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Autore: Zury Watson    06/03/2015    8 recensioni
Mycroft Holmes, si reca al 221B di Baker Street per incontrare Sherlock e il buon dottore con l'intenzione di rivelare qualcosa che potrebbe sconvolgere suo fratello. Ritenendo che sia arrivato il momento per lui di conoscere la verità e sapendo che non sarà semplice spiegare, decide di portare con sé questo qualcosa.
«You know what happened to the other one» - Mycroft Holmes (3x03 - His Last Vow).
Aggiornamenti sospesi fino a terminata revisione dei capitoli online
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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L'altra


«Accetto il caso»

Non era facile per Mycroft avere una donna in giro per casa, per quanto silenziosa e riservata fosse.
Tre settimane prima, Sherlock non aveva preso bene la rivelazione. Non che prima dell'incontro con sua sorella gemella lui e Mycroft si sentissero spesso comunque, ma quest'ultimo lo conosceva abbastanza da aver capito che non si sarebbe fatto vivo presto.
Lui, Mycroft, aveva deciso di ospitarla a prescindere, sentendo che in qualche modo glielo doveva. E questa sensazione lo stava facendo impazzire. L'unico punto di incontro tra i sentimenti e Mycroft era sempre stato Sherlock, sebbene il loro fosse un modo davvero strano di volersi bene.
John Watson aveva impiegato un po' per capire davvero i fratelli Holmes.
La sorella gemella di Sherlock, invece, comprendeva ogni cosa con grande facilità. Non perché fosse estremamente intelligente... Sì, anche per questo, ma soprattutto perché era una Holmes lei stessa. Evidentemente era una questione genetica. Come Sherlock, anche lei viveva al di sopra di molte righe.
Mycroft aveva la metà inferiore del corpo fasciata in un'aderente tuta che ne risaltava i muscoli e il lato b.
Lei lo stava osservando, in assoluto silenzio, dalla soglia della porta.
In quelle quattro settimane di soggiorno a casa di suo fratello maggiore, lei non aveva parlato granché, anche se aveva raccontato a Mycroft un mucchio di cose ogni volta che i due si erano guardati negli occhi per più di cinque minuti. Era certa che qualcosa lui l'avesse afferrata. In caso contrario, non le importava poi molto.
In fin dei conti erano estranei.
Mycroft correva veloce calpestando ad ogni passo il nastro scuro che gli scorreva sotto i piedi. Non si muoveva di un millimetro, naturalmente.
Non era più giovanissimo, ma conservava un fascino tutto suo.
Con la coda dell'occhio la vide e la distrazione fu immediata.
Non era facile per Mycroft avere una donna in giro per casa, per quanto fosse sua sorella.
«Noto con piacere che sei solita indossare l'intimo», commentò saltando giù dall'attrezzo.
Lei non fece una piega e non gli rispose.
«Sherlock ha avuto l'ardire di presentarsi nudo, avvolto solo da un lenzuolo, a Buckingham Palace», aggiunse.
Mycroft non avrebbe mai pensato di dover provare a fare conversazione, eppure era ciò che faceva da circa un mese.
Quando si voltò verso la porta, lei non c'era già più. Sospirò e raggiunse il bagno per farsi una doccia prima di andare al Diogenes Club.

Quello stesso giorno, a Baker Street, Sherlock Holmes aveva appena inviato un sms a John Watson con l'unico intento di farlo piombare quanto più velocemente possibile nell'appartamento.
John conosceva Sherlock da anni, ma ci cascava sempre.
Aveva il fiatone e la paura dipinta sul volto a causa di quel messaggio terrificante. Aveva cominciato a capirci qualcosa nel momento in cui aveva sentito Mrs. Hudson canticchiare in cucina.
Sherlock Holmes era comodamente seduto in poltrona e con l'archetto del violino indicava all'amico di raggiungerlo e accomodarsi.
John sentì la rabbia montargli, ma prima ancora che potesse dire qualcosa, Sherlock parlò.
«Ho bisogno di te».
La rabbia svanì per lasciare spazio alla sorpresa. John era completamente immerso nel tentativo di elaborare. Sapeva bene che nulla è come sembra quando si ha a che fare con Sherlock Holmes, ma non sapeva come interpretare ciò che aveva appena sentito.
Decise che il modo migliore per essere utile ad un uomo come Sherlock era sedersi di fronte a lui e ascoltarlo.
Ci prese in pieno.
In fondo lo conosceva più di quanto egli stesso credesse.
Il consulente investigativo pizzicò le corde del violino per un quarto d'ora prima di iniziare a raccontare.

I coniugi Holmes, rincasati da poco, avevano ascoltato già tre volte il messaggio-fiume registrato in più parti dalla segreteria.
L'inconfondibile velocità con cui dall'altro capo di un telefono l'uomo parlava bastava di per sé a sconvolgerli: lui non telefonava mai, figurarsi lasciare messaggi vocali.
La voce registrata di Sherlock continuava a parlare dicendo cose che i due faticavano a mandar giù.
Non l'avevano mai dimenticata, ne avevano seguito di nascosto gli spostamenti finché era stata una bambina. Poi qualcosa era cambiato, sembrava essere sparita nel nulla e loro non erano più riusciti a rintracciarla. Ora il loro figlio minore stava dicendo che Mycroft l'aveva trovata quattro settimane prima e che lui stesso l'aveva incontrata tre settimane addietro. E voleva spiegazioni dettagliate e convincenti.

Mycroft non andò al Diogenes Club.
Il suo cellulare squillò prima che potesse mettere piede fuori casa.
La giovane Holmes stava stappando una bottiglia di vino rosso quando Mycroft la raggiunse. I due si guardarono e lei prese un secondo bicchiere: l'espressione di Mycroft la diceva lunga su quanto fosse stata problematica la telefonata.
Erano al terzo bicchiere quando lei ruppe il silenzio.
«Ci vado a nozze con le situazioni complicate».
Era il suo modo di dire che l'avrebbe ascoltato, qualunque cosa avesse da dirle.
Mycroft non si era ancora abituato a lei. La somiglianza fisica con Sherlock era impressionante. Anche nel carattere avevano dei punti in comune, ma c'era una sostanziale differenza tra i due. Lei appariva delicata anche quando era scontrosa e gentile anche mentre ti confidava che di lì a poco ti avrebbe ucciso. Mycroft non aveva mai assistito alla seconda situazione, ma era così che vedeva sua sorella.
Il modo in cui lei sollevò soltanto un angolo della bocca lo fece infine cedere mentre si chiedeva se quello che aveva appena visto fosse davvero un accenno di sorriso oppure un movimento muscolare involontario.
«I nostri genitori...», cominciò.
«Tuoi», lo corresse lei, interrompendolo. «E di Sherlock», aggiunse.

Quattro settimane prima, al posto della solita avvenente donna che diverse volte aveva trascinato in auto il dottor Watson, era apparsa, a sorpresa, dinanzi a Mycroft la versione femminile di suo fratello Sherlock.
Era stato lui a mettersi sulle tracce di lei e dove non erano riusciti ad arrivare i coniugi Holmes, era invece arrivato Mycroft.
Non sembrava avere intenzioni amichevoli quando era entrata dichiarando di aver addormentato la donna che lavorava per lui prendendone momentaneamente il posto, ma poi qualcosa nello sguardo sconvolto di Mycroft l'aveva indotta a sedersi e parlare con lui.
Era stata la conversazione più lunga che avessero avuto e alla fine lei aveva accettato di incontrare anche Sherlock, il suo gemello.

A Baker Street John Watson era in piedi e stava dando i numeri.
Sherlock non aveva preso in considerazione l'ipotesi che i suoi genitori fossero all'oscuro di tutto. Era stato Mycroft ad illuminarlo, con un sms ad alto contenuto acido, dopo aver ricevuto la telefonata dei coniugi.
«L'hai combinata grossa, Sherlock!», lo accusò Watson, puntandolo con l'indice.
Silenzio.

Mycroft si prese un paio di minuti dopo quella puntualizzazione.
Lei sorseggiò lentamente il vino.
«Vogliono un incontro», disse. Un leggero tremolio nella voce diede modo a lei di capire che qualcosa in Mycroft non andava.
«No».
Mycroft allungò il bicchiere per farselo riempire.
Lei gli sorrise, apertamente stavolta ma in un modo che Mycroft giudicò strano e forse un po' inquietante. Poi disse che se voleva bere, avrebbe dovuto prima fornirle tutti i dettagli.
Mycroft non voleva cedere, ma sapeva che lei sarebbe arrivata comunque all'ovvia conclusione perciò decise di darle ciò che voleva. Poi allungò di nuovo il bicchiere.
Per tutta risposta lei gli porse il proprio e si alzò.
Lui rimase immobile a fissare il bicchiere mezzo pieno, a pensare. Il solo fatto di avere decine di punti interrogativi che gli galleggiavano nella mente lo rendeva insicuro e quindi nervoso. Era diventato un bersaglio facile.
In quella stessa abitazione, sua sorella si stava vestendo. Il suo essere molto pratica riduceva moltissimo i tempi da questo punto di vista, perciò impiegò poco a raggiungere l'appendiabiti dove giaceva inanimato il cappotto di Mycroft. Lo prese e tornò in cucina.
Sebbene la domanda fosse rimasta incastrata da qualche parte nella gola di Mycroft, lei l'afferrò ugualmente.
«221B, Baker Street. Accetterà il caso».

Mycroft raddrizzò il batacchio.
Mrs. Hudson li accolse con i suoi consueti modi gentili e li invitò a salire informandoli della presenza del dottor Watson.
Lei non aveva mai assistito all'arrivo di un cliente nell'appartamento di Sherlock Holmes, ma sapeva esattamente cosa doveva fare: ciò che i fratelli Holmes non avevano messo in conto, neanche Mycroft, è che lei non si era rigirata i pollici negli anni. Li aveva cercati, trovati e osservati silenziosamente e mai direttamente.
Fratello maggiore e sorella entrarono senza dire una parola. Lei prese la sedia dei clienti, la posizionò tra le due poltrone e si accomodò sotto lo sguardo confuso di John Watson.
Sherlock iniziò a muovere piuttosto velocemente le lunghe dita affusolate, toccandosi il palmo e sfregando l'indice contro il pollice. Ma sul viso nessun muscolo tradiva quello stesso nervosismo.
Lei accavallò le gambe, si cinse la vita incrociando le braccia e fissò gli occhi in quelli di lui dando il via a un dialogo muto.
«Accetto il caso. Lasciateci», disse senza smettere di guardarla, parecchi minuti più tardi.
Non si può dire che Watson sprizzasse gioia da tutti i pori.

Al piano inferiore, Mycroft e John presero la tipica bevanda inglese insieme a Mrs. Hudson parlando del più e del meno. In verità era più che altro Mrs. Hudson a parlare e Watson a interagire.

Erano entrambi abituati a leggere la gente anche se per motivi diversi e in virtù di questo trascorsero i primi nove minuti a raccogliere ed elaborare informazioni. Lo facevano ormai quasi per una sorta di incontrollabile abitudine.
Lei non ne aveva mai fatto un lavoro vero e proprio come invece era stato per Sherlock. Se anche le fosse venuto in mente, comunque, i continui spostamenti avrebbero trasformato l'idea in un nulla di fatto.
Lui aveva voluto restare solo con lei senza conoscere con esattezza i motivi che l'avevano spinto a mandar via Mycroft e John. Lei comunque non si era scomposta a quell'eventualità. Aveva sentito da Mycroft, tre settimane prima, il racconto di come erano andate, a grandi linee, le cose poco tempo dopo la loro nascita. Nulla però conosceva di lei e per qualche motivo ancora sconosciuto, l'argomento suscitava il suo interesse.
Lei cambiò posizione sulla sedia. Aveva raccolto per anni informazioni su Sherlock Holmes e questo l'aveva resa consapevole del tipo di persona che si sarebbe trovata davanti quando, quattro settimane prima, aveva deciso di incontrarlo di persona. La consapevolezza non era bastata, tre settimane prima, a esonerarla dall'effetto che Sherlock aveva sugli altri. Ci stava facendo i conti anche in quel momento con quello sguardo penetrante che sembrava poter raggiungere ogni angolo della sua mente.
Allo scattare del decimo minuto, il silenzio fu rotto.
«Non ti ho mai incontrata prima, me ne sarei ricordato, eppure tu sai che chi viene qui a propormi un caso siede esattamente lì». Non era una domanda, era un'affermazione. «Questo apre due strade la più banale delle quali, e per questo improbabile e quindi trascurabile, prevede che tu abbia chiesto a Mycroft. Resta, di fatto, un'unica soluzione ovvero una vasta rete di conoscenze. Un'ipotesi approssimativa mi porta a credere che almeno una decina tra i miei clienti siano o siano stati in qualche modo collegati con te. Il che mi fa credere che tu, a differenza mia, fossi a conoscenza di ciò che a me è stato rivelato soltanto tre settimane fa. Indubbiamente questo crea qualche problema al mio ego, ma ci sono cose più interessanti adesso. Posso passarci sopra». Sherlock era un fiume in piena. «La domanda a questo punto è "perché?". Perché agganciare qualcuno solo in quanto mio cliente? Se non avessi risolto la maggioranza dei casi inizierei a pensare che ci sia tu dietro. Un altra domanda è "come?". Come facevi a sapere chi si rivolgeva a me?». Si fermò per guardarla attentamente negli occhi, poi proseguì con la serie di deduzioni. «Il tuo aspetto, fisico asciutto e capelli corti, mi suggerisce che non hai la stessa predilezione di Mycroft per le scrivanie eppure non hai avuto l'ardire di mettere piede in questo appartamento prima di tre settimane fa. Hai preferito studiarci da lontano e devi averci messo un bel po' di astuzia dato che né io né Mycroft ci siamo accorti di nulla, il che significa che non hai lasciato tracce evidenti e che non hai mai interferito. Volevi restare nell'ombra. Sono troppo spesso così scontate, le conclusioni, dopo che le hai tirate. In effetti è abbastanza ovvio che per trovare i miei clienti utilizzassi i miei stessi mezzi: annunci sui giornali. Da un certo momento in poi, però, mi sono appellato prevalentemente alla mia casella di posta, il che significa che i clienti in questione risalgono a un bel po' di tempo fa. Ed ecco un altro bivio: dopo hai smesso oppure ti sei ingegnata in altra maniera? No, non ci siamo. Occorre spostare il problema... Ritengo che tu abbia appreso una buona parte delle tue informazioni dal blog di John, alcuni dettagli dai miei clienti arrivando ai loro racconti attraverso amici di amici, e un'ultima parte dai giornali locali, dai comunicati di Scotland Yard e...».
«E dalla donna che tu chiami La Donna», concluse lei prima che lui potesse aggiungere altro.

Al piano inferiore Mycroft e John erano riusciti a porre termine alle chiacchiere di Mrs. Hudson che si era infine dedicata alle faccende di casa.
Mycroft fingeva disinteresse nel suo fare posato: gambe accavallate, un braccio attorno alla vita e l'altro sollevato quel tanto che bastava a sfiorarsi il volto con i polpastrelli.
John lo osservava impaziente, invidiando la calma che Holmes ostentava e continuando a cambiare posizione sulla sedia. Quando ne ebbe abbastanza si alzò e prese a camminare nevroticamente.
Mycroft decise di ignorarlo.
«Adesso basta, io salgo», disse infine il dottor Watson.
Ma non ci fu bisogno di un'irruzione. Con un tempismo perfetto Sherlock chiamò, senza scomodarsi, l'amico e il fratello invitandoli a raggiungerli.

La sedia era tornata al suo posto.
La giovane Holmes aveva invece raggiunto la finestra e guardava fuori, con aria distratta.
«Oh, eccoti qui John. Sono felice che tu non abbia impegni», esordì Sherlock alzandosi dalla poltrona.
Fu inutile anche soltanto provare a muovere una protesta.
«Abbiamo un caso su cui indagare», concluse trascinando l'amico fuori dall'appartamento, tra le strade pulsanti di una Londra nuvolosa.




N.d.A.
Si sa come va con queste cose: inizi a scrivere una scena e poi succede che nei momenti più impensabili spuntano fuori nuovi dettagli che pretendono di essere messi nero su bianco. L'idea della gemella di Sherlock mi ha intrigata fin dall'inizio, perciò eccomi di nuovo qui con un'altra one shot in tema che ho deciso di inserire in una raccolta.
Ringrazio anticipatamente gli eventuali lettori per il silenzioso passaggio e ancor più per le sempre gradite recensioni.

   
 
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