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Autore: O0oSuNsHiNeo0O    10/12/2008    35 recensioni
Io ero la musica. Danzavo sul pentagramma, seguendone le linee austere. Ero il bianco della pagina ed il nero della nota. Ero l'avorio delle ottave e l'ebano delle alterazioni. Io ero la musica.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io ero la musica.
Danzavo sul pentagramma, seguendone le linee austere.
Accarezzavo con l'anima la curve armoniose della chiave di violino.
Assaporavo le note, lasciando la mia mente libera di adagiarsi sulla rotondità di una semiminima, padrona di scivolare sulla codetta di una croma per poi
acciambellarsi nella confortante concavità di una semibreve.
Il mio corpo vibrava della musica perchè io ero la musica.
Ero il bianco della pagina ed il nero della nota.
Ero l'avorio delle ottave e l'ebano delle alterazioni.
Ero quel pezzetto di anima che rimane attaccato per sempre alle pagine di uno spartito.
Ero la gioia fuggevole di un'esecuzione improvvisata.
Ero il miracolo che riluceva in ogni singola nota.
Ero il suono ed ero il silenzio.
Ero uno strumento.
Ero lo strumento tramite il quale si compiva il miracolo della sifonia.
Io ero la musica.

Sono sdraiata su un letto d'ospedale e fisso il soffitto.
Tutto è bianco qui dentro, le lenzuola, i mobili, le pareti.
C'è un silenzio irreale e sento il cuore che mi rimbomba nel petto.
Strano, avrei giurato che non ci fosse più.
L'ho sentito ingigantirsi tanto da impedirmi di respirare e poi rompersi in mille pezzi.
E adesso è qui, nel mio petto.
Batte come se nulla fosse successo, come se i dottori non ci fossero mai stati.
"Fortunata"
Mi hanno detto così: "Sei stata fortunata"
Io li fissavo e non capivo.
Mia madre era accanto a me e piangeva, mi teneva una mano, la accarezzava.
"La macchina ti ha colpita in pieno, è un miracolo che tu sia ancora viva", mi dicevano.
Erano seri ed impassibili ed io continuavo a non capirli.
Guardavo mia madre.
Guardavo i dottori.
Guardavo la mia mano.
E' stato lì che il mio cuore si è spezzato, loro non se ne sono accorti.
Hanno continuato a parlare e a ripetermi che sarebbe andato tutto bene, che sarei guarita e che la mia vita sarebbe stata più o meno la stessa.
Hanno detto così: più o meno.
Io non ascoltavo.
Come avrei potuto? Il mio cuore si era appena sgretolato in mille pezzi.
Guardavo mia madre.
Guardavo i dottori.
Guardavo la mia mano.
E non provavo niente.
Niente.

"Fortunata"
Mi hanno detto così: "Sei stata fortunata"
Perdere l'ultilizzo della mano destra è nulla in confronto a quello che avresti potuto passare.
Pensavamo che staresti morta.
Sei stata in coma per undici giorni, sai?
Credevano che saresti rimasta paralizzata su una sedia a rotelle.
Potrai ricominciare a vivere, a camminare.
Non è detto che la mano sia persa per sempre, con la fisioterapia potrai recuperare almeno il cinquanta per cento delle funzionalità.
Sorridono e sembrano felici.
Dicono a mia madre che probabilmente sono ancora sotto shock.
Mi danno una carezza amichevole sulla guancia ed escono.
Nessuno si è accorto che il mio cuore si è spezzato.

Sono sdraiata su un letto d'ospedale e fisso il soffitto.
Una falena continua a sbattere ritmicamente contro il vetro nella finestra.
Toc, toc, toc.
Farfalle.
Dicevano tutti che le mie mani erano come farfalle.
Lei non suona il piano, dicevano, lo accarezza e quello, docile, si piega alla sua volontà.
Un goffo gigante di legno che si lascia condurre dall'impalpabile leggerezza di due farfalle in una danza troppo bella da immaginare.
C'è un rubinetto che perde.
Il martellare dell'acqua sulla cermica sembra confondersi con i battiti del mio cuore.
Non credevo di averne ancora uno.
Plop, plop, plop.
Ritmo.
Musica.
Tutto è musica.
L'insignificante falena, il rubinetto di metallo.
Improvvisamente il lenzuolo si trasforma in un pianoforte ed io inizio a seguire le melodie attorno a me.
Melodie folli, delicate, fragorose, struggenti.
Vorticano pericolosamente nella mia testa ed io non posso fare a meno di muovere le dita.
Le mani scivolano delicate sulla seta di tasti immaginari.
Ma c'è qualcosa che non va.
La mano destra arranca faticosamente, le dita sembrano afferrare il suono e subito dopo perderlo.
I tasti sono diventati improvvisamente dei giganti troppo alti e spaventosi per essere affrontati.
La mia mano cerca disperatamente un appiglio, anche una sola nota, alla quale aggrapparsi per non affogare in quella musica che ora le appare priva di senso.
Toc, toc, toc.
Plop, plop, plop.
La sinfonia si fa assordante.
E' ovunque.
Diventa una presenza tangibile.
Fa male.
Fa troppo male.
Mi dilania, cerca disperatamente di uscire dal mio corpo, ma non può.
Nulla sarà più come era prima.
Io non sarò più strumento, non sarò più miracolo, non sarò più suono.
Fermatemi.
Fermatemi, vi prego.
La melodia si incrina, un' ultima timida nota sembra risuonare nella stanza, poi è silenzio.
Quando apro gli occhi mi accogo che sto piangendo.
Mia madre è accanto a me e mi tiene le mani.
Il dolore è scomparso, sostituito dalla solita sensazione di torpore.
Una farfalla non può volare con le ali spezzate.
"Non riesco a muoverla"
"Ora riposa"
"Non ci riesco"
"Shhh, chiudi gli occhi, vedrai che tutto passerà"
Una farfalla non può volare con le ali spezzate.

Ero sdraiata su un letto d'ospedale e fissavo il soffitto.
Ora non più.
Trascino la flebo sul pavimento di cemento del tetto dell'ospedale.
Sono stanca e mi tremano le gambe.
Con passo malfermo mi avvicino alla balaustra.
Il vento fischia impietoso attorno a me.
Musica.
Aria e materia.
Sinfonia degli elementi.
Io non ne faccio parte.
Sono un impedimento al compiersi dell'esecuzione.
Salgo in piedi sul cornicione.
Fa freddo.
Sono stanca.
Troppo stanca.
E' un attimo lasciarsi andare accolti dal brivido immenso del nulla.
Cado come una cosa priva di peso.
Per un attimo volteggio in preda ai meravigliosi giochi dell'aria.
Poi è il buio.
Ma mentre l'abisso accoglie voglioso lo strumento incompleto che sono...
Mentre la paura per un attimo tocca il mio cuore...
Mentre l'aria sibila forsennatamente attorno al mio corpo...
In quell'istante io sono musica.




  
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