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Autore: Vale11    30/03/2015    2 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Se nella volta ci fosse vostra madre, non vorreste salvarla?”
Girolamo decide che forse quella è la prima volta in cui l’artista non sa di cosa parla, letteralmente. Non gli piace pensare che un uomo come Da Vinci non sappia a cosa si riferisce, quindi decide che prima o poi lo illuminerà sulla questione. Poi, si trova appeso a una sacca d’aria, su nel cielo del nuovo mondo, e l’atterraggio è quello che si dovrebbe aspettare un’anima pesante come la sua. Si aspetta di essere lasciato a morire nella foresta, circondato da alberi che non ha mai visto, e…quel coso è un fiore o una brutta copia del creato del Signore? Non riesce a deciderlo, perché le mani di Da Vinci si chiudono sui due tronconi d’osso che gli sporgono fuori dalla gamba e li spostano finché non sono tornati al loro posto. L’ultimo pensiero coerente è lo stupore di non aver spezzato il ramo che gli è stato messo in bocca per non farlo urlare. Buio. Girolamo si scorda anche del fiore.
Il tragitto fino alla costa non è ne breve ne piacevole: Nico e Da Vinci lo portano a spalla fino al mare, poi lo aiutano a sedersi su uno scoglio e lo lasciano li, intontito dal dolore e dagli avvenimenti delle ultime trentasei ore.
“Se nella volta ci fosse vostra madre, non vorreste salvarla?”
Girolamo Riario si tortura le mani per la prima volta da secoli, è come se avvertisse il bisogno di parlare e quello di non farlo simultaneamente. Il litigio fra bocca e testa diventa così aspro che alla fine cede, e chiede a Nico di farlo parlare con l’artista: i pochi secondi che impiega Da Vinci per lasciare il fianco di Zoroastro e avvicinarsi al suo sono conditi da ripensamenti e indecisioni così continui che gli danno il capogiro. Da Vinci gli porge qualcosa da mangiare, si scusa per non aver niente con cui lenire il dolore e si siede accanto a lui, guardandolo come se lo trovasse davvero interessante. Ma poi, agli occhi di qualcuno che ne capisce i meccanismi, tutto il creato deve sembrare interessante. Girolamo si chiede se Da Vinci sia in grado di capire anche i suoi, di meccanismi. E’ tentato di chiederglielo, di farselo spiegare, perché lui non capisce più niente di se stesso. E’ eroso dai dubbi, corroso dalla disperazione e anche la gamba rotta non è che lo aiuti. Piega le labbra nel suo sorriso freddo, studiato. C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna.
“Nessuno vede grazia, in me”
“Io si”
Smette di sorridere. L’artista lo sta ancora guardando. 
Gli racconta tutto: di come suo padre, il Papa usurpatore, lo abbia prelevato dal monastero in cui era stato abbandonato, di come lo ha forgiato e trasformato fino a farlo diventare la spada della Chiesa, di come l’ha distrutto e rimodellato fino a trasformarlo in quello che sente di essere: un cane da guardia cieco ad ogni intelletto, aizzato contro un peccato che non riesce più a scorgere se non in se stesso e nell’uomo che guida la Chiesa di Roma. Gli dice anche di sua madre. Di come Sisto l’abbia mandato ad ucciderla senza dirgli chi fosse, di come si erano riconosciuti a vicenda mentre le sue mani si stringevano sul suo collo. 
Di come avesse stretto più forte, in quel momento. Per il desiderio di compiacere suo padre, per la vendetta contro una madre che si era limitata a farlo, e poi l’aveva abbandonato. Non lo sapeva. Non lo sa nemmeno adesso. 
Non sa nemmeno perché abbia deciso di raccontare tutto a Da Vinci. 
Non capisce nemmeno come ci sia riuscito, considerando che fatica a raccontarlo pure a se stesso. Forse conta di non tornare vivo da Roma, forse aveva voglia di confidarsi con qualcuno. E ha scelto Da Vinci.
Non si ritiene qualcuno un nemico se non lo si stima fino in fondo. E, forse, Girolamo sta addirittura iniziando a pensare a Da Vinci come a un alleato. Non gli dice che il Papa che siede sul trono è un falso Papa, ne che il legittimo erede al soglio di Pietro sia chiuso a Castel Sant’Angelo. Ma ne avrebbe voglia. E bisogno.
Ma non lo fa.
Da Vinci lo guarda, forse senza sapere cosa dire per la prima volta, poi gli chiede se era la tomba di sua madre, quella a cui l’ha visto portare dei fiori. Non si chiede nemmeno come possa saperlo, l’artista. Non si pone il problema. Annuisce. Pensa a sua madre.
Pensa a Zita.
“Guardate a cosa mi ha portato, la fede”

  
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