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Autore: Zury Watson    11/03/2015    7 recensioni
Mycroft Holmes, si reca al 221B di Baker Street per incontrare Sherlock e il buon dottore con l'intenzione di rivelare qualcosa che potrebbe sconvolgere suo fratello. Ritenendo che sia arrivato il momento per lui di conoscere la verità e sapendo che non sarà semplice spiegare, decide di portare con sé questo qualcosa.
«You know what happened to the other one» - Mycroft Holmes (3x03 - His Last Vow).
Aggiornamenti sospesi fino a terminata revisione dei capitoli online
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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The Other One


Sussex

Se Sherlock Holmes era innegabilmente il miglior segugio che la Terra avesse mai avuto l'onore di ospitare, Irene Adler era tutt'altro che una facile preda da cacciare.
L'ossessione di Sherlock per la sorella gemella stava portando John all'esasperazione. Non passava giorno in cui il più giovane dei fratelli Holmes non cercasse di mettersi sulle tracce della Donna coinvolgendo l'amico dottore nella sua personale ricerca di informazioni.
I suoi tormenti nascevano da una semplice domanda: Irene Adler, che a quanto pareva aveva frequentato la gemella di Holmes, ne conosceva la reale identità?
Se la risposta a quella domanda fosse stata positiva, molte cose avrebbero assunto tutto un altro senso.
I tentativi di scucire qualche dettaglio alla giovane Holmes si erano dimostrati vani. La ragazza era un osso duro.
Non aveva ceduto neanche quando Sherlock aveva fatto irruzione a casa di Mycroft sapendolo al Club...


Distesa sul comodo letto della stanza che ormai aveva iniziato a considerare davvero sua, a casa di Mycroft, suo fratello maggiore, la ragazza stava facendo delle ricerche in internet sfruttando il portatile messole a disposizione.
Se fosse perché Mycroft si sentiva in qualche modo responsabile o perché semplicemente era ricco sfondato, le cose non cambiavano: in quella casa non le mancava davvero nulla.
Inoltre da quando aveva ritrovato quella che di fatto era la sua famiglia biologica, i nemici che le avevano dato la caccia per anni sembravano essere scomparsi nel nulla. O, più probabilmente, si stavano riorganizzando. Essere sotto la protezione degli Holmes aveva molti vantaggi. Sapeva, però, che prima o poi avrebbe abbandonato Mycroft e Sherlock. Quella consapevolezza creava in lei un disagio mai provato prima.

Sherlock non fu tanto sciocco da entrare dalla porta principale. Si era detto che se davvero sua sorella aveva avuto a che fare con la Donna ed era piombata nel cuore del Diogenes Club senza farsi scoprire, non le sarebbe certo sfuggita una serratura che si apriva ad un orario molto più che sospetto.
Fece quindi il giro dell'abitazione per verificare se tutte le finestre fossero chiuse dall'interno. Constatato che non c'era via d'accesso facile, attuò uno dei suoi tanti trucchetti imparati negli anni e si introdusse quasi del tutto in silenzio.

La ragazza non impiegò più di una manciata di minuti a capire di non essere più sola in casa. Sherlock Holmes piombò nella sua stanza avvolto dal lungo cappotto che lo contraddistingueva e accompagnato da una maschera inespressiva dietro la quale si celavano, ne era certa, soddisfazione e un pizzico di strafottenza. Era come se i suoi occhi le urlassero "Io sono Sherlock Holmes e per me impossibile è solo una voce sul dizionario". Avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque, ma non a lei.
Facendo in modo che lui non la vedesse, nascose il pugnale che non teneva mai tanto lontano da sé da non poterlo raggiungere in caso di necessità.

Uno dietro l'altro e senza alcun preambolo, Sherlock iniziò a snocciolare una serie di piccoli segreti appartenuti esclusivamente a sua sorella fino a quel preciso momento, stuzzicandola nel chiamare in causa Mycroft e chiedendole se il maggiore degli Holmes sapesse realmente chi ospitava in casa.
La verità era semplice quanto inaccettabile per Sherlock: Mycroft era al corrente di molte più cose e aveva attinto direttamente alla fonte.
La gemella non mostrò alcun segno di tensione sebbene la presenza di Sherlock la inquietasse. Ogni volta che aveva modo di guardarlo era come vedere se stessa con connotati maschili. Non sapeva dire esattamente quali sensazioni questo scatenasse in lei.
Al punto numero sei dell'elenco, accadde che fu Sherlock a essere spiazzato.
«Non essere timido, siediti pure. Vuoi un tè? Offre Mycroft», si inserì la giovane donna come se stessero amabilmente discutendo del più e del meno, come se lui di fatto l'avesse interpellata o stesse in qualche modo tenendo una conversazione bidirezionale con lei.
Ora era lei a fare la strafottente.
La smorfia sul viso di Sherlock tradì irritazione e lei rimase nuovamente sola in casa.


Il fatto che né Mycroft, né John fossero a conoscenza di quell'episodio aveva arricchito di un elemento la lista di segreti stilata da Sherlock.
Il risultato fu che Sherlock e la sua gemella facevano del proprio meglio per evitarsi e ci riuscivano alla perfezione.

Una mattina, prima che Mycroft uscisse di casa, sua sorella lo aveva fermato per comunicargli che sarebbe partita per qualche giorno.
Fu come una doccia fredda per il maggiore degli Holmes, tanto più perché la sorella aveva già preparato i bagagli e noleggiato un'auto cogliendolo del tutto di sorpresa. Ormai aveva iniziato a dare per scontata la presenza di lei nella sua vita.
Errore umano, l'avrebbe chiamato non molto tempo addietro.
Quando le chiese ulteriori informazioni, la risposta di lei si rivelò, però, una carta vincente.
Non è che Mycroft si adoperasse volontariamente di rimettere insieme i cocci di una famiglia, ma di fatto era ciò che stava facendo: considerato che per qualche motivo ancora sconosciuto la ragazza voleva relazionarsi soltanto con lui e considerato che i genitori attendevano ancora un incontro mentre con Sherlock un incontro non era neanche in programma, Mycroft aveva deciso di affrontare un problema per volta.
«Tu hai una tenuta nel Sussex», rifletté sentendo di avere un possibile punto di svolta praticamente a portata di mano. «Sherlock adora il Sussex», aggiunse.
Il fatto che Sherlock potesse adorare qualcosa la fece ridere fino alle lacrime. Commentò quel comportamento appellandosi al pessimo carattere del fratello, ma era un attacco isterico in piena regola: anche lei adorava il Sussex.
Le proteste dei gemelli, che per una volta furono pienamente d'accordo, non valsero a nulla. Mycroft fece in modo che partissero insieme, viaggiassero insieme e abitassero insieme per i tre giorni di soggiorno.
La testardaggine, la determinazione e il carisma erano doti di famiglia.
John era un po' scettico e temeva che i due si sarebbero azzuffati ancor prima di mettere piede in casa, ma alla fine si convinse che forse allontanandosi un po' da Londra Sherlock si sarebbe dato una calmata.
L'occhiataccia che si scambiarono i due gemelli quando si trovarono davanti all'auto, per i saluti, non prometteva niente di buono, ma Mycroft era stranamente fiducioso.
«Le chiavi», disse Sherlock tendendo la mano.
«Puoi scordartelo», rispose lei infilandosi nell'abitacolo, al posto di guida. Mise in moto e minacciò di partire senza di lui, cosa che a Sherlock avrebbe sicuramente fatto piacere, ma Mycroft e John non lasciarono scampo al giovane Holmes che fu costretto a entrare in macchina.
Per un attimo Holmes senior e il Dottor Watson non furono certi che il ruggito provenisse dal motore e non dai gemelli.
Trascorsero gran parte del viaggio in assoluto silenzio e questo, alla fine, mitigò l'umore di entrambi.
Di tanto in tanto Sherlock sbirciava in direzione di sua sorella.
Aveva i lineamenti meno pronunciati di lui e gli occhi più grandi ma dello stesso incredibile colore, le sopracciglia più sottili, le labbra carnose ma con una forma diversa, i capelli ricci, neri e corti. Le dita diafane e sottili sfioravano con delicatezza il volante, come se fosse di cristallo. Nessun segno di make-up sul viso di lei, tranne una generosa dose di mascara a rendere lo sguardo ancor più penetrante. Lo sguardo fisso sulla strada neanche quest'ultima fosse una preda da braccare. L'unico vocabolo che venne in mente a Sherlock per descriverla fu "letale".
Lei sentiva addosso lo sguardo di suo fratello, ma non disse nulla. Pensava invece a come e quando Mycroft avrebbe raccontato l'intera storia a Sherlock.
Ciò che gli aveva detto il giorno del loro primo incontro a Baker Street era soltanto la piccola parte di una serie di circostanze complesse.
La giovane donna non aveva impiegato molto a capire di essere stata adottata e ottenute tutte le informazioni utili era scappata di casa, aveva fatto perdere le sue tracce, era volata a Londra dalla Finlandia - sede dei genitori adottivi - e aveva trascorso diversi anni nell'anonimato totale. Era una bambina, ma sapeva il fatto suo. Una volta assicuratasi che nessuno la stesse più cercando, si era messa a raccogliere informazioni sugli Holmes.
Non aveva mai saputo perché esattamente i genitori avessero deciso di liberarsi di lei, motivo per cui non aveva ancora voluto incontrarli, e per questo seguì con molto interesse le vicende riguardanti un terzo Holmes. Qualcuno - che lei sapeva rispondere al nome di Charles Augustus Magnussen - aveva fatto pervenire a Mycroft un articolo anonimo in cui si raccontava di come il mezzano degli Holmes, rinnegato dalla famiglia, si divertisse a seminare orrori in tutta l'Inghilterra. Mycroft non aveva neanche avuto il tempo di pensare al da farsi che quello stesso articolo era arrivato a persone di spicco della società e del Governo Britannico.
Perché Magnussen ce l'avesse così tanto con gli Holmes, restava un mistero. Perché fosse a conoscenza di una parte di verità, restava un mistero. Perché avesse scelto l'anonimato era invece un'ovvietà.
Come lei fosse venuta a conoscenza di quell'informazione era un segreto anche per Mycroft che nulla sospettava in merito. Ma in fin dei conti sarebbe stato sufficiente cercare un po' al di sotto della superficie per comprendere ogni cosa.
Come Mycroft fosse invece riuscito a mantenere segreto a Sherlock l'episodio era semplice: accadde negli anni in cui suo fratello era alle prese con la messa in scena della propria morte. Un vero colpo di fortuna. O forse soltanto un avvertimento.
A quel punto, Mycroft - che sapeva di avere una sorella in giro per l'Inghilterra - fu costretto ad inventarsi una storia. A tutti quelli che avevano ricevuto l'articolo raccontò di essere da anni alle costole di quell'inesistente fratello criminale infine catturato e rinchiuso in un carcere di massima segretezza in un posto lontano da ogni forma di civiltà.
Questo quanto era successo all'altro.
Ma la verità era tutt'altra.
E con ogni probabilità era lei la causa di quell'articolo.


Chi più di Charles Augustus Magnussen poteva esserle utile nelle sue ricerche sugli Holmes? Quell'uomo era una fonte inesauribile di informazioni e la giovane Holmes era abbastanza determinata da voler correre il rischio. Armata di lenti a contatto marroni e assunta l'identità di un giovane ragazzo dal tipico cognome londinese con documenti in regola ed un passato convincente, chiese ed ottenne un incontro con il giornalista. La sua fisicità le permetteva di trasformarsi in un esile ragazzo ogni volta che ne aveva bisogno ed era così, tra l'altro, che aveva fatto perdere le proprie tracce anni addietro. Le fu subito chiaro, da quell'incontro, che lui la credeva un giovane omosessuale probabilmente per il timbro di voce e la traccia di delicatezza nelle movenze. E le fu subito chiaro quanto squallido fosse quell'uomo.
Nonostante questo non mollò la presa e cercò altri incontri dichiarando di voler apprendere l'arte del giornalismo dal migliore sul mercato e come asso nella manica sfoggiò una buona dose della sua intelligenza. 
Fu così che venne a conoscenza dell'esistenza di Appledore.
In prima battuta aveva creduto che fosse qualcosa di materiale, di realmente esistente, e già aveva iniziato a elaborare un piano per introdurvisi, ma poi, osservando il modo in cui Magnussen succhiava via informazioni dalle persone soltanto guardandole per poi riutilizzarle nei momenti più opportuni - o meno opportuni a seconda dei punti di vista - aveva capito che Appledore era un archivio immaginario. E che Magnussen era una persona molto più pericolosa di tutti i serial killer che spargevano sangue per le strade di Londra.
L'uomo sembrava nutrire una buona dose di fiducia nei suoi riguardi, o meglio nei riguardi del giovane ragazzo omosessuale che interpretava e che non osava mai contraddirlo, che pendeva dalle sue labbra e che nutriva un'ammirazione immensa nei suoi confronti; la giovane Holmes, però, teneva tutti i sensi all'erta quando lo incontrava, non fidandosi affatto di quell'uomo.
Ciò di cui aveva bisogno erano tutte le informazioni a disposizione sulla famiglia Holmes, ma forzare la mano sarebbe stato da stupidi così pazientò. Incontro dopo incontro, confronto dopo confronto, menzogna dopo menzogna, confidenza dopo confidenza, venne a sapere che uno degli antagonisti più fastidiosi di Magnussen si chiamava Mycroft Holmes.
Le sembrò di essere ad un passo dalla vittoria.
Doveva aver sbagliato qualcosa, però. Forse aveva fatto qualche domanda più del dovuto su Mycroft o forse Magnussen le aveva tenuto il gioco per poi colpirla alle spalle dal momento che non molti giorni più tardi del loro ultimo incontro il giornalista aveva messo in circolazione quella voce sul terzo fratello con il doppio intento di infangare il nome degli Holmes e dare un chiaro avvertimento al suo oppositore. Ai suoi oppositori.
Non aveva mai risolto il rebus e non aveva mai capito se sul serio Magnussen fosse riuscito a individuare un collegamento tra lei e i fratelli Holmes. Le sembrava strano però, in tutto ciò, che avendo capito la parentela non avesse invece notato che lei non era affatto un uomo. Poteva una mente infallibile come la sua lasciarsi ingannare da ciò che i suoi occhi vedevano? Poteva una mente infallibile farsi prendere gioco da ciò che forse il suo subconscio voleva vedere?
Che fosse un uomo incline alla perversione in ogni sua forma, lei aveva avuto modo di appurarlo in diverse occasioni eppure... In ogni caso la faccenda si avviava verso una complessità che presto si sarebbe rivelata ingestibile e che richiedeva un intervento immediato.
Aveva fatto in modo che si sentissero ancora, ma senza più vedersi: riteneva che fosse troppo pericoloso per lei e alla fine, così come era comparsa nella vita del giornalista, aveva deciso di scomparire riappropriandosi della propria identità femminile, mantenendo un basso profilo e facendo perdere per l'ennesima volta le proprie tracce. Aveva affinato la tecnica ormai.
Poi Sherlock aveva risolto tutto uccidendolo.



Senza preavviso, nell'abitacolo di quell'auto, più vicina a lei di quanto lei stessa si aspettasse, Sherlock parlò.
«Come conosci la Donna? E come sai che la chiamo così?», chiese con voce neutra, frutto di una precedente impostazione. «E perché hai una tenuta nel Sussex?», aggiunse riportando alla realtà sua sorella.
Lei si voltò soltanto per rivolgergli un sorriso di inequivocabile interpretazione: non avrebbe detto una sola parola riguardo la Adler.
«Mi piace», rispose con tono basso, quasi seducente. «Il Sussex, ovviamente».
Quel sorriso, lo sguardo e la vaga malizia nella sua voce fecero sorridere Sherlock che infine accettò di avere davanti a sé non una comune cliente, né una cliente appena fuori dal comune, ma una donna dotata di intelligenza, fascino e Dio solo sa di quali altre qualità in grado di mettere K.O. qualsiasi essere umano.
«Che io sappia hai il suo numero di telefono», disse poi decidendo di stuzzicarlo. «Perché non domandi a lei?».
Sherlock si fece serio, strinse gli occhi e contrasse le labbra. «Perché non conosco il tuo nome», ammise con disappunto e forse sperando che lei finalmente glielo avrebbe rivelato semplificandogli le cose.
La gemella scoppiò in una risata armoniosa, spontanea e divertita che risuonò in un modo splendido in tutto l'abitacolo. «Oh, nemmeno lei in effetti», commentò infine.
Imboccò la strada che li avrebbe condotti alla sua tenuta e nell'auto piombò nuovamente il silenzio. Nel giro di dieci minuti arrivarono alla piccola ma graziosa villa. La giovane donna spense il motore e si voltò verso il fratello con aria seria. «Io non esisto, Sherlock».
La domanda sorse spontanea sulle labbra del consulente investigativo: «E allora a chi è intestato tutto questo?».
Di nuovo quel sorriso. Di nuovo quello sguardo.
Ipnotico e indecifrabile.
«Alla Donna».




N.d.A.
Le parti scritte in corsivo altro non sono che flashback. Spero di non essere stata troppo macchinosa. Al contempo spero di esserlo stata abbastanza.
Ringrazio in anticipo tutti i lettori e chiunque deciderà di lasciare una recensione.

   
 
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