusto in tempo per vedere la sua palla al piede aggrappata al muro, la schiena leggermente curvata in avanti e l’altra mano a stringere la maglia in corrispondenza dello stomaco.
Si lasciò sfuggire un’esclamazione contrariata e si precipitò al suo fianco per vedere un viso pallido e madido di sudore freddo.
- Che cazzo fai?! – sbraitò, schifato dall’evidenza.
- Secondo te? Sto rimettendo l’esistenza... – replicò scocciato Hans, attraversato da un altro conato.
- Cristo, che schifo! –
L’altro rise nonostante le condizioni pietose in cui versava.
- Sei proprio una donnetta isterica, eh... – considerò, asciugandosi la bocca con il dorso della mano mentre l’altro cercava di non guardare.
- Ci sono certe cose che proprio non sopporto. – replicò secco, forse un poco offeso da quella sortita.
Il moro si voltò finalmente in sua direzione, ben deciso a tormentarlo ancora, ma le vertigini lo colsero improvvise, facendolo barcollare e costringendolo ad aggrapparsi al braccio del suo bersaglio per non finire lungo per terra.
- Scusa, Doc, ma mi sa che a ‘sto giro ti tocca guidare... – esalò in un mugolio, portandosi una mano alle tempie mentre Blowhole lo sorreggeva.
- Tanto per cambiare... – ribatté con uno sbuffo.
Il pomeriggio fu una vera tortura.
Ad ogni cambio di traiettoria della macchina, il viso di Hans assumeva una tonalità di verde sempre più preoccupante, e altre due volte furono costretti ad accostare perchè si liberasse senza asfaltare la macchina.
- Non avrai mica la febbre, vero? – borbottò Francis all’ultima sosta, un fazzoletto di carta teso verso il compagno.
Quello scosse debolmente la testa, pentendosi immediatamente di quella decisione.
- No... E’ quel maledetto latte di stamattina... – biascicò, strizzando gli occhi alla ricerca di un po’ di stabilità.
Avevano spento la radio, e Hans se ne stava immobile, sdraiato sul sedile appena reclinato perchè non vedesse il paesaggio che si muoveva fuori dal finestrino.
Si era accorto che lo scienziato aveva cercato di adattare la guida alle sue esigenze, ma la colazione gli aveva mandato in tilt l’intero sistema dell’equilibrio, e ogni minimo movimento era una tortura.
Sapeva che gli sarebbe bastata una notte di sonno per rimettersi in sesto, ma arrivare a sera gli sembrava un’impresa titanica.
- Certo che Doris è proprio fortunata.... – sussurrò quando il sole era ormai calato dietro l’orizzonte.
Blowhole alzò le sopracciglia in una muta richiesta di continuare quel discorso che così, senza premesse né contesto, non aveva alcun senso.
- Intendo dire, lei ha bisogno di una mano, e tu sei subito pronto a fiondarti da lei, anche se questo significa attraversare l’America in macchina con un moribondo nel sedile del passeggero... – spiegò con un sorriso spento.
Vi era qualcosa, in quel discorso, che mise l’autista a disagio, come se vi fosse stato un tassello del puzzle che non riusciva a vedere, come se il vero significato di quella frase fosse stato un altro, e lui non riuscisse a coglierlo.
- Beh, è normale, è la mia unica sorella... – argomentò, senza tuttavia una gran convinzione.
Hans tacque per un istante, gli occhi chiusi nel tentativo di reprimere la nausea.
- Già... Deve proprio essere bello sentirisi amati così, senza riserve. Deve proprio essere bello... – mormorò, la voce appena udibile e le labbra che si muovevano impercettibilmente.
Francis si voltò verso di lui per replicare, ma si accorse con una punta di sorpresa che il passeggero si era addormentato.
Un sorriso intenerito gli increspò le labbra mentre i lampioni in strada illuminavano a tratti il viso pallido del danese e per un momento nemmeno si vergognò a pensare che, tranquillo a quel modo, nonostante il naso un poco curvo che spezzava i suoi lineamenti morbidi, era davvero bello.
Guidò ancora un’oretta, il buio della notte a scivolargli intorno mentre nella sua coscienza rimbombavano ancora le parole del moro.
Perchè mai aveva intavolato un discorso simile? Cosa voleva dire?
L’insegna di un Motel gli suggerì di fermarsi per la notte: avevano percorso sufficienti miglia per la giornata, e non era il caso di tirare troppo la corda, o c’era il rischio che si ritrovasse la macchina in condizioni ben poco sopportabili.
Parcheggiò e scese dalla macchina silenziosamente, per non svegliare Hans, marciando dritto verso la reception.
- Buonasera, una camera per due, per cortesia. –
L’uomo dietro al banco annuì e controllò il registro, per poi consegnargli la chiave della stanza e salutarlo con un sorriso cordiale.
- Hans... Hans, svegliati... – lo scosse piano, lo zainetto del danese su una spalla e il suo borsone a tracolla.
Quello aprì gli occhi con un gemito di fastidio.
- Siamo arrivati. Vuoi mangiare qualcosa? – fece lo scienziato con voce stranamente dolce per i suoi standard.
Il danese si esibì in un sorriso debole, ma divertito.
- Fantastico, Doc! Il tuo senso dell’umorismo sta finalmente venendo allo scoperto! –
Francis roteò gli occhi e lo aiutò a reggersi, chiudendo la portiera e incamminandosi verso le stanze.
Salire le scale fu un’impresa difficoltosa, ma finalmente la chiave girò nella serratura e la porta si spalancò rivelando il loro angolo di relax.
- Oh. – fu tutto ciò che Hans riuscì a dire, troppo rivoltato per poter aggiungere altro.
Blowhole rimase in piedi sulla porta con un “mi prendete per il culo” stampato sul viso a caratteri cubitali.
Di fronte a loro, adorabilmente grazioso nelle sue coperte scarlatte, se ne stava un soffice e invitante letto matrimoniale.
- Cazzo, non ho specificato... – si rese conto ormai troppo tardi.
Hans alzò lo guardo su di lui nello strofinarsi la fronte alla ricerca di un po’ di tregua da tutto quel malessere.
- Doc? – domandò, per sapere il da farsi.
Francis si grattò un braccio distrattamente, poi sospirò e, sconfitto, lasciò cadere il borsone sulla moquette.
- Senti, chissenefrega. Se facciamo ancora un metro rimetti l’intestino, e non ho intenzione di dover buttare via la macchina per colpa tua. –
- Bene, allora io... – ma il più giovane non riuscì a completare la sua frase e corse in bagno, dove concluse la giornata alla grande.
Quando, mezz’ora dopo, Francis finì di prepararsi e tornò in camera, Hans dormiva già della grossa.
- Coraggio, ancora domani e poi è finita... – considerò sollevando un lembo delle coperte e sistemandosi supino, per poi spegnere la luce dall’interruttore appena sopra il comodino.
Senza che nemmeno dovesse aspettare, Hans rotolò verso di lui, portando una mano sul suo petto e aggrappandosi alla sua maglietta.
L’americano tese le labbra e trasse un profondo sospiro, poi mandò al diavolo ogni orgoglio o decenza e si voltò su un fianco, accogliendo meglio il ragazzo fra le sue braccia e depositando un bacio lieve e furtivo sulla sua fronte.
Il buio nella stanza celò alla sua vista il sorriso felice che aveva colto nel sonno quella specie di impiastro travestito da criminale, ma non fu sufficiente ad impedirgli di sentirlo cercare un contatto più ravvicinato.
Cercò di ignorare il cuore che aveva preso a battergli nel petto all’impazzata, continuando a ripetersi che un uomo come lui non poteva permettersi simili debolezze, ma quando si accorse che le sue labbra si erano curvate verso l’alto senza che potesse evitarlo in alcun modo, non poté fare altro che sospirare.
Maledetto Hans, gliel’aveva fatta.
 
 


 



 

 
Day Three

 
Svegliarsi la mattina dopo abbracciati l’uno all’altro non sorprese nessuno dei due.
Dopotutto era una scena già vista, ed era ormai assodato che Hans non era capace a dormire con qualcuno senza avvinghiarvisi come una cozza allo scoglio, intrecciando le gambe a quelle dello sventurato che condivideva il letto con lui.
Eppure, nonostante le premesse identiche, la reazione fu completamente diversa da quella del giorno precedente.
Blowhole non disse nulla, lo sguardo assonnato ad accarezzare i lineamenti del compagno di malefatte e i capelli sciolti sparsi sul cuscino.
Hans, d’altro canto, aveva gli occhi spalancati di stupore, probabilmente sconvolto dalla realizzazione di non essere ancora finito con il sedere per terra o di non avere la giugulare squarciata.
- Vomita adesso e ti sgozzo. –
Ecco, appunto.
Quella frase pronunciata in quella circostanza lo fece scoppiare a ridere, una risata spontanea e cristallina ben diversa dai soliti ghignetti fastidiosi.
Mentre rideva così sembrava quasi un’altra persona, pensò Francis, ed era addirittura più bello di quanto già non fosse.
- E il terzo giorno resuscitò dai morti! – citò Hans con voce impostata, tornando poi a ridacchiare.
- Tranquillo, Doc, sto bene. Passato tutto... – aggiunse poi.
Blowhole annuì appena.
- Bene, temevo per la mia incolumità... – confessò con un mezzo sorriso senza tuttavia osare sciogliere l’abbraccio nel quale erano ancora avviluppati, quasi non si fosse accorto della loro posizione.
Il danese rimase un istante a guardarlo, percorrendo con le pupille la lunga e sottile cicatrice che gli deturpava la palpebra e la guancia destra.
- Dovresti dormire più spesso: sei più spontaneo quando dormi. E ti dona. Tanto. – sentenziò con una serietà quasi dolorosa che mandò a fuoco le guance del compagno.
Come da copione, Francis si scostò e si mise a sedere, voltando il capo di lato per non dover incontrare quello sguardo ambrato che sembrava volergli leggere l’anima.
- E tu quando dormi sei più zitto. E da zitto mi piaci di più... – borbottò fra altre mezze frasucchie incoerenti.
Pessimo errore, Hans sorrise radioso e si drizzò a sedere a sua volta.
- Allora ti piaccio un pochino! – esclamò, portandogli le braccia al collo con slancio eccessivo.
Ma quella frase, più che la solita frecciatina che avrebbe voluto essere, apparve a entrambi pronunciata con troppa enfasi, più simile ad una speranza espressa ad alta voce che a un modo per stuzzicarlo.
L’albino roteò gli occhi, cercando di nascondere il vergognoso e inappropriato rossore che si era impadronito del suo volto niveo.
- Ti sopporto, mettiamola così... – borbottò, mentre l’altro rafforzava appena la presa indugiando con il capo sulla sua spalla.
Prima che Blowhole potesse ricredersi e usare violenza contro di lui, però, Hans balzò in piedi e schizzò verso il bagno.
- Per ripagarti di questo tuo immenso sforzo, stasera farò in modo di procurarmi un babydoll! – rise nel chiudere la porta.
- Hans, ti massacro! – lo minacciò l’altro lasciandosi cadere sul materasso a braccia spalancate.
Quel viaggio doveva finire prima che quell’assurda faccenda degenerasse, o non avrebbe più avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
Insomma, perchè di tanta gente che popolava il pianeta Terra doveva essere proprio quella faccia da schiaffi di Hans a farlo sentire in quel modo?
In ogni caso, e questo lo tranquillizzò considerevolmente, quello non era amore.
No di certo. Lui non era fatto per quella robaccia melensa.
Era abbastanza logico che avesse reazioni simili, dopotutto Hans era una persona con cui aveva trascorso molto tempo, e una tale vicinanza fisica unita alle sue frecciatine ambigue portava naturalmente ad un coinvolgimento ormonale che...
Ma che diamine stava dicendo?! Ma si era bevuto il cervello?!
Non poteva avere seriamente certi tipi di impulsi nei confronti di Hans!
Cristo, essere frocio poteva anche cercare di accettarlo, ma non per Hans!
Eppure non riusciva a non pensare a quanto il calore di quel corpo premuto cotro il suo lo facesse sentire bene, protetto, a casa.
Non riusciva a smettere di pensare al suo profumo, alla morbidezza dei suoi capelli, alla dolcezza dei suoi occhi quando sospendeva quella guerra di ironia e insulti che portavano avanti sin dal primo giorno in cui si erano conosciuti.
Fu a quel punto che un’altra idea gli attraversò la mente come una scarica elettrica.
E Hans?
Hans provava le stesse cose?
Anche lui aveva bisogno di Francis nello stesso modo? Gli capitava mai di svegliarsi di notte e chiedersi, i piedi nudi sul pavimento mentre andava a bere un bicchiere d’acqua, se l’altro era sveglio, se stava bene, se per qualche assurdo motivo aveva bisogno di lui?
Ma quelle non erano sensazioni suscitate dal viaggio, no. Quello era un sentimento più antico e radicato a fondo nel suo cuore rattrappito dall’odio e dalla cattiveria.
Era qualcosa di cui non poteva incolpare i Motel, Doris o la Route 66.
Era lui l’unico responsabile, e avrebbe dovuto farsene una ragione, prima o poi.
 
- Doc, ancora in pigiama?! Di questo passo raggiungeremo Doris l’anno prossimo! – la voce del danese lo fece sussultare, spaventato a tal punto da non rendersi nemmeno conto che aveva parlato al purale.
- Ah? Sì, certo! Mi... mi vesto! Intato tu paga... – blaterò, raccogliendo le sue cose e filando in bagno.
Decisero di fare colazione in macchina, sgranocchiando qualche biscotto secco che non minasse il precario equilibrio gastrico del moro e si lanciarono nuovamente sulla strada, decisi ad avvicinarsi il più possibile a Los Angeles di modo da avere meno ore di guida il giorno dopo.
Intorno all’ora di pranzo li colse un temporale in piena regola, con tanto di fulmini a squarciare le nubi.
- Allora, fratellone! Come sta andando? – domandò Doris quando, mentre aspettava che Hans facesse ritorno dalle toilette, Francis le telefonò.
Un tuono rimbombò violento sopra la macchina, mentre l’acqua sferzava i vetri senza tregua.
- Nel caso non si fosse sentito, siamo nel bel mezzo del diluvio universale... -  commentò con un sorrisetto.
Quella piaga sociale aveva ragione, Doris era l’unica in grado di tirare fuori la parte umana acquattata in fondo al suo cuore.
- E come sta Hans? Si è ripreso? – si premurò di chiedere, sinceramente preoccupata.
A volte dimenticava che quei due erano amici per davvero.
Sbuffò appena, paciugando con un dito la superficie appannata del finestrino.
-  Figurati, quell’affare non lo ammazzi nemmeno col napalm... – disse con aria scocciata, sperando di riuscire a nascondere alla sorella la tempesta che, proprio come fuori dalla macchina, stava imperversando nel suo cuore.
- Oh, io credo che dovresti dargli una possibilità. Dopotutto dove lo trovi un altro così paziente da sopportarti? – buttò lì Doris, l’immagine mentale di lei seduta a gambe accavallate sul tavolo del laboratorio a tornare prepotente alla mente di Francis.
- Cosa intendi dire!? – sbraitò quello, la saliva che gli andava subdolamente di traverso costringendolo a tossire.
Doris rise dall’altra parte della cornetta.
- Cielo, Fran! Non dovrò davvero essere io a spiegarti come funziona! –
Il fratello maggiore grugnì, terribilmente infastidito.
- Non dire stronzate, lo sai che no. –
Un’altra risata lo raggiunse dall’altra parte della cornetta.
- Sembri Meg in Hercules! Devo mettermi a cantare o fai da solo? – lo prese in giro, subdola e precisa nel colpire.
Francis avvampò, ringraziando mentalmente di non avere la sorella davanti a lui.
Ma come diamine aveva fatto a capire?!
- Dobbiamo partire, ci sentiamo stasera. – e senza aspettare una risposta troncò la conversazione proprio mentre Hans apriva la portiera e si infilava in macchina, il cappuccio della felpa fradicio come le punte dei capelli.
- Che bella giornata! – commentò con un sorriso allegro mettendo in moto e abbandonando il parcheggio per immettersi nella Route 66.
Blowhole allacciò la cintura e aprì un pacchetto di patatine comprato al distributore.
- Certo che non ti fai abbattere facilmente... – osservò, iniziando a sgranocchiare e lasciando che il ragazzo alla guida pescasse una manciata di tortillas alla paprika.
- Sono allenato in materia di perseveranza... – si limitò a concedergli, premendo sull’acceleratore per far alzare un muraglione d’acqua quando passarono su una pozzanghera particolarmente grande.
Francis non rispose: si domandava a che cosa si stesse riferendo, e iniziava ad aver paura di saperlo.
Il temporale continuò a imperversare per tutto il pomeriggio, e non accennò ad arrestarsi nemmeno la sera, nonostante si fossero spostati di diversi kilometri.
Quando raggiunsero quello che sarebbe stato l’ultimo Motel di quel folle viaggio erano bagnati fino all’osso, e fu un piacere senza paragoni potersi fare una bella doccia calda una volta giunti in camera.
- Questa volta ti è andata bene, Doc! – commentò Hans nel sedersi sul suo letto singolo, i capelli ancora umidi e il piccolo asciugamano buttato sulle spalle.
- Già, così pare... – sorrise spontaneo, dandogli il cambio in bagno.
Quando riemerse un quarto d’ora dopo, Hans aveva apparecchiato il comodino fra i due letti sistemando le schifezze e i tramezzini che avevano comprato quel pomeriggio in previsione di una serata a rischio pasto saltato.
- Immagino tu non abbia voglia di affrontare il diluvio... – spiegò con un cenno del capo alla finestra sferzata dalla pioggia.
Francis scosse la testa e si sedette sul suo letto, appropriandosi di un tramezzino ai gamberetti.
- Buon appetito, allora... – augurò addentando il suo pasto prelibato.
Dopo cena trascorsero mezz’oretta a pianificare il viaggio della mattina dopo: solo otto ore li separavano da Los Angeles, e se si fossero svegliati presto avrebbero raggiunto Doris per l’ora di cena.
- A proposito, che ci vai a fare a Santa Monica? – chiese all’improvviso l’albino, dannatamente curioso.
Il compagno di viaggio si profuse in un sorriso vagamente imbarazzato che gli fece risaltare le guance appena paffute.
- A dire il vero ho brutalmente approfittato di te. Non sono mai stato sulla West Coast, ero curioso di dare un’occhiata a Los Angeles. E poi mi fa piacere passare a salutare Doris, è tanto che non ci vediamo, e chissà per quanto starà ancora in California... Con Skype non è la stessa cosa... –
Quella confessione, però, fu percepita dallo scienziato sotto un altro aspetto.
- Un momento! Tu e mia sorella vi sentite con Skype?! – esclamò strabuzzando l’unico occhio in un’espressione esilarante.
Hans non colse la vera preoccupazione celata da quella reazione e rispose per le rime come sempre.
- Tranquillo, Doc! Non è mia abitudine accompagnarmi a chi è già impegnato... – lo punzecchiò, consapevole che ogni volta che veniva tirata in ballo la relazione di Doris e Kowalski, Blowhole reprimeva qualche ictus.
Come da pronostico l’americano masticò qualche insulto diretto al ragazzo della sorella e piegò la cartina che avevano lasciato aperta sul comodino.
- In ogni caso domani ci aspetta l’ennesima levataccia, penso sia il caso di andare a dormire... – propose ricevendo l’approvazione del compagno.
Hans fu svelto a infilarsi sotto le coperte e spettò a Francis spegnere la luce mentre il “buonanotte” del danese aleggiava ancora nell’aria.
Si strofinò la palpebra sfregiata e trasse un profondo sospiro, sistemandosi meglio il cuscino sotto alla testa.
Finalmente avrebbe potuto concedersi un po’ di sonno come si deve, senza piovre di sorta appolipate al suo petto.
Chiuse gli occhi e aspettò che la stanchezza prendesse il sopravvento cullandolo dolcemente nel mondo dei sogni, ma non accadde nulla di tutto quello.
Si girò su un fianco, ma non servì a niente, il sonno sembrava proprio non volerne sapere di chiudergli gli occhi.
Seccato, sbuffò e si voltò dall’altra parte, tirandosi le coperte fin sulle spalle in cerca di una posizione che gli trasmettesse un maggior senso di protezione e che lo aiutasse ad addormentarsi, ma anche quello si rivelò inutile.
Perchè non riusciva a dormire? Era forse per via delle fastidiose veneziane che lasciavano filtrare la poca luce della strada? O era per colpa del rumore della pioggia?
Tornò in posizione supina, gli occhi spalancati a fissare il soffitto e, infastidito oltre ogni dire, provò a contare mentalmente fino a cento.
Giunto a trecentoquarantanove si arrese all’evidenza che nemmeno quel sistema avrebbe funzionato.
La verità era che sapeva benissimo per quale motivo non riusciva a prendere sonno.
Attese ancora qualche istante, poi si tolse le coperte di dosso e scese dal letto, raggiungendo con una falcata quello di Hans e scivolando sotto le coltri senza emettere un suono.
Il danese si fece da parte e gli rivolse uno sguardo stupito, incapace tuttavia di articolare una qualsiasi domanda.
Quello era un gesto che nessuno dei due si aspettava, ed entrambi avevano paura che una qualsiasi parola avrebbe potuto distruggere come uno specchio gettato per terra quel momento a metà fra l’onirico e il reale.
Francis rimase immobile, l’avambraccio destro a sorreggerlo e la coda laterale tutta scompigliata.
Il suo occhio plumbeo era puntato sulle iridi dolci del più giovane, il respiro tremolante ad infrangersi contro le sue labbra.
Lentamente portò una mano ad accarezzargli la guancia e si avvicinò sempre di più, finchè i loro nasi non si sfiorarono appena.
Fu questione di un istante, poi annullò anche quell’ultima distanza che li separava e chiuse gli occhi, posando le sue labbra su quelle del danese in un bacio incerto ed impacciato che Hans accolse ad occhi spalancati e cuore impazzito.
Non vi fu il tempo di approfondire nulla, Francis interruppe il contatto e si sdraiò accanto al ragazzo, le braccia rigide lungo i fianchi e il respiro malamente trattenuto.
- Non ti ci abituare. – sentenziò, stupendosi di essere riuscito a costruire una frase di senso compiuto nonostante il calore improvviso, la testa che girava e il cuore che minacciava di sfondargli la cassa toracica.
Hans non disse nulla, il silenzio a pulsare nelle loro tempie assieme al sangue impazzito.
Dieci secondi, non di più, e l’albino si voltò di scatto sovrastando il compagno con il suo corpo e assalendo la sua bocca in un bacio completamente diverso dal precedente.
Hans dischiuse le labbra, lasciando campo libero alla lingua dello scienziato, mentre portava le mani sul suo viso e lo avvicinava a sé.
Francis si sentì attraversato come da una scarica elettrica e percepì la bruciante necessità di avere di più, mentre una mano andava ad affondare fra i capelli del danese che, inarcando appena la schiena, si spingeva maggiormente contro di lui senza riuscire a trattenere un gemito di apprezzamento.
Si concessero qualche istante per riprendere fiato, e il sorriso che intravide sul volto di Hans lo lasciò senza parole.
Traboccante di una passione che sembrava volerlo incenerire, Blowhole si avventò nuovamente su quelle labbra così impressionantemente dolci e morbide, mordicchiandole e segnandone i contorni con la lingua, le mani del compagno che si insinuavano rapide e vogliose sotto la sua maglietta accarezzando i suoi muscoli appena accennati.
- E tutto questo senza nemmeno il babydoll... – commentò il moro ridacchiando in un momento di tregua, il petto che si alzava e si abbassava ad un ritmo frenetico.
- Vaffanculo, Hans... – replicò per l’ennesima volta con un sorriso sincero, lasciando che gli sfilasse la maglietta e facendo lo stesso con lui.
Il più giovane si profuse in un ghigno che non prometteva nulla di buono, poi approfittò del precario equilibrio del momento per ribaltare le posizioni e si portò a cavalcioni dell’albino.
Lentamente percorse con le mani il suo ventre piatto e i suoi pettorali, per poi chinarsi su di lui e stuzzicargli il lobo con i denti e con la lingua.
Sentì Francis irrigidirsi sotto di lui, e il ghigno si ampliò senza riserve sul suo volto.
Convinto da quella reazione, scese lasciando una scia di piccoli baci lungo la mandibola, per poi spostarsi verso il collo.
Ogni volta che si concentrava su un lembo di pelle in particolare sentiva un fremito attraversare i muscoli tesi dell’americano, le cui mani non sembravano voler smettere di segnare la linea della sua schiena.
- H-hans! – esclamò in un gemito vergognoso, incapace di trattenersi.
Dio, da quanto aspettava di sentirlo pronunciare il suo nome in quel modo! Quanto era eccitante vedero con i capelli color della luna sparsi sul cuscino, le labbra dischiuse alla ricerca d’aria e gli occhi lucidi di piacere!
- Sì, Doc? – domandò, la voce appena roca di piacere.
Blowhole non rispose, impegnando la sua bocca in un bacio che gli diede le vertigini, le mani che scendevano rapide al suo fondoschiena lasciando che fosse lui quello attraversato da brividi irrefrenabili.
La sua coscienza era completamente annullata, inebriata da quel forte e pungente profumo di cannella e dal desiderio che gli dava le vertigini.
Forse il giorno dopo avrebbe avuto modo di pentirsene, ma adesso no, non voleva pensarci, voleva solo godere appieno di quel momento surreale, di quelle labbra, di quella schiena, di quella pelle.
Evidentemente d’accordo con quella sua risoluzione, Hans si spinse contro l’inguine dell’albino, che si lasciò sfuggire un ansimo di piacere.
Dio, non poteva farcela.
Lasciò che le mani si insinuassero sotto la stoffa violacea, eludendo la difesa dell’elastico dei pantaloni e spingendosi fino alla pelle nuda e spinse ancora affinchè il bacino del ragazzo si scontrasse di nuovo contro il suo, la lingua sempre impegnata in una lotta senza quartiere con quella di Hans.
Quello ghignò contro le sue labbra e lo imitò, alla ricerca di qualcosa di più.
Francis spalancò gli occhi e trattenne un mugolio di sorpresa, l’espressione del danese che non prometteva nulla di buono.
Rimasero a guardarsi per un secondo lungo e intenso, ambra nell’acciaio, poi si scambiarono un bacio lungo e profondo, delicato e desiderato, che celava nella sua dolcezza la richiesta di avventurarsi oltre.
Blowhole tornò ad accarezzargli la schiena e in un movimento gentile e delicato, così estraneo alla sua figura, e tornò a ribaltare le posizioni, ritrovandosi nuovamente a sovrastare il danese.
Hans sorrise, un sorriso privo di scherno o malizia, lo stesso sorriso che l’albino accolse sul suo volto quando quello gli accarezzò dolcemente la guancia deturpata dalla cicatrice, il pollice a segnare la linea sottile dell’incidente.
Un fulmine squarciò il silenzio, mentre il rombo del tuono si insinuava attraverso gli spiragli delle veneziane.
Gli ultimi indumenti caddero a terra, inutili e fastidiosi.
Maledetto Hans, gliel’aveva fatta davvero.
 
 
 
 






 
 
Day Four
 

Niente frecciatine, quel giorno, al risveglio.
Hans non lo guardava nemmeno in viso, gli occhi bassi puntati sulle coperte mentre il lenzuolo gli scivolava sulle spalle nude.
Era silenzioso, quasi mortificato nel rivestirsi, come se quello che era successo quella notte fosse stato il più grande errore della sua vita, e adesso avesse solamente voluto sparire, morire, dissolversi per non dover più affrontare il ragazzo che, quando si era svegliato, aveva una mano intrecciata nei suoi capelli e un sorriso tranquillo sul volto.
Perchè lo sapeva benissimo, quella notte era stata solo sesso, nulla di più, e non avrebbe mai ricevuto quell’amore che era tanto bisognoso di donargli.
E continuava a maledirsi, perchè a suon di tirarla la corda si era spezzata, lui aveva ceduto ed aveva assaggiato finalmente quelle labbra senza le quali, ormai lo aveva capito, non avrebbe più resistito.
Aveva voluto giocare ad un gioco in cui l’albino era di gran lunga più bravo di lui, e aveva perso, rimanendo scottato nel peggiore dei modi.
E Blowhole gli avrebbe dato ragione.
Aveva agito per assecondare un impulso, perchè era così che lui era fatto. Se voleva qualcosa se la prendeva, senza mezzi termini o eccessi di sentimenti, punto e basta.
Non vi era stato amore quella notte, solo passione, solo piacere, solo sesso.
Sì, ne sarebbe stato certo, se solo seduto sul ciglio del letto ci fosse stato un altro e non Hans.
Ma Hans, maledizione a lui, era stato bravo e paziente. In quei due anni e forse più al suo fianco aveva minato silenziosamente ogni punto debole delle sue difese, ostinatamente curioso di voler distruggere quel muro di cinismo e cattiveria che celava la sua parte più umana, dove ancora i sentimenti erano vergini e inviolati.
Ci aveva provato, e ci era riuscito.
E adesso Francis si ritrovava ad osservarlo mentre, sempre senza un suono, masticava svogliatamente il suo toast, lo sguardo ad affogare nel cappuccino troppo lungo che gli avevano propinato al bar.
- Hans. – lo chiamò piano dopo l’ultimo sorso di caffé.
- Mh? – fece semplicemente, roteando meccanicamente il cucchiaino nella tazza.
- Sei silenzioso. – constatò, la voce così bassa che chiunque nel locale avrebbe potuto pensare che stessero pianificando qualcosa di losco.
Un sorriso sbieco gli squarciò il volto.
- Potrei commentare la nostra notte di passione, in effetti, ma non ci tengo troppo a morire giovane... – scherzò, riacquistando la sua solita vena irriverente, nonostante fosse incrinata da un’insicurezza che stonava parecchio con il suo intento.
Ma Francis non reagì come si sarebbe aspettato.
Non si inalberò, non arrossì stizzito, non fece niente.
Rimase immobile, serio, le labbra serrate con aria pensosa.
- Credi che sia stato un errore? – domandò a bruciapelo, così infantile che per un attimo Hans credette di avere a che fare con un sostituto.
- Come, scusa?! –
L’albino trasse un respiro profondo e poggiò entrambi i gomiti sul tavolo, incrociando le braccia e incurvando appena la schiena.
- Perchè io... io no. – balbettò, ora decisamente bordeaux.
Hans lasciò cadere il cucchiaino nella tazza e spalancò gli occhi, incredulo di fronte a quella confessione.
- Tu... no? – gli fece eco, mentre nei recessi della sua coscienza si prendeva a schiaffi per non svenire di fronte a quello sguardo intenso e ricolmo di un imbarazzo che preannunciava ben altro.
Blowhole puntò lo sguardo fuori dalla finestra del locale, incontrando la carrozzeria della loro macchina parcheggiata lì fuori.
Aveva smesso di piovere, e le nuvole si stavano sfilacciando sotto i primi timidi raggi di sole.
- Hai capito cosa voglio dire. – fu la sua secca risposta.
Le labbra del danese si incresparono appena, mentre si sporgeva in avanti con il busto, desideroso di sapere con certezza quello che l’altro voleva dire con quelle parole.
- Quindi tu...? – osò, le gote rosse d’emozione per qualcosa che non credeva possibile nemmeno in un mondo parallelo.
- Può darsi. – biascicò Francis, ormai prossimo all’ebollizione, commettendo il disastroso errore di lanciargli un’occhiatina furtiva.
Incrociare i suoi occhi fu come accorgersi di essere su una montagna russa sospeso a dieci metri da terra appena prima del giro della morte.
Il cuore gli schizzò in gola e il respiro gli si mozzò.
Aveva mai visto tanta gioia negli occhi di Hans prima di allora? Vi aveva mai scorto qualcosa di così puro e incondizionato, capace di oscurare il sole?
Senza che nemmeno potesse rendersene conto, il danese si sporse in avanti e gli gettò le braccia al collo, stringendolo a sé quel tanto che il tavolino fra di loro gli permetteva e sussurrandogli all’orecchio un “ti amo anch’io” che lo mandò completamente in tilt.
- Piantala, o ci prenderanno tutti per froci! – mugugnò, scrollandoselo malamente di dosso senza tuttavia premurarsi di nascondere il sorriso ebete che gli si era stampato in volto.
Hans rise di cuore, scuotendo appena la testa in un’espressione al contempo birichina ed indulgente.
- Ma noi siamo froci, Doc! – e con ciò, onde evitare che gli piantasse una forchetta negli occhi, si alzò in piedi e uscì dal locale, correndo verso la macchina senza smettere di ridere.
Arrivarono da Doris alle sei e mezza, quando il sole aveva già incominciato la sua discesa sull’orizzonte e il tramonto colorava ogni cosa dei bagliori dell’incendio.
Francis suonò al campanello e attese paziente che la porta si aprisse, rivelando la sorella in canottiera e shorts.
- Alla buon’ora! – urlacchiò saltandogli al collo e schioccandogli un bacio sulla guancia.
Solo allora si accorse di Hans, in piedi sul gradino più basso delle scalette che conducevano alla porta.
- Hans! Che bello vederti, mi sei mancato un sacco! Su su, entrate, ho la cena sul fuoco! – esclamò facendogli strada all’interno dell’edificio.
La casa che Doris aveva preso in affitto era piccina e accogliente, piena di piantine e di riviste di biologia accatastate qua e là.
- Come va con lo stage? – si informò Hans, mentre Francis si sistemava meglio il cappuccio della felpa attorno al collo nonostante i venticinque gradi.
Doris fece saltare il soffritto in padella e gli rivolse un sorriso radioso.
- Alla grande! Lavorare al fianco degli esperti è qualcosa di fantastico, e credo di aver imparato di più sulla fauna marina in questi due mesi rispetto a tutto il resto della mia vita! – raccontò, volteggiando per sistemare i piatti in tavola, mentre il danese si offriva di darle una mano.
- Peccato sia già a metà dello stage, ma a dirla tutta New York mi manca da impazzire. E anche quel rompiscatole del mio fratellone che si sta sciogliendo pur di togliersi la felpa e lasciare che la sua innocente sorellina veda il suocchiotto che ha sul collo. – aggiunse con nonchalance, dedicando all’albino una rapida strizzata d’occhio.
- DORIS! – esclamò quello, portando istintivamente una mano a nascondere la prova del delitto.
Ignorando completamente la disperazione del fratello, la bionda si voltò nuovamente verso Hans e gli parlò in tono confidenziale.
- Hans, sei un santo. Spero che almeno sopportarti questo manico di scopa dia i suoi frutti su altri versanti... –
Il danese sghignazzò, portandosi al fianco di Francis e alzando le sopracciglia con aria di chi la sa lunga.
- Non ti preoccupare, Doris. Tuo fratello sa come farsi perdonare i suoi piccoli difetti... – ed entrambi scoppiarono a ridere, mentre Blowhole gli cioccava uno scapellotto violento e, sopraffatto dal caldo, si toglieva la felpa buttandola malamente sullo schienale del divano.
- Siete due serpi. – sibilò, fingendosi offeso, mentre in realtà stava pianificando un modo di uccidersi in fretta e non dover sottostare al fuoco incrociato di Hans e Doris.
Il problema era che, sotto sotto, nonostante l’imbarazzo galoppante era felice e mentre sua sorella si congratulava con Hans per la sua perseveraza e confessava di aver sempre sperato in un risvolto simile nella loro stramba relazione, capì cosa gli era sempre mancato.
Insomma, era assurdo e impensabile che lui, proprio lui, Francis Blowhole in persona, avesse potuto finire in una situazione simile, il cuore scosso da un sentimento da cui si era sempre tenuto alla larga.
Eppure era successo, e vedersi accettato e apprezzato a quel modo gli faceva uno strano effetto.
- Va bene, d’accordo, ora però piantatela di insultarmi come se non fossi presente! – sbraitò all’ennesima frecciatina, prendendo in braccio la sorella e scaraventandola sul divano sotto la minaccia di una violenta e brutale battaglia di solletico, Hans che rideva e, saggiamente, si teneva alla larga.
Che fosse colpa di Doris, dei Motel, o della Route 66 poco gli importava.
Si era fatto fregare nel peggiore dei modi.
E non gli dispiaceva nemmeno un po’.






















 
Note:

Vi starete di certo chiedendo che problemi mentali abbiamo.
Beh, ce lo stiamo chiedendo anche noi. Ma a dirla tutta non è che ci interessi poi così tanto.
L'amore per questo pairing così crack che più crack non si può è nato praticamente per caso, scherzando su un paio di scene di un'altra fanfiction work in progress in cui questi due dovevano semplicemente punzecchiarsi a vicenda fino all'esaurimento nervoso del povero Dr Blowhole.
E niente, è successo. La chimica c'era, e sti due maledetti hanno praticamente fatto tutto da soli.
Ragion per cui shippateli, shippateli tutti, perchè il capitano di questa ship è Doris e sul serio, si può chiedere di meglio?!
Sulla storia non ho molto da dire, a parte le scuse per la sua infinita lunghezza.
Sono sconvolta pure io da quanto ho scritto.
In ogni caso è stato dannatamente divertente scrivere di questi due al di fuori del solito contesto di vendette e macchinazioni di morte, in una situazione quasi normale e alle prese con la vita di tutti i giorni.
Adoro il modo in cui Blowhole viva in una condizione di perenne denial e come Hans si diverta a rompergli le palle con le sue maledette frecciatine senza pudore!
Spero che questi due disagiati -perchè è di disagio ai massimi esponenti che stiamo parlando- vi siano piaciuti almeno un millesimo di quanto piacciono a noi, e che qualcuno abbia un po' di compassione per Blowhole, perchè a sopportarsi quella faccia di schiaffi di Hans ce ne vuole davvero di pazienza! xD
Grazie per l'attenzione, e tanto amore a chi legge/recensisce/schiaccia cose a caso sullo schermo che non siano la x rossa lassù in alto a destra. <3

Un bacione!

Koome
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar / Vai alla pagina dell'autore: Koome_94