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Autore: eugeal    31/03/2015    2 recensioni
Lo sceriffo è tornato e Nottingham è salva.
Durante l'assedio, Marian ha scoperto un lato di Guy di Gisborne che non conosceva.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Marian, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'From Ashes'
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Marian lanciò il cavallo al galoppo e per qualche secondo il piacere di quella corsa con il vento tra i capelli dissipò ogni altro pensiero. Il suo cavallo era veloce, ma aveva un passo morbido e sicuro e le dava sempre l'impressione di poter volare.
Era stato Guy a regalarglielo qualche tempo prima, quando ancora era convinto di poter conquistare il suo cuore con doni costosi che lei regolarmente ignorava. Quello forse era stato l'unico regalo che lei aveva apprezzato davvero e che l'aveva fatta sentire grata nei suoi confronti.
Ora invece pensare a Gisborne a alla sua ansia maldestra di compiacerla la faceva sentire triste e smorzava l'emozione gioiosa che provava sempre quando cavalcava a briglia sciolta.
Tirò le redini per rallentare il cavallo mentre si addentrava nella foresta.
Pensò con un brivido ai banditi che avevano attaccato Guy e cercò di scacciare quel pensiero con tutte le sue forze.
Il dubbio che la tormentava era troppo orribile per essere espresso a parole, ma doveva assolutamente trovare una risposta, perciò non poteva tornare indietro.
Fermò il cammino dell'animale, improvvisamente certa di non essere più sola e un attimo dopo la figura familiare di Robin Hood si staccò dall'ombra di un albero per andarle incontro.
Robin si avvicinò e rimase a guardarla con un'espressione indecifrabile mentre Marian scendeva da cavallo.
Per qualche secondo rimasero a guardarsi senza parlare, ma nei loro sguardi non c'erano più la complicità e la gioia che li aveva illuminati fino a poco tempo prima quando bastava solo un'occhiata per capirsi ed essere felici per il semplice fatto di essere insieme.
Fu Marian a spezzare il silenzio.
- Guy è morto. - Disse in tono piatto, anche se le sue stesse parole le suonavano sbagliate.
Robin rimase impassibile.
- Lo so.
- Sei stato tu?
L'espressione neutra di Robin sembrò sgretolarsi a quella domanda e Marian capì che in quel momento qualcosa si era spezzato per sempre tra loro.
- È quello che credi?
La ragazza lo guardò con le lacrime agli occhi.
- Hai detto che lo avresti ammazzato se solo avesse osato toccarmi... Continuo a pensare a quelle parole... So che non sei stato tu, che non sei un assassino, ma poi mi torna in mente la tua rabbia e il dubbio torna a tormentarmi. Devo sentirlo dalla tua voce, Robin.
- Gisborne meritava la morte. - Disse Robin, seccamente e Marian tremò nel sentire il gelo nella sua voce. - Ma non sono stato io a dargliela. Non sono un vigliacco, Marian, io non tendo agguati e il fatto che tu abbia dovuto chiedermelo per esserne certa mi distrugge.
Il fuorilegge le voltò le spalle e la ragazza lo chiamò con un singhiozzo.
- Robin...
- No, Marian. No.
Marian si coprì il volto con le mani per nascondere le lacrime e, quando tornò ad alzare lo sguardo poco dopo, Robin Hood era sparito.
La ragazza appoggiò il viso alla fronte del cavallo e chiuse gli occhi, improvvisamente esausta.
Sapeva di aver rovinato qualcosa facendo quella domanda a Robin, ma se non l'avesse espresso, quel dubbio sarebbe rimasto a divorarla da dentro.
Il respiro del cavallo le sfiorava la guancia come una specie di carezza e Marian alzò una mano per grattare piano il muso dell'animale.
Non si era mai sentita così sola in vita sua.

Allan si affacciò alla finestra del porticato che dava sul cortile del castello e guardò nervosamente il cancello per l'ennesima volta in pochi minuti.
Finalmente vide rientrare Marian, in sella al suo cavallo e si affrettò a raggiungerla.
La ragazza sembrò sorpresa di vederlo arrivare di corsa.
- Allan. Cosa succede?
- Devi venire subito! Stanno aspettando solo te!
- Chi mi aspetta?
- Lo sceriffo, tuo padre e un notaio arrivato al castello qualche ora fa. Dice di avere un documento che vi riguarda e dovete essere tutti presenti.
La ragazza aggrottò la fronte, perplessa. Non aveva idea di cosa potessero volere da lei, ma si affrettò comunque a seguire Allan dopo aver affidato il cavallo a uno stalliere.
Quando entrò nella sala principale, Marian notò subito l'aria irritata dello sceriffo e l'ansia malamente nascosta di suo padre.
Vaisey blaterò qualche insulto sull'inutilità delle donne, poi esortò sgarbatamente il notaio a procedere visto che la lebbra si era finalmente degnata di arrivare.
L'uomo non si scompose davanti all'atteggiamento dello sceriffo e stese sul tavolo una pergamena dall'aspetto importante, autenticata da sigilli di ceralacca.
- Cos'è? - Chiese Marian, incuriosita.
- Il testamento di Sir Guy di Gisborne. Sono stato incaricato di informarvi delle sue ultime volontà.
La ragazza non disse nulla, ammutolita da quelle parole. Anche se continuava a ripeterselo, Marian non riusciva ancora a realizzare pienamente che Guy fosse morto e quel documento dall'aria così ufficiale la atterriva. Quando il notaio avesse spiegato loro il suo contenuto, la morte di Guy sarebbe sembrata molto più reale e lei non voleva che ciò avvenisse.
- Gisborne aveva fatto testamento? - Chiese lo sceriffo, con un lampo di avidità negli occhi. - E cosa avrebbe lasciato?
- Le terre e il villaggio di Locksley saranno restituite allo sceriffo di Nottingham affinché possa gestirle per conto del Re, ad eccezione della casa di Sir Guy e dei suoi beni personali che spetteranno a Sir Edward e a sua figlia Marian.
Lo sceriffo scoppiò in una risatina maligna.
- Sir Edward è un mio prigioniero. Non vedo come possa ereditare alcunché.
Il notaio scosse la testa con aria grave.
- Sir Guy ha lasciato istruzioni precise in merito: se a Sir Edward non verrà concessa la grazia, un plico contenente informazioni molto delicate verrà recapitato nelle mani di re Riccardo. Anzi, mi sono permesso di preparare i documenti necessari per il rilascio del prigioniero, dovrà solo firmarli, mio signore.
Vaisey guardò il notaio, improvvisamente livido di rabbia.
Quello era un ricatto bello e buono e la cosa assurda era che proveniva da Gisborne.
Da Gisborne morto!
Pensò di chiamare le guardie e di far giustiziare sul posto tutti i presenti, ma sicuramente il notaio si era premurato di fare in modo che almeno una copia del documento in questione arrivasse a destinazione in caso di una sua fine prematura.
Gisborne era stato a conoscenza di tutti i suoi piani, se ne avesse elencati anche solo una minima parte in quel documento, Vaisey sarebbe stato impiccato per alto tradimento nel giro di pochi giorni.
Decise che perdere la casa di Locksley e gli averi di Gisborne era un misero prezzo da pagare per mantenere il segreto e firmò rabbiosamente le carte preparate dal notaio, apponendovi poi il proprio sigillo.
- A quanto pare Gisborne ha fatto in modo di pagare la sua amante. - Disse, guardando Marian con disgusto. - Ora sparite, non voglio più vedere nessuno di voi al castello. Avete tempo fino al tramonto per andarvene.

Allan controllò personalmente che i servitori del castello sistemassero l'ultimo baule sul carro, poi si mise lui stesso alle redini.
Sir Edward e Marian si avvicinarono camminando piano. La ragazza sosteneva il padre, ancora malfermo sulle gambe, ma sembrava essere più pallida del genitore malato.
Allan aiutò l'uomo a salire tendendogli la mano e tirandolo su, poi si voltò verso Marian per aiutare anche lei, ma la ragazza era già salita da sola e si era seduta accanto al padre.
Allan fece schioccare le briglie e il cavallo si avviò lentamente. Marian lanciò al giovane un'occhiata perplessa.
- Che ci fai qui? Avrei potuto guidare io stessa il carro.
Allan alzò le spalle.
- Io lavoravo per Gisborne, non per lo sceriffo. Ora che lui non c'è più non ho la minima intenzione di restare alla mercé di quel demonio. Se vorrete considerarmi come se fossi una parte dell'eredità verrò a Locksley al vostro servizio, altrimenti troverò qualche altro posto in cui andare.
Allan aveva parlato in tono leggero, ma Marian riconobbe una supplica velata nelle sue parole. Se lei e suo padre gli avessero detto di no, il giovane non avrebbe avuto alcun luogo a cui tornare.
Di certo i fuorilegge non avrebbero accettato di riprenderlo nella sua banda.
Il ricordo della sua ultima conversazione con Robin le provocò una stretta al cuore, ma si costrinse a scacciare quel pensiero e sorrise ad Allan.
- Temo che la paga non sarà molto alta, però.
Allan sollevò di nuovo le spalle in tono indifferente, ma la sua espressione si rilassò visibilmente.
Per un po' rimasero in silenzio mentre il cavallo trottava lungo la strada polverosa, poi Marian si rivolse al padre.
- Eri a conoscenza del testamento di Guy?
Sir Edward scosse il capo.
- No, non mi sarei mai aspettato nulla del genere.
- Forse risale al periodo in cui avevi promesso di sposarlo. - Suggerì Allan. - Probabilmente ha dimenticato di annullarlo dopo che lo hai lasciato all'altare...
Marian chinò lo sguardo per non lasciar trapelare il rimorso provocato da quelle parole, ma fu suo padre a rispondere.
- No, ho visto la data sul documento. Sir Guy ha stipulato quel testamento poco tempo dopo la distruzione di Knighton Hall. Ho l'impressione che questo possa essere il suo modo di rimediare all'incendio...
- Guy non ha mai detto nulla in proposito. - Disse Marian, stupita.
- Credo che si fosse pentito del suo gesto. - Commentò Edward e Marian scattò, nervosa.
- Se è vero, allora perché ti ha lasciato a marcire nelle segrete?!
Marian cercò di ricordare tutta la rabbia che aveva provato nei confronti di Gisborne quando Sir Edward era stato imprigionato nei sotterranei del castello e si sforzò di ravvivarla pensando alle condizioni in cui suo padre era stato costretto a vivere.
Pensò anche alla rabbia gelida di Guy quando l'aveva costretta a supplicarlo di non incendiare Knighton Hall e all'odio che aveva provato per lui quando alla fine aveva bruciato lo stesso la sua casa.
Guy di Gisborne era stato anche questo, Marian non doveva dimenticarlo, anzi voleva sforzarsi di pensare a lui come aveva sempre fatto in passato, come al crudele braccio destro dello sceriffo.
Forse così sarebbe stato più facile continuare la propria vita e non pensare a come era terminata quella di lui.
Allan scosse la testa.
- Ora sei ingiusta. Che Gisborne non fosse un santo lo sanno tutti, ma ha sempre fatto in modo che a tuo padre venisse riservato un trattamento dignitoso. Spesso mi ha incaricato di portare a Sir Edward cibo nutriente o una coperta in più quando non poteva farlo di persona.
Marian si voltò a guardare il padre.
- Guy veniva a trovarti?
- Sì, anche se non parlava mai molto. Di solito si limitava a informarsi sulla mia salute e se fossi trattato bene dalle guardie e poi andava via senza aggiungere altro.
- Se era tanto preoccupato della tua salute, avrebbe potuto liberarti!
- Nemmeno lui avrebbe potuto contrastare apertamente gli ordini dello sceriffo. E poi immagino che se avesse lasciato andare me, tu non saresti rimasta al castello.
- No, direi di no.
Marian si disse che quello era un altro motivo più che valido per non sentirsi troppo dispiaciuta per la morte di Guy, come si poteva sentire la mancanza di un uomo che aveva usato la debolezza di suo padre per tenere legata lei?
Eppure non riusciva a fare a meno di pensare che quella non era altro che un'ennesima dimostrazione dei sentimenti che Guy provava per lei, un'altra sfaccettatura di quel bisogno disperato di averla vicina che spesso le aveva dimostrato.
Le venne in mente quell'ultima notte, quando l'aveva abbracciata nel sonno, supplicandola di non lasciarlo e fu costretta a voltare il viso di lato per asciugarsi una lacrima di nascosto, per non farsi vedere da Allan e da suo padre.
- Marian. - Sir Edward la chiamò con dolcezza e la ragazza lo guardò. Il padre le sfiorò una guancia con un dito. - Non vergognarti di piangerlo. Forse lo faceva nel modo sbagliato e forse non era la persona che avevi scelto, ma Sir Guy era davvero innamorato di te, altrimenti non gli avrei concesso la tua mano.
La ragazza annuì.
- Lo so.
   
 
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