capitolo
P
R I M O
Era una questione di principio.
«Sas’ke» Itachi lo chiamò,
appoggiandosi alla porta della sua stanza. Lo osservò seduto sul letto, con la
schiena curva e un libro appoggiato sulle lenzuola. Sasuke alzò lo sguardo,
guardandolo attraverso le lenti degli occhiali. «Vado a fare la spesa, vuoi
qualcosa?» gli chiese gentilmente, facendo un passo dentro la camera e
scavalcando una valigia ancora chiusa – non gli fece notare che avrebbe doveva
aprirla, e soprattutto che glielo aveva già chiesto circa due ore prima, non
gli sembrava il caso.
«Pomodori» borbottò, alzando il libro
e coprendosi la faccia con quello. Che
bambino, si disse Itachi, sorridendo.
«Allora sai ancora parlare» commentò,
facendo un altro passo in avanti, nella speranza di poter intraprendere un
colloquio con suo fratello. Ma Sasuke abbassò lo sguardo e ritornò a leggere,
alzando il libro davanti agli occhi. Sulle lenzuola aleggiava ancora la penna e
il blocchetto degli appunti con sopra pasticciate le parole che gli aveva
scritto durante il giorno. «Come non detto» si disse Itachi, facendo dietro
front e scavalcando nuovamente la valigia, «Non aprire a nessuno» borbottò,
andando a fare quella stramaledetta spesa.
-―❁―-
Itachi guardò la lista della spesa,
infilando il sacchetto di pomodori nel carrello, sospirando mentre tornava a
spingerlo, cercando di ambientarsi nel supermercato – per fortuna non c’era
tanta gente, altrimenti ci avrebbe impiegato il doppio del tempo.
Il mutismo di Sasuke continuava ad
infastidirlo, in un angolo del suo cervello. Si preoccupava che decidesse di
fare così anche a scuola, o peggio ancora con l’assistente sociale. Se non dava
l’impressione di essere felice – o almeno di stare bene – di sicuro lo
avrebbero rispedito in Giappone. Non poteva permettersi di perderlo, di saperlo
a Konoha mentre lui era a Londra a lavorare per qualche anno, o forse per
sempre, lontano da lui.
Si infilò fra due file di scaffali,
cercando delle uova biologiche, concentrandosi sulle condizioni orripilanti in
cui le galline erano costrette a vivere piuttosto che alle scenate di Sasuke.
Alzò lo sguardo, cercando tra i tabelloni appesi quello che indicava in quale
corsia vi fosse il riso, e poi attraversò lo scaffale, finendo nella fila parallela
a quella che aveva appena percorso.
Il suo sguardo cadde su una ragazza,
in punta di piedi sul primo scaffale, probabilmente se lo sarebbe tirata
addosso, Itachi se lo sentiva nelle ossa. Cercava di prendere del cibo per
gatti, ma era troppo in alto e non riusciva nemmeno a sfiorarlo con le dita.
«Ha bisogno di una mano?» domandò
cortese, senza prevedere che la ragazza si deconcentrasse dal suo obbiettivo e
scivolasse in una frazione di secondo con il sedere sul pavimento, con un
sonoro tonf. «Si è fatta male?» le
chiese, aiutandola a rialzarsi mentre lei rideva, sistemandosi la canottiera
che indossava e spostandosi i capelli dagli occhi.
«No, no! Sto bene, sono di pietra, non
mi sono fatta nulla» gli rispose, tornando a fissare l’ultimo scaffale prima di
arrampicarsi di nuovo. La prima cosa che Itachi notò furono gli occhi e il loro taglio giapponese – grandi come
quelli di Sasuke. «Comunque grazie, ma ce la faccio da sola, è una questione di
principio» aggiunse, rubandolo dai propri pensieri, allungandosi poi nuovamente per prendere il
sacchetto di croccantini.
Itachi la guardò a metà tra il
preoccupato e il divertito. Se non avesse chiesto aiuto o se non si fosse
arrampicata sull’altro scaffale non sarebbe mai riuscita a prendere quei
croccantini. Allungò la mano per afferrarli lui, ma le mani della sconosciuta
gli strinsero il braccio, «Non ci provare nemmeno!» gli disse, mettendosi tra
lui e lo scaffale, «Ti ho detto che è una questione di principio».
«Volevo solo aiutare…» le rispose,
intontito da tutta quella determinazione. Da dove arrivava quella?
«Certo, certo, lo so» ribatté,
agitando la mano come per scacciare un moscerino, «E io ti ho detto che devo
farcela da sola» e annuì vigorosamente, incrociando le braccia.
Itachi scosse il capo sorridendo,
proseguendo con la spesa. Combattendo contro la voglia di girarsi a vedere se
ci fosse riuscita – ma dato che non aveva sentito niente cadere per terra,
sembrava stare bene. Continuò a depennare un prodotto dietro l’altro della
lista, cercando poi in quel labirinto di cibo e utensili per la casa la cassa,
mettendosi in coda. Solo dopo sentì un carrello muoversi in sua direzione e,
girandosi, si accorse che era la ragazza che aveva cercato di aiutare prima –
aveva il carrello pieno di cibo per gatti e altre cose per animali. Alla fine
c’era riuscita.
«Allora ce l’hai fatta» commentò lui,
ripiegandosi la lista e infilandosela nella tasca dei pantaloni.
«Avevi dubbi?» rispose lei, gonfiando
il petto e appoggiando i pugni sui fianchi. Era gracile ma dava l’impressione
di essere forte. Beh, si disse, sembra giapponese ma parla un inglese da vera
inglese. «Il carrello» gli disse poi, indicandogli il nastro trasportatore.
Itachi si era imbambolato a guardarla e aveva fatto la figura dell’idiota,
fantastico.
Iniziò a svuotare il contenuto della
sua spesa, sentendo la ragazza dietro di lui ridacchiare. Scosse la testa,
concentrandosi sul suo lavoro, comprando anche un paio di borse di tela da
poter riusare nuovamente.
«Un uomo che fa la spesa, eh?»
continuò lei, appoggiandosi al suo carrello, «È un modo per fare colpo sulle
ragazze o cosa?».
«Penso che sia “cosa”» rispose,
cercando di essere divertente, ma evidentemente non ci era riuscito, «Mi sono
solo trasferito da poco con mio fratello, tutto qui» e alzò le spalle, andando
dall’altra parte della cassa per inserire i pomodori e il resto nelle borse,
preparando le banconote per pagare la commessa totalmente disinteressata alla
loro chiacchierata.
Mise in ordine tutta la spesa,
trattenendosi dal chiedere alla sconosciuta se aveva bisogno di una mano per
mettere la sabbia dei gatti sul nastro trasportatore. Ma quando prese coraggio
per tentare di aiutarla, lei aveva già finito e stava già mettendo i sacchi sul
carrello, facendoli cadere direttamente dal bancone all’interno della rete.
«Fai sempre così?» le domandò,
mantenendosi indietro. Non voleva di certo ritrovarsi in un mare di sabbia per
gatti nel caso uno di quei sacchi fosse esploso.
«È un metodo poco ortodosso ma
efficace, non trovi?» e si girò verso di lui, facendogli l’occhiolino.
Tra i due, sembrava lei quella che era
andata a fare la spesa per rimorchiare.
La aspettò, se non altro per una
questione di rispetto – e poi perché pensava di doverla aiutare quando avrebbe
messo quei sacchi in macchina, ammesso che ne avesse una. In tutti i casi, lei
non sembrò protestare per la sua compagnia, e lui approfittò.
«E da dove vi siete trasferiti, voi?»
chiese d’un tratto, e il tiepido sole dell’estate londinese li colpì come una
frusta.
«Dal Giappone» generalizzò, nessuno
conosceva Konoha, quindi neanche valeva la pena di provare a dire la città.
«Oh!» esclamò lei, «Mio nonno viene da
Okinawa, sai?» e gli sorrise, «L’isola da cui viene Miyagi, di Karate Kid».
Itachi ridacchiò, allora aveva delle
origini giapponesi o qualcosa del genere, «So dov’è Okinawa, ma non sapevo
fosse il luogo di nascita di un personaggio di un film».
Asami si bloccò di colpo davanti ad
una macchina, per un momento Itachi pensò di aver detto qualcosa di scandaloso
per aver provocato quel gesto tanto bruto. «Non hai mai visto Karate Kid? Ma in
che mondo sei vissuto? Bah…» e scosse la testa, aprendo la portiera del
passeggero, infilandosi poi le chiavi nella tasca dei jeans. Si avvicinò al
carrello, cercando di prendere a due mani il primo sacco di sabbia dei gatti.
Se lo strinse al petto e trattenne il respiro, diventando paonazza e sospirando
quando lo abbandonò sul sedile. Quando si girò per prendere il secondo dei
cinque, Itachi l’aveva già preceduta e reggeva tra le mani la sabbia dei gatti,
sorridendo mentre aspettava che lei si spostasse per farlo passare.
Con sua sorpresa, la ragazza si
arrese, e lasciò che lui prendesse anche i sacchi rimanenti, quando finì, la
sentì ridacchiare e mettere in macchina le buste con dentro il cibo per i
gatti, «Sei uno tosto, tu, eh?» commentò, chiudendo la portiera, «Non ti
arrendi mai» e prese il carrello per andare a metterlo nell’apposita fila di
altri suoi simili, appoggiandosi poi alla macchina, «Beh, in tutti i casi
grazie, sei stato davvero gentile» gli disse,
allungando la mano, in attesa che lui la stringesse.
Itachi non la fece attendere un
momento di più, la prese la mano e sorrise, «Comunque mi chiamo Itachi» la
informò gratuitamente, «È stato un piacere aiutarti con la sabbia dei gatti».
«Asami» disse semplicemente lei,
scivolando via dalla sua stretta e mettendosi in macchina.
Non gli sarebbe dispiaciuto parlare
con lei un’altra volta.
-―❁―-
Itachi prese dei libri da una delle
valige, impilandoli con cura sulla libreria bianca, dal più alto al più basso.
Erano a Londra da una settimana, e
nonostante tutto l’impegno che ci aveva messo non erano ancora riusciti a sistemare
ogni cosa all’interno del nuovo appartamento.
Sasuke sospirò, seduto su una delle
poltrone nere, passandogli svogliatamente i libri da mettere in ordine.
«Lo so che non è divertente, ma non
possiamo vivere con tutte le borse in soggiorno» gli disse rivolgendogli un
sorriso, ma il più piccolo si limitò ad incastrare la testa fra le spalle e a
sprofondare meglio sulla poltrona.
Nessuna risposta.
Come da sei giorni a quella parte, del
resto.
Itachi scosse il capo abbandonando il
tomo che teneva fra le mani sul tavolino, sedendosi sul divano. «Mi è almeno
dato sapere perché non mi vuoi parlare?» chiese, e suo fratello lo guardò,
ricambiando il suo sguardo e facendo spallucce, come a fargli intendere che non
c’era un perché, e anche se ci fosse stato non glielo avrebbe comunque detto.
«Bene» sussurrò più a se stesso ché a
quella piccola testolina imbronciata, impegnata a leggere il frontespizio di
ogni libro che si impilava sulle cosce.
Non potevano andare avanti così, prima
o poi avrebbe avuto bisogno di qualcosa, e allora si sarebbe di certo messo a
parlare.
«Pensavo di andare a cenare fuori,
stasera» riprese a parlare, da solo, o con il muro, «Ti va?» gli domandò, e
Sasuke scosse di nuovo le spalle, e poi annuì con un cenno del capo, portandolo
al limite dell’esasperazione.
«Dovrò comprarmi un pappagallo» commentò
alzandosi, spostandosi verso la penisola per versarsi un bicchiere d’acqua, «Qualcuno
con cui parlare, almeno la smetto di fare dei lunghi monologhi» aggiunse,
portandosi poi il bicchiere alle labbra mentre Sasuke restava di nuovo
impassibile.
Incominciava a pensare che sarebbe
stato meglio lasciarlo in Giappone, che fra di loro, nel loro rapporto, si era
formata una crepa, e che se non avesse fatto qualcosa al più presto sarebbe
diventata una voragine.
Silenzio.
«Vai a lavarti mentre finisco di
sistemare», e senza rivolgergli nemmeno uno sguardo Sasuke posò i libri sul
pavimento, infilandosi nella porta del corridoio che dava sulle stanze.
-―❁―-
Itachi mangiava in silenzio, seduto
davanti a Sasuke, rassegnato al mutismo che si era protratto per più di quanto
sperasse.
Aveva deciso di uscire per prendere
una boccata d’aria e fargli fare un giro, sperando che si ambientasse un po’ di
più, ma la serata si era rivelata un fallimento totale. Lo aveva sentito
parlare soltanto per dirgli quello che avrebbe ordinato al bar-ristorante, e
poi era sprofondato di nuovo nel silenzio.
«Mi sto dimenticando il suono della
tua voce» gli aveva fatto notare con un sorriso, ottenendo come risposta una
misera scrollata di spalle che gli aveva fatto pensare che forse aveva
sbagliato qualcosa, e che la causa di quel comportamento non era un mero capriccio
adolescenziale.
Sollevò il bicchiere portandolo alle
labbra, facendo vagare lo sguardo per il locale semivuoto, gettando la spugna e
dandogliela vinta una buona volta per tutte.
Avrebbe ripreso a parlare quando
avrebbe avuto voglia di farlo. Fine della questione.
Lo guardò rigirare la forchetta nel
piatto, piluccando e fissando le patatine, quando qualcosa gli urtò la spalla,
facendogli rovesciare buona parte dell’acqua sul tavolo e nel piatto, oramai
quasi vuoto.
«Oddio, mi scusi!», parlò la ragazza
che lo aveva preso dentro con un’ingombrante borsone, mentre lui asciugava il
liquido con il tovagliolo, sembrava mortificata ed imbarazzata. «Mi dispiace
tanto, sono così imbranata» aggiunse, e lui alzò lo sguardo dal tavolo,
incrociando finalmente quegli occhi a mandorla che aveva già visto qualche
giorno prima, al supermercato.
«Si figuri, non è nulla» le rispose,
ma prima che potesse aggiungere altro lei lo bloccò.
«Ma io ti conosco!» affermò sicura,
lasciando cadere il borsone sul pavimento, «Sei quello del supermercato…»
continuò, strappandogli un sorriso, «Itachi, giusto?» domandò retorica, e lui
annuì.
«Itachi» le diede conferma, e lei
sorrise accomodandosi al tavolo accanto al loro, togliendosi la casacca della
tuta grigia che indossava – probabilmente era stata a fare sport.
«E quell’adorabile faccino chi è?» gli
chiese, riferendosi a Sasuke che, sentendosi chiamato in causa, arrossì, chinando
di nuovo la testa sul piatto, «Tuo figlio?».
Itachi scoppiò a ridere, «No, no! È il
mio fratellino» le spiegò, mentre lei si allungava verso Sasuke, tendendogli la
mano.
«Io sono Asami, piacere» gli disse, e
lui gliela strinse, borbottando il suo nome, ma se non altro aveva parlato. La
ragazza sorrise, tornando poi sulla sua sedia, «Mi sembravi un po’ troppo
giovane per avere un figlio così grande, in effetti» ammise, raccogliendosi i
lunghi capelli scuri in una coda di cavallo, «Ma non si sa mai, è sempre meglio
chiedere, magari avevi quarant’anni e portavi tremendamente bene la tua età».
Il discorso fu interrotto per una
manciata di secondi da una cameriera che, stringendo il blocchetto fra le dita,
prese l’ordine della ragazza e poi se ne andò, lasciandola di nuovo libera di
parlare. «Quindi…» riprese, sistemando la casacca sullo schienale della seggiola,
«Come vi trovate a Londra?» domandò, accavallando le gambe, appoggiando un
gomito sul tavolo mentre si sporgeva verso gli altri due.
«Beh, bene, direi» commentò Itachi,
ignorando il grugnito di disapprovazione di Sasuke, «È un po’ diverso dal
Giappone… ma non penso faremo fatica ad abituarci» sorrise.
«Sembrate due tipi svegli» ridacchiò
Asami, iniziando a giocare con una bustina di zucchero, «Specie il piccolo
cupcake» e indicò con il mento Sasuke, il quale – puntualmente – arrossì, «Certo,
certo» annuì lei, «Sascake!» disse poi, quasi illuminandosi.
«Sascake?» ripeté Itachi, quasi
confuso.
«Sascake» gli fece eco Asami, «Sasuke
è un piccolo cupcake, non vedi?» continuò, indicando il più giovane, «ha la
faccia da cupcake. Non esistono i cupcake in Giappone?» continuò.
«E tu dai nomignoli alle persone
appena le conosci?» domandò Itachi, particolarmente divertito, ricevendo sotto
il tavolo un piccolo calcio da Sasuke, che gli chiedeva con lo sguardo di
fermare il cervello impazzito della sconosciuta. Se non parla, io non l’aiuto – si convinse Itachi, ignorandolo.
«Che ha Sascake?» domandò Asami, quasi preoccupata, allungandosi verso
il ragazzo che cercava nelle tasche della giacca qualcosa. Quando finalmente
trovò una penna, prese il tovagliolo sporco e tracciò alcune linee su questo,
passandolo poi a Itachi. «Che c’è scritto?» chiese curiosa.
«Che gli piace il soprannome che gli
hai dato» mentì, accartocciando il tovagliolo. In realtà Sasuke gli aveva
chiesto di andare via – ma la sua richiesta non coincideva con i piani di
Itachi.
«Oh» Asami sembrò delusa, «Che
peccato…» e in quel momento la cameriera arrivò, posando sul tavolo della
ragazza un panino e una soda.
«Perché? Che pensavi ci fossi
scritto?» domandò Itachi.
Asami addentò il panino senza farsi
troppi problemi – con quelle guance piene e il sorriso accennato nonostante
stesse masticando, gli ricordò terribilmente un criceto. Ingoiò, pulendosi le
labbra con un tovagliolo, «Magari voleva che ci scambiassimo i numeri di
telefono» e prima ancora che Itachi potesse risponderle si era già allungata
verso Sasuke, rubandogli la penna dalle dita e scrivendo su un tovagliolo
pulito il suo numero di telefono. Piegò il foglietto e lo tenne vicino al
piatto, afferrando di nuovo il panino tra le mani, «Te lo do quando te ne stai
andando, va bene?» gli sorrise, dando un altro morso alla sua cena.
Itachi ridacchiò, arrotolandosi una
manica della camicia, «Posso dire di no?».
«No» e sorrise con quella sua smorfia
da criceto.
«Vado a pagare» disse lui, afferrando
il portafoglio dalla giacca, avviandosi verso la cassa.
NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».
Oh, buongiorno pasticcini alla crema!
~
Che dire? Finalmente riusciamo a pubblicare Ikigai. Non sarà una long molto lunga: 10 capitoli pubblicati ogni
mercoledì da oggi fino al 17 giugno. In caso di problematiche scriveremo
eventuali date spostate in ogni note come facciamo già in Colla, per chi
arrivasse da lì ;)
Chi fa parte del nostro gruppo
facebook, insomma, sa già di che cosa parla Ikigai e del motivo per cui
l’abbiamo scritta… chi invece è nuovo, deve sapere che questa è una sorta di
prequel della fanfic Colla, AU universitaria dei Konoha 11 nella
quale abbiamo supposto che Itachi e Sasuke si trasferissero a Londra per un
poco, prima di ritornare in patria.
Motivo per cui, riteniamo che
l’apparente OOC di Sasuke sia assolutamente giustificato.
Parliamo di un Sasuke di quindici anni che ha dovuto abbandonare i suoi amici
per attraversare il globo e mettere radici a Londra per tempo indeterminato.
Insomma, non è stato facile per lui. Per questo l’idea del mutismo ci è
sembrata carina e abbastanza consone al suo carattere. Ma ci teniamo ad
informarvi che non durerà a lungo, non preoccupatevi! ;)
Più che Sasuke, in realtà, questa
storia tratta di Itachi e di una nostra OC – detta Asami – che in Colla è la
dolce-metà-quasi-signora-Uchiha, e ci sembrava carino scrivere un po’ della sua
storia. Pertanto, Ikigai può essere letta
indipendentemente da Colla, quindi se siete qui per la Itachi/OC siete
assolutamente i benvenuti! ♥
Il titolo, semplicemente, è una parola
giapponese che corrisponde più o meno all’italiano «qualcosa per cui vivere» o
«una ragione per svegliarsi al mattino». Può indicare anche una persona di cui
si è follemente innamorati. Secondo la cultura giapponese, ogni persona ha un Ikigai, anche se la strada per trovarlo
può essere difficoltosa e lunga.
Dato che è una impaginazione un po’
particolare, vorrei chiedere ai lettori se riuscite a leggere tutto con
facilità e se i separatori si vedono tutti per bene (avrebbero un fiorellino al
centro ;u; ♥).
Bene! Noi ci rivediamo l’8 aprile con il secondo capitolo ♥
Alla prossima e grazie mille per aver
letto ;)
papavero
radioattivo