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Autore: Clarance    15/03/2015    2 recensioni
In un AU -alternative universe- il Dottore è riuscito a sopravvivere ed a salvare lui e il Maestro dall'avvento di Rassilon. I due uomini viaggiano insieme sul TARDIS e con loro, si aggrega la figlia del Dottore, Jenny -padre e figlia si sono finalmente riuniti.
La vita sul TARDIS è ormai movimentata, ma il Dottore si lascia trasportare dai pensieri e dalla musica, nei pochi momenti durante i quali si trova da solo...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Jenny, Master - Simm, Rose Tyler
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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{Solitude; or Requiem for a Rose.}
 

Le sue mani si muovevano delicatamente sui tasti del pianoforte che troneggiava davanti a lui. Ogni nota era come una lettera, e le sue carezze andavano a comporre testi incomprensibili da una mente al di fuori della propria. Forse, comprensibili solo dalla persona ai quali essi erano dedicati. Ma lei era troppo distante, perché i suoi dolci sussurri la raggiungessero.
Quando gli capitava di ritrovarsi da solo, cosa ormai rara, all’interno del suo TARDIS, non riusciva a bloccare il flusso dei propri pensieri. Questi coprivano i silenzi e lui, voleva coprire loro. E quindi, suonava e componeva. Era difficile che sembrasse così calmo, in altre situazioni. Eppure, se qualcuno gli avesse chiesto come si sentiva in quei momenti, tutto avrebbe risposto fuorché ‘tranquillo’.
La musica bruciava nelle proprie membra, creandosi e distruggendosi autonomamente: una nuova scala veniva suonata, spazzando via il solfeggio precedente e così, a seguire. E benché le note appassissero alle proprie orecchie, sembrava che gli rimanessero incise nella carne. Così come la destinataria di ogni suo pensiero, in quei momenti di placidi silenzi.
A lei sarebbe piaciuto... anche Martha probabilmente avrebbe apprezzato. Donna invece gli avrebbe chiesto di smetterla con quella lagna atroce.
E la musica venne interrotta dal suo riso divertito, mentre nel comporre, si immaginava la scena.
Diceva sempre che era lui a lasciare indietro gli altri. Invece, spesso gli sembrava il contrario. Forse,semplicemente, non si trovavano più sulla stessa linea... lui era semplicemente scivolato via dai segmenti della loro vita umana e fragile, per ricadere su quella linea all’apparenza interminabile della propria, parallela a quella di tutti e allo stesso tempo, carezzata in ogni punto dagli altri. Adesso a riscaldarlo erano i sorrisi di Jenny ed il suo essere così nuova alla vita, con il suo desiderio di imparare ogni cosa, e il proprio costringersi alla pazienza ,per accontentarla. Voleva darle il meglio di sé stesso,sempre. Così che, quando anche lei sarebbe svanita da sé, sarebbe stata in grado di essere quel che lui aveva saputo fin dal principio.. bellissima.
Chiuse gli occhi, e la propria malinconica melodia si tramutò lentamente in un waltzer.
E con lei, anche il suo ‘miglior nemico’ come lui aveva sempre amato definirsi. Gli ultimi tre della loro specie, nell’ultimo TARDIS, occupato a fluttuare nello spazio tempo, ovunque ed in ogni istante... mentre gli umani che amava, amava quasi come se un po’ fosse umano anche lui, continuavano le loro vite all’interno dei propri tempi e nei loro limitati spazi.
Stonò, concentrandosi sul concetto di ‘spazio limitato’, definendolo anche come irraggiungibile e intangibile, persino per lui. Ma quante volte, avrebbe desiderato farlo.. desiderato rompere ogni ponte.. anche solo per rivederla ancora. Anche se fra le braccia di un’altra versione di sé. Oh, cosa non avrebbe dato... e il pensiero di raggiungerla si tramutò in tonalità basse e cupe, disegnate dalle proprie dita.
Quante volte era andato a sbirciare nel suo passato..? Aveva perso il conto. Lì, nascosto ed invisibile. Lì, come il fantasma che era convinto di essere. Di certo, il fantasma più attaccato alla vita che si fosse mai visto. Forse, molto più attaccato alla vita di molti altri che di vite ne avevano una sola.
E in quel velo in apparenza silenzioso, aveva sbirciato nelle pagine della sua vita.. l’aveva vista crescere, l’aveva vista sorridere, innamorarsi addirittura. Mickey l’idiota. Era stato così fortunato. Più di quanto non potesse immaginare. E c’erano stati dei momenti in cui s’era sentito quasi.. geloso. Ma lei gli sarebbe sempre appartenuta.. un po’. In modo diverso rispetto a chiunque altro. La donna per la quale era morto e nato più di una volta.
E la canzone stava finalmente giungendo al termine, quando alle proprie orecchie risuonò la dolce melodia delle sue risate. Musica come quella non ne aveva mai sentita. Eppure, era costretto ad andare, senza poter udirne l’ultima strofa. Quello sarebbe stato concesso ad un’altra versione di lui.
Il Signore del Tempo, poteva finire solo la sua canzone.
Sua, e di colei che era solo un ricordo lontano,per quanto vivido.
Riaprì gli occhi suonando l’ultima nota, poi guardò il piano. Sembrava che vi mancasse qualcosa, e la sensazione che questa ‘assenza’ gli provocava lo disturbó particolarmente. Come la schietta consapevolezza, di non poter riempire quel vuoto.
Prese il foglio bianco che aveva sistemato sul leggio,per poi tirare lentamente una penna nera fuori dal taschino della giacca e guardare tristemente la carta. Anche quello, era eccessivamente vuoto... e quel candore, quasi gli faceva male agli occhi. Se lo poggiò sulle ginocchia, poi scrisse rapidamente in cima:

“Solitude.”

Ma ancora la carta non era abbastanza intrinsa di parole, come invece la propria mente lo era di ricordi e di musica. Quella musica che lo aveva fatto innamorare...
E dunque, aggiunse:

“or Requiem for a Rose.”

trasformando il punto precedente, in un punto e virgola. Improvvisamente, almeno quell' azione, gli sembrò completa e poté sorridere, prima di rimettere la carta al proprio posto.

Più sereno si rimise in piedi, tornando a mettere la penna nel taschino, accanto al cacciavite sonico. Si stiracchiò rapido, poi, dando le spalle al pianoforte abbandonò la stanza, costringendosi dal non guardarlo nuovamente.

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Di ritorno da una spedizione ricognitiva sulla stella epsilon Eridani –aveva sentito ci fossero stati problemi con “grandi orsi dai denti aguzzi”, ed ovviamente non aveva potuto che seguire il proprio istinto ed andare a controllare- era andato a verificare che il Maestro non si fosse mosso da dove lo aveva lasciato e che non avesse toccato troppo la console del TARDIS. Jenny sembrava essersi divertita ed entrambi erano ancora vivi, come tutta la popolazione della stella. Era stata decisamente una giornata proficua.. ed ora, tutto quel che doveva fare, era riuscire a combattere con i demoni che gli impedivano di chiudere occhio ogni sera.

Aveva deciso di dedicarsi alla sua musa, ed alla sua musica, anche quella notte.. era forse arrivato il tempo di trascrivere quel che aveva elaborato pochi giorni prima. E così, dopo essersi tolto il cappotto ed averlo riposto nella plancia, vicino l’uscita del TARDIS, era tornato in uno dei suoi tanti nascondigli all’interno della nave.

Entrando nella stanza, si fermò anche solo prima di fare un passo. Nulla era cambiato lì: non un singolo oggetto era stato spostato e persino il foglio sul quale aveva scritto, era esattamente nella posizione nel quale lui l’aveva morbidamente adagiato.. nulla di diverso,dunque,eccetto per una cosa.
A colmare quella voragine che aveva riscontrato, c’era qualcosa. Una rosa rossa, delicatamente poggiata sui tasti. Sembrava fosse stata colta da poco... che uno dei due fosse entrato nella sua serra per coglierne una? Ne dubitava. Anzi. Era sicuro che non lo avrebbero mai f
atto.
E allora,chi..?
Lentamente, si avvicinò al piano al centro della grande camera, trascinando un po’ il passo, quasi avesse paura di andare troppo vicino a quei petali scarlatti. Come se, anche solo guardarli li avrebbe fatti sparire.
Ed invece, più avanzava più essi diventavano veri e concreti.. gli ultimi passi, furono rapide falcate, infine, e lui sollevò con estrema delicatezza il fiore una volta che lo ebbe a portata di mano. Lo rigirò lentamente fra le proprie dita, maneggiandolo con più accuratezz
a e morbidezza di quella con il quale aveva suonato. Come se quel fiore, fosse la proiezione corporea delle sue più segrete fantasie. Come se quel fiore, fosse la sua Rose. E se lo portò alle labbra, per sfiorarlo con esse, prima di portarselo al petto.

Quei due cuori pieni di cicatrici battevano ancora solo per lei. E così sarebbe sempre stato.

< < Grazie.. > >

Sussurrò, socchiudendo gli occhi e riferendosi a chiunque gli avesse fatto quel prezioso regalo. Che fosse stato il TARDIS o un altro fantasma, poco gli interessava. Era tuttavia certo di una cosa,mentre si rimetteva seduto davanti al piano.

Si sarebbe dedicato una dolce ninna nanna.
E quella notte, lo sapeva, non avrebbe avuto incubi.


  
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