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Autore: Fair_Ophelia    24/03/2015    0 recensioni
Quando vedi il traguardo in lontananza e pensi che sia finita, la sorte colpisce nel più sorprendente e paradossale dei modi, capovolgendo ogni tua convinzione, in qualsiasi occasione. Riflessioni di una donna anziana sulle condizioni del marito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ULTIMO SCHERZO DELLA VITA



 

"Andiamo, è pronto in tavola."

Giuseppe distoglie lentamente lo sguardo dallo schermo colorato e si gira verso la voce; ha sentito, ma non ascoltato. Alza la testa e si limita a fissare il figlio in piedi accanto a lui, la mascella un po' contratta, le mani serrate sui braccioli della sedia a rotelle, la schiena un po' curva per l'età. Gli occhi chiari, offuscati dalla cataratta, sono vacui. Torna a rivolgerli verso la televisione che trasmette una canzoncina infantile.
Questo è, ora, Giuseppe Larici, contadino, uomo perbene, allegro, responsabile, di quelli che si fanno un bicchiere di vino pieno alla sera ed educano i figli con la verga, ma solo per farli crescere come Dio comanda, arrivato all'età in cui decidi che hai dato abbastanza alla vita e vorresti anche prendere qualcosa, rilassarti e goderti il frutto del tuo lavoro. Uno come gli altri, insomma, che si è fatto tante risate nella sua vita, ha visto cose sorprendenti e sopportato tanti sacrifici, tanti dolori, tante ingiustizie, che ha vissuto e combattuto per vivere come meglio ha potuto. Come gli altri, ma allo stesso tempo unico, perché nessuno sarà come lui. Ed ecco che fine ha fatto: costretto alla sedia a rotelle, ricorda appena il nome del figlio che egli stesso ha generato, della moglie con cui ha condiviso i suoi giorni per cinquant'anni -cinquant'anni, già così tanti!-, dei nipoti che lo hanno fatto sorridere.
Non è facile vedere l'uomo cui ti sei congiunta da ragazza, appena entrata nella maturità, spegnersi nel giro di qualche anno, vederlo morire lentamente mentr'egli neanche ne è consapevole. E cosa rimane della mia forte guida? Un vecchio canuto che riesce a camminare solo se si appoggia al braccio di qualcuno -lui, che prima sosteneva tutta la famiglia con il suo lavoro-, debole -proprio lui che da ragazzo correva più veloce di tutti!-, ma soprattutto privo di tutti i ricordi accumulati in quasi ottant'anni di vita, sgretolati col passare del tempo come le ruvide foglie secche in autunno, prima frammentati, poi polverizzati e volati via, a causa della malattia che progredisce e affonda le sue radici nel passato. Dannato morbo, ti nutri come un parassita di episodi buffi, ragionamenti, lacrime, baci, speranze, preghiere, di tutto ciò che rende Giuseppe stupendo, che lo rende mio, che lo rende lui! Dio, portamelo indietro, perché lui, perché è successo? Oh, se potessi vedere i tuoi occhi, cosa sono diventati! Sembri guardare la televisione come fanno tutti, ma non è difficile notare che il tuo sguardo va oltre, passa su tutto e non osserva niente. Scorrono sullo schermo immagini di fiorellini rosa che cantano su un prato verde smeraldo e una bambina che cammina ma tu non reagisci, non capisci, non pensi come dovresti, e questo mi spezza il cuore. Non ridi pensando "Ah, i cartoni animati! Ai miei tempi non esistevano!", ma ti impegni per capire cosa ti si presenta davanti e non ci riesci, non riconosci quelle forme elementari. È innaturale che un uomo con un tale bagaglio di esperienze, che dovrebbe saperne più di tutti, è stato schiacciato e ridotto a questo stato apatico, ultimo tra gli ultimi. I tuoi occhi, nelle orbite incavate, incorniciati dalle rughe, che si girano verso il figlio che hai nutrito e cresciuto, ora chiedono aiuto, dichiarano sconfitta, smarrimento, confusione, delusione, pietà. Chiedono che ti si insegni di nuovo ciò che tu hai insegnato alle persone intorno a te, perché non capisci.
Che senso hanno i nostri dannati sforzi tutti i giorni dalle cinque di mattina al calar del sole, se non possiamo neanche godere di un po' di pace alla fine della vita, se tutte le emozioni che ci siamo affaticati a provare, a cui ci aggrappiamo per vivere, misero bottino per tanta sofferenza, ci vengono strappate, come se tutto ciò che abbiamo fatto non fosse mai accaduto? La tua è stata sfortuna, ma è il destino di molti ammalarsi e morire lentamente, e anno dopo anno sento avvicinarsi anche la mia ora: ho paura di lasciarti da solo in questo mondo che prima sfidavi e dominavi con un sorriso un po' beffardo e che ora ti ha reso un groviglio annichilito di membra.
Pazzo, pazzo mondo, che ci illudi con i tuoi colori e le sorprese inaspettate, per poi privarci della felicità quando è a un passo da noi: ci sottrai anche quello che già davamo per scontato fosse nostro. Non avrei mai immaginato che si potesse rubare il passato, e penso che se fossi consapevole che in pochi anni potrei perdere tutte le memorie della mia vita impazzirei. Cosa penserebbe il mio Giuseppe, che ora quasi non esiste più, di quello che gli sta accadendo, se ne fosse cosciente? Non lo saprò mai: è davanti a me, ma in realtà non c'è più.
"Ho detto che è pronto in tavola, dai papà, andiamo!" L'involucro borbotta un cenno di assenso; nostro figlio conduce la carrozzella in cucina. "Mamma, è pronto anche per te." La mia attenzione è catturata dagli ultimi istanti del programma, poi spengo il televisore: l'immagine sparisce come i ricordi d'infanzia dalla memoria.



NdA: storia scritta per il contest Together with our feelings di MistyEye. Anche se con poche parole mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate, è importante! Grazie :)
   
 
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