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Autore: Zury Watson    24/03/2015    5 recensioni
Mycroft Holmes, si reca al 221B di Baker Street per incontrare Sherlock e il buon dottore con l'intenzione di rivelare qualcosa che potrebbe sconvolgere suo fratello. Ritenendo che sia arrivato il momento per lui di conoscere la verità e sapendo che non sarà semplice spiegare, decide di portare con sé questo qualcosa.
«You know what happened to the other one» - Mycroft Holmes (3x03 - His Last Vow).
Aggiornamenti sospesi fino a terminata revisione dei capitoli online
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Natale


Cinque meno Una

Sono mesi che Mycroft condivide la propria abitazione con sua sorella.
L'essere estremamente silenziosa e riservata di lei la rende una coinquilina perfetta per lui.
Ciò non significa, comunque, che sia una ragazza tranquilla.
Mycroft l'aveva vista uscire di casa in piena notte per rientrare all'alba più di una volta. Capitava anche che non rientrasse affatto. Oppure capitava che uscisse che non sembrava neanche più lei. Lui non le stava con il fiato sul collo, ma come faceva con Sherlock, cercava di osservarla per poterla proteggere a suo modo. Da cosa esattamente neanche lui lo sapeva. Sua sorella, a differenza di Sherlock, era per lui un totale enigma. Mycroft aveva avuto modo di vivere gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza di suo fratello minore e in virtù di questo poteva permettersi di affermare di conoscerlo in buona parte. Con la sorella era tutta un'altra storia. Era certo, comunque, che non avesse dipendenze da droghe o alcol. Aveva invece una spiccata inclinazione per le situazioni stimolanti, che nel linguaggio degli Holmes significa "potenzialmente pericolose".
Sono mesi che la bella Holmes si muove, lieve presenza in punta di piedi, nella vita dei due fratelli ed è infine arrivato il Natale.
Natale significa trascorrere del tempo con i genitori. E' così per ogni famiglia. Perfino per gli Holmes.
Lei non era molto entusiasta. Aveva sempre evitato di incontrarli, gli Holmes, ma adesso aveva entrambi i fratelli contro e sarebbe stato difficile sottrarsi a loro. Uno, forse, sarebbe riuscita ad imbrogliarlo, ma entrambi... Era fuori perfino dalla sua portata.
Iniziò a chiedersi cosa sarebbero stati capaci di fare tutti e tre insieme.

A casa di Mycroft, la giovane donna era chiusa in bagno da ore.
Si era concessa un lunghissimo bagno rilassante che le era servito soprattutto a calarsi nella parte. Una parte molto più semplice di quella della figlia ritrovata.
Sherlock lavorava all'ennesimo caso insieme al fedele compagno di avventure, John Watson. Poi, un giorno, aveva chiesto la partecipazione di sua sorella.
Uscita dalla vasca aveva messo a riscaldare la piastra per capelli ed era andata a recuperare ciò che le occorreva.
Sull'uomo che teneva impegnato Sherlock Holmes pendeva un'accusa di omicidio e violenza sessuale a danno di alcune giovani donne. Si trattava di una tipologia molto particolare di persone. Erano, infatti, tutte appartenenti al mondo dark, goth ed emo. Scotland Yard non era riuscita a trovare prove concrete che potessero incastrare definitivamente l'uomo, ma Sherlock Holmes aveva un'idea.
Rientrata in bagno ci si era chiusa di nuovo e quando ne era uscita, per poco a Mycroft non era preso un colpo.
I capelli lisci mettevano in risalto i lineamenti spigolosi della ragazza e il nero risultava accentuato dal nuovo look. Abituato a vederli senza un filo di trucco, Mycroft rimase accecato dagli occhi di sua sorella. Pozze di luce in tutta quell'oscurità.
Grazie alle giuste conoscenze, negli anni aveva imparato più per esigenza che per mestiere l'arte del trasformismo ed era diventata una maga del make-up pur preferendo evitarlo nella vita di tutti i giorni: non truccarsi aiutava a renderla irriconoscibile quando invece lo faceva. Davanti allo specchio si era riempita le palpebre di nero, sfumando ad arte con diverse tonalità di grigio. Aveva abbondato con la matita, sulla palpebra a ridosso delle ciglia, - allungando entrambe le estremità dell'occhio - nell'interno e anche sotto, vicino alle ciglia inferiori. Dove non era arrivato il mascara, erano arrivate le ciglia finte. Un fondotinta cadaverico rendeva la sua pelle molto pallida. Pallide anche le labbra, sapientemente schiarite con i giusti prodotti. Jeans neri come fossero una seconda pelle, strappati dalla coscia alla caviglia orizzontalmente in più punti, infilati in pesanti anfibi. Una maglietta utile appena a coprirle i seni, larga a dispetto dei jeans, colma di piccole croci gotiche. Un'enorme felpa dotata di un enorme cappuccio serviva a nasconderle braccia ossute e polsi con eloquenti cicatrici, riprodotte alla perfezione sulla pelle immacolata. Un'espressione che stava in una zona imprecisa tra depressione, sconforto, malessere, malvagità, ribellione e solitudine rendeva l'opera completa.
«Chi sei questa volta?», aveva domandato l'uomo.
«L'esca».
Poi era uscita. Si era lasciata apparentemente adescare dall'uomo, adescandolo lei in realtà. Aveva lasciato che la situazione arrivasse al limite e infine aveva tirato fuori un'arma e una piccola videocamera che aveva usato per immortalare il tutto. Al resto avevano pensato Sherlock e John prima, l'Ispettore Lestrade dopo.


Nonostante Mycroft si fosse proposto di finanziarle qualsiasi spesa natalizia, sua sorella non aveva voluto saperne di mettere piede in un negozio di abbigliamento a qualche giorno dal Natale.
Mycroft era l'ultima persona che potesse permettersi di biasimarla per questo.
Non era la paura di essere travolta dalla gente impegnata negli acquisti dell'ultimo minuto, però, a trattenere la giovane Holmes.
Mancavano di fatto due giorni alla Vigilia quando, di ritorno da Baker Street, aveva voluto mostrare un maglione a Mycroft. Non un maglione qualunque. Disse che era perfetto per lei, ma Mycroft sapeva perfettamente che non era vero. Conosceva piuttosto bene il guardaroba di sua sorella, vivendoci insieme, e non aveva mai visto niente di simile saltare fuori dall'armadio. Non impiegò molto a capire che sua sorella intendeva depistare qualcuno. Di nuovo.
«L'ho trovato», aveva spiegato quando Mycroft le aveva chiesto come fosse entrata in possesso di quel capo d'abbigliamento di discutibile eleganza.
Lo stile era inconfondibile e la taglia rivelava abbastanza chiaramente chi fosse il proprietario dell'indumento. John Watson. Era un tipico, voluminoso, geometrico maglione natalizio appartenente a John Watson.
Appartenuto a John Watson.
Non è che Sherlock e John glielo avessero lasciato prendere. Semplicemente non sapevano che lei l'aveva preso.
Fu con quel maglione che si presentò a casa Holmes la mattina della Vigilia. E con la miglior non-espressione di sempre.
Durante il viaggio in auto con Mycroft si limitò a guardare oltre il finestrino.
Suo fratello non seppe dire se fosse arrabbiata perché lui e Sherlock l'avevano incastrata. Guardandola non riuscì a ricavare la benché minima informazione su di lei e in quel momento comprese perfettamente il perché della scelta del maglione non suo: non sarebbe stata lei in quell'incontro. In realtà Mycroft ancora non aveva capito chi lei fosse veramente. Sembrava che tanto i fratelli Holmes fossero bravi a leggere, quanto lei lo era a vestirsi di fogli vuoti.
Se Mycroft e Sherlock l'avessero vista per la prima volta quel giorno, con indosso quel maglione, senza conoscere assolutamente nulla di lei, avrebbero tratto conclusioni completamente errate sul suo conto. E questo era esattamente il gioco che aveva tenuto in vita la gemella Holmes negli anni.

I coniugi Holmes erano sulla porta d'ingresso, incapaci di restare ad aspettare dentro casa, impazienti di rivedere un insieme di combinazioni genetiche meglio definito con il nome di "figlia". La cosa buffa è che nessuno dei due avrebbe dovuto domandarsi da chi avesse ereditato cosa. Se avevano osservato bene Sherlock avevano in mano tutte le risposte che gli occorrevano.
Quando lei scese dall'auto l'impassibilità regnava sovrana sul suo volto.
«Loro sono...», tentò Mycroft.
Lo fulminò con lo sguardo. Uno sguardo di ghiaccio. Come un iceberg che, inesorabile, colpirà la tua nave e la affonderà. Senza cattiveria, ma semplicemente perché è così che va quando un'imbarcazione si avvicina ad un enorme blocco di ghiaccio galleggiante. «Niente convenevoli», disse e fu come se avesse detto "Inutile che ci presentiamo, voi sapete chi sono, io so chi siete. Non fingiamo che questo incontro sia voluto da tutti e assolutamente perfetto, perché non è così".
Sherlock, arrivato per conto suo, non intervenne verbalmente, ma l'accompagnò all'interno e le fece fare il giro della casa.
Mycroft approfittò per parlare ai genitori del carattere della ragazza e li avvertì di non aspettarsi una grande interlocutrice.
Come a testimoniare quanto aveva appena detto il maggiore degli Holmes, Sherlock e sua sorella non ebbero bisogno di parole: ogni stanza dichiarava da sé la propria funzione, senza che qualcuno sprecasse fiato per dire inutili ovvietà.
Alla fine si installarono tutti in cucina, piccola ed intima.
Alla giovane donna bastò un rapido sguardo per capire l'essenziale dei coniugi, di quelle due persone che l'avevano messa al mondo e poi data via apparentemente senza alcuna motivazione. La signora Holmes era evidentemente la colonna portante di quella famiglia, quella che prendeva e portava avanti le decisioni, quella che si era preoccupata dell'istruzione dei figli, quella che aveva il quoziente intelletivo più elevato. Quella dalla quale aveva ereditato il colore degli occhi. Il signor Holmes era un uomo tranquillo, uno che per una vita intera aveva affiancato, assecondato, confortato e accomodato una moglie e dei figli dalle incredibili potenzialità. Sembrava essere l'unico normale là dentro, per quanto normale possa essere un uomo che sceglie di vivere insieme ad una moglie così, riuscendoci. Le ricordò il Dottor Watson: normale se paragonato a Sherlock, ma completamente fuori dal comune se paragonato alla maggioranza delle persone là fuori.
Il pranzo venne consumato per lo più in silenzio.
Lei lo trovò ottimo, ma non si complimentò affatto. Si era accomodata accanto a Sherlock e di fronte a Mycroft, consapevole del fatto che ogni sguardo da parte dei signori Holmes sarebbe stato una coltellata al cuore data la somiglianza tra lei e Sherlock. I due, a differenza dei figli, sembravano essere inclini ai sentimentalismi. O forse era colpa dell'età: nessun sentimentalista avrebbe dato in pasto al mondo la propria figlia neonata separandola, tra le altre cose, dal proprio gemello.
La maschera impassibile ancora perfettamente dipinta sul volto della ragazza. Non una grinza.
Nessuno osò chiamarla per nome, anche se i signori Holmes sapevano come si chiamava. Le avevano dato loro quel nome che lei teneva segreto al mondo intero, ma non avevano idea di come si fosse fatta chiamare in tutti quegli anni di assenza.
Anche Mycroft lo ricordava eppure mai lo aveva pronunciato ad alta voce, né in presenza né in assenza della ragazza.
Sherlock ne era completamente all'oscuro.
Il signor Holmes la guardava con pacata curiosità, aspettandosi forse che prima o poi lei avrebbe parlato.
Lei provò per lui un po' di quello strano interesse che Sherlock aveva nutrito nei confronti di John Watson quando lo aveva conosciuto. Si domandò quante persone esistessero come il signor Holmes e il Dottor Watson.
La signora Holmes, invece, si teneva occupata con i piatti: aveva voluto per forza lavarli in quel preciso momento.
Tutta quella emotività rivelò ai fratelli Holmes, i due maschi, un lato di lei che non conoscevano.
«Ma dove ho messo il centrotavola?», domandò probabilmente più a se stessa che ai presenti, o forse più per riempire la cucina di un suono che non fosse quello di acqua e stoviglie.
Neanche due secondi da quel punto interrogativo. «Il ripiano a destra».
I gemelli. In sincrono.
Un sorrisetto soddisfatto sulle labbra di Mycroft.
Un'occhiataccia di lei, in risposta.
Lo stupore della donna a colmare ogni spazio della stanza.
Dalla sedia occupata dal signor Holmes proveniva una calma quasi disarmante, come se fosse abituato ormai a queste cose.
La signora Holmes recuperò il suo centrotavola, lo sistemò esattamente dove voleva che stesse e prese di nuovo posto a tavola.
«Perché sei sparita?».
Diretta. Fredda. Implacabile. Non era il giusto approccio.
Silenzio.
«Ti abbiamo osservata costantemente quando vivevi in Finlandia, perché non avremmo mai voluto arrivare a tanto», continuò la signora Holmes. La sua voce era ancora dura, come se fosse arrabbiata. Non esattamente per qualcosa o con qualcuno in particolare, semplicemente arrabbiata.
«La piccola Annukka ha scoperto di essere stata adottata. Alla piccola Annukka non piacciono le bugie. La piccola Annukka è una bambina sveglia e scappa di casa. La piccola Annukka è morta», risponde la gemella di Sherlock parlando in terza persona della versione finlandese di se stessa. Nessuna particolare inclinazione nella voce. Lo sguardo in un punto oltre Mycroft, sulla parete.
Silenzio.
La giovane donna non intendeva aggiungere altro a quelle parole. Sentiva gli occhi di Sherlock addosso come una lama sottile in attesa di bucare la pelle dell'avversario, assetata di sangue. Aveva gli occhi di Mycroft puntati nei propri, erano di una limpidezza straordinaria. La stessa limpidezza che l'aveva convinta ad ascoltarlo la prima volta che l'aveva incontrato.
«Sarebbe più corretto dire che Annukka ha smesso di esistere per far spazio ad altri». Era stato proprio Mycroft a parlare.
Sua sorella annuì solo con una smorfia delle labbra piene. «Te lo concedo», rispose.
In quel momento, la signora Holmes capì che Mycroft riusciva in qualche modo a farsi strada tra le mille barriere che sua sorella innalzava.
«A chi?», intervenne Sherlock. Il suo bisogno di conoscere predominava su ogni altra cosa.
Lei continuò a guardare Mycroft negli occhi.
Lui non si mosse.
I presenti capirono che in un modo tutto loro quei due stavano parlando.
Mycroft annuì come se sua sorella gli avesse posto una domanda che nessuno tranne lui aveva potuto sentire.
Avevano in effetti appena sigillato un patto: se necessario lui l'avrebbe portata via da lì immediatamente.
«Annukka è stata molte altre persone», disse infine, «La recita più bizzarra è stata quando ha impersonato due gemelli, il giovane Sherwood e la giovane Sherilyn». Rise a quel punto. E di gusto anche. L'assonanza con il nome del suo gemello era evidente, e comico era quanto nessuno si fosse mai accorto di nulla sebbene molti in quella stanza sostenessero di averla cercata per tanto tempo. La disarmante verità era che la donna aveva lasciato piccoli indizi che solo chi la stava davvero cercando avrebbe potuto cogliere. Il fatto che nessuno avesse unito i fili era la chiara testimonianza che chiunque avesse provato a mettersi sulle sue tracce non si era mai impegnato abbastanza oppure non sapeva esattamente chi stava cercando. Sherlock era impietrito, immobile mentre viaggiava nel proprio palazzo mentale: se il caso di quei gemelli era in qualche modo arrivato a lui, se una qualunque delle molteplici trasformazioni di sua sorella era in qualche modo arrivata fino a lui, doveva averne memoria.
I due gemelli erano orfani, come la maggior parte dei suoi alter ego, e scomparsi, come tutti i suoi alter ego.
A dirla tutta non rivelò niente a parte le molteplici identità che aveva assunto negli anni per sparire, non lasciare tracce, evitare di essere trovata da persone diverse dai fratelli Holmes, evitare di essere ammazzata.
Fu Mycroft a raccontare ai genitori come aveva fatto a scovare la giusta pista e come lei gli era sempre sfuggita fin quando non aveva deciso di presentarsi spontaneamente da lui.
Ciò che i tre fratelli volevano sapere, a quel punto, era perché i coniugi Holmes avessero deciso di sbarazzarsi di lei.
Era una storia, quella, che affondava radici in eventi accaduti molto prima della nascita di Mycroft.
L'unica ragione per cui la signora Holmes non era pienamente convinta di dover tacere era un evento accaduto anni addietro, in quello stesso periodo dell'anno. Eppure qualcosa le bloccava la lingua, le serrava le labbra e le impediva di liberarsi di quel segreto.
Fu suo marito a parlare. «Magnussen», disse.
Quattro paia di occhi chiari lo fissarono istantaneamente.
Non c'era persona in quella stanza che non conoscesse quel nome.
L'uomo spiegò che quando aveva conosciuto quella che sarebbe poi stata sua moglie, lei era stata promessa ad un tale che di cognome faceva Magnussen. Erano altri tempi e se anche il marito aveva quasi il doppio degli anni della sposa non importava a nessuno. Il signor Holmes, però, non si era lasciato intimidire e aveva infine conquistato la futura signora Holmes che tutto era tranne una persona avvezza al rispetto delle regole, specie se assurde. I due, non senza la benedizione dei genitori di lei, si innamorarono. La promessa fu sciolta e la futura signora Holmes libera di sposare l'uomo che amava. Magnussen, però, non digerì mai l'affronto e giurò eterno odio alla coppia. Il desiderio di vendetta non lo abbandonò mai. Anche lui si sposò non molto tempo dopo e sua moglie gli diede un figlio che chiamarono Charles Augustus Magnussen. I coniugi Holmes non avevano ancora avuto Mycroft quando Magnussen fece in modo che loro sapessero del nuovo nato e fu in quell'occasione che l'uomo promise a se stesso e agli sposini che nel caso in cui il loro matrimonio avesse generato una bambina, quella avrebbe sposato suo figlio Charles Augustus ad ogni costo.
Mentre raccontava, il signor Holmes guardava esclusivamente sua moglie.
Sul volto di entrambi erano ben visibili l'angoscia e l'orrore di quei momenti di tanto tempo prima.
La signora Holmes era sempre stata una donna dal carattere forte e deciso, così quella minaccia non l'aveva scoraggiata e non aveva messo in crisi l'amore che nutriva per suo marito. Quando scoprì di essere incinta lo annunciò con gioia a quest'ultimo. Sapeva del rischio che correvano, ma non avrebbe permesso ad un uomo così meschino quale era Magnussen di condizionare la sua esistenza.
Magnussen era un giornalista e questo gli forniva le chiavi d'accesso a moltissime informazioni, compresa la gravidanza della signora Holmes. Venuto a conoscenza che si trattava di un bambino, sembrò sparire nel nulla. E invece era lì ad osservare, come uno squalo, paziente, in attesa della preda, di un suo errore.
Gli Holmes ne ebbero la prova quando ricevettero le congratulazioni per il nuovo nato da parte dell'intera famiglia Magnussen.
La seconda volta che la signora Holmes rimase incinta, aveva già in mente di fare in modo che la notizia non raggiungesse quell'essere spregevole. Non lo disse ad anima viva, quando la pancia cominciò a vedersi si tenne lontana dai luoghi pubblici e si affidò alle cure di persone estremamente fidate. Andò tutto bene. La signora Holmes scoprì di essere in attesa di due gemelli e quando seppe che si trattavano di un maschio e di una femmina, fece tutto quanto era in suo potere per tenere nascoste quelle informazioni. Ci riuscì. Partorì assistita dalle persone che lei stessa si era scelta e tornò a casa con i bambini. La mente della signora Holmes lavorava, instancabile, ad una soluzione che le permettesse di tenere quella bambina per sempre senza che Magnussen ne venisse a conoscenza o potesse ricattarla e attuare la propria vendetta. Sembrava una missione impossibile da compiere, ma la signora Holmes non era una semplice donna e vedeva oltre alle cose, sapeva scegliere le mosse vincenti.
La quiete però, purtroppo, durò molto poco.
Magnussen venne infine comunque a sapere dei gemelli e, cosa ancor più drammatica per gli Holmes, seppe che uno dei due era una femmina, così rinnovò quanto aveva detto anni addietro. In verità Magnussen non aveva mai avuto la certezza che uno dei due fosse una bambina prima che gli Holmes lo confermassero. Aveva però basato le proprie deduzioni su un semplice ragionamento: se fossero stati entrambi maschi, perché fare tutto in gran segreto?
Magnussen non era solo un giornalista. Era una delle persone più intelligenti che i coniugi avessero mai incontrato.
I coniugi Holmes non avevano dubbi che Magnussen fosse assolutamente deciso a portare avanti quella sua assurda, insensata, vendetta. Incapaci di tollerare una simile situazione, dovettero prendere una decisione drastica che avrebbe cambiato la vita di tutta la famiglia. Il loro primo pensiero andò a Mycroft che era grande e intelligente abbastanza da essere consapevole di avere una sorella oltre che un fratello e in virtù di questo ricordo avrebbe fatto domande prima o poi, avrebbe cercato di capire. Lasciarono quindi credere a lui e a chiunque fosse interessato all'argomento che la bambina era gravemente malata, questo grazie alla complicità di intimi amici; diedero invece in adozione la gemella di Sherlock, mandandola in Finlandia e procurandole tutta la documentazione necessaria a distruggere il suo breve passato e a crearle un presente ed un futuro completamente nuovi. Per quando Magnussen fosse astuto ed influente non aveva occhi in ogni dove e non aveva certo a che fare con degli sprovveduti. Alla famiglia che decise di adottarla venne raccontato che la bambina era stata abbandonata in ospedale dalla giovanissima donna che l'aveva generata.
L'impossibilità di muoversi liberamente, costrinse i coniugi Holmes a stare alla larga dalla loro bambina e così era stato facile perderne definitivamente le tracce una volta che lei aveva deciso di allontanarsi in un momento del tutto inaspettato.
«La bambina gravemente malata alla fine morì e Magnussen non riuscì mai a scoprire la verità o comunque non riuscì mai a dimostrare concretamente che quella storia non era del tutto vera», terminò la signora Holmes che aveva infine trovato il coraggio di intervenire.
La giovane Holmes era una statua bellissima nella sua immobilità. Stava rivivendo mentalmente i momenti trascorsi a diretto contatto con Charles Augustus Magnussen e si chiedeva quanto quest'ultimo conoscesse di tutta quella faccenda. Sentì il panico assalirla.
Sherlock seppe di aver ucciso non solo qualcuno che minacciava la tranquillità del suo amico John Watson, ma anche il figlio di chi aveva tormentato la sua famiglia.
Mycroft ci aveva messo un secondo a capire quale rischio tutti avessero corso, non dimentico della storia di un terzo Holmes che Magnussen figlio aveva cercato di diffondere per il solo gusto di minacciarlo e fargli capire con chi avesse a che fare. Si convinse che entrambi i Magnussen erano arrivati infine a conoscere la verità e che se Sherlock non avesse ucciso Charles Augustus, lui prima o poi sarebbe arrivato alla gemella di Sherlock prima di tutti.
Non aveva idea che era stata proprio sua sorella a gettarsi in pasto a quell'uomo.
Mycroft osservava adesso i suoi genitori con una strana luce negli occhi. Qualcosa di molto simile al disappunto, ma meglio identificabile con il nome di rabbia, albergava in lui. Menzogne e segreti inimmaginabili gli avevano impedito di arrivare al nocciolo della questione e questo lo infastidiva.
L'uomo aveva un autocontrollo non indifferente e questo faceva di lui una persona insopportabile ma anche una pentola a pressione pronta a scoppiare in qualunque momento.
Il momento era arrivato.
Mycroft saltò in piedi senza preavviso e l'assoluto silenzio di tutte le parole che non disse esplose in un pugno sul tavolo di quella cucina.
Sua madre sobbalzò.
Sua sorella fissò gli occhi nei suoi.
Suo fratello rimase immerso nei propri pensieri.
Suo padre gli rivolse uno sguardo sereno, come a volegli dire che comunque lui la pensasse era così che stavano le cose e ormai non ci si poteva fare più nulla. Senza contare che il peggio era passato dal momento che i Magnussen erano morti.
Le conseguenze di quella separazione, però, erano tutte lì e bruciavano come benzina su ferite aperte.




N.d.A.
Non so se e quanto tutta questa faccenda sia credibile, perciò ora più che mai mi aspetto il vostro parere.
Il punto è che nel preciso istante in cui mi sono chiesta cosa possa aver portato i coniugi Holmes a separarsi dalla propria figlia, ma di nessuno dei due maschi mi sono detta che non poteva essere nulla di banale o facilmente spiegabile. E quando mi sono interrogata riguardo al movente mi è subito venuto in mente Magnussen. Negli episodi della terza stagione abbiamo avuto modo di conoscere piuttosto bene il personaggio di Charles Augustus e abbiamo appurato che la sua non è semplice cattiveria. E' un'ossessione, una malsana inclinazione a raccogliere segreti per poi tormentare le persone. Allora mi sono detta che questo Charles Augustus avrà pur avuto un padre... e da qui la storia come l'avete appena letta.
Rinnovo il mio bisogno di conoscere il vostro pensiero in merito e mi auguro che tutto sommato questo racconto non sia un disastro.
Vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui con la lettura e a maggior ragione vi ringrazio se deciderete di recensire.
A presto.

   
 
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