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Autore: eugeal    27/03/2015    2 recensioni
Lo sceriffo è tornato e Nottingham è salva.
Durante l'assedio, Marian ha scoperto un lato di Guy di Gisborne che non conosceva.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Marian, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'From Ashes'
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Marian si trovò a fissare le travi del soffitto, come incantata dalle venature del legno.
A quanto pareva era stesa sul proprio letto, ma non aveva la più pallida idea di come ci fosse arrivata. Non ricordava affatto di essere tornata in camera e di essersi preparata per la notte e poi, notò, non era affatto notte.
Era stesa lì a guardare il soffitto e si sentiva la testa vuota.
Le facevano male le braccia e si rese conto che le stava stringendo convulsamente al petto e che tra di esse teneva qualcosa di morbido, intiepidito dal contatto con il suo corpo.
Avvicinò quell'oggetto al viso e inspirò a fondo: odore di cuoio, cavalli e mescolato ad essi anche un altro aroma più debole, ma molto familiare.
Guy.
La giacca nera che stringeva tra le mani aveva l'odore di Guy e se Marian chiudeva gli occhi poteva immaginare benissimo di essere accanto al cavaliere nero, come sempre.
Di solito, quando Marian era al castello e lui non era impegnato con i suoi doveri verso lo sceriffo, Guy non era mai troppo distante da lei.
A volte la sua presenza così invadente l'aveva infastidita, ma ora Guy non era lì.
C'era la sua giacca tra le mani di Marian, ma lui non era lì.
Perché era morto.
Guy.
Morto.
Le dita di Marian si strinsero convulsamente sulla giacca e la ragazza si alzò a sedere sul letto con un grido soffocato.
Quel pensiero era assurdo, irreale.
Guy di Gisborne poteva essere molte cose diverse: lo spietato braccio destro dello sceriffo, un uomo prepotente, passionale e a volte assurdamente ingenuo, ma non morto.
Guy era il tipo di persona che in un modo o nell'altro riusciva sempre a uscire più o meno illeso anche dal fallimento più disastroso e a Marian sembrava impossibile associarlo alla fine tremenda raccontata dal giovane soldato.
Gisborne catturato e torturato da banditi sconosciuti e poi ucciso senza la minima pietà, tra insulti e derisione?
Il cane dello sceriffo...
Il racconto del soldato risuonò fin troppo chiaramente nella mente di Marian e la ragazza si sentì gelare il cuore al pensiero che quelle forse erano state le ultime parole che Guy si era sentito rivolgere nella sua vita.
Un bussare sommesso alla porta le fece voltare la testa verso di essa e la ragazza disse di entrare.
Allan si affacciò sulla soglia e Marian pensò che sembrava essere invecchiato di colpo. Sembrava stanco, senza energie e l'espressione del suo volto era tirata.
Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi ad essa con la schiena.
- Abbiamo seguito le indicazioni del ragazzo. - Disse in tono piatto. - E li abbiamo trovati. Era tutto come aveva detto lui: i cavalli morti, i soldati massacrati...
- E Guy? - Sussurrò Marian, quasi senza voce.
- Ho trovato il suo cappotto gettato nel fango e poi c'erano delle corde legate a un albero. Il tronco... - Allan fece una pausa e deglutì, come per respingere un attacco di nausea. - Il tronco e l'erba intorno erano schizzati di sangue... E la sua spada era a terra, accanto ai corpi delle guardie... Abbiamo cercato lungo il dirupo e sulle rive del fiume, ma non siamo riusciti a trovare il suo... il suo corpo.
Allan si interruppe con una specie di singhiozzo e poi porse a Marian l'involto che aveva tenuto in mano fino a quel momento.
La giovane non fece nulla per prenderlo e non rispose, apparentemente pietrificata.
Allan fece qualche passo verso la ragazza seduta sul letto e depose accanto a lei la spada di Guy, senza fodero, ma avvolta nel cappotto di pelle nera macchiato di fango.
- Gisborne avrebbe voluto che li avessi tu, credo.
Marian guardò la spada, come ipnotizzata e ne sfiorò la lama affilata con un dito, senza accorgersi della fitta di dolore quando le incise la pelle.
Guardò la goccia di sangue che apparve sul suo dito, rosso brillante contro il pallore della mano, poi la fissò mentre scivolava lungo la sua unghia e si staccava, cadendo giù.
La goccia di sangue atterrò sulla giacca di Guy, che la ragazza teneva ancora in grembo.
Marian la guardò: un piccolo rubino che luccicava contro la pelle nera.
Poi cominciò a gridare.

Tuck rientrò nella grotta reggendo in mano il bastone appuntito su cui aveva infilzato i pesci che aveva catturato. Lo conficcò nel terreno accanto al focolare affinché il fumo tenesse lontane le mosche e controllò il liquido che bolliva nella pentola.
Ne versò un po' in un contenitore e ne assaggiò un sorso per controllare il giusto dosaggio delle erbe che aveva usato, poi si avvicinò all'uomo ferito e gli avvicinò la ciotola alle labbra.
Guy bevve, ma non accennò ad aprire gli occhi e rimase rannicchiato su un fianco a tremare di freddo nonostante la coperta in cui era avvolto.
Tuck gli toccò la fronte e non si sorprese di trovarla bollente per la febbre. Prese un panno pulito e lo bagnò nel secchio di acqua fredda che aveva appena portato dal fiume e lo usò per rinfrescare il viso e il collo del ferito.
Scostò la coperta e rimosse le bende per controllare lo stato delle ferite e si rallegrò nel vedere che per il momento non sembravano essersi infettate. Le pulì con l'unguento che aveva preparato e Guy si lamentò nel sonno, ma non riprese conoscenza.
Da quando lo aveva portato nella grotta aveva riaperto gli occhi solo un paio di volte e aveva perso di nuovo i sensi quasi subito, ma Tuck non era preoccupato per quel motivo: per guarire il corpo aveva bisogno di tempo e di energie e dormire lo avrebbe aiutato a risparmiare le forze.
Il vero pericolo potevano essere la febbre e l'infezione, ma il ferito era giovane, forte e non debilitato da malattie o malnutrizione perciò Tuck aveva buone ragioni per pensare che sarebbe riuscito a riprendersi.
Bagnò di nuovo il panno nel secchio e lo rimise sulla fronte di Guy, poi tornò a sedersi accanto al fuoco, prese un coltello e iniziò a pulire i pesci.

Lo sceriffo addentò un cosciotto di pollo, strappandone via la carne con i denti sani e masticò rabbiosamente.
Era ancora infuriato per l'accaduto: quell'idiota di Gisborne si era fatto ammazzare nel modo più stupido che si potesse immaginare e lui aveva perso l'occasione di assassinare re Riccardo.
Il piano era praticamente perfetto: raggiungere il sovrano in Terra Santa e ucciderlo prima che Robin Hood potesse fargli arrivare il Patto e avvisarlo della congiura.
Il problema era che Vaisey aveva dato per scontato che anche stavolta Gisborne sarebbe stato l'assassino mandato a uccidere il re.
A parte quella sciocca infatuazione per la lebbra in gonnella, Gisborne aveva sempre obbedito senza protestare ai suoi ordini, anche a quelli più insensati, impartiti apposta per verificare la sua cieca lealtà.
Se glielo avesse ordinato, Guy di Gisborne avrebbe ucciso il re, lo sceriffo ne era sicuro.
Il suo braccio destro era uno strumento perfetto e ora lo aveva perso. Vaisey non provava dispiacere per la morte di Gisborne, lui stesso non avrebbe esitato a sacrificarlo, addossandogli la colpa del regicidio una volta esaurito il suo scopo, ma non sopportava l'idea che i tanti anni spesi per addestrare il cavaliere nero a eseguire ogni suo comando fossero andati sprecati senza ottenere il minimo risultato.
Ora avrebbe dovuto trovare qualcun altro da utilizzare per portare avanti i suoi piani.
Lo sceriffo staccò un altro morso dalla coscia di pollo.
   
 
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