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Autore: SalvamiDaiMostri    21/03/2015    3 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock si osservò nel lussuoso specchio del bagno: sudorazione eccessiva, rossore delle gote, pupille dilatate. Si mise una mano sulla fronte: temperatura leggermente elevata.. Fece scivolare la mano sul collo: battito accelerato e oh mio Dio dov’era finita tutta l’aria???
Leggeva in se stesso tutti i sintomi dell’attrazione sessuale, sembrava di leggere uno dei suoi manuali Comunicazione non Verbale che studiava a memoria da ragazzino. Rassegnato, lasciò cadere il capo a ciondoloni, mentre si reggeva con le braccia tese sul lavandino.
Strinse i pugni. Improvvisamente levò lo sguardo e prese a fissare con disgusto la sua patetica immagine nello specchio: era furioso con se stesso. Si sarebbe preso a pugni, perchè non meritava altro.
A che cazzo stava pensando?? Come diamine poteva essere arrivato a quel punto? Ripensando un attimo agli avvenimenti degli ultimi giorni, non riusciva a riconoscere i suoi stessi gesti, le sue scelte, le sue azioni: era come se avesse gettato alle ortiche tutto quello che faceva di lui ‘Sherlock Holmes’, la fredda macchina calcolatrice, per dedicarsi a tutto ciò che aveva sempre ritenuto poco più che frivolezze inutili. Era grave. Era gravissimo, come aveva potuto non rendersene conto prima?? Ora era troppo tardi, ora che indossava quel nuovo elegantissimo vestito scuro, la sua camicia preferita e quel profumo. Ora che aveva lasciato John al tavolo del miglior ristorante che potesse permettersi in tutta Londra, ed era scappato in bagno in cerca di... di cosa?? Risposte? Aria???
Aveva accettato: era uscito con John Watson. Il suo John. Un vero appuntamento! Perchè aveva detto di sì?? Come?? Aveva tutte le intenzioni di dire no, voleva dire no, la sua lingua e le sue labbra erano pronte a dire no, ne era certo. Ed improvvisamente era finito lì a fissarsi e ad odiarsi davanti a quello specchio. Ma a cosa aveva pensato? A niente, che domande.
 
«John non deve pagare per le mie stronzate. Fottuto egoista.»
 
Non poteva pensare ad altro. Accettare le sue avance non era stato che un gesto di puro egoismo: avrebbe dovuto rifiutarlo, così come anni fa aveva deciso di fare con chiunque, e pagare il supplizio di non aprirsi all’uomo che si era irrimediabilmente reso conto di amare ormai da mesi. E invece no. Quello stronzo egoista che era aveva deciso di mandare tutto a puttane e mettere in pericolo la vita di John per puro egoismo e dire “Sì, perchè no?”
Ma ormai era troppo tardi. Non poteva rimanere in quel bagno per sempre.
Sbilanciò il suo peso sul braccio sinistro e con mala voglia ruotò con la mano destra il rubinetto dell’acqua fredda. La osservò scorrere per qualche istante mentre si tirava leggermente su le maniche di giacca e camicia, poi se ne riempì le mani, abbassò il viso e se lo sciacquò per tornare quanto più possibile in sè. Tornò ad osservarsi: almeno il rossore si era un po’ affievolito.
Ora sarebbe dovuto tornare al tavolo. Un passo dopo l’altro. E poi??
E poi avrebbe trascorso una meravigliosa serata.
Ancora quel suo dannato egoismo: era una cosa nuova. Non che gli fosse mai importato molto degli altri, ma di certo non gli era mai importato neanche un po’ di se steso. John gli faceva quell’effetto: lo faceva stare bene, e glie lo faceva addirittura piacere.
Immerso in tali pensieri, prima che potesse accorgersene, Sherlock aveva già percorso il breve corridoio e aveva attraversato la sala. Improvvisamente lo vide: gli dava la schiena quasi del tutto, poteva vedere il suo viso per tre quarti, ma John non lo aveva ancora visto arrivare. Non potette trattenere un sorriso: anche John stava affogando nell’agitazione. Certo, per ragioni diverse dalle sue. Gli fece tenerezza e, come accadeva ogni giorno da quando si erano conosciuti, se ne innamorò un po’ di più. Abbassò lo sguardo e sorrise sarcastico:
 
«Incredibile.»
 
Lo raggiunse alle spalle senza proferire parola, si avvicinò con passo disinvolto al posto di John, gli appoggiò la mano sulla spalla e la fece scivolare lungo il suo braccio fino ad arrivare a sfiorargli leggermente la mano, solo per un attimo: John ebbe un sussulto. Sherlock prese posto, sorridendo come un deficiente: John lo accolse con altrettanto sincero sorriso, condito con un pizzico di imbarazzo causato da quel gesto inaspettato. Come faceva sempre quando era nervoso, si leccò leggermente il labbro inferiore e, nel vederlo, la mente di Sherlock andò nuovamente in bianco: tutti i cattivi pensieri, che fino pochi secondi prima gli offuscavano la mente tormentandolo, svanirono.
John sedeva davanti a lui, era tutto suo quella sera. Ed era così terribilmente bello. Semplicemente perfetto, e tutto suo.
“Ci hai messo una vita.”
“Mi fai prediche ogni santo giorno, possiamo evitare per una volta che usciamo?”
Risero entrambi. Poi John lo fissò intensamente negli occhi:
“Ti chiedo scusa se tutto questo è... troppo.” Sherlock lo guardò stranito “Uscire a cena, dopo tutto questo tempo... Il ristorante di lusso, è tutto così formale. Non è stata la migliore delle scelte, me ne rendo conto solo ora. Non per te.” Sherlock scoppiò a ridere:
“Hahaha! Non ti preoccupare... Non è male: anche se lo faccio di rado, non mi dispiace andare a cena fuori.” si tirò indietro sullo schienale, con un braccio  indietro e l’altro appoggiato al tavolo dondolandosi leggermente sulle gambe posteriori della sedia “Di norma mi intratterrei deducendo i traumi infantili di qualche commensale o l’anamnesi di un cameriere piuttosto che un altro. Ma oggi, a differenza del solito, sono in buona compagnia.” gli sorrise. Era davvero felice di essere lì, con lui, così.
“Bene, mi fa piacere.” sorrise John compiaciuto. Si prese qualche secondo di pausa, ma Sherlock nemmeno se ne accorse, troppo intento a contemplare il suo blogger. Era deciso a dirglielo, era da troppo tempo che rimandava quel discorso. Lo avrebbe fatto: avrebbe rischiato il tutto per tutto, perchè ormai non aveva più senso continuare ad ignorare quello che la sua anima e il suo corpo desideravano così ardentemente. “Sherlock, comprenderai che questo per me non è solo un modo qualunque come tanti per trascorrere una serata...” Sherlock lo interruppe agitando la mano su e giù davanti al viso e tornando a sedere come una persona civilizzata:
“John, andiamo! Non abbiamo nemmeno ancora cenato e già ti cimenti in discorsi così impegnati...” Sherlock gli prese la mano appoggiata al tavolo, John credette di svenire “Non credermi così ingenuo. Ma, non adesso... Non qui. Dopo, ok?” il povero blogger intuì a grandissime linee il contenuto di quella frase, troppo impegnato ad evitare di sciogliersi e contemporaneamente morire d’infarto per ascoltare: il contatto con la sua mano.. Oh Dio quella mano, probabilmente quanto John amasse di più del suo coinquilino. Non era la prima volta che la toccava, si erano stretti la mano un paio di volte quando si erano conosciuti... Ma forse in tali occasioni portava i guanti di pelle, non riusciva a ricordare. Rise e annuì distogliendo lo sguardo da così divina apparizione che gli sedeva davanti.
Poco dopo, si rese conto che l’attenzione di Sherlock era stata catturata da qualcosa alle sue spalle: stava di certo analizzando una situazione, avrebbe riconosciuto quel suo sguardo attento senza indugio in qualunque circostanza, persino in quella. Si voltò, ma non notò nulla di particolare: personale e commensali svolgevano ognuno il proprio ruolo all’interno della sala così elegantemente adornata.
“Che succede?”
Sherlock si passava i polpastrelli di indice e medio uniti sulla bocca e osservava con attenzione:
 “Quel cameriere... Quello che sta servendo quella signora in abito blu scuro alle tue spalle...” John si voltò per guardarlo: lo vide, si trovava ad almeno cinque metri da loro e non notò nulla di particolare in lui. Sherlock non gli toglieva gli occhi di dosso, aveva assunto un’espressione seria e concentrata, fredda e professionale. Intanto il cameriere aveva terminato di servire la signora in blu e aveva preso  a camminare verso di loro. Li superò, ma Shelock non lo perse di vista nemmeno per un istante. Si diresse verso la cucina, quando ad un tratto infilò la mano nella tasca dei pantaloni.
Fu questione di una manciata di attimi: Sherlock si alzò dal tavolo, gettando la sua sedia a terra, e in un attimo fu addosso al cameriere. Gli tirò un gancio destro, colpo che avrebbe steso qualunque uomo della sua corporatura preso alla sprovvista, ma evidentemente era più forte di quanto sembrasse dato che contrattaccò sfoderando il coltello che portava nei pantaloni. Prese a tracciare archi nell’aria davanti a lui con l’arma, cercando di colpire il consultive detective che evitò le coltellate con rapidi scatti. Prima che John  potesse essergli addosso, con uno dei suoi attacchi, il cameriere riuscì a ferire Sherlock alla mano destra: questo lanciò un urlo tirandosi indietro per fuggire dal raggio di attacco del coltello. A quel punto John riuscì ad immobilizzare l’aggressore, disarmarlo e placcarlo a terra. Tenendolo fermo, preoccupatissimo, alzò lo sguardo per controllare le condizioni di Sherlock che si era gettato a sedere a terra qualche metro più in là: si teneva la ferita con l’altra mano e, con il volto contratto in una smorfia di dolore, disse:
“Sto bene John.” ansimando “Un sicario con l’incarico di assassinare il ministro Gallager che siede al tavolo alla tua sinistra con l’amante... Ovviamente-” si perse nel fiatone. La sua mano grondava di sangue, il taglio era evidentemente molto profondo.
Nel frattempo era giunta la sicurezza del locale dicendo qualcosa come “Ci pensiamo noi” e così John poté correre  in soccorso a Sherlock.
Nonappena Sherlock vide che John stava correndo a grandi falcate verso di lui fu colto dal panico:
“NO! NON TI AVVICINARE!” gridò, gli occhi sgranati. Si strinse quanto più possibile la mano ferita al petto, macchiando irrimediabilmente quella così bella camicia, chiudendo il più possibile il suo corpo come un bambino spinto in un angolo dal bullo più grosso e pericoloso.
John, incredulo, rimase pietrificato:
“Cos-?? Sherlock, sei ferito! Sono un medico, fammi dare un’occhiata...” fece un passo in avanti, Sherlock rabbrividì e si alzò di scatto:
“JOHN WATSON, NON OSARE MUOVERE UN ALTRO PASSO!” John non poteva credere alla scena che gli si presentava: Sherlock aveva gli occhi iniettati di sangue, sembrava davvero che, se avesse mosso un dito per aiutarlo, lo avrebbe ucciso. L’uomo che amava era stato ferito, lui era un dannatissimo dottore e non poteva aiutarlo?? “Come vuoi, cazzo, come vuoi. Non mi muovo, ma ti prego: siediti e premi forte su quel taglio con un tovagliolo pulito.” ne cercò uno su un tavolo alla sua destra e glie lo lanciò addosso “Se continui a sanguinare in quel modo, di questo passo sverrai da un momento all’altro.” In effetti ora che si era tranquillizzato, Sherlock iniziò a sentirsi terribilmente debole. Si sedette su una sedia e, come ordinato dal medico, prese a premersi sulla ferita con il tovagliolo. “Ma si può sapere cosa diamine ti prende??” ruggì John estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Compose l’111 infuriato, Sherlock gettò lo sguardo a terra in preda alla vergogna e al disgusto di se stesso. Non proferì risposta. “Un’ambulanza me la lasci chiamare, sì??”
Personale e commensali del ristorante avevano osservato la scena esterrefatti con le posate a mezz’aria.
Quando giunsero i paramedici, John fece per raccontare loro ciò che era accaduto, ma Sherlock lo fulminò con lo sguardo:
“Posso farcela benissimo da solo.”
John strinse i pugni, digrignò di denti, afferrò il cappotto, girò i tacchi e fuggì da quel ristorante.
 
 
Ci vollero ventiquattro ore prima che Sherlock si ripresentasse al 221b.
John sedeva sulla sua poltrona con il giornale aperto: Sherlock sapeva che lo aveva preso dal comodino pochi secondi prima, nonappena lo aveva sentito salire le scale, ma decise di cucirsi la bocca e non farglielo notare. Si levò il cappotto e con la mano sinistra lo appoggiò al tavolo: la destra portava una fasciatura ben stretta. Poi si sedette sulla sua poltrona. Guardò John: il giornale era palesemente un pretesto per nasconderlo alla sua vista e soprattutto per nascondergli la sua preoccupazione e la sua rabbia. Lo addolorava talmente tanto saperlo preoccupato e così incazzato con lui...
Ancora non si era aperto a John e il loro rapporto già risentiva della sua condizione; era davvero giusto coinvolgerlo? O era solamente l’ennesima conseguenza del suo nuovo egoismo? Di una cosa Sherlock era certo: era stato uno stronzo e John meritava una spiegazione.
“Dodici punti, una trasfusione e un bel po’ di antidolorifici gratis.” irruppe. John sorrise cinico:
“Oh, ora dovrebbe fregarmene?” gettando il giornale sul comodino: avevano appena cominciato la conversazione il tono della voce era già così alto?
 
«Ottimo...»
 
Sherlock sorrise guardando il pavimento:
“Direi che ‘serata rovinata’ sarebbe un eufemismo...”
“Un dannatissimo eufemismo, sì!”
“Perdonami.” John fu sorpreso da tali scuse, non se le aspettava, ma era troppo arrabbiato per capire quanto Sherlock fosse affranto.
“Non c’è nulla da perdonare: non ti fidi di me e, nonostante questo mi ferisca, non è di certo colpa tua.”
“Ora non dire cazzate...”
“CAZZATE?? E come cazzo dovrei interpretare il tuo comportamento ieri sera??”
“John, lascia che ti spieghi...”
“No, non voglio sentirti.” si alzò di scatto e prese il cappotto dal divano “Vado a farmi un giro.” uscì dalla porta d’ingresso. Sherlock gli corse dietro:
“JOHN! Ti prego!” John aveva già sceso i primi quattro scalini “Io sono sieropositivo, John.”
Quelle parole furono una stilettata al cuore del medico che rimase paralizzato a bocca aperta. Si voltò di scatto verso Sherlock che lo guardava triste dall’alto, appoggiato su un fianco alla porta d’ingresso del loro appartamento. Quelle parole risuonarono nella mente di entrambi come un eco cupo e spaventoso e nessuno dei due riusciva a pensare o proferire parola. Pertanto li divise un lungo silenzio.
 
Alla fine, John risalì le scale.

 
   
 
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