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Autore: Chrystal_93    25/03/2015    2 recensioni
[Jimmy Grimble]
[Cross-over con Once Upon A Time] - [Partecipa al "Robert Carlyle's Character contest - III edizione]
Eric, allenatore di calcio alla Greenock High, viene costretto ad organizzare e allenare una squadra di calcio da far partecipare al campionato studentesco. L'unico momento piacevole della giornata sembra quello in cui può accendersi una sigaretta e sperare che il suo passato e il suo presente si dissolvano come il fumo del mozzicone che tiene tra le labbra. Tuttavia, un giorno, fa un incontro che finirà per cambiare molte cose sul suo cammino.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Qualcosa per cui combattere




Quei gesti erano così familiari da essere le uniche cose rassicuranti a cui riusciva ad aggrapparsi. Non che gliene importasse molto. Aveva sempre fatto meno del necessario, lasciando che quei quattordicenni facessero i loro comodi, anche se avrebbe dovuto ordinar loro di correre o fare le flessioni.

Ma a lui non importava, gli bastava fumare la sua sigaretta, proprio come stava facendo ora.

Il problema è che era per quello che era finito nei guai. La direzione si era lamentata e aveva scoperto -grazie alle segnalazioni di qualche simpatico e slavato studente spaccone- che lui addirittura nemmeno ci andava in palestra per insegnare. Se ne stava a leggere il giornale e fumare. Così, dopo un piccolo periodo di assenza per “rimettersi in sesto e capire” -come aveva detto a malincuore il preside-, ora gli toccava rigare dritto, tornare a scuola e mandar giù un sacco di rospi, facendo finta che gliene importasse qualcosa.

Di una cosa era sicuro, quei rospi sarebbero andati giù molto più volentieri con un paio di birre.

Guardò il bicchiere quasi vuoto davanti a sé; era tardi e tra poco sarebbe dovuto tornare a casa. L'indomani doveva affrontare quella giungla di selvaggi che avevano voglia di fare tutto fuorché di imparare qualcosa.

Protese il labbro inferiore ed espirò il fumo, che andò a unirsi a tutta la nebbia nauseabonda che aleggiava in quel piccolo bar di Manchester.

Ce n'era così tanta che Belle, quando varcò la soglia, fu presa da un forte attacco di tosse. Cercò di agitare la mano davanti a sé, ma non le servì a molto. Una dozzina d'occhi le si posarono addosso.

Strinse le labbra e, non potendo fare un profondo respiro, scosse la testa.

Doveva essere lì, lo specchio non poteva sbagliare.

Dopo che il suo Rumple era morto per salvarli da Peter Pan, e dopo che tutti erano tornati nel mondo delle favole, lei aveva cercato di rifugiarsi in una vita normale, ma non ci era riuscita. Era tornata ad abitare nel castello del padre, ad essere la principessa che sarebbe dovuta diventare. Tuttavia, dopo di lui, non poteva più essere quella persona. Non voleva più esserlo. Così si era trasferita ad abitare nel Castello Oscuro, col nullaosta di Bae. Lì si era sentita a casa, come non si sentiva da molto tempo. Gli oggetti, i mobili... persino i muri le ricordavano di lui.

Un giorno, in una delle tante esplorazioni del castello, aveva trovato in una stanza uno strano oggetto che l'aveva subito colpita. Era un piccolo specchio e, stranamente, non era coperto come tutti gli altri. Rumplestiltskin aveva sempre paura che Regina potesse spiarlo -lo ricordava bene-, tuttavia, quello non era coperto.

Lo prese in mano e vide il suo riflesso. Quando stava per rimetterlo a posto, però, una piccola nebbia sembrò vorticare all'interno dello specchio. E di colpo, eccolo lì: Rumple. Il suo Rumple. O per lo meno un uomo con una gigantesca giacca del mondo moderno e un taglio di capelli corti. Per il resto era uguale a lui.

Ci aveva impiegato mesi e, alla fine, era riuscita a trovare un modo per esplorare quel mondo. Non ci aveva riflettuto molto a fondo, ma che importava? Non avrebbe mai smesso di combattere per lui e di cercarlo.

Così, eccola finita in quel piccolo e puzzolente bar, circondata da uomini di mezza età dall'aspetto non molto rassicurante. Socchiuse gli occhi per vedere meglio e, proprio quando pensava di aver sbagliato locanda, lo vide. Ne riconobbe il profilo, il naso un po' pronunciato. Aprì la bocca, sorpresa. Senza rendersene conto, sentì le proprie gambe muoversi e andargli incontro, fino a sedersi accanto a lui, su uno sgabello di fronte al bancone.

Lui non si era minimamente accorto di lei, tanto che continuò ad aspirare dal mozzicone.

Belle aprì la bocca per parlare ma, prima che potesse farlo, il barista si materializzò di fronte a lei, aspettando un'ordinazione.

“Cosa le porto?” chiese, passando lo strofinaccio sul bancone.

“Eh...” mormorò lei. “Una birra.”

Fu allora che Eric Wirral alzò gli occhi e la guardò.

“Stella?” chiese il barista. Ma lei non lo sentì, stava fissando quell'uomo così incredibilmente somigliante al suo amore.

“Stella?” chiese Eric.

“Cosa?” domandò lei, a bocca aperta.

“La birra.” disse Eric. “Stella?”

“Oh... Ehm... Sì.” riuscì a dire.

Eric alzò l'indice e il barista cominciò a riempire un bicchiere. Belle avrebbe voluto dire di più, ma non ne ebbe il tempo; lui aveva posato dieci sterline sul bancone, si era rimesso addosso quello strano e gigantesco cappotto e, stringendo tra le labbra il mozzicone, si era alzato, allontanandosi verso l'uscita.

Non c'era riuscita, ma non si sarebbe arresa.

 

 

“Dai, avanti...” mormorò. Con una mano reggeva la busta della spesa, mentre con l'altra cercava nella tasca le chiavi di casa.

Era stata proprio una brutta giornata. Quel piccolo insolente gli aveva mancato di rispetto e, quando l'aveva estromesso dalla squadra, il preside gli aveva detto che non poteva farlo. Suo padre avrebbe donato una somma ingente per rifare la palestra a patto che arrivassero alle finali di calcio del campionato studentesco. E quei soldi servivano alla scuola.

Così aveva dovuto stringere i denti e ricordarsi che, in fondo, non doveva importargliene. Bastava solo portarli alle partite e lasciare che Gordon Burley facesse il suo show. Probabilmente avrebbero perso sin dalla prima partita.

Finalmente riuscì a trovare le chiavi in fondo alla tasca ma, nel prenderle, la spesa gli sfuggì di mano e cadde sul marciapiede.

“Oh, fanculo.” esclamò, chinandosi a raccogliere.

“Brutta giornata?” gli chiese una voce. Alzò lo sguardo e vide una donna dai capelli castano-rossicci che lo osservava, sorridente.

Prima che potesse rispondere, lei si era chinata e lo stava aiutando a rimettere quei pochi prodotti che aveva acquistato nella busta marrone.

“Più o meno” rispose lui, mentre finivano quell'impresa. Quando si rialzarono, lei, sempre sorridente, gli porse una mano.

“Credo di essere la sua nuova vicina.”

“Ah, la vecchia casa dei Morrison... Mi chiedevo quando qualcuno l'avrebbe affittata.”

Belle sorrise, stringendosi nel cappotto. Era sera e cominciava a fare parecchio freddo.

“Be', allora... Buona permanenza.” borbottò lui. Da quanto non aveva più contatti umani? Da quanto non parlava più con una donna? Ecco perché ora si sentiva così impacciato e stupido. Più del solito.

“Grazie.” disse lei, senza smettere di sorridere.

Fece due passi indietro e aprì la porta. Quando stava per entrare in casa, Eric la fermò.

“Grazie!” esclamò, tanto forte e inaspettatamente da farla voltare verso di lui.

“Grazie per...” aggiunse, guardando in basso nel punto in cui poco prima tutta la sua spesa si era sparsa.

“Di nulla” disse lei e si fermò a guardarlo, sempre senza smettere di sorridere.

“Oh! Eric.” si affrettò a dire lui.

Lei chiuse per un attimo gli occhi e, sorridendo di più, scosse la testa. Poi tornò a guardarlo e, prima di entrare, disse: “Belle.”

Eric Wirral annuì con la testa e rimase un po' imbambolato a guardare nel punto in cui la giovane donna si trovava poco prima.

“Belle.” ripeté, un po' confuso.


 

Nei giorni seguenti i due continuarono casualmente -anche se il caso era spesso favorito da Belle- a incontrarsi. Fu così che, piano piano e inaspettatamente, cominciarono a conoscersi.

Belle scoprì che lui faceva l'allenatore di calcio, non troppo convinto, e venne a conoscenza del piccolo ma promettente Jimmy Grimble; Eric imparò presto che la giovane donna preferiva riempire la borsa di libri, piuttosto che di altre cose.

La cosa che più lo colpiva e che l'aveva fatto aprire con lei, come non accadeva più da anni, era il modo in cui lo guardava. Era sempre sorridente e, dentro lo sguardo, sembrava esserci costantemente una vena di speranza. Nessuno lo aveva guardato più così da quando si era giocato la carriera, dopo aver mandato all'ospedale un giocatore avversario. Nessuno, neppure lui stesso si osservava in quel modo allo specchio. In fin dei conti non c'erano motivi per farlo.

Eppure lei sembrava incoraggiarlo e sostenerlo in maniera silenziosa. E la cosa aveva un effetto balsamico su di lui.

Forse era per quello che, col tempo, si era offerto di aiutarla nei lavori di ristrutturazione. C'erano ancora problemi con l'impianto idraulico e, per di più, con quei pochi mobili che arredavano la casa.

Così, in un freddo pomeriggio libero dagli allenamenti, Eric era andato a casa sua per aiutarla a montare una piccola -ma non per questo meno complicata da assemblare- libreria.

“Leggi molto.” disse lui, mentre fissava un pezzo ad un altro.

“Sì, è una mia grande passione, sin da quand'ero bambina. E tu?”

“Io?” disse lui, sbuffando divertito. “Io preferivo il pallone. Mia madre insisteva così tanto perché studiassi e io, appena lei usciva per andare a fare le pulizie, sgattaiolavo fuori dalla finestra e andavo al campo...”

Belle sorrise, avvicinandosi. Era in piedi dietro di lui, chino a lavorare.

“Dai, forza...” mormorò l'uomo, ma la vite non voleva saperne di infilarsi.

“Sei sicuro di non volere una mano?” disse lei, appoggiandogli una mano sulla spalla.

Lui si schiarì la voce. “No, è che non ho l'attrezzo adatto.” Poi, alzandosi, si trovarono uno di fronte all'altra, a pochi centimetri di distanza.

Belle lo fissava col suo imperturbabile sorriso sulle labbra e con quella luce negli occhi che non si era ancora affievolita.

“Io...” mormorò lui. Si sentiva strano, la sua vita era cambiata in poco tempo. La squadra, grazie a Jimmy ,stava ingranando e inoltre, quando tornava a casa, non si sentiva più così solo, sapendo che dall'altra parte della parete c'era Belle.

“Devo prendere un attrezzo, ce l'ho di là.” disse, guardandole le labbra.

“D'accordo.” disse lei, facendo un passo indietro per farlo passare.

Quand'era sulla soglia della porta, però, si voltò. “Se vuoi, puoi venire. Non so quanto ci metterò a trovarlo, è da tanto che non lo utilizzo...”

Il sorriso di Belle si allargò, sorpresa. “Mi stai invitando a casa tua?”

Eric chiuse la bocca. “Be' il mio televisore funziona.” disse, dondolando il cacciavite che aveva ancora in mano.

“D'accordo.” disse lei.

Quando entrarono a casa dell'uomo, Belle si guardò in giro meravigliata, mentre lui, invano, tentava di mettere un po' d'ordine.

“Ti va qualcosa da bere?” chiese lui.

“Sì, grazie. Del tè.”

Lui annuì e scomparì in cucina. Belle continuò a guardarsi intorno. Il piccolo salotto era pieno di cose, e le ricordava molto che anche il suo Rumple si riempiva di un sacco di oggetti.

In quella casa c'erano moltissimi trofei, articoli e fotografie di calcio.

Si avvicinò a una foto in bianco e nero, appesa alla parete. Ne fu colpita. Ritraeva un giocatore di calcio che saltava per evitare un avversario. Socchiuse gli occhi e ne ebbe la conferma. Era lui, Eric, ma con i capelli lunghi, quel tanto che gli ricordava ancora di più Rumple.

“Tempi d'oro.”

“Cosa?” chiese lei, sorpresa che Eric fosse alle sue spalle. Si girò e lui le porse una tazza fumante di tè.

“Giocavo per il City. Bei tempi.”

Belle annuì e tornò a guardare la foto.

“Ti mancano?”

“A volte sì.” disse lui, smettendo di guardare la foto e sorseggiando del tè.

“Che intendi?”

“Be' avevo tutto ma... non sapevo come gestirlo. Ho fatto un gran casino all'epoca.”

“Per quale motivo?”

“Avevo paura.” disse lui. “E ho rovinato tutto.”

Belle si girò verso di lui. “E da allora non hai più sperato?”

Eric la guardò sorpreso. Dove voleva arrivare? Perché gli chiedeva questo?

“Quando sei arrivato così in alto, tutto il resto non ha più valore.” Alzò lo sguardo e la fissò negli occhi. “Sembra privo di senso.” finì, tornando a fissare la tazza di tè che stringeva.

Belle si morse il labbro. “Forse devi soltanto trovare qualcosa per cui valga la pena combattere, ancora.”

Eric alzò gli occhi e la guardò. Sembrava che ci credesse davvero, che sperasse sul serio il meglio per lui. Era disarmante e bellissimo allo stesso tempo.

Fu questione di un attimo, nemmeno lui ne ebbe il controllo, ma di colpo si ritrovò sempre più vicino alle labbra della donna. Prima che potesse baciarla, però, Belle abbassò la testa.

Lui si fermò di colpo, con le labbra un po' tremanti per essere appena stato respinto.

“Devo tornare a casa, si è fatto tardi.” si affrettò a dire Belle. “Possiamo finire domani con la libreria?” chiese, a un passo dalla porta.

Avrebbe voluto farsi baciare, ma, all'improvviso, non si era sentita pronta. Si sentiva come se fosse stata sul punto di tradire il suo Rumple, e così si era tirata indietro.

“Sì, va bene.” disse lui, confuso, con la fronte aggrottata, come faceva spesso.

“Eric.” disse lei, prima di uscire. Lui alzò lo sguardo, sperando che potesse tornare indietro sui suoi passi. Lei invece disse soltanto: “Forse ora ti sembra che niente valga quanto quel momento, ma non è così. Il ragazzo, Jimmy, mi sembra un buon inizio.”

Lui rimase lì, a fissarla, annuendo leggermente quando scorse un sorriso molto triste farsi largo sul volta della donna.

Belle chiuse gli occhi e se ne andò, lasciando finalmente che le mille lacrime, che fino a quel momento aveva trattenuto, le rigassero le guance.


 

Passarono le settimane e, sebbene le cose stessero andando sempre meglio per la Greenock, vincendo ogni partita che li separava dalla finale, i rapporti tra Eric e Belle si erano un po' raffreddati. Lui non era più andato a finire la libreria e lei non gliel'aveva più chiesto. Si incontravano ancora e si salutavano, ma niente di più. Il sorriso di Belle era più triste ogni volta che lo vedeva, ed Eric ora poteva scorgere qualcosa di diverso dalla speranza nei suoi occhi.

Cercò di immergersi nelle partite e negli allenamenti, sorprendendosi ogni giorno di più di come quello scricciolo di Jimmy Grimble riuscisse a dribblare, scansare e segnare ogni volta. Ma, in fin dei conti, tanto sorpreso non lo era. Anche lui da giovane non era stato certo un colosso, eppure era riuscito ad arrivare al ruolo di attaccante con il Manchester City e a segnare 12 volte nella sola prima stagione. Non male per uno come lui.

Senza nemmeno accorgersene pienamente, ora erano alle semifinali e Jimmy aveva segnato ancora, accaparrandosi l'ennesima vittoria.

Eric era a bordo campo e si sentiva felice come non mai: avevano guadagnato la finale. Forse Belle aveva davvero ragione, c'era speranza e il ragazzo era molto più che un semplice inizio.

Così, altrettanto semi-inconsciamente, dopo la partita, si ritrovò di fronte alla porta della vicina, quasi in fibrillazione.

Si sentiva come un ragazzino, come poco prima di entrare in campo, agitato e felice allo stesso tempo.

Bussò, una, due, tre volte. Doveva dirglielo. Ora aveva capito. Le parole che quel piccolo insolente di Gordon Burley gli aveva detto poco tempo fa, gli risuonavano nelle orecchie.

“Il suo problema? È che lei non ha le palle.”

Già, era sempre stato quello il suo problema. Dopo essere stato espulso dal City per quel fallo clamoroso dovuto all'alcool che ingollava sempre prima delle partite, si era nascosto al mondo, per paura.

Ma ora non voleva più avere paura. Non poteva più averne.

“Eric.” disse Belle, aprendo la porta, sorpresa. “Tutto bene?” chiese, vedendo che l'uomo era molto agitato.

Lui sorrise, alzando nervosamente un lato delle labbra.

“Abbiamo vinto, andiamo in finale.” disse lui, tutto d'un fiato.

“Ma è bellissimo! Congratulazioni.” esclamò Belle, sorridendo radiosa.

“Sì, è bellissimo.” disse, spostando il peso da un piede all'altro.

Seguì un attimo di silenzio in cui nessuno dei due fiatò. Eric guardava verso il basso, ancora visibilmente su di giri e un po' imbarazzato.

“Be', sei stato gentile ad essere passato per dirmelo.” disse Belle, senza ottenere una reazione dall'uomo. “Allora buona fortuna per la finale.” concluse e fece per richiudere la porta.

“Aspetta.” disse lui, mettendo una mano sulla porta. “Io non sono venuto solo per dirti questo.”

Belle lo guardò con aria interrogativa.

“E per cosa sei venuto allora?”

Il cuore le martellava nel petto, non si era più fatta viva con lui. Avrebbe voluto andarlo a trovare, scusarsi per come erano finite le cose tra di loro, ma ogni volta che lo faceva il ricordo andava al suo Rumple e le lacrime soffocavano ogni iniziativa. Si sentiva in colpa, si sentiva persa e sola. E per di più confusa. Per la prima volta non sapeva cos'era giusto fare.

Eric chiuse gli occhi e strinse le labbra. Doveva vincere quella paura. Lui le aveva eccome le palle.

Così, tutto d'un fiato, disse: “Per questo.” Si sporse verso di lei e la baciò.

Nessuno dei due se lo aspettava, eppure il bacio da timoroso diventò, poco dopo, famelico e pressante. Presto le labbra si schiusero e lasciarono che le loro lingue si incontrassero e si abbracciassero.

I corpi fecero lo stesso, tanto che Eric strinse Belle, cingendola per la vita e spingendola dentro casa. La giovane donna, dal canto suo, si aggrappò alle spalle dell'uomo, facendo scivolare le mani dietro il collo, fino a stringergli i capelli.

Belle aveva gli occhi chiusi e non voleva riaprirli. Sentiva le mani di Eric stringerla a sé, il petto contro il suo seno e i loro cuori che sembravano accompagnare quel momento col loro battito. Le sembrava che fosse Rumple a tenerla stretta a sé e sapeva che, se l'avesse guardato, si sarebbe accorta che non era lui.

Eppure qualcosa, nel modo di baciarla e abbracciarla, come ora, assomigliava così tanto ai gesti del suo amore perduto che non poteva fermarlo. Non voleva fermarlo. Forse era lui e quello era proprio un universo parallelo. Era una seconda possibilità; forse era stato lo stesso Rumple a fornirgliela, lasciandole quello specchio. Doveva essere così.

Per questo l'aveva condotto in camera da letto, senza smettere di baciarlo. Per questo le sue mani erano corse a togliergli il cappotto e a tirargli giù la zip della felpa scura, bisognose di accarezzare quel petto che da tanto tempo poteva solo sognare di sfiorare.

Eric aveva aspettato che lei lo spogliasse, prima di toglierle il cardigan e sfilarle la camicetta bianca che indossava. La spinse sul letto senza staccarsi dalle sue labbra. La sovrastò col proprio corpo e si sfilò i pantaloni, rimanendo in boxer. Ben presto anche la gonna di Belle e il resto degli indumenti che li separavano finirono sul pavimento.

Ad ogni carezza di Eric, Belle sentiva la sua pelle andare a fuoco. Sembrava che fosse passata un'eternità da quando Rumple la stringeva a sé, desiderandola e sospirando, proprio come faceva l'uomo a ridosso delle sue labbra.

Lo stesso lo poteva dire Eric, che non si era più concesso passioni del genere da molto. Non che non fosse stato più con donne, ma aveva rinunciato a storie d'amore mentre giocava, visto che il calcio era il suo tutto. E lo stesso aveva fatto quando era stato espulso, non avendo permesso più a nessuno di avvicinarsi così tanto. Erano state solo storie di sesso da una notte, di cui preferiva dimenticarsi il giorno dopo.

Ora però era tutto diverso. Provava qualcosa per Belle, anche se non sapeva bene cosa. Il modo in cui lo guardava, gli sorrideva, lo toccava, gli faceva crollare ogni certezza che aveva eretto per non soffrire più, per non provare più niente.

Era per questo che, mentre lei aveva gli occhi chiusi e le labbra schiuse dal piacere che le sue carezze le procuravano, decise di vivere quel momento pienamente, baciandola in ogni parte del suo corpo. Le sue labbra finirono così per percorrere il suo collo, in maniera quasi famelica, lasciando dei piccoli segni rossi, sino a giungere alle clavicole e poi al seno. Si fermò un attimo a guardarla e poi si riavvicinò piano, soffiando un po' per abituare la pelle della donna al prossimo contatto.

Non la baciò, né la morse. Non era semplice sesso quello, con lei voleva farci l'amore.

Così la sfiorò semplicemente con le labbra, scendendo fino all'ombelico, mentre con le mani le accarezzava le gambe, dolcemente. Lo baciò e sentì Belle ridere.

“Ti dà fastidio?” chiese in un sussurro, alzando gli occhi su di lei. Belle, che aveva aperto gli occhi e lo stava guardando, sorrise.

“No, solo un po' di solletico.”

“Allora lo soffri!” esclamò lui e abbandonò quella lenta avanzata sul suo corpo per alzarsi verso di lei e farle il solletico con le mani a livello dei fianchi nudi e del ventre.

Belle scoppiò a ridere e tentò di divincolarsi, tanto che si ritrovò, senza accorgersene, distesa sopra l'uomo.

Ora che erano a pochi centimetri l'uno dal volto dell'altra, smisero di ridere. Eric la guardò e, dopo tanto tempo, sorrise. Si sporse verso di lei e la baciò sulle labbra, dolcemente, semplicemente per sentire il contatto con la sua bocca.

Belle chiuse gli occhi, lasciandosi invadere da tutte le sensazioni che quel bacio era capace di trasportare. L'aveva guardata come Rumple, esattamente come lui. La stava accarezzando dolcemente come lui, e allo stesso tempo con una pressione tale da fargli capire che aveva bisogno di lei.

Quando si staccarono, Eric le portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

“Non voglio obbligarti a fare niente, Belle.”

“Lo so.” disse lei, aderendo di più al corpo dell'uomo. “Per ora non abbiamo fatto niente che non avrei voluto.”

Eric sorrise e sulla pelle ai lati della bocca si formarono delle piccole rughe, le stesse che Belle ricordava sul volto del suo perduto amore. Con un piccolo slancio, si protese verso di lui e cominciò a baciarlo ai lati della bocca, sul mento, dovunque trovasse quelle piccole trame che univano la stessa vita -forse- di due mondi differenti.

Eric sospirò e strinse la schiena di Belle, cosicché i loro corpi potessero aderire sempre di più. La voglia che aveva per lei stava crescendo, così tanto che sentiva i suoi muscoli tremare e fremere come non avevano mai fatto.

I baci di Belle si facevano sempre più profondi e, quando non ne poté più, la prese per i fianchi e ribaltò le posizioni.

Si fermarono a guardarsi, cercando di capire se andare avanti -per non potersi fermare più- o far finire tutto lì.

Belle sorrise dolcemente e gli accarezzò una guancia. Gli cinse la vita con le gambe e, aggrappandosi alle spalle dell'uomo, lo attirò un po' più vicino a sé.

“Sei sicura?” le chiese.

Belle annuì con la testa e sussurrò un sì quasi silenzioso. Poi alzò la testa dal cuscino, lo baciò, e con le gambe gli spinse il bacino contro il suo.

Eric si perse nel bacio e, dolcemente, entrò dentro di lei, avanzando piano, quasi per paura di farle male e di far finire quel momento.

Nonostante il bacio si facesse sempre più profondo, le spinte si susseguirono lenti e dolci, mentre i corpi danzavano uniti, senza fretta di assaporarsi ed esplorarsi.

Il bacino di Belle aiutava il lento movimento dell'uomo, spingendo verso di lui e facendole inarcare la schiena.

Le bocche continuavano a cercarsi e alternavano l'abbandono con dei piccoli e leggeri baci, prima che le labbra aderissero di nuovo.

Le gambe di Belle, ancora avviluppate all'uomo, lo accarezzavano ad ogni spinta che, col passare dei minuti, si stava facendo sempre più profonda e sempre più veloce.

Le loro mani si intrecciarono e si strinsero in una morsa quasi inestricabile, che si fece ancora più stretta un attimo prima che tutti e due arrivassero, immersi ancora l'uno nella bocca dell'altra.

Eric si abbandonò su di lei, immergendo la testa nei capelli della donna, senza smettere di stringerla.

Belle liberò una mano e cominciò a accarezzargli il dorso della sua, risalendo il braccio col dito, fino ad arrivare alla scapola. Immerse la mano nei capelli dell'uomo e, posandogli la bocca sull'orecchio destro, sussurrò: “Mi sei mancato.”

Eric alzò la testa e la guardò con un'espressione indecifrabile, corrugando leggermente la fronte, come faceva sempre.

Belle schiuse le labbra, come per poter rimangiare ciò che aveva appena detto. Lui però la sorprese e, sorridendo nel suo modo particolare -nel loro modo particolare-, ovvero tirando su un lato delle labbra, le sussurrò: “Mi sei mancata anche tu.”

Belle allora, con le lacrime agli occhi, lo strinse a sé ancora di più e lo baciò appassionatamente, così tanto che, poco dopo, tornarono a fare l'amore, l'uno stretto tra le braccia dell'altra.

Belle si addormentò sul petto dell'uomo, cullata dalle sue carezze. Anche Wirral, per la prima volta, riuscì ad addormentarsi senza lasciare la radio accesa sui canali calcistici, e, cosa ancora più strana, con un sorriso sulle labbra.


 

Quando sopraggiunse l'alba, Belle fu svegliata da un raggio di sole che si era infiltrato tra le tende della camera. Sorrise, vedendo che l'uomo era ancora addormentato. Lo baciò piano sul petto e si alzò, pronta a vestirsi senza far rumore per non svegliarlo.

Fu una piccola impresa, visto che dovette raccattare i suoi abiti sparsi per tutta la camera. Trovò la camicetta sotto i calzini dell'uomo e fu in quel momento che capì.

Il suo Rumple non avrebbe mai preso calzini a righe di quel colore. Così come non avrebbe mai indossato abiti sportivi. Persino la taglia della maglietta era diversa.

Si morse il labbro e si girò verso l'uomo. L'espressione nel sonno era la stessa, persino le stesse rughe appena accennate ai lati della bocca erano identiche. Eppure quello non era il suo Rumplestiltskin, il suo signor Gold, il suo Signore Oscuro.

Forse era una copia, forse un alter ego, ma non era lui. Si era beata di quell'illusione, cercando di lenire il dolore e il vuoto che l'attanagliavano.

Forse lui avrebbe voluto che lei si rifacesse una vita, che fosse felice di nuovo, ma Belle, in fondo, sapeva che non era quella la via. Avrebbe vissuto con un fantasma, condannando un'altra persona a vivere un amore a metà.

Non poteva fargli questo, non poteva fare questo a Rumple e nemmeno a sé stessa. Per questo si rivestì in fretta e capì cosa doveva fare.

Gli scrisse una lettera; era sempre stata brava con le parole. La mise sul comodino e si fermò un attimo ad osservare l'uomo. Fece scivolare la mano sui capelli, cercando di imprimere quella sensazione nella mente. Gli accarezzò la guancia, come faceva sempre con lui, 'altro lui, quello vero.

Chiuse gli occhi e, sorridendo, lasciò che una lacrima cadesse sul letto. Sarebbe stata l'unica traccia vera di lei, prima di scomparire.


 

Il pubblico era in piedi sugli spalti. Anche se erano in pochi ad assistere, il boato aveva riempito lo stadio del Maine Road. Jimmy Grimble aveva appena segnato e questo voleva dire che la rimonta stava iniziando, c'era ancora una possibilità per il Greenock.

E infatti, dopo altri due goal, la sua squadra aveva vinto. Eric assaporò solo un grammo della felicità che aveva provato parecchie sere prima, tra le braccia di Belle.

Non l'aveva più vista dopo quella notte. Al risveglio lei non c'era, come molti dei suoi oggetti. Di suo era rimasta solo una lettera. Una lettera che aveva letto e riletto fino a impararla a memoria.

L'aveva lasciato perché l'amava troppo e perché lei non era la sua Belle. L'aveva lasciato nonostante il forte dolore nel farlo, e l'aveva pregato di non smettere di lottare, di continuare a credere, sperare e ridere, come l'aveva visto fare così poche volte che poteva contarle sulle dita di una mano.

Aveva anche aggiunto che, per quanto bello fosse, né lei né lui potevano vivere nel passato, ma dovevano solo festeggiarlo, di tanto in tanto, ricordandosi che il futuro non è sempre quello che sembra.

Quelle parole non le aveva capite subito. Era rimasto sorpreso e poi era passato alla fase della non accettazione. Quando aveva capito che lei non sarebbe tornata, si era arrabbiato, fino a cercare di capire dove avesse sbagliato.

E ora, mentre correva incontro a Jimmy e lo abbracciava, capì improvvisamente ogni parola. Si era reso conto che il passato era passato e che, se non fosse stato così, non avrebbe mai potuto vivere quel momento e, soprattutto, conoscere lei.

Non importava se non l'avrebbe più rivista, non poteva farci niente. Ma almeno aveva potuto conoscerla e provare un po' d'amore e di speranza, anche se per un breve istante.

L'avrebbe fatto per lei, non sarebbe più ricaduto negli stessi errori. Ora era pronto a cominciare a vivere, di nuovo.


 

Era lontana, ma riusciva comunque a scorgerlo. Eccolo portare dietro il piede e colpire il pallone che finiva in rete, un attimo prima che le mani del portiere potessero fermarlo.

Lo vide esultare coi propri ragazzi, felice come un bambino, mentre rotolava a terra per il goal appena segnato. Sembrava che avesse ritrovato la via, la speranza.

Belle strinse di più lo specchio e sorrise. Ora poteva andare e tornare a vivere anche lei.





Note dell'Autrice

  • Eric al bar non beve alcool, è una coca cola.

  • Purtroppo Rumplestilstskin è morto, Zelena non è apparsa (o per lo meno non ancora) in questa storia.

  • “Stella” si riferisce a un tipo di birra, in alcune zone dell'Inghilterra invece di dire birra, capita che la chiamino direttamente stella (se è di quella marca).

  • La scelta del cognome Morrison per gli ex vicini di casa di Eric nasconde un significato, rifacendosi alla frase “La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo” di James Morrison. La cosa vuole sottolineare che Belle ha usato lo specchio per vivere e che, grazie ad esso, ha scoperto cos'era giusto fare e come doveva affrontare il passato, il presente e il futuro. Inoltre lo specchio ricorre anche nella vita di Eric, quando afferma che nemmeno lui guarda se stesso allo specchio come fa Belle con lui.

  • Ci sono vari riferimenti e giochi di parole, sia interni al film stesso che ad alcune puntate di OUAT:

  1. “Tempi d'oro” gioco di parole col cognome di Rumple a Storybrooke (riuscirebbe meglio in inglese).
  2. “Avevo paura” come Rumple, anche Wirral cerca sente il peso della paura e cerca di combatterla senza però trovare il coraggio dentro di sé.
  3. “Quando sei arrivato così in alto, tutto il resto non ha più valore. [...] Sembra privo di senso” battuta che Eric rivolge a Jimmy (47° minuto)
  4. “Forse devi soltanto trovare qualcosa per cui valga la pena combattere, ancora.” ricalca la battuta di Belle (e prima di Mulan) della 2x11 (OUAT)
  5. “Il suo problema? È che lei non ha le palle.” battuta di Gordon Burley (29° minuto)
  6. Nella lettera che Belle scrive a Wirral dice che spesso il futuro non è come sembra, cosa che riprende le parole rivolte a Gold nella puntata 2x22 (OUAT)
  7. Lo specchio è simile a quello de “La Bella e la Bestia” (Disney)

 

 

 

 

  
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