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Autore: Shu    10/12/2008    2 recensioni
Fuuma ricorda di essere stato Kamui.
Lo ricorda bene, con spietata lucidità, come ricorda tutti i momenti della sua vita, il suo passato, semplicemente, ricorda anche quello.
Di essere stato Kamui.
Post immaginaria fine di X.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fuuma Monou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Ecco qua il mio lavoro per la IV Disfida del sito I Criticoni!

Si trattava di una sfida di squadra, e io ho avuto l’onore di essere la capoccia della squadra Theta, di cui hanno fatto parte anche le meravigliose Juuhachi Go, Wren e Harriet. *___* Il concorso, intitolato “Dualiteam”, aveva come tema portante la dualità, e ogni storia doveva inoltre basarsi su un prompt individuale,  una coppia di opposizioni, più uno collettivo che era costituito da una frase scelta a caso dagli admin fra le storie del caposquadra.

Ma siccome non ci bastava XD e visto che eravamo un gruppo  di accanite scrittrici clampiane, abbiamo deciso di darci degli altri “paletti”, perché fosse davvero un lavoro di squadra… ovvero, abbiamo voluto quattro storie di uno stesso fandom, con quattro personaggi diversi, e quattro diverse interpretazioni del prompt collettivo. Speriamo che i risultati saranno di vostro gradimento!^_____^

Allora, ricapitoliamo…

 

tema individuale: cielo/terra

tema di gruppo: “Che senso aveva tenere ancora due cuscini nel letto?” (da “Senza titolo” –sigh- putroppo mia..)

Dedicata alle mie adorate compagne di squadra.]  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fuuma ricorda di essere stato Kamui.

Lo ricorda bene, con spietata lucidità, come ricorda tutti i momenti della sua vita, il suo passato, semplicemente, ricorda anche quello.

Di essere stato Kamui.

Si è svegliato quella notte in mezzo alla distruzione, alla disperazione del sangue, del fumo, del ferro contorto della Torre; al centro dell’assurdo scenario di una metropoli tutta al buio, senza altre luci che quelle degli incendi. Ma si è svegliato come se non avesse mai dormito, come uscire di colpo dall’acqua e tornare alla superficie, ha avvertito terribile e assordante lo strappo di ritornare in sé. Ma non c’è vuoto, tra quel giorno maledetto in cui ha perso la coscienza e la notte in cui l’ha ritrovata: no, nel mezzo c’è tutto, tutto quello che ha fatto, che ha detto, un’infinita, perfetta processione di orrori di cui neppure un istante è andato perduto.

Nel mezzo ci sono i corpi di sua sorella, della gente per le strade, degli Angeli e dei Sigilli dell’Apocalisse, e quello del suo migliore amico, morto per mano sua per amore del mondo.

Adesso è nella sua vecchia casa, nella sua camera spoglia e impolverata, vuota da mesi, sono giorni che è accasciato sul pavimento con la faccia tra le mani, e sente che sta perdendo la testa.

Non ha la forza di fare niente, di piangere o spalancare la finestra e gettarsi, né arriva per lui l’oblio della follia –no, sente che sta perdendo la testa, ma proprio quel sentire è la prova che è ancora in sé, ancora un passo lontano da quel desiderato abisso, e questo lo distrugge.

Non riesce a muoversi, a camminare o gridare, perché qualunque cosa faccia porta con sé una scia, la traccia dell’altro.

Se si alza in piedi può sentire le spalle drizzarsi e il passo distendersi in un portamento elegante che non è mai stato il suo. I gesti, i gesti più semplici delle mani seguono la memoria di un modo di fare altero e sprezzante, fremono a tratti in scatti di violenza eludendo del tutto la sua volontà. Qualcosa lo stringe alla gola, il punto esatto, che non aveva mai saputo di possedere, da dove nasceva quel tono più basso, appena più roco, quel tanto che bastava a rendere la sua voce quella di un estraneo. E tutte le cose che ha detto con quella voce, quelle parole lente e terribili, quei sorrisi, maledizione, tutto, tutto gli rimbalza nella mente, continuamente, senza tacere un momento.

La traccia dell’altro. L’altro, lo chiama, istintivamente, dentro di sé.

Ma sa che non è vero.

Che l’altro è lui stesso.

Lo sa, dalle memorie e dai ricordi fisici, lo sa, lo sa, gli occhi spalancati e spenti di sua sorella bruciano sempre al centro della sua mente, e il gesto di affondare la spada, il freddo dell’impugnatura, li sente, li sente ancora sulle mani.

Non è stato un altro, è stato lui stesso.

E lui lo ricorda così perfettamente.

Basta, basta, basta.

Quando trova la forza di alzarsi, è il tramonto di un giorno che non saprebbe precisare. Si limita a trascinarsi per i corridoi freddi, illuminati dai riverberi arancio e rosso, mentre la polvere si alza e scintilla al suo passaggio. Le tende si agitano appena, qualche finestra è rimasta aperta: da quel giorno, nessuno è tornato più lì.

Quel giorno era uscito di fretta lasciando le porte spalancate, stringendo forte sua sorella che sorrideva in quel modo così terribile, gli occhi lontani e persi a contemplare chissà quale follia. Ricorda come la sosteneva, il tremore con cui le cingeva le spalle, le carezzava i capelli; la sua adorata Kotori, doveva farla stare bene, doveva… Doveva al più presto tornare a casa con lei.

Poi ci sono quelle parole di lui, la dolcezza del viso in lacrime del suo migliore amico. Parole belle come non ne aveva sentite mai…

“Sulla terra ci sei tu, Fuuma, e Kotori, perciò voglio proteggere il luogo in cui vivete, in modo che possiate essere felici…”

Un battito di cuore, un sobbalzo di commozione, di gioia…

E poi, il ricordo successivo è quello.

Lui che uccide sua sorella.

E’ mostruoso, insopportabile, atroce, vorrebbe morire…

…ma soprattutto è assurdo.

Assurdo.

Vagando per i corridoi supera la camera di lei. Lo shoji è socchiuso e gli sembra di sentire un’ombra di quel profumo; no, non potrebbe mai entrarci.

L’unica porta che apre, così, in un gesto automatico, è quella della camera dei suoi genitori.

La bella stanza, inondata dalla luce del tramonto, è tutta in ordine. Il letto rifatto, gli oggetti disposti con cura, due cuscini, due comodini, due armadi, come se una coppia dovesse tornare da un momento all’altro ad abitarla.

Ora sa la verità, e avrebbe voglia di spaccare tutto.

Suo padre, l’uomo stoico, razionale, forte, ha tenuto per anni l’altro cuscino accanto al suo nel letto, ha messo a posto le cose di sua moglie, ha indugiato nella stupida follia che lei ci fosse ancora.

Con gentilezza, rincalzando le coperte, sistemando la federa, spolverando gli armadi, ha tenuto viva l’illusione di avere una moglie affettuosa da aspettare ogni sera.

Quando non l’aveva avuta mai.

Non avevano mai avuto senso quel grande letto, quei due cuscini appaiati, perché quelle due persone non si erano mai amate.

Lui stringe i pugni e serra gli occhi per non far scendere le lacrime di rabbia, lo disgusta l’idea che i suoi genitori, i suoi amorevoli genitori, il quadro della perfetta famiglia felice, abbiano mentito ai loro figli per la vita intera. Gli dà la nausea pensare a sua madre lì, in quel letto, che augura la buonanotte al marito e poi si volta e pensa ad un’altra persona. Che mentre chiacchiera di progetti per la casa e i suoi figli ha la mente rivolta solo a immaginare cosa l’altra persona stia facendo, in quel momento, se stia pensando a lei.

E suo padre che fa finta di niente, fa finta di crederle, butta via se stesso e la serenità della sua famiglia soltanto per averla accanto.

I ricordi del suo passato felice, del suo lato oscuro si mescolano, è un labirinto inestricabile, e quei due cuscini…

E’ tutto assurdo.

Lui è nato sbagliato.

E’ nato da due persone che non si amavano, da una madre che non ha mai pensato di volerlo.

E’ venuto al mondo soltanto per lo scopo di fare da specchio a un’altra persona, per essere il suo contrario: quello che Kamui avrebbe deciso, lo avrebbe plasmato. Se Kamui avesse deciso una cosa, lui sarebbe stata l’altra. Senza poterlo nemmeno pensare, senza nessuna possibilità di scelta.

E’ nato per riempire un vuoto, per il necessario bilanciamento di bene e di male che serviva a mettere in moto l’Apocalisse: se c’era una Terra, doveva esserci un Cielo, semplicemente.

E chi se ne importava se anche il primo degli Angeli avrebbe voluto, in cuor suo, proteggere quella terra, scendere dal suo trono nel cielo… in cuor suo… ma quale era il suo cuore? Quello del figlio, del fratello, dell’amico devoto, o quello del distruttore della Terra…? Era quello di prima, il vero se stesso, o quello che aveva scatenato la fine del mondo?

No… non può essere così… adesso lui è tornato quello di prima, è questa la sua natura…

Ma ancora gli infiammano i pensieri quei gesti, una mano sollevata e l’erompere del potere, uno sguardo capace di scavare e leggere tutta l’anima di ogni persona che gli passa di fronte, il rombo della terra che si spacca sotto i suoi piedi e grida, grida la sua volontà di rinascere, pura nel vuoto nel primo mattino…

…il sorriso con cui lui ha ascoltato quel grido, un senso di potenza, di completezza, di soddisfazione come non ne ha provate mai.

Quelle cose sono ancora dentro di lui, sono i momenti più intensi che abbiano mai scosso la sua anima, picchi folli e inebrianti, come meravigliose, segrete trasgressioni di un’anima tranquilla.

Lui è entrambi. Il ragazzo silenzioso che cammina con la testa bassa, guarda verso terra e sogna solo cose semplici e concrete, e l’uomo che allarga le braccia contro le altezze dei cieli, si erge sul mondo e desidera il suo rovesciamento, il suo completo cambiamento.

C’era stato qualche impulso, qualche istante di folle ambizione nella mente del ragazzo tranquillo, e un briciolo di umanità nei gesti dell’Angelo dell’Apocalisse che aveva fatto allontanare una bambina prima di distruggere una piazza.

E vorrebbe tanto negare questa cosa orribile, ma non può.

E’ vero. Lui è due metà inconciliabili nella stessa persona.

Lui è qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere.

Spalanca la finestra nell’ultimo bagliore del tramonto.

 

 

Non è mai stato molto religioso, lui, deve ammetterlo. Oh, sì, è andato a tutte le cerimonie a cui bisognava andare, al ogni volta al fianco dei suoi genitori, ma è sempre stato un po’ troppo razionale per credere seriamente.

Ma quella sera che ha aperto la finestra contro il vento gelido di gennaio, prima di guardare verso terra e decidere di finirla, si è salvato, perché ha sollevato gli occhi verso il cielo.

Sullo sfondo già blu cobalto si sciorinavano una dopo l’altra le stelle, e la loro sola vista gli aveva annullato la mente nella disperazione. L’Astro Gemello, le Sette Stelle… simboli da libri profetici che si erano animati nel modo più orribile davanti ai suoi occhi e dentro di lui, le pergamene delle Sacre Scritture si erano macchiate del sangue di ragazzi, non più parole altisonanti ma vero stridore delle armi, vere grida e fuochi vivi a distruggere le città.

E ora gli sembrava ancora più impossibile che lassù in alto albergasse un dio. Quale divinità poteva aver creato un orrore come lui, l’unico uomo senza libero arbitrio, destinato a imbrattarsi le mani dei crimini più spietati senza averne la scelta, senza averne la colpa?

Perché?

Le stelle, naturalmente, non gli avevano risposto. Ma il loro bagliore gli aveva catturato lo sguardo ancora per un po’.

Sulla strada che aveva portato fino a lui, file d’indovini avevano letto quelle stelle, vi avevano letto quello che sarebbe successo: avevano saputo di lui e di Kamui, della battaglia e di ogni singolo che vi avrebbe preso parte, vi avevano visto vita e morte.

Ma nessuno era mai riuscito a guardare oltre, a predire che quelle stelle ci sarebbero state ancora, dopo che tutto si fosse compiuto, non più come simboli da interpretare, ma semplicemente a splendere ancora sopra il mondo. Un mondo vivo.

Per lui, quegli astri non schiudevano alcun messaggio. Non gli sussurravano niente, nessuna parola si scriveva tra gli angoli che formavano, i suoi occhi non riconoscevano alcun simbolo nella loro disposizione.

Erano semplicemente da guardare.

E allora, finalmente, lui aveva abbassato lo sguardo, e sotto di sé, aveva visto le strade piene di gente.

Gente che rideva, che pregava, che accendeva fuochi.

Che guardava in altro e s’indicava l’un l’altro le stelle.

Nessuno aveva mai saputo prevedere quello… nessuno, tranne forse una ragazza con gli occhi più dolci del mondo, che era morta sussurrando a lui che il futuro non era ancora stato deciso.

L’immagine di sua sorella gli era affiorata alla mente, soffusa e luminosa, i capelli ondeggianti nel tramonto, il suo sorriso gentile aveva cancellato ogni altro pensiero.

Le sue ultime parole…

“L’acqua… è bella, vero? Mi piace… E anche il cielo, è così bello… e anche l’aria, il vento, sono tutti belli. E poi qui c’è Kamui… perciò io adoro questo posto.”

Sono tutti belli.

L’acqua e l’aria, il cielo e la terra.

Il vento, le piante, le stelle… e le persone.

E l’amore.

Questo aveva voluto dirgli, lei.

Che tutto era bello. Tutto insieme.

Che una cosa dava senso all’altra, che la terra era fatta per camminarvi, e le stelle per essere guardate.

E la vita, allora, per essere vissuta.

Lui, essere vuoto, mera controparte e gemello di colui a cui spettava la decisione sul futuro della Terra, lui aveva compiuto il suo scopo.

Era stato il male necessario, il fuoco che aveva bruciato il mondo ma per essere spento… ed ora, era tutto finito.

Tutto finito.

Ma lui era ancora là, e un senso a questo doveva esserci.

Vuoto, lo intuiva adesso, forse non significava solo deserto; era anche una pagina bianca, da riempire, d’ora in poi, con tutto quello che sarebbe stato capace di fare di una vita intera.

Ora che non era più né Angelo del cielo né Drago della terra, non più specchio né avversario, perché non esisteva più la persona che si era riflettuta in lui…

…adesso doveva sanare lo strappo tra cielo e terra, come la pioggia, come la luce delle stelle, colmare il vuoto, riconciliare le differenze, le sofferenze.

Adesso che era lui solo, doveva essere entrambi, cielo e terra.

Doveva vivere per entrambi… per sé, e per… lui.

Aveva richiuso la finestra. La luce del tramonto era sfumata, quella delle stelle sorrideva, scintillava in alto, alta sopra il respiro del mondo.   

 

 

 

   
 
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