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Autore: SunlitDays    11/03/2015    3 recensioni
«Ti farò mangiare la più buona pizza fritta. Ti farò vedere cose che non puoi trovare nei tuoi adorati libri. Ti farò capire che Napoli non è solo una città decaduta ricca di storia. Ma ha ancora molto da dare al mondo.»
Adesso anche Annabeth sorrideva. «Per esempio?»
«Per esempio, un tipo bello e simpatico come me.»

Percabeth Napoli!AU
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Vedi Napoli... e t'innamori
Rating: verde
Warning: Napoli!AU, Speleologa!Annabeth, NapoletanoVerace/GuaglioneDelBar!Percy
Ship: Percabeth duh!
Wordcount: 1515
NdA: come ogni buona napoletana, sono molto orgogliosa della mia città con tutti i suoi difetti e pregi, e questa fic è la mia baby. Ho sempre voluto scrivere qualcosa ambientato a Napoli e, in qualche modo, ce lo vedo troppo Percy come il classico napoletano che gironzola spavaldo per la città. Insomma, prendete il Percy newyorkese tanto amante della sua città e piantatelo a Napoli. L’idea mi è venuta dopo esser andata a visitare le catacombe del Rione Sanità. Annabeth la trovo perfetta nel ruolo di speleologa, affascinata dalle cave di tufo scavate dai greci circa nel III secolo a.c. Spero di non aver stravolto troppo i personaggi e, soprattutto, Napoli.
Chiedo perdono per tutte le note che troverete, so che renderà la lettura fastidiosamente a singhiozzo, ma ho inserito un sacco di dettagli e non sapevo fino a che punto voi lettori avreste capito cosa dice Percy o colto i riferimenti alla cultura partenopea.
Non ho specificato l'età di Percy e Annabeth, ma potete collocarli tranquillamente sui 25-30 anni. Lo so che non ha senso che un ragazzo di oltre vent'anni consegni il caffè, ma mi piaceva l'idea, quindi fatemela passare xD
Il titolo è ispirato al famoso detto "vedi Napoli e poi muori".



Tra le ore 8:30 e 9:00, il lavoro cominciava a ingranare.
Era la mezz’ora preferita di Percy: il telefono che squillava, i clienti che si accalcavano davanti alla cassa e al bancone del bar, l’odore del caffè e dei cornetti caldi…
Con i movimenti fluidi e sicuri di chi li ripeteva ogni giorno, Percy manteneva un vassoio sul palmo sinistro, mentre con la mano destra ci posava decine di bicchieri di caffè bollente — e difficilmente avreste trovato un caffè più buono di quello del Bar Addu Rafel [1], nel Rione Sanità del quartiere Stella [2].
Con il vassoio sollevato oltre la testa, Percy zigzagava tra la folla di clienti e sgusciava fuori, dove si permetteva giusto un attimo per alzare il viso verso il cielo e godere del timido sole mattutino, poi si recava verso la prima meta, Leo ‘o meccanic, e da lì faceva sosta in ogni negozio, bottega o bancarella che si trovasse nelle anguste stradine della zona, con il naso che accarezzava decine di odori diversi, dal dolce ammorbidente dei panni stesi ad asciugare, a quello pungente della candeggina dei Bassi [3], a quello invitante del ragù. Tutti lo accoglievano con un sorriso, perché non si può non adorare ‘o guaglion do bar [4] alle nove del mattino, e intrattenevano brevi ma piacevoli conversazioni con lui, Comm’ sta mammà, Perse’ [5]? T’è vist’ ‘a partit do Napul aiere, Perse’? [6], e Percy, spavaldo e sicuro nel suo territorio, scansava senza sforzo motorini e pedoni, salutando per nome gli abitanti e i negozianti del quartiere.
Fu in una mattinata frenetica e soleggiata come questa che conobbe Annabeth. Bionda, statuaria Annabeth, con la tuta da lavoro impolverata, i riccioli indomabili che le scappavano dal casco e il suo impercettibile accento del nord. Ma non fu l’imponente figura della ragazza ad attirare l’attenzione di Percy. Non inizialmente, almeno.
Un paio di settimane prima, una forte pioggia durata giorni aveva fatto crollare un tratto di strada. Le signore del quartiere urlarono al miracolo, perché nessuno era rimasto seriamente ferito. Un vero miracolo, ragionava Percy, sarebbe stato impedire che le strade crollassero, ma il franamento aveva portato alla luce una nuova cava dell’immensa Napoli Sotterranea ed era ovvio che fosse stata questa l’intenzione del Signore, ripetevano tutti.
La strada fu immediatamente chiusa per permettere agli speleologi di esplorare i cunicoli di tufo, e dopo un paio di giorni, già dimentichi del tanto acclamato miracolo, i napoletani cominciarono a lamentare il traffico e l’ennesimo scavo che avrebbe creato solo caos agli già stretti vicoli.
Come guaglione do bar più vicino, toccava a Percy portare il caffè ai lavoratori della cava.
«Permesso!» urlava. «’O cafè!» E tutti si fermavano e uscivano all’aria aperta per assaporare quel momento sacro che era il caffè mattutino.
Fu la sua insaziabile curiosità a spingerlo a scendere quaranta metri sotto terra. Non era un amante degli spazi stretti e la sola idea di tonnellate di terra sopra la sua testa gli faceva mancare l’aria, ma la voglia di sapere cosa ci fosse di così interessante sotto i suoi piedi da chiamare studiosi e giornalisti era più forte della sua fobia.
Così, in una di quelle profumate mattinate primaverili, armato di vassoio e di un bicchierino di caffè amaro, scivolò silenzioso oltre il cartello “Vietato l’Accesso” e discese la scala posta all’ingresso della cava.
Dopo una discesa che gli parve interminabile, si era ritrovato in una larga camera di tufo, l’odore di muffa tipico dei luoghi che sono stati chiusi per anni che gli solleticava il naso, e l’unica fonte di luce la torcia che reggeva Annabeth.
«E tu chi diavolo sei?» erano state le sue prime parole.
«Ho il caffè» aveva risposto Percy porgendole il vassoio, come se ciò potesse giustificare la sua infrazione. La ragazza sembrava pronta a ucciderlo con un picchetto e nascondere il suo corpo nelle profondità della terra, e Percy si scoprì inspiegabilmente innamorato.
Ora, settimane dopo il primo incontro, introdursi clandestinamente nella cava era entrato nella routine mattutina di Percy. Ma che volete farci, lui non era mai stato bravo a seguire le regole — la ribellione scorreva nelle sue vene napoletane — e ascoltare le ramanzine e gli sproloqui di Annabeth sulla storia della sua città era diventata per lui fonte di immenso divertimento.

La trovò con il viso a un palmo dal muro, la sua solita torcia a illuminarlo.
«Parli pure con i muri, mo’? Io lo sapevo che a forza di startene qua sotto poi perdevi la capa.»
«Va’ via, Perseus» rispose monotona.
«E jamme [7]! Sei sempre difficile. E dammelo un sorriso!»
Annabeth si girò, un cipiglio in volto, e gli puntò la torcia in faccia. «Vai. Via. C’è gente che sta cercando di lavorare, qui.»
«Oh! Pure io sto lavorando, piccere’ [8]
«Ah! Adesso a Napoli vi pagano pure per fare i rompiscatole?»
Percy si accigliò. Non gli era piaciuto come lei aveva pronunciato quel “a Napoli”, ma non rispose. Sapeva benissimo quanto Annabeth si divertisse a provocare quello che lei definiva “il vittimismo napoletano”. «Non vi si può dire niente. State sempre lì sulla difensiva e a lamentarvi di tutte le ingiustizie storiche che avete subito» gli aveva detto in uno dei loro primi incontri, e Percy non aveva ribattuto perché, oh!, torto mica aveva.
«E sì, noi a Napoli siamo bravi a inventarci i lavori più strani per tirare a campare.»
«Lo so. Ieri alla posta un tizio si è offerto di fare la fila per me per dieci euro l’ora» rispose con tono di condiscendenza, ma il suo sorriso tradiva il fascino che provava. Non era un caso se Annabeth aveva incentrato i suoi studi sulla storia, l’architettura e la topografia partenopea.
«Che ci vuoi fare… la disoccupazione è alta, ci dobbiamo arrangiare.»
«Già… e siete maestri in questo. E dammi il mio caffè prima che si fredda.»
«Dammi il mio caffè» la scimmiottò. «Mai un grazie, Perseus. Eccoti una bella mancia, Perseus
Lei sbuffò. «Continui a insistere. Non te la do la mancia. Non è obbligatoria. Senza contare che è davvero maleducato da parte tua chiederla.»
«Oh! Io affronto le mie paure tutte le mattine per portarti il caffè, ingrata.»
«E nessuno te l’ha chiesto. E poi di cosa hai paura? Che possa arrivare il munaciello [9]
«Ssshhh!» Si affrettò a zittirla Percy. «Non lo nominare. E poi, scusa, me l’hai detto tu che questi corridoi portano fino al Cimitero delle Fontanelle [10]. E se vuoi sapere la mia opinione, i morti non si devono sfruculiare [11]
«Nessuno ha chiesto nemmeno la tua opinione.»
«Fa’ cumme vuò tu. Poi se ti viene un morto in sogno non venire a lamentarti da me.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Però se ti dà i numeri fammelo sapere.»
«Sì, sì» lo liquidò Annabeth e tornò a osservare attentamente il muro.
A questo punto Percy sapeva che era arrivato il momento di andarsene, ma non si mosse. C’era una cosa che voleva fare e finora non ne aveva mai avuto il coraggio. La notte precedente, però, sua nonna gli era apparsa in sogno e gli aveva urlato: “Ne, Perse’, te vuò da na mossa [12]?!” e Percy aveva subito intuito che si stesse riferendo ad Annabeth. Questo non gli aveva impedito di lamentarsi. Sapeva quello che doveva fare e sapeva che doveva farlo subito, non aveva bisogno della ramanzina della nonna. Però dei numeri sì, ne aveva bisogno. Avrebbe potuto anche intrattenersi un altro paio di secondi per aiutare il suo povero nipote a diventare milionario.
«Che stai guardando tutta concentrata?»
«Sei ancora qui?» sbuffò. «Sto cercando di decifrare questi graffiti.»
Percy strinse gli occhi e guardò il muro. C’erano dei simboli incavati nel muro. E non avevano alcun senso. «E che vuol dire?»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Non lo so ancora, ecco perché li sto decifrando, no?» Poi il suo volto si animò. «Pensa! Sono delle scritte lasciate dagli schiavi greci che scavarono queste cave nel III secolo avanti Cristo.»
«Questa sicuramente vuol dire: mammamà, che mal di schiena! Quanto manca all’invenzione della gru? E quest’altro: facciamo uno sciopero! Questo: scemo chi legge. E questo: Annabeth, ti andrebbe di uscire da questo posto triste e lugubre qualche volta e prendere un caffè all’aria aperta?»
Gli occhi di Annabeth si bloccarono nell’atto di alzarsi al cielo. «Be’» rispose, con finta aria indifferente. «Se non è come il caffè stretto e orribile che fai tu...»
«Oh! Il mio caffè è la fine del mondo!»
«Va’ via, Perseus. Devo lavorare, e anche tu, terrone scansafatiche che non sei altro. Finisco di lavorare alle diciotto.»
«Alle diciotto… vuoi dire che...»
Annabeth indicò alcuni simboli sul muro. «Guarda questo. Vuol dire: rom-pi-sca-to-le.»
Percy sorrise, preso da una sensazione di euforia. «Ci vediamo alle diciotto» disse, arretrando lentamente. «Ti porterò nei posti più nascosti di Napoli che scommetto nemmeno lei conosce, dottoressa.»
«Non ci contare troppo.»
«Ti farò mangiare la più buona pizza fritta. Ti farò vedere cose che non puoi trovare nei tuoi adorati libri. Ti farò capire che Napoli non è solo una città decaduta ricca di storia. Ma ha ancora molto da dare al mondo.»
Adesso anche Annabeth sorrideva. «Per esempio?»
«Per esempio, un tipo bello e simpatico come me.»





[1] Ovviamente, non esiste alcun bar chiamato Addu Rafel nel Rione Sanità e, se esiste, io non ne sono a conoscenza.
[2] Esiste davvero il quartiere Stella, uno dei più antichi della città di cui il Rione Sanità ne è una frazione.
[3] Il Basso, o ‘o Vascio, è un’abitazione caratteristica di Napoli, chiamata così perché posta a piano terra, con la porta d’ingresso che dà sulla strada. Semmai doveste passeggiare per le stradine di Napoli, soffermatevi davanti uno di questi Bassi e potrete sentire l’odore di detersivi e cibo provenire da lì.
[4] Letteralmente: il ragazzo del bar, nonché il ragazzo addetto alle consegne del caffè.
[5] Mentre il diminutivo di Perseus a New York può essere Percy, a Napoli non avrebbe molto senso. Generalmente si tende a tagliare l’ultima sillaba del nome lasciando l’accento sull’ultima vocale, quindi Perseus a Napoli diventa Perse'.
[6] Letteralmente: “come sta tua madre, Perse’? Hai visto la partita del Napoli ieri, Perse’?"
[7] Letteralmente: andiamo.
[8] Letteralmente: piccola.
[9] Munaciello, o monaciello, è uno spirito dalla natura benefica o dispettosa, a seconda dei casi, la cui leggenda si crede abbia avuto origine nel XIII secolo. Ha questo nome (piccolo monaco letteralmente) perché descritto come persona di bassa statura e spesso deforme abbigliato con un saio. Per maggiori informazioni consiglio la lettura di Leggende Napoletane di Matilde Serao.
[10] Il Cimitero delle Fontanelle si trova proprio nel Rione Sanità. È un’antica necropoli greco-romana, diventata con i secoli un ossario dove venivano deposti i morti delle più grandi tragedie napoletane (tra queste la peste del 1656 e il colera del 1836). Il Cimitero delle Fontanelle, che ora accoglie circa 40.000 resti, è famoso soprattutto per la leggenda delle anime pezzentelle (anime anonime che non hanno avuto una degna sepoltura e che sono rimaste nel purgatorio) che prevedeva l’adozione di una capuzzella (teschio) e porla in una teca per chiedere protezione, il ritorno a casa di un marito da una guerra, la guarigione di un figlio, i numeri del Lotto, qualsiasi cosa. L’anima pezzentella sarebbe poi apparsa nel sogno di chi l’aveva adottata, avrebbe rivelato la sua identità e storia di vita ed esaudito la richiesta fattale.
[11] Letteralmente: infastidire.
[12] Letteralmente: allora, Perse’, ti dai una mossa/ti sbrighi?!
   
 
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