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Autore: Zury Watson    19/03/2015    3 recensioni
La festa più in della città. Nel club più rinomato di sempre. Un'amica molto mondana e una missione da compiere.
Un incontro surreale vissuto in prima persona.
Un racconto senza senso, nato da un sogno realmente accaduto.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Richard Armitage
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Very Important People

«Mi hai davvero portata a questa festa fichissima! Non riesco ancora a crederci!».
L'entusiasmo di Christine non stona con l'eccentricità dell'evento, né la sua voce è più stridula di quella di molte altre qui.
Il club più esclusivo della città. La festa più megagalattica dell'anno.
Così dicono.
Rivolgo un sorriso alla mia amica e le dico di non preoccuparsi se sparisco di tanto in tanto.
Non ho indossato questo abito dal colore ridicolo per il solo gusto di prendermi una sbronza o concedermi a qualcuno in chissà quale angolo di questo posto delirante. E' la mia prova d'esame e mi serve concentrazione.
Armata di un registratore microscopico mantengo la calma mentre facciamo la fila.
Sembra interminabile, ma alla fine arriviamo agli scimmioni. Sono esseri inquietanti.
Mostro il pass e il cordone si apre dandoci libero accesso.
La mia missione ha inizio.
«OMMIODDIO!!! Ma come hai avuto i pass?! Sei un MITO!!!». Christine non sta più nella pelle. O forse dovrei dire nel vestito: più succinto di così c'è soltanto il bikini. La risposta non le interessa sul serio. Le basta essere esattamente dov'è.
So in partenza che non mi capiterà più un'occasione simile e se tra tutte le persone a disposizione ho scelto di portare con me proprio Christine è perché lei è completamente a suo agio nella mondanità. Reginetta della scuola, vincitrice di diversi concorsi locali, indossatrice per un noto negozio di abbigliamento esclusivo. E' la persona più giusta da portare in questo club. Spero solo che non mandi a monte ogni cosa ubriacandosi. Quando si esalta mi ricorda Nikki di Alfie, quel film con Jude Law. Un disastro.
Io, invece, sono a caccia di un'intervista. Non una vera intervista. Mi basta registrare la mia voce insieme alla sua ed è fatta.

E' il caos qui. Siamo entrate da due ore e qualcuno ha già il coraggio di essere sbronzo.
Ballo quando necessario. Rifiuto categoricamente ogni drink: poi chi ci riporta a casa? Christine è scatenata.
Cerco. Cerco la mia occasione. So che è qui stasera. Ne ho seguito i movimenti per settimane e non può non essere qui adesso.
Tutti sanno che è qui. E' pieno di paparazzi: non può essere un caso.
Le luci mi infastidiscono nel loro roteare impazzito. Mi fanno venire la nausea. Mi distraggono.
Uno spintone di qua, uno di là, in qualche modo mi muovo da un angolo all'altro del club e mi viene in mente la storia della deliranza, quella di Alice In Wonderland di Tim Burton. Non lo so perché.
Ci sono molti ragazzi carini e, forse, se questo non fosse il mio esame mi lascerei andare. Oppure forse no.
Tre ore. Christine è ubriaca, ma non completamente. La conosco bene. Ride come una pazza e si lascia palpare da chi capita. Ogni tanto faccio la mia comparsa e la tiro fuori da una situazione scomoda. Di lui neanche l'ombra. Mi sono convinta di averlo visto un paio di volte, ma mi sono sempre sbagliata.
Senza preavviso si accende una rissa. Prendo Christine per un braccio e la tiro fuori di lì.
Ho fallito. La mia occasione è persa.

Schizziamo tutti via come biglie impazzite. Qualcuno inciampa e cade rovinosamente a terra. Altri svengono per la paura. Qualcuno barcollando riesce ad uscire ma ride pensando che sia un nuovo gioco. Christine appartiene a quest'ultima categoria.
Lascio perdere: è inutile parlarle dal momento che è sbronza. Completamente andata. Solo quando smette di ridere e inizia a sentirsi male mi preoccupo sul serio.
Le chiedo come si sente. Domanda inutile, lo so, ma è tanto per sapere. Ho il dubbio che abbia preso qualche pasticca, così volo con l'auto al primo Pronto Soccorso utile.
Mentre si occupano di lei mi lascio cadere su una di quelle sedie tutte in fila tipiche delle sale d'aspetto. Una desolazione. Mi viene in mente Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug, il film di Peter Jackson.
Al Pronto Soccorso continua ad arrivare gente malconcia. Colpa di quella rissa. L'unica sobria, a parte il personale, sembra che sia io. Che sfiga.
Sto ancora aspettando che qualcuno venga a dirmi qualcosa della mia amica quando decido di alzarmi per non cedere ad una crisi isterica. Mi serve aria fresca. Esco.
Bella riuscita questa festa, mi dico.
«SMAUG!!! Dove sei, maledetto di un drago?!».
Per un attimo penso di essere impazzita o di aver preso sonno e di star sognando. Quale essere umano sano di mente o sobrio si metterebbe a cercare Smaug?
Mi volto e vedo la persona che ho cercato per tutta la sera. Che mi venga un colpo!, mi dico.
«RIDAMMI L'ARKENGEMMA!!!», insiste lui.
Mi dico che non è possibile. Qualcuno si sta divertendo alle mie spalle, non c'è altra spiegazione.
Si accorge di me e mi chiede:
«Hai visto il drago?». Proprio così. "Hai visto il drago?". Come se fosse una cosa normale.
Lo sanno tutti, no?, che i draghi sono messi a custodia delle banche più importanti del mondo. La Svizzera, ad esempio, ne è piena! mi dico.
Sono impazzita, non c'è dubbio.
La mia unica preoccupazione, però, è non scoppiare a ridergli in faccia. Non so se sia ubriaco o cos'altro. Non sembra stare male davvero. Di sicuro è divertente.
«E' fuggito via quando ha sentito che il Re sotto la Montagna stava arrivando», gli rispondo. Devo essere fuori come un balcone. «Mi ha detto dov'è la pietra che cerchi». Ma sì. Chi me li darà più due minuti di libera conversazione con Richard Armitage, mi dico. Certo non posso registrarlo in questo stato. Non sono così stronza da venderlo ai media. Se altri lo faranno, peggio per loro. Io sono diversa da quegli sciacalli.
«Codardo di un drago!», esclama.
Poi mi guarda e comincia a dire cose senza senso con in mezzo parole come "nani", "scassinatore", "oro" e cose così.
Alla fine si siede e resta in silenzio per un po'. Non ce la faccio ad andarmene, né a dirgli qualcosa.
Passano non so quanti minuti così.
«Sono ubriaco, vero?», mi chiede ad un certo punto. Mi guarda e si aspetta che gli risponda.
«Se riesci a rendertene conto forse non lo sei poi così tanto». Abbozzo un sorriso.
Lui ride e in quel momento un'infermiera si affaccia dall'ingresso e mi chiede se sono io l'amica di Christine. Le rispondo di sì e che rientro subito. Consiglio ad Armitage di farsi visitare, tanto per stare sicuri. Lui fa sì con la testa, ma intanto si gode l'aria della notte. Io faccio per allontanarmi e lui mi chiama.
«Ehi!», mi fa, «Devi dirmi dov'è la pietra. Non adesso però. Ho mal di testa». Mi caccia in mano un biglietto e mi saluta.
Torno all'ingresso del Pronto Soccorso, il biglietto nella scollatura del vestito. Mi ripeto che quello che ho vissuto non è vero e che l'aria di quel club doveva essere satura di un qualche allucinogeno.
Mi riprendo Christine e la porto a casa. Sta meglio. Torno a casa mia.
Sono improvvisamente stanca morta. Il mio esame è stato un fallimento. Aspetto l'ondata di depressione. Mi butto sul divano e lì provo a dormire. Qualcosa mi punge all'altezza del seno.
Uno non può neanche addormentarsi in pace, penso. Cerco l'etichetta fastidiosa e trovo un biglietto da visita.
C'è scritto Richard Armitage e un numero di telefono.
Ah, sì, l'Arkengemma, mi dico. Ma non adesso, che ha mal di testa. E mi addormento.



N.d.A.
Chiedo scusa per la demenzialità di questo pezzo. L'ho sognato e non la smettevo più di ridere stamattina, perciò ho voluto condividere quest'assurdità arricchendola con un breve contesto. Anche per poterla rileggere un domani e ricordare che razza di sogni mi ritrovo a fare. La storia non ha nulla a pretendere: prendetela per quella che è.
   
 
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