Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: FairyCleo    15/03/2015    2 recensioni
"Lo aveva visto giocare con suo figlio, lo aveva sentito ridere con i suoi amici di sempre, ma nei suoi occhi aveva letto un dolore profondo e un senso di mancanza che solo lui sembrava in grado di comprendere. Per tutti gli altri non c’era niente di diverso o di strano in quella serata trascorsa alla Capsule Corporation. Gli amici di una vita avevano continuato a fare ciò che avevano sempre fatto senza capire, o peggio ancora fingendo di non capire che Trunks avrebbe voluto trovarsi altrove. E questo, non era un pensiero che stava toccando solo lui".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Un po' tutti, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte finale
 
Erano in pericolo. I loro figli, sangue del loro sangue, carne della loro carne, erano in pericolo, vittime di uno scherzo crudele architettato da chi era nell’aspetto così simile a coloro che avrebbero dato la vita pur di proteggerli.
Non avevano potuto fare niente se non ascoltare una storia apparentemente senza senso, una storia fatta di scienza, di disumanità e di progetti frutto di un insieme di menti malate che non avevano esitato ad interpretare il ruolo di Dio, un Dio incapace di controllare l’essere che aveva creato rimettendoci la sua stessa vita. Non avevano osato fiatare, cercando di prendere tutto il tempo necessario per assimilare anni di solitudine, di ricerca sfrenata di una completezza irraggiungibile, inarrivabile, per poi arrivare ad ascoltare la conclusione di una storia che sembrava si fosse svolta in dieci anni e non in poche, pochissime ore.
Era assurdo. Era tutto talmente assurdo che non poteva non essere vero considerando i loro standard. Avevano affrontato alieni, invasioni di ogni tipo, robot, cyborg… Perché non credere a loro? Perché non credere che dalle cellule degli unici saiyan purosangue scampati alla distruzione del loro pianeta natale fossero stati creati degli esseri fuori dal comune che non desideravano altro se non sentirsi finalmente integri?
Chichi non aveva retto. Lo shock era stato talmente forte da averla fatta piombare in uno stato catatonico apparentemente impenetrabile, una condizione di dolore così inaspettata e forte da impedirle di reagire ad una situazione che aspettava di essere in qualche modo risolta. Non aveva neanche pianto e non aveva perso i sensi come era solita fare. Si era semplicemente accasciata su una sedia, le braccia abbandonate in grembo e lo sguardo perso nel vuoto, simile ad un manichino addobbato per la vetrina di un negozio. Era così da molti, troppi minuti, ormai, e neanche la presenza di Gohan era riuscita in qualche modo a risollevarla. Il giovane mezzosangue aveva cercato per tutto il tempo di rincuorarla, accarezzandole teneramente i capelli, baciandola sulla fronte, stringendole le mani e sussurrandole parole di conforto, ma niente di tutto ciò era stato utile. Suo marito era stato corrotto da un essere malvagio e il suo secondo figlio, il piccolino di casa, era stato costretto con l’inganno a seguire chi somigliava tanto a quel genitore che non aveva mai conosciuto ma che aveva amato sinceramente sin dal primo istante. Come, come avrebbero potuto biasimarla per quella reazione? Come avrebbero potuto accusarla di essere fragile? Lei, che si era messa sulle spalle una famiglia intera. Lei, che aveva cresciuto due figli da sola, facendo loro da madre e da padre senza perdere mai il sorriso, come poteva non essere capita?
Si erano riuniti tutti lì, al completo, attenti a non perdere di vista quei giganteschi cloni di Radish e Nappa, incapaci di accettare quanto accaduto e desiderosi di porvi rimedio con ogni mezzo. Quale vile creatura poteva rapire dei bambini? Quale, se non uno sporco saiyan o chi discendeva da lui e si spacciava per una sua ‘evoluzione’?
Il clima che regnava in quella stanza era soffocante. C’era pura elettricità nell’aria, e chiunque tra i presenti aveva i nervi a fior di pelle e la mente impegnata nel tentativo di trovare il modo più adatto per fermare questo nuovo, spietato nemico.
Bulma si era accostata alla finestra, continuando a fissare un punto impreciso all’orizzonte. Era perfettamente lucida e non aveva perso neanche una sola parola dei vari ragionamenti che si stavano affrontando lì, accanto a lei. L’idea di fondo era una: agire. I guerrieri che tante volte avevano rischiato le loro vite per proteggere la Terra non avevano alcun dubbio, ormai. Il nemico andava fermato. Peccato solo che non avessero la più pallida idea di cosa effettivamente volessero queste creature, comprese coloro che avevano deciso di avvertirli del pericolo.
Era proprio questa la cosa che preoccupava di più la turchina. Due esseri di potenza paragonabile a quella di chi volevano fermare avevano chiesto l’aiuto di chi tecnicamente non avrebbe dovuto essere neanche loro paragonabile. E perché, poi, avrebbero dovuto fermare i propri fratelli, sangue del loro stesso sangue? Che fosse un trabocchetto? Che fosse un modo per farli cadere in una trappola crudele che avrebbe condotto l’intera umanità ad un destino infame? Ma perché tramite loro, poi? Perché pensavano che avrebbero interferito con i loro piani? Erano queste le domande che continuavano a tormentare la terrestre. Perché quei due esseri se ne stavano lì, fermi, in attesa di una loro mossa, invece di agire in prima persona se pensavano che i propri fratelli fossero due pericolosi criminali?
Riusciva a vedere il loro riflesso sul vetro della finestra da cui non osava staccarsi. Quali segreti non gli avevano rivelato Nappa e Radish? Cosa volevano da loro?
Eppure, qualcosa continuava a dirle che poteva fidarsi, che doveva fidarsi, che loro sapevano come porre rimedio a quella faccenda, che potevano restituire a lei e a Chichi non solo Trunks e Goten, ma anche Goku e sì, anche Vegeta.
Doveva solo capire come fare per mettere a tacere quella sua parte così tremendamente razionale e fidarsi di chi poteva leggergli nel pensiero. C’erano le vite di chi amava in ballo, e non poteva permettersi di temporeggiare ancora.
“Rivoglio mio figlio” – aveva detto all’improvviso con voce pacata ma sicura, girandosi verso le creature senza alcuna paura visibile – “Rivoglio Trunks e lo voglio con me subito. Non mi importa se per salvarlo dovrò fare carte false o mettere a repentaglio la mia vita. Ditemi cosa devo fare e vi garantisco che non esiterò neanche un istante. Ma giurate su ciò che avete di più caro che non si tratta di uno scherzo. Sono madre, e non vi permetterò di giocare con i sentimenti che provo per mio figlio”.
Se un istante prima era stato un caos di voci a fare da padrone, adesso era toccato al silenzio, un silenzio talmente pesante da aver atterrito tutto e tutti.
Gli occhi di Bulma dardeggiavano furenti, illuminati da un fuoco che poteva ardere solo in una madre ferita e preoccupata.
“Non siamo venuti qui per mentire o per prenderci gioco di voi. Noi non siamo creature malvagie”.
“Strano…” – era stato Yamcha ad interrompere Radish – “Avremmo detto il contrario”.
“Essere nati dalle cellule di chi ha cercato di farvi del male in passato non significa essere come loro. Non siamo qui per farvi del male. Fosse stata nostra intenzione, non sareste più qui”.
Nappa era stato severo, impassibile, quasi irritato dall’osservazione di cui era stato vittima. Comprendeva le perplessità di quelle persone, ma non le condivideva. Loro non erano i Nappa e Radish che avevano conosciuto, perché non dargli una possibilità?
“Ho sentito dire che ambasciator non porta pena, Bulma. Ma qui sembra l’esatto contrario” – aveva proseguito – “Siamo venuti qui con l’animo in frantumi. E’ dei nostri fratelli che si parla. Di loro e di ciò che hanno fatto. Anzi, di ciò che Kaharot ha fatto. Lui non è come noi. Per quanto ci ferisca ammetterlo, c’è qualcosa di diverso in lui… Qualcosa di sbagliato che non ha niente a che vedere con noi e con i nostri scopi”.
“E’ proprio questo il punto, creatura… Quali sono i vostri scopi?”.
Entrambi si erano girati verso Junior, ancora appoggiato al muro, con le braccia conserte e il capo leggermente abbassato. Aveva dato voce ad una paura comune, al pensiero che era stato formulato da tutti all’unisono. Cosa volevano quegli esseri?
“Le vostre parole ci offendono, così come i vostri pensieri”.
“I nostri pensieri? Non dovreste intrufolarvi nella mente altrui. Questa è la prima cosa che ci impedisce di fidarci di voi” – era stato Tensing ad ammonire Nappa.
“Questo non possiamo negarlo… E’ una nostra peculiarità, un modo per comunicare e capire cosa e chi abbiamo attorno. Non è nostra intenzione invadere la vostra privacy. Così come non è nostra intenzione mentirvi. Si tratta dei vostri cari. E dei nostri. E’ proprio per questo che siamo qui. Alpha è nostro fratello, nostro padre, nostra madre. Gli dobbiamo tutto, e lo amiamo incondizionatamente perché lui ha amato noi sin dal primo istante. Ma Kaharot… Kaharot lo ha stregato. E’ come se non fosse più lui, e questo è accaduto in un tempo così esiguo da non sembrare neanche possibile. E’ meno di un giorno che si trova tra di noi, eppure, è già stato in grado di incrinare il nostro equilibrio. Cosa potrebbe fare con un solo minuto in più? E’ per questo che vi stiamo chiedendo di aiutarci”.
“Ma cosa dovremmo fare?” – era intervenuto Crilin – “Siamo sinceri: non abbiamo le forze necessarie per fronteggiarli. Non potremmo fronteggiare neppure voi che, senza offesa, non siete riusciti a diventare completi. Come potremmo fermare quei due? Forse, solo Gohan potrebbe fare qualcosa, ma non ne abbiamo neanche la certezza. Per questo continuo a non capire cosa dovremmo fare… Mi sento impotente in questo momento. E vi dirò che mi sono davvero stancato di sentirmi ancora così”.
“Io sono pronto a fare qualsiasi cosa serva” – aveva detto Gohan – “Ma lui… Loro… Ecco, sì, sono papà e Vegeta… Non so se sono in grado di attaccarli guardandoli negli occhi”.
Era stato sincero. Aveva messo a nudo le proprie paure e insicurezze. E come biasimare un ragazzo che si rifiutava di combattere contro il padre e contro chi lo aveva aiutato a sconfiggere Cell?
“E’ questo il punto… Noi non siamo qui per chiedervi di combattere” – aveva detto Radish – “Ma per chiedervi un altro genere di aiuto”.
“E sia” – era stata la voce di Chichi a seguire quel lungo, interminabile momento di silenzio. La mora era uscita dal suo stato catatonico, mostrando una determinazione che finalmente aveva ritrovato – “Farò qualsiasi cosa per riavere chi amo. Qualsiasi. Ora, smettetela di girarci attorno e diteci cosa dobbiamo fare” – si era rimessa in piedi, dritta, impettita, piena di energie – “E cercate di sbrigarvi. Rivoglio indietro mio marito e mio figlio. Rivoglio indietro la mia famiglia”.

 
*
 
Si erano separati. Se di una cosa era capace Alpha, era prendersi i suoi spazi all’occorrenza, prendendosi il tempo necessario per riflettere ed elaborare tutto quello che gli capitava attorno. Era irrequieto. Il suo animo tormentato continuava a farlo patire per quella situazione di smarrimento più totale e, per quanto il cuore continuasse a ripetergli che si stava sbagliando perché quello che aveva davanti era suo fratello, la ragione era ormai sul punto di vincere quella battaglia combattuta ad armi impari e che aveva visto prevalere colei che solitamente finiva col soccombere.
Si era ritirato nella stanza attigua a quella in cui si trovavano Kaharot e i due piccoli mezzosangue, osservando tramite gli occhi del piccolo Goten quelle scene che i suoi, di occhi, si erano rifiutati di vedere in prima persona. Era stravolto. Stravolto e tremendamente amareggiato. Il bambino saiyan continuava a guardare quell’essere che somigliava tanto a suo padre con un misto tra timore e ammirazione, con una curiosità che solo a chi aveva quell’età poteva appartenere. I suoi pensieri erano confusi. “Che cosa vuole questo Kaharot?” Questo continuava a chiedersi Goten. “Sarà cattivo? Ha fatto del male al mio papà e a Vegeta? Ma come può avergli fatto del male se gli somiglia così tanto?”. Erano queste le domande che frullavano in testa a quell’esserino così piccolo. Domande che meritavano una risposta che a stenti sarebbe arrivata presto, e difficilmente sarebbe stata veritiera, purtroppo.
Loro non erano crudeli. O almeno, questo era quello che Alpha continuava a ripetersi. Non avevano mai fatto del male a nessuno se non per pura necessità, per difendere se stessi, e non era mai stata loro intenzione assoggettare popolazioni e conquistare pianeti indifesi, nonostante fossero in possesso dei mezzi per poterlo fare. Loro non erano saiyan. Non nel vero senso della parola. Possedevano i loro geni, certo, ma erano di gran lunga migliori di loro. Geneticamente modificati, lui e i suoi fratelli avevano sempre anelato alla completezza, e questo solo per raggiungere la pace che gli era stata negata sin dal principio. Loro non erano nati, non avevano avuto questo privilegio. Non c’erano stati un padre e una madre che li avevano desiderati, ma solo un gruppo di esseri desiderosi di sfruttare le loro capacità per un tornaconto personale, anzi, di sfruttare le sue, di capacità, volendo essere precisi. Aveva sperimentato in età troppo tenera cosa volesse dire vivere nella più totale solitudine, sentirsi privato di qualsiasi genere di calore umano, ed era stato solo per quella ragione se aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per avere attorno a sé quella famiglia che gli era stata negata e quel conforto che aveva tanto desiderato. Alcuni avrebbero potuto considerarlo un gesto di puro egoismo, una crudeltà verso altri esseri che non avrebbero avuto un passato, proprio come lui, ma che insieme avrebbero potuto ottenere un futuro roseo e una prospettiva di umanità che il Professore aveva provato a negargli. Lui era diverso dagli altri, e aveva bisogno di qualcuno come lui per essere capito e consolato. Ma perché, adesso, l’unico che poteva realmente essere identico a lui gli si stava rivoltando contro? Non voleva togliere niente a Nappa e a Radish. I suoi fratelli adorati lo avevano reso felice quando tutto ormai sembrava perduto, ma l’impossibilità per loro di essere completi aveva eretto un muro invalicabile.  Kaharot avrebbe dovuto capirlo, Kaharot avrebbe dovuto sapere cosa significava tutto quello per lui perché erano nella stessa situazione. Invece, in poche, pochissime ore, non aveva fatto niente di tutto ciò. In poche, pochissime ore, Kaharot era riuscito a fargli fare ciò che voleva sfoderando un’arte di persuasione davvero ammirevole. E la cosa peggiore era che Alpha se n’era accorto perfettamente, eppure, aveva fatto di tutto per nasconderlo.
Nappa e Radish non avevano mai posto barriere fra lui e i loro pensieri. Mai. L’ultimo arrivato, invece, colui che aveva desiderato avere accanto più di ogni altro, lo aveva fatto. Lo aveva bloccato, lo aveva escluso dal suo mondo, un mondo che non sarebbe mai riuscito a comprendere. Che cosa stava facendo Kaharot? Quali erano le sue intenzioni? Avrebbe dato davvero qualsiasi cosa pur di capirlo.

 
*
 
Kaharot sorrideva. Nella sua breve, brevissima esistenza, non aveva mai pensato di avere dei figli, ma doveva ammettere che quel bambino dalla capigliatura lilla gli piaceva davvero tanto. La forza spirituale che emanava era straordinaria, così come il suo aspetto fisico. Avrebbe potuto ottenere tutto quello che voleva con la giusta istruzione, e lui aveva tutte le buone intenzioni di educarlo a dovere.
Non si poteva dire lo stesso del figlio di Goku. Quel mocciosetto dagli occhi neri come la notte continuava a fissarlo con quell’aria da tonto che lo stava tanto irritando, e nessuno poteva capire quanto avrebbe voluto levargliela di dosso. Purtroppo per lui – o forse per fortuna – quel bambino gli serviva, e non poteva proprio permettersi di lasciarselo scivolare come sabbia tra le dita.
Per questa ragione continuava a portare pazienza… Presto, avrebbe ottenuto tutto quello che desiderava.
“Lo sai che sei davvero un bel bambino?” – gli aveva detto, sorridente – “E sono certo che tu sia anche estremamente forte e coraggioso. Non è forse così?”.
Goten non aveva risposto. Era arrossito e aveva leggermente chinato il capo, sentendosi in soggezione. L’essere che aveva davanti non solo somigliava tremendamente al suo papà, ma emanava un’aura così potente che avrebbe fatto impallidire chiunque, anche il suo fratellone adorato. Che cos’era lui al suo cospetto? Niente… Anche se era un super saiyan, lui non era niente e lo aveva capito sin dal primo istante. Non aveva paura di lui, ma lo rispettava. Ancora non aveva capito se questo Kaharot fosse cattivo o no, ma cosa poteva fare arrivato a quel punto? Aveva accettato di seguirlo di sua volontà… Non poteva fare la figura del codardo e scappare via lasciando indietro il suo migliore amico. Gohan non gli aveva insegnato a comportarsi in quel modo, e lui non lo avrebbe deluso per nessuna ragione al mondo, neanche se questo poteva significare rischiare la sua vita.
“Hai delle domande da farmi, piccolo?” – continuava a mostrarsi gentile, sperando così di ottenere presto quanto sperato. La pazienza poteva anche essere la virtù dei forti, ma cominciava davvero ad averne abbastanza di quella farsa.
“Domande?” – Goten aveva cominciato a balbettare, incerto sul da farsi. Certo che aveva delle domande, e ne aveva anche tante, ma non sapeva bene da dove cominciare.
“Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, piccolo, lo sai bene… Io sono tuo amico. E sono qui per soddisfare ogni tua curiosità” – in realtà era venuto sulla Terra per soddisfare le sue, di curiosità, non di certo quelle di un moccioso… Ma doveva aspettare.
“Ecco… Io… Io ho delle domande… E’ solo che…”.
“E’ solo che?”.
“Sai dove si trovano Vegeta e il mio papà?”.
Domanda più che ovvia, in effetti. Era normale che quella creaturina volesse sapere che fine avesse fatto il genitore a cui tanto somigliava ma che non aveva mai avuto l’opportunità di ammirare e idolatrare come potrebbe fare solo un bambino che ha per padre un eroe del calibro di Son Goku. Già, perché, volente o nolente, quell’idiota di cui aveva preso il corpo era colui che aveva sconfitto il grande Freezer in persona e che aveva contribuito a spazzare via il mostro che rispondeva al nome di Cell. Bè, non che lui e i suoi fratelli differissero di molto da lui, in effetti. Di certo, erano più scaltri e decisamente più belli d’aspetto, ma esattamente come Cell, erano frutto di un esperimento di laboratorio. Erano senza una reale identità, senza una famiglia a cui tornare la sera, ma queste erano quisquiglie che interessavano il suo adorabile fratellino nonché creatore. Lui aveva tutt’altri piani, piani che dovevano  essere messi in atto in tempi quanto mai brevi.
Qualcosa – qualcosa a caso – gli suggeriva che presto il resto della sua famiglia sarebbe arrivato con tanto di rinforzi al seguito. Neanche fosse stato un incallito criminale, poi! Ma Radish aveva visto qualcosa che Alpha si rifiutava di vedere, e Nappa, da bravo cagnolino, lo aveva seguito senza esitazioni. E questo era stato esattamente come lui aveva previsto. Del resto, era completo, e questo lo portava tre passi avanti rispetto a chi invece non era stato altrettanto fortunato. A questo punto, qualcuno avrebbe potuto obiettare che con Alpha le cose non sarebbero state così semplici, ma non era esattamente così. Lui era perfettamente in grado di tenergli testa e di, come dire, indirizzarlo verso la retta via. Suo fratello gli serviva. Era l’unico che gli sarebbe realmente servito, e poco gli importava dei mezzucci che avrebbe dovuto usare per ottenere ciò che aveva tanto bramato. E pensare che era vivo solo da poche ore! Cosa avrebbe potuto architettare in futuro? Lui stesso stentava a capirlo.
“Piccolino, loro stanno bene. E’ vero che ti fidi di me, no? Guardami, io somiglio davvero tanto al tuo papà, e mio fratello somiglia tanto a Vegeta. Siamo lontani parenti, mettiamola così. E siamo venuti qui per fare ciò che andava fatto da tempo”.
“Che vuoi dire?” – gli aveva chiesto il bambino, improvvisamente allarmato da quella bizzarra affermazione.
“Vieni qui…” – e, senza dargli il tempo di reagire o rifiutarsi, lo aveva preso in braccio, facendolo sedere sulle sue ginocchia.
Era a disagio. Goten era davvero a disagio. Non era mai stato in braccio ad un adulto all’infuori di suo nonno o di sua madre, e non sapeva come comportarsi. Doveva guardarlo in viso o era da maleducati? Poteva puntare gli occhi nei suoi o no? Non amava quella situazione… Non l’amava per niente, ma non poteva rifuggirle. Non poteva farlo né per sé né per il suo migliore amico. Trunks era ancora addormentato, vittima di quella strana magia che gli aveva causato quel sonno così profondo. Spettava a lui, adesso, fare la parte del fratello maggiore e prendere in mano le redini del gioco, per quanto gli fosse possibile. Del resto, era solo un bambino, e solo Dende poteva sapere quanto avrebbe voluto lì il suo amato fratellone.
“Senti piccolo, tu ce l’hai un pochino con me, non è vero? Mi stai accusando di qualcosa, no? Ah! Non mentire… Lo leggo nei tuoi occhi sai? E non solo in quelli…” – e gli aveva fatto una carezza sul capo, baciandolo un istante dopo. Affondare il viso in quei capelli neri e soffici era una novità per lui, anche se era perfettamente a conoscenza della sensazione che ciò gli avrebbe dato. Era bizzarro vivere le cose da loro punto di vista: essere a conoscenza di tutto lo scibile e di ogni sensazione anche se non era mai stata da loro vissuta. Ma non sarebbe stata di certo qualche moina fatta ad un bambino a fargli cambiare idea… Aveva calcolato ogni cosa, e sapeva perfettamente che qualcuno lo stava osservando anche se non era lì presente.
“Io… Ecco… E’ solo che…” – aveva cominciato a balbettare il piccolo.
“Ascoltami, Goten… Ascoltami. Io non ho cattive intenzioni, e voglio che questo ti sia chiaro. Sono buono, e lo è anche il mio amico Alpha, anche se ha quello sguardo così duro in viso. Non devi badare a lui. E’ solo che non trascorriamo molto tempo insieme alle altre persone, e spesso non sappiamo bene come ci si comporta. Ma non siamo persone crudeli… Non affatto. Anzi! Siamo qui per aiutarvi!”.
“Aiutarci?”.
“Certo! Ascolta, non è forse il tuo più grande desiderio quello di riavere qui con te il tuo papà? Ma qui per davvero, non solo per un giorno”.
Era rimasto a bocca aperta. Come faceva lui a sapere che avrebbe voluto avere accanto suo padre? Finché fosse stato un suo familiare a chiederglielo avrebbe avuto senso, ma quello era un perfetto sconosciuto! Che ne sapeva lui dei suoi desideri e della sua vita?
“Oh, su! Non fare questa faccia piccino… Te l’ho detto: io so tante cose. Molte cose in più di quanto tu possa immaginare”.
Stava sorridendo amabilmente. Quella creatura che tanto somigliava al suo papà stava sorridendo, e non gli sembrava affatto cattiva, anzi! Voleva aiutarlo a riavere indietro il suo papà! Poteva fidarsi no? Doveva fidarsi. Perché quello era il suo più grande desiderio, e lui voleva esaudirlo ad ogni costo.
“E come puoi ridarmi il mio papà?”.
Il suo sorriso aveva cambiato foggia, ma aveva cercato di fare di tutto perché non si vedesse. Non voleva di certo che potesse accorgersi della sua aria trionfale.
“E’ molto semplice piccolo.. Ho solo bisogno che tu faccia una cosa per me”.

 
*
 
Lui non era più lui. O meglio, era ancora se stesso, ma nel suo cuore si stava agitando un sentimento di cui non conosceva neppure il nome. Lui che sapeva tutto, lui che conosceva ogni cosa, non riusciva più a riconoscersi nel riflesso che vedeva allo specchio.
Di una sola cosa era certo: che fosse tutto sbagliato. Qualsiasi cosa stesse accadendo, era sbagliata, immorale, ingiusta. Non erano venuti lì per rapire di bambini, non erano venuti lì per portare scompiglio. Ma allora, perché erano venuti lì? Era proprio quello il problema: lui non sapeva perché fosse accaduto tutto quello che aveva vissuto in prima persona e allo stesso tempo passivamente, senza reagire.
Stava iniziando ad odiare se stesso, per quello che aveva fatto e per quello che avrebbe fatto a breve. Non era più lucido, di questo se n’era reso conto perfettamente. E non era più lui a causa di quel sentimento così profondo e forte che lo legava a chi evidentemente non era come sperava che fosse.
Non riusciva a non pensarci. No, proprio non riusciva a farlo. Kaharot stava diventando una vera ossessione, ma non nel modo in cui aveva sperato. E, proprio per quella circostanza, non aveva potuto non sorridere: era incredibile che avesse in comune con Vegeta anche quell’aspetto così bizzarro. Sembrava che ci fosse una sorta di maledizione che aleggiava su di loro in maniera quasi minacciosa. Perché sì, la sua mente stava prevalendo sul cuore: era sempre più certo che il suo adorato fratello si sarebbe presto rivelato la più tremenda minaccia che avesse anche solo potuto pensare di fronteggiare e, la cosa peggiore, era che era stato creato proprio dalle sue mani, dalle mani di chi voleva solo qualcuno con cui condividere pensieri e sensazioni, qualcuno di totalmente simile a lui.
Cos’era andato storto, forse non lo avrebbe mai capito. Alla fine dei conti, probabilmente non era così infallibile come aveva creduto. Anzi, ormai ne aveva l’autentica certezza. E questo lo stava ferendo più di qualsiasi pugno nello stomaco o letale onda energetica. Aveva rovinato ogni cosa senza rendersene conto, e la cosa peggiore era che non sapeva come porvi rimedio. Di certo, continuare a rimanere davanti allo specchio, inerme, a rimuginare sempre sullo stesso argomento, non gli avrebbe permesso di risolvere quell’assurda soluzione.
E, per la prima volta in vita sua, Alpha si era sentito stanco. Lui, una creatura perfetta, spettacolare, avvertiva una spossatezza che non credeva possibile, spossatezza provocata dal dispiacere di vedere un sogno infrangersi in quel modo. Non c’erano più bugie da raccontarsi, non c’era più niente. Niente.
“Sei certo che non ci sia più niente, fratello?”.
Era entrato nella sua mente senza che potesse evitarlo. Aveva abbassato la guardia come un novellino, ma nascondersi dietro ad un muro a cosa avrebbe portato? Forse, era arrivato il momento di affrontare quella situazione una volta per tutte. Ma perché, allora, stava esitando?
“E’ fastidioso, sai?” – si era lamentato, pacato.
“Ti da davvero così fastidio che mi intrufoli nei tuoi pensieri? Pensa, ero certo che tra di noi non ci fossero segreti…”.
“Ah no?” – aveva detto, girandosi finalmente verso di lui. Dargli le spalle a cosa avrebbe portato, del resto? Ad altre menzogne – “Pensavo lo stesso fino a qualche ora fa, sai, fratello?”.
Kaharot aveva assunto un’aria ferita e costernata, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
“Non hai più fiducia in me” – aveva decretato, serio – “Non ti fidi proprio di me!”.
“Dammi un buon motivo per farlo. Ti ho cercato fino ai confini della galassia. Era da tutta la vita che ti aspettavo, e sai bene quanto grande sia stata la gioia dell’averti al mio fianco, finalmente, completo in ogni tua parte, l’unico che potesse comprendermi veramente.  Eppure… Tu non sei chi pensavo che fossi. Non hai niente di quello che credevo. E questi tuoi occhi… I tuoi occhi sono… Sono…” – non riusciva a dirlo. Era più forte di lui. Ancora non riusciva ad accettarlo nonostante fosse chiaro come il sole, nonostante avesse capito fino in fondo quello che era avvenuto.
“Come sono i miei occhi, fratello?” – aveva incalzato lui che ostentava dolore.
“Sono malvagi”.
Lo aveva detto senza pensare. Quella frase era uscita dalle sue labbra senza che potesse evitarlo, senza che potesse metterle un freno, come se qualcosa in lui volesse costringerlo a liberarsi. Ma, allora, perché non si sentiva meglio? Perché si sentiva ancora più ferito e triste di prima?
Tra loro era piombato il più totale, assordante silenzio. Continuavano a fissarsi dritto negli occhi, immobili come due statue di sale. Il silenzio aveva invaso anche le loro menti. Non c’erano scudi che impedivano all’uno di leggere tre i pensieri dell’altro, no. Sembrava che persino i loro cervelli avessero smesso di agire, mostrandosi sordi a quella che aveva tutte le carte in regola per diventare una situazione potenzialmente letale.
Nessuno dei due si era reso conto di quanto tempo fosse passato. Per loro, poteva anche essersi fermato, potevano anche essere trascorsi trent’anni, non avrebbe fatto differenza, non avrebbe fatto alcuna differenza.
A quel punto, poteva accadere qualsiasi cosa. L’unica speranza per la Terra e per la galassia intera, era che Alpha avesse il coraggio di fare ciò che andava fatto.
*

“Io non sono malvagio” – si era difeso, ferito – “Sono solo… Me stesso… Davvero mi chiedo come tu non sia in grado di capirlo, fratello”.
“Non osare…”  - non doveva farlo. Non doveva neanche provare a dare la colpa a lui che aveva provato a capirlo e donargli la sua fiducia.
“Non si tratta di osare. Si tratta di constatare i fatti. Io sono così. E non vedo dove sia il problema”.
Era ovvio che non lo vedesse. Ed era questo che gli stava facendo così male. Perché non si rendeva conto di quanto lo stesse ferendo? Perché non si era reso conto che provava affetto e affinità per l’idea che si era fatto di lui e non per chi era realmente e che questo lo aveva deluso più di ogni altra cosa? Perché?
“Fratello… Mio adorato fratello…” – si era avvicinato a lui con piccoli passi, posandogli le grandi mani sulle spalle. Alpha non si era ritirato a quel tocco, né si era irrigidito. Non aveva paura di lui, affatto. Ma cos’altro avrebbe potuto dire, a quel punto? Non c’erano più spiegazioni per giustificare il suo comportamento. Era esattamente come la ragione gli stava urlando ormai da tempo: Kaharot aveva in sé qualcosa di profondamente malvagio – “Credimi, io non ti farei mai del male. Mai. Sei tu che stai ferendo me… La delusione che leggo sul tuo volto mi fa più male di ogni altra cosa. Io sono qui per te, lo sai bene, non dire di no. Tu mi hai creato proprio perché sapevi che sarei stato uguale a te, non puoi negarlo. E’ per questo che non capisco dove sia il problema, fratello. Io e te siamo identici. Ma, se devo essere sincero, sembra che tu ti stia rifiutando di accettarlo”.
Lo stava nuovamente accusando, e di un qualcosa che non aveva alcun senso. Lui non era uguale a Kaharot. Non aveva assolutamente niente in comune con lui, se non l’essere stato in grado di ricongiungersi a chi gli aveva permesso di diventare completo. Lui non era malvagio. Lui non aveva mai avuto quella luce negli occhi, ne era certo. Tranne quando, quando…
“Ora hai capito cosa intendo, fratello? Tu sai benissimo che siamo uguali e sai anche a cosa mi riferisco. Avevi il mio stesso sguardo in quel giorno lontano… Avevi questo stesso sguardo che ora definisci malvagio… Con la differenza che io non ho torto neanche un capello a nessuno, fratello… Mentre tu…”.
“Non puoi permetterti di fare un simile paragone” – aveva detto, ferito – “Non puoi. La situazione era diversa, molto diversa. Lui mi stava usando… Lui voleva istruirmi perché gli consegnassi in mano l’universo intero. Ero solo una macchina per quell’individuo. Io non sono così”.
“E mi dispiace doverti dire che sei di nuovo in errore” – e gli aveva preso il mento tra le dita, inclinando lievemente il capo – “Tu sei una macchina, del resto. Tutti noi lo siamo. Siamo creature. Non siamo stati generati dal ventre di una madre e dall’amore di un padre. Siamo il frutto di un esperimento di laboratorio con una finalità ben precisa, e tu stai cercando di snaturarci”.
“Cosa?” – era rimasto senza parole. Come poteva dirgli una cosa del genere? Come?
“E’ così… E’ esattamente così, ed è proprio per questo che sei tanto arrabbiato e deluso. Ma da te stesso, non da me. Perché hai avuto bisogno del mio aiuto per arrivare a questa conclusione. Io e te siamo identici, fratello, e vogliamo le stesse cose. Vivere insieme… Ma vivere esattamente come meritiamo, dove meritiamo, e con tutti gli agi che meritiamo. Siamo superiori a tutto ciò che ci circonda, lo sai meglio di me… Perché fingere che non sia così, Alpha?”.
Era confuso… Confuso e agitato, incapace di pensare razionalmente. Non poteva avere ragione. Non poteva essere che le cose fossero come Kaharot le aveva descritte. Lui non era malvagio. Lui non era nato per governare, per essere superiore alle altre creature. Lui voleva solo una famiglia, voleva l’affetto che gli era stato negato, non il timore di chi aveva assoggettato con la forza e l’astuzia. No, lui non era in quel modo. E non lo sarebbe stato né ora né mai.
“Hai sottratto un padre ad un figlio perché l’hai voluto. E dimmi, non è forse questo sintomo di malvagità? E poi, sei venuto sulla Terra perché l’hai voluto, fratello. E tu sai esattamente perché io sono venuto qui”.
“Non-non è vero!” – aveva provato a reagire, sempre più agitato – “Mi hai impedito di capire, di vedere, non puoi accusarmi di niente!”.
“E non lo sto facendo, fratello. Non lo sto facendo. Ma sai meglio di me che questa è in parte una menzogna. Perché tu hai capito sin da subito chi io fossi… L’hai capito qui” – e gli aveva toccato la tempia con l’indice sinistro – “E poi qui” – e gli aveva messo una mano sul cuore – “Così come io ho capito te”.
Stava scuotendo il capo da un lato all’altro, come per scacciare via quella sensazione di angoscia e di oppressione che lo stavano travolgendo. No, lui non poteva reagire in quel modo. Non poteva. Lui era superiore a quelle sensazioni, era superiore a tutto quello!
“E’ proprio questo quello che intendo, fratello! E’ qui che volevo portarti!” – aveva esclamato Kaharot, stringendolo più forte – “Tu sei superiore. Noi siamo superiori!”.
“Non come intendi tu!”.
“Sì, invece, e non capisco perché tanta ostinazione!” – lo aveva mollato di scatto, dandogli le spalle.
Alpha lo guardava stravolto, quasi senza fiato. Come potevano essere cambiate le cose in così poco tempo? Come potevano aver preso quella piega? Voleva andare via da lì, doveva uscire per respirare, subito, o sarebbe impazzito.
“No, Alpha. Non ti permetterò di farlo. Non ti permetterò di perderti” – aveva detto, serio – “Sono qui per te. Sei stato tu a volermi al tuo fianco. Ed ora mi fa male sapere che vuoi allontanarti in questo modo. Ma dimmi, Alpha. Dimmi perché vuoi farlo. Continueresti a vivere nella solitudine e circondato dalla menzogna”.
Menzogna… Lui stava mentendo a se stesso, era questo che gli stava dicendo? Lo stava facendo e avrebbe continuato a farlo? No, lui non poteva… Lui non era così.
“Guardami!” – gli aveva di nuovo preso il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi – “Io sono qui per te, e ti apprezzo esattamente per quello che sei. Io ti amo come nessuno dei nostri fratelli potrà mai fare. Mi hai creato perché potessi vivere al tuo fianco per sempre. Perché ora mi stai impedendo di darti tutto ciò che ti meriti? Tu ed io potremmo essere i più grandi, insieme, i più grandi e i più felici…”.
“Felici?”.
“Sì, felici. E sai che ho ragione. Ora, ti prego… Leggi nella mia mente se non credi alle mie parole e convinciti che ho ragione. Che farò tutto per te e…” – ma non aveva finito la frase, e non perché Alpha lo avesse zittito. No. Kaharot non aveva terminato il suo discorso perché era stato investito in pieno da un’onda di energia di proporzioni gigantesche, di un’onda che lo aveva fatto stramazzare al suolo in preda a lancinanti dolori.
“FRATELLO!” – aveva urlato Alpha, gettandosi su di lui – “Kaharot! Guardami, guardami!”.
Era piombato nel caos. Il silenzio aveva lasciato posto al rumore del suo cuore in tumulto, ed era stato così assordante da non avergli permesso di capire chi o cosa avesse colpito quella creatura che tanto lo aveva mandato in confusione. Lui, dotato di iper-sensi, non capiva chi lo stesse circondando in quell’istante. E non avrebbe voluto farlo neanche in seguito, se solo avesse saputo qual era la verità. Se solo avesse saputo che era stato Nappa colui che aveva colpito a morte il suo adorato fratello.
“Che cosa-cosa hai fatto? COSA HAI FATTO?” – non riusciva a credere ai suoi occhi.
“Fra-fratello…” – aveva balbettato Kaharot, ferito – “Hai… Hai visto… Hai capito cosa intendevo? Loro-loro vogliono allontanarci… Loro-sono-gelosi di noi… E vogliono… Vogliono separarmi da te”.
“Alpha! Non devi ascoltarlo! Lui non è come vuole farti credere! Ti sta manipolando!” – aveva provato Nappa, serio – Lui vuole usarti… Vuole… Vuole…”.
Nappa ci aveva provato. Aveva provato davvero a far capire al fratello cosa stesse capitando, ma non aveva fatto in tempo. E non c’era riuscito perché era accaduto l’imprevedibile, perché una reazione c’era stata, ma non era stata quella sperata, perché gli occhi di Alpha erano diventati neri come la notte, bordati del più acceso e minaccioso tra i rossi, e perché Alpha lo aveva privato della vita con un’unica, possente, letale onda di energia.

 
*
 
La scena era stata drammatica, imprevedibile, quasi oscena.
Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che quanto visto sarebbe accaduto, eppure, alla fine, era successo, eppure, alla fine, Kaharot aveva ottenuto esattamente quello che aveva desiderato, alla fine, Kaharot aveva fatto ad Alpha qualcosa che nessuno avrebbe mai osato neppure pensare. Era stato peggio di quello che gli avevano fatto i suoi creatori. Sì, molto peggio, perché lo aveva tratto in inganno, spingendolo a ribellarsi contro gli unici che avevano provato un sentimento reale nei suoi confronti, spingendolo a scagliarsi contro i soli che avevano accettato di stargli accanto nonostante soffrissero per la continua ricerca di un qualcosa che evidentemente non poteva esistere. Ed eccolo lì. Kaharot, apparentemente ferito ma realmente trionfante, che assisteva fremente alla disfatta di una persona che aveva chiamato fratello. Eccolo lì, Kaharot, che gioiva per la morte e la distruzione che aveva appena portato Alpha.

 
*
 
“Dannazione!” – aveva urlato, incapace di contenersi. Era sfinito, esausto, stremato. Le membra tremavano imperterrite, ma forse questo era avvenuto più per la rabbia che per la fatica che lo stava consumando ad una velocità inaspettata. Aveva fallito. Aveva tentato in ogni modo, era stato ad un passo dal farcela, ma aveva fallito, non era riuscito nel suo intento. Purtroppo, Vegeta non era riuscito ad influenzare i pensieri di Alpha fino al punto di prendere il sopravvento – “C’ero così vicino, maledizione! Così vicino!”.
Sarebbe stato impossibile tentare di descrivere il suo viso, la sua espressione. Era deluso da se stesso, dalla sua incapacità di avere la meglio, di poter risolvere quella situazione assurda in cui si era ritrovato in compagnia di quell’idiota che aveva cercato di aiutare.
Ed era stato proprio l’idiota in questione ad assistere alla scena, corrucciando la fronte al punto di provocarsi dolore. Goku non riusciva a crederci. C’era riuscito, c’era riuscito per davvero, e invece, proprio sul più bello, aveva visto Vegeta arrendersi all’evidenza dei fatti: Alpha era forte, era molto più forte di quanto avevano creduto, e questo, non avrebbe portato ad altro se non alla loro rovina. Erano disperati. Non si trattava  più solo di recuperare i propri corpi e le proprie identità, a quel punto, no. Si trattava di dover proteggere i propri cari, e non avevano la più pallida idea di come poterlo fare. Perché il destino aveva deciso di accanirsi contro di loro? Perché aveva deciso di farli fallire ad un passo dalla vittoria?
Il loro piano era semplice, ed era proprio per questa ragione che avrebbe dovuto funzionare. Goku era stato il primo a metterlo in pratica, anche se non era stata esattamente la passeggiata che aveva sperato: aveva raccolto ogni briciolo della sua energia e della sua concentrazione fino al punto di creare una sottile crepa in quella barriera che il suo clone malvagio aveva interposto tra loro, carpendo qualche spiraglio dei brandelli di luce che ne venivano fuori. Era stato allora che aveva davvero compreso quanto Kaharot fosse malefico e desideroso di portare a termine un piano dalle fosche tinte che prevedeva il più atroce tra i tradimenti. Non era riuscito a vedere bene perché il suo nemico era furbo e potente, ma quel poco che gli si era presentato davanti lo aveva fatto ribollire di rabbia, soprattutto dopo aver compreso che una parte del suo piano prevedeva lo sfruttamento dell’ingenuità e della buona fede di un bambino desideroso di rivedere chi amava a prescindere da tutto, e non di un bambino qualunque, ma del suo piccolo Goten. Ma non aveva potuto fare altro. L’iniziale tentativo di potere in qualche modo prendere il controllo su quella mente così potente era diventato un totale fallimento, perché Kaharot non permetteva a nessuno di entrare e di insinuare dubbi. A nessuno, nemmeno ad Alpha.
Era stato a quel punto che Vegeta era intervenuto. Paradossalmente, il saiyan dal cuore duro aveva scoperto di avere un clone particolarmente legato al concetto di famiglia e di affetto, disposto ad aprire il cuore e la mente a chiunque avesse voluto dargli un consiglio prezioso. Aveva fatto fatica in un primo momento. Perché il suo clone fosse magnanimo e quello di Goku fosse un autentico mostro continuava a rimanere un mistero, ma era inutile arrabbiarsi per quello. Toccava a lui insinuare il dubbio nella mente di Alpha, e non poteva perdere tempo.
La situazione aveva avuto una lunga serie di alti e bassi, voltando a suo favore nell’istante in cui Kaharot aveva preso i bambini. Il dolore e la rabbia per aver visto suo figlio, Trunks, cadere senza sensi tra le braccia di quell’abominio dai capelli rossi aveva portato il suo clone ‘perfezionato’ a provare le stesse sensazioni di disagio e a porsi tutte le domande che lo stavano conducendo sulla via che Vegeta gli stava indicando. E c’era riuscito. C’era riuscito per davvero a portarlo sul punto di reagire. Alpha era forte, era molto più forte di Radish, Nappa e Kaharot messi insieme. Lo aveva capito nell’istante in cui aveva condotto in un istante la navicella con tutti loro dentro nei pressi della Terra senza nessuno sforzo. In quel momento, aveva compreso quanto immenso fosse il suo potere, e che era solo per quella ragione se Kaharot, meschino e miserabile, aveva deciso di persuaderlo con lusinghe e false promesse dell’amore di una famiglia vera. Kaharot era furbo, scaltro, diabolico, incapace di provare sentimenti reali, ma la sua dote più spiccata era la capacità di manipolare le persone sfruttando i loro punti deboli. Lo aveva fatto con i bambini e lo aveva fatto con Alpha. Solo con Radish e Nappa la sua assurda storia non aveva fatto presa: loro erano diversi, loro non avevano quella connessione con lui che tanto aveva desiderato Alpha, e quello che all’inizio poteva sembrare un problema si era alla fine rivelato un bene.
Peccato solo che, alla fine dei conti, le cose le si fossero risolte come nessuno avrebbe voluto: nessuno all’infuori di Kharot, ovviamente.
Era sfinito. Vegeta era sfinito e tremendamente arrabbiato con se stesso perché aveva fallito. Se non ci fosse stato lì davanti al lui l’idiota avrebbe pianto pur di sfogarsi. Ma Goku lo aveva visto in lacrime già una volta, e aveva giurato a se stesso che questo non sarebbe più accaduto per nessuna ragione al mondo.
“Vegeta… Vegeta… Non importa… Davvero…” – aveva provato Goku dopo aver visto la vena sulla tempia del saiyan più anziano ingrossarsi fino all’inverosimile. Era nel panico perché capiva l’impotenza provata dall’amico, ma non poteva permettergli di perdere la calma. La situazione era disperata, qualsiasi aiuto sarebbe stato una manna dal cielo, ma dubitava fortemente che abbandonarsi all’ira potesse servire a qualcosa. O forse si sbagliava, chi poteva dirlo? Ormai era così confuso da non rendersi più nemmeno conto dei suoi stessi pensieri.
Stava proprio cercando di fare ordine in essi quando, all’improvviso, aveva sentito Vegeta urlare e contorcersi fino al punto di smuovere la massa informe in cui erano entrambi imprigionati. Il viso del suo amico era deformato dal dolore e decine e decine di gocce di sudore si erano condensate  sul mento appuntito.
Il panico si era impossessato di Goku ancora più di prima: cosa poteva fare per aiutare il suo amico? Cosa? E poi, all’improvviso, era accaduta l’ultima cosa che Goku avrebbe voluto. All’improvviso, accompagnato da un urlo disumano, Vegeta era sparito, e il saiyan cresciuto sulla Terra si era ritrovato solo e disperato nella più totale oscurità.

 
*
 
Gli eventi si erano susseguiti ad una velocità immensa. La morte di Nappa era stata rapida e apparentemente indolore per lui, ma dilaniante per chi era rimasto ed era piombato nella più totale disperazione: Radish non era più Radish. Distrutto da quello che gli si era presentato davanti, per lo scempio di aver dovuto assistere impotente alla morte del suo adorato fratello, della sua unica ragione di vita, era prima crollato in preda ai più struggenti singhiozzi, per poi esplodere nella più distruttiva delle furie. Con gli occhi colmi di lacrime aveva provato a reagire, attaccando quel mostro che aveva rovinato ogni cosa, privandolo degli affetti più grandi e della sua stessa ragione di vita. E Radish lo sapeva, sapeva che ogni tentativo sarebbe stato vano, ma non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato il suo destino perché lo aveva scelto egli stesso, perché era stato egli stesso a scegliere di andare incontro alla morte. E sapeva che essa sarebbe sopravvenuta per mano di chi gli aveva dato la vita, ma questo non lo aveva fatto esitare. Anzi, questo lo aveva spronato ad andare ancora più avanti, perché sperava con tutto se stesso e con il briciolo di lucidità che gli era rimasto che il suo creatore e fratello avrebbe ritrovato se stesso dopo essersi reso conto di quello che aveva fatto: perché sperava che Alpha avrebbe capito chi era dopo averlo privato della vita.
Così, aveva provato ad attaccare Kaharot solo per sfidare Alpha ad agire, e quest’ultimo non si era fatto attendere. Con un unico, solo, micidiale scatto, aveva trafitto il torace di Radish, trapassando pelle, muscoli ed ossa fino a raggiungere il suo cuore e strapparlo via come se fosse stato un capello bianco, o un fiore color del fuoco da recidere per il proprio piacere.
Era morto così, Radish, con il petto sfondato dall’unico che mai avrebbe creduto potesse fargli del male. Ma, allo stesso tempo, era morto felice. Magari, avrebbe potuto ricongiungersi a Nappa. E qualcosa gli suggeriva che a quel punto, forse, avrebbero raggiunto entrambi la completezza tanto sperata.

*
 
Era stato meraviglioso, lo spettacolo più avvincente che avesse mai visto nella sua breve ma intensa vita. Tutto era andato secondo i piani, anzi: era stato anche meglio.  Aveva finalmente ottenuto tutto quello per cui aveva lottato così duramente. Aveva finalmente liberato tutto il potenziale di suo fratello Alpha.
Era straordinario: la sua potenza era smisurata e visibile ad occhio nudo. Attorno alla sua figura si agitava un’aura rossastra che impediva a chiunque di avvicinarlo, pegno il morire come una falena al calore di una lampadina.
Avrebbe potuto essere pericoloso anche per lui? Certo che sì, ma sapeva come penderlo. Ormai aveva capito perfettamente come guidare suo fratello lungo la retta via, e anche se non poteva prenderlo per mano letteralmente, poteva farlo mentalmente. E nessuno, nessuno avrebbe mai potuto fermarlo.
“Fratello… Fratello mio… Sei… Unico. Unico e straordinario” – aveva detto, alzandosi in piedi e avanzando verso di lui di qualche passo. Ovviamente, non aveva riportato nessun danno grave e, anche in quel caso, sarebbe stato in grado di rigenerare se stesso in poco tempo.
Era magnifico. Magnifico nella sua potenza, nel suo splendore rossastro, e lui non vedeva l’ora di metterlo alla prova. Certo, non c’erano creature alla sua portata – neppure lui sarebbe stato in grado di fermarlo usando la forza fisica, a ben vedere – ma questo non era importante. Presto, avrebbero assoggettato ogni singolo pianeta di ogni singola galassia esistente. Sì, presto. Subito aver ottenuto un’altra cosa che desiderava sin dall’inizio e che condivideva con quel folle di un principe che decenni addietro aveva osato sfidare il grande Freezer in persona.
“Che ne dici, fratellino?” – gli aveva detto, osservando la sua impassibilità – “Andiamo o no a prendere la nostra immortalità?”.
Era quello il piano. Lo era stato dall’inizio. Ci aveva provato su Namecc, quando aveva provato a convincerli ad esprimere anche l’ultimo desiderio, e ci sarebbe riuscito in quell’occasione, esprimendo al drago terrestre il desiderio della vita eterna. E sapeva anche come farlo senza scomodarsi a cercare le sfere. Lo avrebbe lasciato fare al piccolo saiyan dai capelli neri che giaceva addormentato nella stanza accanto. Del resto, i desideri erano tre, no? E lui doveva usarne solo uno. A quel punto, il piccolo avrebbe potuto chiedere di avere il suo caro papino indietro. Almeno, questo era quello che credeva il moccioso. Non sapeva che non avrebbe mai avuto il tempo di esprimere il suo desiderio perché sarebbe morto qualche attimo prima. Bisognava pur sacrificare qualcuno sull’altare del potere, no? E quel ragazzino era decisamente inutile.
Sì, avrebbe ottenuto ogni cosa. Potere, rispetto, ricchezza, immortalità, tutto! Tutto! Bastava solo convincere il ragazzino. Bastava solo…
“LASCIATELI IMMEDIATAMENTE!”.
Era accaduto tutto ancor prima che potesse rendersene conto: troppo impegnato a fantasticare sul suo immediato, roseo futuro, non si era accorto che qualcuno si era intrufolato nella stanza dove si trovavano i bambini, cercando di soffiarglieli da sotto il naso.
“ALPHA! FERMALI!”.
Aveva obbedito come un cane agli ordini del proprio padrone. Ridotto ad uno stato bestiale, ad una sorta di condizione di Ozaru relativa solo al comportamento e non all’aspetto, affine al super saiyan leggendario, Alpha non aveva esitato, cercando di attaccare e di fermare chi aveva osato posare le mani sui bambini: aveva cercato di fermare Crilin e Junior.
Non vedeva più niente. Alpha non vedeva davanti a sé delle persone, dei bambini, no. Era come se vedesse solo i loro contorni animati di rosso, come se vedesse attraverso i raggi infrarossi. Non esistevano visi, caratteristiche peculiari, no. Erano solo delle figure indistinte, e quella voce che amava e di cui aveva bisogno come l’ossigeno gli aveva detto che dovevano essere fermate.
Il sacrificio di Radish non era servito: la sua morte non aveva risvegliato Alpha dal suo stato bestiale, e sembrava che niente potesse arrestare la sua carica, la sua ira. E tutto questo era avvenuto per il troppo amore. La distruzione era avvenuta per il troppo amore di un fratello verso chi aveva solo intenzione di usarlo.
“SBRIGATI CRILIN! DOBBIAMO ANDARCENE DA… AAAAH!”.
Ma era stato vano. Ogni loro sforzo era stato inutile, perché Alpha aveva prima colpito Junior sul collo, strappandogli un braccio dalla spalla a mani nude, e poi si era avventato su Crilin, o almeno ci aveva provato. Nonostante la ferita sanguinante e il dolore immenso, Junior aveva attirato su di sé l’attenzione di quello che considerava  un mostro, lanciandogli alle spalle una potentissima onda di energia che era servita solo a smuovere quell’aura rosso fuoco. Distratto da quell’espediente, Alpha non si era accorto della fuga di Crilin che, fortunatamente, era riuscito a portare via il piccolo Goten. Almeno uno di loro era stato portato in salvo.

 
*
 
“CHE SIATE MALEDETTI! TERRESTRI, CHE SIATE MALEDETTI!”.
Era avvenuto tutto talmente in fretta da non avergli permesso di reagire. Avevano perso Goten. Lui aveva perso la sua opportunità di ottenere le sfere del drago senza sforzo. Non voleva usare Trunks. Gli piaceva Trunks, gli piaceva da morire. Appena ottenuta l’immortalità avrebbe clonato lui e sua madre e dopo averli fatti ricongiungere con i loro originali li avrebbe tenuti con sé come moglie e figlio. Lo avrebbe allevato come si conveniva e avrebbe fatto di lui il più grande guerriero di sempre. Il più grande dopo lui e Alpha, ovviamente.
Era furioso. Furioso con quello stupido namecciano, furioso con il terrestre, ma non poteva darlo a vedere. E, soprattutto, non poteva darsi per vinto per così poco. Aveva mille risorse, del resto… Perché non usarle?
“Alpha! Fratello… Non fare del male al nostro amico… Junior, giusto? No… E’ prezioso, ci serve… Abbiamo bisogno delle sfere del drago e ottenere ciò che vogliamo… E lui vuole aiutarci, non è forse così?”.
Junior avrebbe voluto ucciderlo seduta stante. Quella bestia era immonda. Usare dei bambini per raggiungere i propri scopi era da esseri infidi, e lui era il peggiore di tutti. Ancora non riusciva a capacitarsi del racconto di quei due cloni di Nappa e Radish. Quasi quasi gli dispiaceva per loro e per la fine che li aveva attesi, ma non era quello il momento di disperarsi. Doveva cercare di fermare quei due mostri anche se non sapeva bene come fare. E proprio per questo stava maledicendo se stesso e gli altri che, nonostante i mille faticosi allenamenti, avevano riposto tutte le speranze di salvarsi dal nemico in Goku o nei suoi figli.
Quella non era una battaglia che poteva vincere con la forza bruta, no. Neppure Gohan avrebbe potuto fare qualcosa contro quell’Alpha, non in quelle condizioni, ed era stato per quella ragione se lo aveva spedito nella Stanza dello Spirito e del Tempo. Forse, anche tre sole ore potevano fare la differenza.
Ma lui doveva prendere tempo. Non sapeva bene come fare, ma doveva almeno provarci. Non tanto per se stesso, ma per il piccolo Trunks e per l’umanità intera.
“Sei pazzo se credi che possa aiutare due mostri come voi! Morirei piuttosto!”.
“Sapevo che avresti risposto in questo modo, purtroppo… Ma non possiamo ucciderti, anche se Alpha lo farebbe volentieri. Ci servi per le sfere del drago! Non possiamo utilizzare quelle di Namecc per colpa della gentilezza dei miei cari fratellini – senza offesa, Alpha – e non ho tutto questo tempo a mia disposizione, né la voglia di usarlo. Voglio l’immortalità oggi. E l’avrò. Costi quel che costi”.
“Scordatelo” – aveva ribadito Junior, ancora sanguinante – “Non avrai niente da me, niente. E sei un folle se credi che ti permetteremo di usare le sfere. I namecciani sono già stati avvisati e hanno distrutto le loro. Non crederai che non abbiamo fatto lo stesso con le nostre, no?”.
Era rimasto di sasso. Non poteva essere. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare a quel punto! Le sfere non erano state distrutte! Non poteva averlo fatto, erano troppo preziose! La rabbia, una totale, immensa rabbia si stava impossessando di lui. Cuore e mente erano entrati in conflitto, e la sua parte razionale stava perdendo senza possibilità di appello.
“Tu…!”.
“Io niente, clone. Non eri di una razza superiore, tu? Davvero credevi che ti avremmo permesso di trovarle ed usarle? Sei un folle e un illuso! Non avrai mai quello che desideri, mai! AHAHAHAH!”.
“STAI ZITTO! ZITTO!”.
Gli era bastato collegare per un istante la sua mente a quella di Alpha per farlo agire. E lui, veloce come non mai, aveva raggiunto Trunks, sollevandolo per il collo e cominciando a stringere forte, sempre più forte, fino al punto di fargli scricchiolare la colonna vertebrale.
“NO! SMETTILA! RAZZA DI MOSTRO! LASCIALO ANDARE!”.
“Adesso vedremo se è vero ciò che hai detto! Se le sfere sono state distrutte o sono in procinto di esserlo e lui muore non potrai riportarlo in vita! Sei ancora in tempo per fermarlo e per dirmi la verità! Dove sono le sfere!”.
“SONO STATE DISTRUTTE! LASCIA IL BAMBINO! LASCIALO LURIDO VERME!”.
Era vero. Le sue parole erano reali. Lo aveva letto nella mente di Junior, ed era stato chiaro come il sole: le sfere erano state realmente distrutte, e questo significava una cosa, significava che lui non avrebbe mai esaudito il suo desiderio.
“Tu… Tu ora ne creerai di nuove o lui morirà in questo stesso istante”.
“Come se fosse così facile! Non ho il potere di farlo, e il nostro supremo non ha più abbastanza energia per creare delle nuove sfere del drago. Mi dispiace che i tuoi piani siano andati in frantumi. Ora, però, lascia andare Trunks”.
Si era preso un istante per pensarci su, e quell’istante lo aveva portato ad un’unica, sola conclusione.
“Uccidilo”.

 
*
 
Descrivere esattamente la scena sarebbe stato impossibile anche per i presenti. Era accaduto tutto in un attimo, ed era stato talmente straordinario da diventare impossibile da spiegarsi per la mente umana, e anche per quella di chi era praticamente perfetto.
Non sapevano come fosse accaduto, ma sapevano il perché: perché l’amore di un padre è più forte di qualsiasi altra cosa al mondo.
Così, all’improvviso, Vegeta, il vero Vegeta, era riuscito a separarsi dal suo clone, a sfuggire a quella prigionia, venendo al mondo a nuova vita urlando proprio come un bambino appena nato. Aveva sprigionato una potenza straordinaria, facendo tremare ogni singolo centimetro di quella che per anni era stata la casa di chi aveva osato ingannarlo.
Alpha era volato via, spazzato dall’aura di Vegeta come succede ad una foglia la vento, ed era cozzato violentemente contro la parete di fondo, perdendo i sensi. Junior era esterrefatto e Kaharot… Kaharot aveva improvvisamente incominciato a tremare.
“Ve-Vegeta…” – aveva balbettato Junior, incredulo – “Ma… Ma come…”.
“Tsk. Nessuno tocca me o mio figlio” – aveva decretato, glaciale, prima di girarsi verso la causa di tutti i loro mali – “NESSUNOOOOOO!”.
Nonostante fosse paralizzato dalla paura, Kaharot aveva risposto all’attacco, parando i colpi micidiali che gli stava infliggendo il principe dei saiyan. Era furioso. Furioso per essere stato usato e per quello che quelle bestie volevano fare a suo figlio. Non sapeva neanche lui come aveva fatto a reagire a quello stato di totale possessione e sottomissione. Quando Alpha aveva perso la ragione per il dolore di vedere attaccato suo fratello, lui era stato completamente risucchiato dal suo potere, perdendo ogni contatto con Kaharot. Pensava di essere perduto, ormai, ma quando aveva visto Trunks in pericolo, in vero pericolo, aveva ritrovato in sé la forza di reagire, abbattendo la prigione che lo aveva reso inerme e riuscendo a liberarsi dal corpo del suo carceriere, con l’intenzione di farla pagare cara a chi aveva osato tanto, con l’intenzione di uccidere chi aveva reso schiavo lui e suo figlio.
Ma Kaharot era forte, più forte di quanto credeva. La rabbia e la determinazione non gli sarebbero bastate per sconfiggerlo, e questo lo aveva capito immediatamente, e non solo lui. Junior lo osservava, attento, convincendosi ogni istante sempre più che non ce l’avrebbe mai fatta da solo a sconfiggere quel nemico così astuto. Era stato in quel frangente che si era accorto del risveglio di Alpha. Ed era stato in quel frangente che aveva capito cosa fare.
“Lo so. So che puoi sentirmi. So che sei in grado di entrare in contatto telepaticamente con le persone, ed è per questo che ti chiedo di ascoltarmi. Leggi nella mia mente e guarda che cosa è accaduto se non sei in grado di ricordarlo. Guarda cosa ti ha fatto Kaharot! Ti ha portato a sterminare la tua famiglia, e ti ha quasi fatto uccidere Trunks, a cui tu tieni come ad un figlio. Guarda Vegeta, guardalo. Lui è forte e desideroso di salvare chi ama, ma non abbastanza per distruggere quel mostro. Kaharot non è tuo fratello. Aiuta Vegeta a distruggerlo”.
E, con il cuore infranto e le lacrime agli occhi, Alpha aveva affiancato un Vegeta incredulo, inducendolo a capire cosa fare. Un istante dopo, entrambi avevano attaccato Alpha. Un istante dopo, lo avevano atterrato. Un istante dopo, si erano soffermati entrambi a guardarlo.
Il silenzio era piombato in quel luogo, un silenzio surreale. Due nemici così simili e così diversi si erano alleati per fronteggiare un nemico comune. Ma come quella volta il detto era stato veritiero: il nemico del mio nemico è mio amico.
E, il nemico, aveva osato alzare il capo da terra, tremante, terrorizzato alla vista di chi si ergeva su di lui.
“Non puoi… Non puoi farmi del male… Io… Io sono tuo fratello… Io ti amo… Tu lo sai… Lo sai e non puoi… Non puoi permettere che lui vinca, che lui mi faccia questo… Che…” – ma si era bloccato, e lo aveva fatto quando Alpha si era inginocchiato, abbracciandolo forte.
“Mi dispiace…” – aveva detto, tra le lacrime – “Mi dispiace”.
Aveva posto fine alla vita di Kaharot con un bacio sulla fronte, creando un collegamento mentale con lui e spegnendolo, proprio come si fa con un generatore elettrico tramite un interruttore. Non aveva sofferto. Il suo cuore si era fermato all’unisono con il cervello, e questo non aveva causato nessun dolore alla creatura che aveva creato e amato come nessun’altra. Il dolore era rimasto a lui, al contrario. A lui che era rimasto solo per sua stessa mano. Aveva tolto la vita ad ogni singolo membro di quella famiglia che aveva creato, lui li aveva uccisi tutti più o meno consciamente. E lui, era rimasto di nuovo completamente solo. Nessuna lacrima avrebbe potuto restituirgli i suoi affetti o lenire il suo dolore, nessuna. L’unica consolazione era saper di aver fatto la cosa giusta, di aver restituito dei padri ai propri figli e degli amici ai propri cari, anche se mai, mai, sarebbe stato perdonato.
“KAHAROT! Volevo dire: Goku!” – aveva esclamato Vegeta, vedendo Goku separarsi dal corpo del suo clone. Ce l’avevano fatta, erano ritornati entrambi sulla Terra, vivi, illesi, e più desiderosi che mai di giustizia.
“Urca! Ce l’hai fatta! Non so come tu abbia fatto ma ce l’hai fatta! Mi hai fatto morire di paura razza di testone! Poi mi spiegherai come… Ehi! Ma cosa ci fa lui ancora in vita?” – aveva chiesto, alzandosi in piedi con fare minaccioso, indicando Alpha.
“Tsk…” – Vegeta aveva bisbigliato appena, recandosi presso Junior e prendendo suo figlio tra le braccia – “Lui non è affar mio. Non è affare di nessuno”.
“Cosa?”.
“Come sarebbe?.
Avevano chiesto prima Goku e poi Junior.
Alpha era rimasto in ginocchio, a capo chino, sconvolto dal dolore, col corpo di suo fratello fra le braccia.
“Lui è già morto. Più morto di quei tre diavoli che vedete là per terra. Non ha più niente per cui valga la pena di vivere o di lottare. Ed io non avrò pietà di lui, uccidendolo. Ammesso sempre che possa farlo. Pagherà in questo modo… E’ questa la sua pena: l’eterna solitudine. Io non ho più tempo da perdere con lui. Non ho più tempo da perdere con nessuno” – ed era uscito di scena con suo figlio in braccio, lasciandosi alle spalle i suoi amici, Alpha e quella stranissima avventura.

 
Epilogo
 
Si erano ricongiunti ai propri cari, ripulendo tutte le tracce del passaggio di quelle quattro creature. La reazione di tutti alla decisione di Vegeta era stata la medesima, ma nessuno si era permesso obiettare. Qualcosa suggeriva loro che Alpha non avrebbe osato mai più farsi vedere, e le cose andavano bene così. I bambini avevano avuto indietro i propri padri, e la Terra era di nuovo al sicuro, almeno per ora.
E Bulma, Bulma aveva cominciato a guardare con occhi diversi quell’uomo così burbero che le aveva dato quel figlio meraviglioso, perché aveva finalmente capito. Era tardi per tornare indietro, ma non lo era per perdonare. Era stato per quello che lo aveva abbracciato con forza come non aveva mai fatto prima di allora in vita sua, sciogliendosi in lacrime sulla sua spalla: per perdonarlo e per farsi perdonare di non aver capito e di non essergli stata accanto quanto più ne aveva bisogno.
Chichi aveva di nuovo Goku al suo fianco, e questo l’aveva portata ad avere attacchi di gioia seguiti da autentiche crisi isteriche. Di certo, avrebbe costretto il saiyan a trovarsi una lavoro. Come avrebbe potuto pagare i conti del supermercato data la capienza degli stomaci di figli e marito?
Alpha e i suoi fratelli sembravano già un brutto ricordo e tutto era tornato alla normalità, almeno fino all’arrivo di un nuovo nemico. Perché si sa, un nemico, alla fine, arriva sempre.
Ma non sarebbe stato Alpha a tornare ad infastidirli, no. Perché Alpha aveva impostato il pilota automatico dopo aver lavato, vestito e adagiato i suoi fratelli sui loro letti e aver fatto lo stesso per sé. Perché Alpha stava per affrontare l’ultimo viaggio, e forse avrebbe dormito per la prima volta nella sua vita. Dopotutto, anche per lui era arrivato il tempo di riposare. Forse, il calore del Sole gli avrebbe scaldato il cuore. Forse, alla fine, il gelo che lo aveva invaso si sarebbe finalmente estinto.
Fine
 
_______________________________________________________________________________________________________
*Cleo si nasconde per evitare di prendere pesci in faccia*.
Famiglia, amici, cari lettori… Perdonatemi. Davvero, non ho parole per scusarmi dei mesi e mesi di attesa che sono intercorsi tra questo capitolo e quello passato, ma credetemi che quando si è prossimi ad iniziare a scrivere la tesi di laurea ci si ritrova sommersi da mille impegni – burocratici e non – che non ti permettono di respirare. E’ proprio per questo che ho deciso di concludere la storia in un unico, lungo capitolo, perché da oggi in poi il tempo che potrò dedicarvi sarà sempre di meno ed io non lascio le cose in sospeso, mai. Impiegherò più tempo degli altri per svolgerle, ma non lascio nulla a metà. Non mi sembra giusto nei confronti di chi, come voi, è stato come me dall’inizio, e nei confronti della mia fantasia e della mia voglia di scrivere sul mio anime preferito.
Dovevo dare una fine degna – spero - a questa fanfiction che spero vi abbia fatto un po’ di compagnia. E dovevo ringraziare voi, che siete con me sin dall’inizio con amore e dedizione.
Come sempre, vi auguro ogni bene possibile. Mi mancherete. E tanto. Non è un addio, questo, sia chiaro. E’ solo un arrivederci…Un arrivederci a quando avrò un po’ di tempo in più da dedicarvi.
E, chi lo sa, magari, di tanto in tanto, potrei sempre fare qualche piccola incursione.
Per ora, vi saluto, ribadendo ancora una volta che mi mancherete da morire.
Un bacio ENORME, famiglia.
Grazie di tutto!
Sempre vostra,
FairyCleo
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: FairyCleo