Legame
Fraterno
Il Diogenes
Club è perduto.
Hanno fatto irruzione e l'hanno reso una tomba.
Mycroft stava occupandosi della documentazione in compagnia del suo
solito
bicchiere.
Una preziosa stilografica gemmata avrebbe tracciato la sua firma,
guidata dalla
mano sicura, su un paio di righe tra quei fogli decidendo
così le sorti della
Nazione. Quando si diceva che Mycroft fosse il Governo Britannico non
era una
battuta o una frase ad effetto.
Mycroft Holmes era il ghost writer di un'intera Nazione. Sondava il
terreno,
accoglieva silenziosamente e mai direttamente le idee di chi appariva
su
televisioni e giornali di tutto il mondo, le discuteva rigorosamente
con se
stesso, spostava qualche pedina a seconda delle esigenze e infine
metteva la
propria firma. Una firma che non finiva né sui giornali,
né in televisione. Una
firma anonima, per quanto questo sia un controsenso.
Al Diogenes Club c'è sempre silenzio. È
la regola
fondamentale il silenzio.
Senza il silenzio il Club non ha ragione di esistere.
Al Diogenes Club c'è un rumore infernale. Di vetri rotti e
di persone che
scappano. Di violenza e di paura.
Mycroft aveva appena fatto in tempo a sollevare la testa, attirato dal
frastuono.
Per quanto Sherlock fosse impertinente e senza regole, Mycroft non
pensò
neanche un attimo che potesse trattarsi di lui. E anche John Watson era
fuori
discussione: dopo la prima, imbarazzante, visita al Club aveva compreso
la
condicio sine qua non che regnava in quel luogo.
Il telefono cellulare, alla sua destra, prese a vibrare con insistenza.
Il nome sul display era quello di suo fratello minore.
Sherlock non ha fatto in tempo. Il tempo li ha traditi tutti.
La porta si spalanca. Mycroft non riesce a rispondere.
Uomini in nero. Uomini senza volto. Uomini armati.
Sparano. Un colpo. Due.
Mycroft è a terra.
Gli assassini scappano via, veloci come il vento.
Il vento...
Mycroft Holmes era a terra, sanguinante. Soffriva, nel fisico, come mai
prima
d'ora. Sentiva la pelle prendere fuoco in corrispondenza delle ferite.
Mycroft Holmes pensò di essere molto più vicino
alla morte che alla vita. E,
stranamente, questo gli dispiaceva alquanto.
Il Governo Britannico era a terra. Il cuore della Nazione vacillava.
Mycroft Holmes aveva freddo. Il cellulare insisteva, testardo, in quel
moto
vibrante ed inutile lì sulla scrivania.
Contro ogni logica, Mycroft chiuse gli occhi e, anziché
lottare per raggiungere
il telefono e chiamare aiuto, si rifugiò nel luogo
più sicuro che conoscesse,
una fortezza inespugnabile, una roccaforte inattaccabile.
Corre, Mycroft, all'interno del suo palazzo mentale.
Il dolore è lì insieme a lui, ma non
c'è sangue che macchi i suoi abiti
eleganti. Così va meglio, non gli piacciono le macchie sui
vestiti.
Corre, in cerca. Ma non ricorda più di cosa.
Il palazzo è troppo grande. Ha troppe stanze. Stanze troppo
grandi.
Il tempo è un nemico. Il tempo non lascia scampo. Mycroft lo
rincorre, ma lui
fugge, sospinto da un vento gelido che lo aiuta a scorrere
più in fretta.
Inesorabile.
Mycroft corre. Si è allenato, a casa sua.
Fa freddo. I suoi abiti sono come bagnati, ma non c'è
traccia di liquidi.
Mycroft sa che è sangue, il suo sangue, che lo sta
abbandonando. Per sempre.
Spalanca una porta, ma Sherlock non c'è.
"Sherlock, dove sei?". È disperato. Il tempo lo abbandona.
La vita
lo abbandona.
Mycroft non vuole più correre.
Il palazzo mentale si stringe su di lui. Si accorcia su di lui. Si
rimpicciolisce attorno a lui.
Mycroft galleggia in un'acqua nera più della notte che lo
sta portando via.
«Mycroft!».
Mycroft è al Diogenes Club quando gli arriva
l'invito al matrimonio di John
Watson e Mary Morstan.
Gliel'ha detto a Sherlock di lasciar perdere i legami affettivi.
Gliel'ha
ricordato un mucchio di volte, ma è stato un fallimento.
"Sherlock vuole bene a John. John sta per sposarsi e andrà
via da Baker
Street. Sherlock resterà solo, sentirà la
mancanza di John, farà qualche
sciocchezza e non vorrà il mio aiuto".
Mycroft non vuole stare in quella stanza. Non gli piace quel ricordo e
non è
quello che cercava.
Un lieve rantolo era uscito dalle sue labbra. Le dita erano contratte.
Gli
occhi ostinatamente chiusi.
«No, Mycroft. Non puoi farmi questo. Avanti!».
"Sherlock... Sherlock, dove sei?".
Le pareti del palazzo mentale riecheggiano di quella voce invisibile,
quella
voce tanto familiare e cara a Mycroft. La voce di Sherlock Holmes, suo
fratello
minore.
Quello della vita sregolata. Quello delle notti insonni. Quello della
disintossicazione. Quello che mille volte aveva protetto in segreto.
L'unica persona alla quale Mycroft volesse bene, l'unica per la quale
commetterebbe un reato, un omicidio perfino. L'unica per la quale si
sporcherebbe le mani.
L'unico motivo per cui continuare a correre in quel palazzo in rovina.
Cade a pezzi. Il tempo e il vento lo distruggono al loro passaggio.
Mycroft sta cedendo.
Una luce. Il palazzo mentale svanisce per un attimo.
Sherlock Holmes stava praticando un massaggio cardiaco a suo fratello
Mycroft.
Urlava contro la voce che usciva dal suo cellulare e che gli diceva che
un'ambulanza
era in arrivo. John Watson era appena sopraggiunto e utilizzava le
proprie
qualifiche per sollecitare la voce nel telefono.
Il corpo di Mycroft Holmes reagiva.
John Watson fermava l'emorragia.
Le palpebre di Mycroft avevano tremato, Sherlock le aveva viste.
«Maledizione Mycroft! Torna qui... Ovunque tu sia, quello non
è il tuo posto!».
John Watson non aveva mai visto Sherlock in quello stato.
"Non riesco a trovarti, Sherlock. Perdonami. Non posso
più correre.
Sento freddo, capisci? E ho male dappertutto. Sono più
debole di quanto tu
creda".
Mycroft trova riparo fuori dal suo palazzo. Il giardino è
bellissimo, prato
curato, fontane che sono opere d'arte, il rumore dell'acqua che scorre
e il
sole, caldo sulla pelle.
Il sole. Caldo sulla pelle...
Il sole. La luce. Caldo. Sulla pelle.
Sherlock gli aveva preso il viso tra le mani con un gesto colmo di
disperazione
e determinazione al contempo.
La pelle di Mycroft era più fresca della sua, ma il cuore
batteva ancora e le
sirene dell'ambulanza erano già udibili.
«Mycroft». Era un singhiozzo.
Sherlock Holmes piangeva sotto gli occhi attoniti di John Watson.
Per la prima volta dopo tanto tempo, entrambi gli Holmes apparivano per
ciò che
erano: umani. Emotivi, vulnerabili, esseri umani.
«Mycroft... Mycroft...». Era una nenia.
"Che strano... C'era il sole poco fa ed ora sta piovendo...".
Piove nel giardino del palazzo mentale di Mycroft, ma non è
pioggia davvero.
Sono lacrime.
Mycroft solleva lo sguardo e finalmente trova ciò che
cercava.
Appollaiato su un ramo, con l'aria profondamente triste, Sherlock
Holmes lo
guarda. Le sue labbra si muovono, ma la pioggia battente copre ogni
suono.
Mycroft lo guarda con attenzione per un tempo che non saprebbe
indicare, se
interrogato. Infine capisce che Sherlock lo sta chiamando e di nuovo
annega
nella luce.
Mycroft Holmes sentiva un dolore lancinante.
Qualcuno gli aveva sparato. Qualcuno lo voleva all'altro mondo.
Ma qualcuno di più importante lo voleva in questo mondo.
In lotta contro se stesso, contro la sofferenza, contro la voglia di
lasciarsi
andare, Mycroft aprì gli occhi trovando quelli di suo
fratello.
Era ancora chino su di lui e stava piangendo.
«Sherlock... Ti ho trovato». Un sorriso colmo di
infinita pace sulle labbra.
L'ambulanza era arrivata.
Mycroft era vivo.
Il vento avrebbe dovuto aspettare.
N.d.A.
Ho
immaginato che, dal momento che sia Sherlock che Magnussen dispongono
di un
palazzo mentale, anche Mycroft ne abbia uno.
Chiedendomi
come impostare il viaggio nel palazzo mentale di Mycroft, ho deciso
di appellarmi alla 3x03 e di compiere questa traslazione in un momento
drammatico per il protagonista. Il fatto che Mycroft compaia spesso nel
palazzo
mentale di Sherlock e lo sconvolgimento negli occhi di Mycroft quando
Sherlock
uccide Magnussen mi hanno indotta a riflettere su quanto profondo sia
il legame
tra i due fratelli. Questa continua repulsione per ogni tipo di
emozione e di
sentimento nei confronti delle persone ci indica in verità
che sia il minore
che il maggiore degli Holmes sono coinvolti emotivamente in qualcosa.
È
Magnussen a dimostrarcelo. Perciò ho pensato che se una
persona doveva far
capolino nel palazzo mentale di Mycroft, questa doveva senz'altro
essere
Sherlock. Uno Sherlock terrorizzato all'idea di perdere suo fratello.
Spero
di non essere uscita troppo dai personaggi.
Come
sempre grazie di aver letto ed eventualmente recensito.