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Autore: AryYuna    27/03/2015    2 recensioni
[SPOILER DECIMA SERIE]
Dean scattò a sedere, ansimando come se avesse corso per miglia, tremando come in mezzo alla neve. Si passò una mano tra i capelli sudati, e un brivido lo scosse. Erano ore che cercava senza successo di addormentarsi, e il silenzio, la quiete lo stavano facendo impazzire.
Ambientata dopo la 10x14. Angst, Hurt/Comfort.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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   Uhm… questa fic non doveva esistere. Nel senso che ho nove fic iniziate che non mi decido (o non riesco) a portare avanti, eppure questa si è scritta praticamente da sola. Di notte. Mentre cercavo disperatamente di dormire XD
   Tutta colpa della 10x14, sappiatelo. Cacciate Carver e date il posto da showrunner a chi ha scritto la 10x14!
   Ah, e sempre perché lo sappiate: Lebabon, Kansas, esiste sulla mappa, ma è un paesello di poco più di duecento anime nel mezzo del nulla, non ci sono boschetti con bunker nascosti, intorno. Questo succede a girare nel piovoso Canada spacciandolo per l’arido centro-America XD
   

   Disclaimer: sfortunatamente SPN non mi appartiene. Se mi appartenesse… beh, tanto per cominciare significherebbe che avrei contatti con Jensen Ackles e Jared Padalecki (e a proposito, nel caso ve lo chiedeste, nemmeno loro mi appartengono, purtroppo), e che ci sarebbe qualcuno a picchiare lo sceneggiatore di turno ogni volta che va OOC. Cioè sempre.
   
   
Potete trovare questa storia in inglese qui.



Infantile convinzione



   Il Marchio urlava. Aveva fame, voleva essere nutrito.
   Dean si girava e rigirava nel letto senza trovare pace dall’incessante e doloroso pulsare del simbolo demoniaco sul suo braccio; senza riuscire a sfuggire al suo insistente gridare. Nutrimi. Nutrimi. Nutrimi.
   
Non riusciva a dormire. Era stanco, ma l’adrenalina che gli scorreva senza sosta nel corpo gli impediva di prendere sonno, di permettere alla sua mente di dimenticare per qualche ora l’orrore che il suo futuro gli prospettava.
   Nutrimi. Nutrimi. Nutrimi.
   
Non posso, pensava Dean. Non cederò.
   Ma la sua risolutezza stava lentamente scemando. La pelle sudata, il respiro affannoso, Dean sapeva che presto avrebbe ceduto; non voleva, ma sapeva che sarebbe accaduto. E l’unica persona su cui sfogare il suo bisogno – del Marchio, non suo, del Marchio – di sangue era…
   Nutrimi. Nutrimi.
   «E poi verrà l’omicidio a cui non sopravvivresti mai, quello che ti trasformerà in un selvaggio, come ha fatto con me. Tuo fratello, Sam.»
   
NO!
   Dean scattò a sedere, ansimando come se avesse corso per miglia, tremando come in mezzo alla neve. Si passò una mano tra i capelli sudati, e un brivido lo scosse. Erano ore che cercava senza successo di addormentarsi, e il silenzio, la quiete lo stavano facendo impazzire. Aveva bisogno di muoversi, di fare. Si alzò e cercò a tentoni nel buio le scarpe e la giacca, prese le chiavi dell’Impala dalla scrivania invasa di libri e carte – inutili ricerche – e percorse quasi correndo il bunker, disperato per un po’ di aria fresca, qualcosa che lo distraesse dalla voce del Marchio che continuava a gridare. Nutrimi. Nutrimi. Nutrimi.
   
   Nutrimi del sangue di tuo fratello.
   

   Non prese l’Impala. Sapeva di non essere sufficientemente lucido per mettersi alla guida, e non voleva rischiare di fare del male alla sua piccola – e a qualche innocente pedone. Si incamminò per la strada sterrata che portava lontano dalla città, sperando che la lontananza da qualsiasi forma di vita umana gli facesse dimenticare per un po’ la sete di sangue.
   Ma il silenzio amplificava il richiamo del Marchio.
   Vagò nel boschetto che circondava il bunker, il passo spedito come se avesse una direzione precisa in mente, la voce di Caino nelle orecchie, il dolore al braccio che gli impediva di pensare, finché non vide un movimento tra gli alberi. Si bloccò, e l’eco del sangue che gli pulsava nelle vene – nel Marchio – coprì tutto il resto. E a quel punto non si rese conto più di nulla.
   
   Sam si svegliò di colpo, e per un lungo momento si chiese perché: la sveglia non aveva suonato, la sua vescica era vuota, non sentiva odore di caffè. Ma il suo cuore batteva all’impazzata, i peli erano ritti sulla pelle formicolante, tutti i sensi tesi a cogliere il minimo cambiamento.
   La sua mente scacciò le ultime tracce di sonno e Sam si alzò lentamente, la pistola che teneva sotto il cuscino stretta nella mano tesa davanti a sé, puntata verso la porta.
   «Dean?» chiamò uscendo nel corridoio, certo che anche in pieno sonno suo fratello avrebbe sentito la sua voce e sarebbe accorso. Ma gli rispose solo il silenzio. Confuso, la pistola ancora sollevata, pronta a sparare, si avvicinò alla camera del fratello, scoprendola vuota, il letto disfatto, stivali e chiavi dell’Impala assenti.
   Si voltò e si diresse con decisione – e panico, Sam, ammettilo – verso la cucina, la biblioteca, la sala della mappa.
   E si fermò congelato sul posto, il respiro mozzo, gli occhi spalancati, incredulo. Spaventato.
   «Dean?» chiese con un filo di voce.
   Suo fratello era in piedi accanto alla scala da cui era appena sceso, la mano ancora sulla balaustra come se fosse l’unica cosa a impedirgli di cadere, le palpebre pesanti, le pupille dilatate, il respiro corto. E sangue, sangue ovunque.
   Il déjà-vu fece girare la testa a Sam. Aprì e chiuse la bocca due volte prima di riuscire a emettere un suono.
   Dean alzò lo sguardo su di lui lentamente, come se gli costasse uno sforzo sovrumano.
   «Non è mio» sussurrò, e per Sam fu come una secchiata di acqua gelida; perché suo fratello non reggeva alcuna arma, ma c’era sangue sulle sue mani, sotto le unghie, tra i denti.
   «Ok. È… È tutto ok» disse col tono di chi approccia un branco di leoni affamati, ma in realtà parlava a se stesso, cercava di convincere se stesso che ci fosse ancora qualcosa che fosse davvero ok.
   Posò la pistola sul tavolo e fece un tremante passo in avanti, le mani sollevate a placare l’altro; ma non c’era nulla da placare, Dean sembrava a stento capace di reggersi in piedi, figuriamoci di attaccare – di attaccare lui – ma Sam non riuscì a impedirsi di avere paura.
   «È tutto ok, Dean» ripeté con voce calma, spezzata dall’orrore e dalla disperazione che sentiva farsi strada nella sua gola.
   Dean non si mosse. Sembrava respirare appena.
   Sam gli fu accanto, gli posò una mano insicura sulla spalla, e Dean abbassò lo sguardo, incapace di incontrare quello del fratello minore così da vicino.
   C’erano tagli e abrasioni sulla pelle del viso e delle mani, strappi sulla giacca di tela e la maglietta sottostante.
   E quanto era orribile sperare che parte di quel sangue fosse di suo fratello? Che l’innocente su cui il Marchio aveva sfogato la sua rabbia non fosse così innocente, che avesse cercato di ferire Dean, che ci fosse riuscito, prima che il cacciatore lo facesse a pezzi con le mani nude?
   Sam strinse la spalla del fratello; si aggrappò a quella speranza mentre portava l’altra mano al suo viso per sollevarlo verso di lui, esaminarlo alla luce, leggere nei suoi occhi una rassicurazione che non c’era.
   «Vieni» gli disse con dolcezza spostando la presa sul braccio dell’altro per sorreggerlo e guidarlo verso una delle sedie. Dean barcollò per qualche passo, ma Sam gli impedì di cadere.
   Qualsiasi cosa fosse successa, Sam sarebbe stato al suo fianco a impedirgli di cadere.
   «Vado a prendere il kit del pronto soccorso, ok? Tu resta qui» disse guardandolo, ma Dean spalancò gli occhi come preso dal panico. «Torno subito, Dean. Il tempo di arrivare al bagno.»
   Ma Dean scuoteva la testa febbrilmente, gli occhi verdi improvvisamente troppo grandi per il suo viso, troppo brillanti in mezzo a tutto quel sangue.
   «Ok. Ok, Dean. Andiamo insieme, allora, va bene?» cercò di calmarlo Sam, sentendolo tremare sotto le sue mani. Lo guidò lentamente verso il corridoio che conduceva ai quartieri privati del bunker, e a ogni passo suo fratello si faceva più pesante, si poggiava un po’ di più a lui. Non erano nemmeno a metà strada quando le sue ginocchia cedettero e Sam si ritrovò a sostenere tutto il suo peso.
   «È tutto ok, Dean» gli sussurrò ancora all’orecchio, facendolo sedere delicatamente sul pavimento, stringendolo a sé. Dean non rispose. Sam respirò a fondo, disturbato dalla passività – dalla vulnerabilità – del fratello.
   Era come dopo la battaglia con Caino, quando Dean gli era praticamente crollato tra le braccia, svuotato, indebolito nel corpo e nella mente da quel lungo scontro con il primo Cavaliere dell’Inferno – contro se stesso. Sam era spiazzato, terrorizzato: quello non era Dean; Dean era una roccia, era una certezza incrollabile, era un punto di riferimento saldo e immutabile. Vederlo sconfitto – da qualcosa che era dentro di lui – era un’eresia, una bestemmia.
   Sam gli passò le dita tra i capelli, ripetendo incessanti e vuote rassicurazioni quasi senza accorgersene.
   Odiava dover essere quello forte, Sam. Per quanto avesse a lungo lottato per dimostrare il proprio valore, com’era normale per i fratelli minori di tutte le famiglie normali, detestava essere costretto dalle circostanze in quella posizione, perché significava che Dean, il fratello maggiore, il suo eroe, era sconfitto. E l’eroe non può essere sconfitto. Soprattutto non da se stesso.
   «È tutto ok» ripeté ancora, stringendo i denti e facendo scivolare il braccio libero sotto le ginocchia del fratello; si alzò in piedi sollevandolo tra le braccia come se non pesasse niente – sbagliato, sbagliato, tutto ciò era sbagliato – e lo portò nel bagno in fondo al dormitorio per lavargli via il sangue dal viso, disinfettargli le ferite, prendersi cura di lui.
   Sbagliato, sbagliato.
   Dean subì in silenzio le cure del fratello, lo sguardo basso e pieno di vergogna; Sam continuò a blaterare parole di conforto che era certo suo fratello non udiva e, per quanto se ne sentisse in colpa, fu con gioia che scoprì che due ferite necessitavano di punti – significava che Dean era stato attaccato, che non era stata solo furia omicida, che il suo avversario aveva avuto una chance, per quanto piccola.
   Quando ebbe annodato l’ultima sutura e tagliato il filo in eccesso, il respiro di Dean si era fatto più lento e regolare, e Sam si arrischiò a chiedergli cosa fosse accaduto.
   Il maggiore chiuse gli occhi.
   «Non volevo ucciderti» rispose solo, e Sam avrebbe voluto piangere, perché ancora una volta era per lui che Dean stava soffrendo, e per lui che un innocente… «Sono andato nel bosco. Per non rischiare di fare del male a nessuno» proseguì a sorpresa suo fratello con un filo di voce. Infilò la mano nella tasca sana della giacca e ne tirò fuori le chiavi dell’Impala. «Volevo prendere la macchina, ma… ma non so cosa avrei fatto se avessi incontrato qualcuno. Tienile tu, Sam. Per favore» supplicò senza il coraggio di guardare l’altro.
   Sam non riusciva a parlare. Era diviso tra la vergogna per aver pensato che suo fratello potesse davvero fare del male a un essere umano e la consapevolezza che non era di Dean che stava dubitando. Razionalmente, sapeva che tutto quel sangue da qualche parte doveva pur essere venuto e sperare che Dean potesse battere da solo il Marchio di Caino era folle e infantile.
   Dean doveva aver capito le ragioni del suo silenzio, perché finalmente alzò lo sguardo verso di lui e gli rivolse un sorriso triste.
   «Un branco di cervi» disse. «Immagino che gli animalisti mi odierebbero comunque, ma almeno… almeno non eri tu» concluse con voce spezzata tornando a fissarsi le mani.
   Trovandovi ancora le chiavi dell’auto, le porse di nuovo al fratello. Sam prese quel pezzetto di Dean, consapevole del significato di quel gesto, dell’importanza di quella rinuncia, e si arrese alla puerile convinzione che suo fratello fosse davvero invincibile.
   Chiuse la mano del maggiore tra le proprie, stupendosi, come tante volte fin da quando era ragazzo e aveva superato in altezza persino suo padre, di quanto fosse piccola paragonata alle sue, e quanto Dean fosse comunque grande ai suoi occhi; suo fratello sollevò finalmente la testa e incontrò i suoi occhi.
   Non disse nulla, Sam. Lasciò che fossero i suoi gesti a parlare. E sorrise.
   
   
   Un po’ melenso, il finale. Ma la 10x14 mi è piaciuta un sacco e mi ha fatto venire voglia di angst e protective!Sam – e volevo Sam che porta in braccio Dean, perché è tipo la mia kink suprema XD

   
 
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